PSICOLOGIA ALIMENTARE

 

 

 

 

 

 

 

Eugenio Lo Gullo - Francesca Abrami

 

 

I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE

 

L’era moderna rivede riprodotto nell’alimentazione uno dei suoi tanti paradossali squilibri: mentre un terzo dell’umanità soffre per numerosi problemi correlati alla denutrizione, l’altra parte va incontro ad organizzazioni patologiche in qualche modo connesse all’iperalimentazione (diabete, obesità, ipertensione, ecc.).

Un problema di così vasta portata deve necessariamente far riflettere sul significato di un rapporto con il cibo - direttamente collegato alla sopravvivenza della specie umana – che diviene spesso fonte di innumerevoli disturbi psichici e organici. Difatti, attorno alla sfera oro-alimentare ruotano differenti unioni che riguardano essenzialmente la complessa relazione madre-bambino-gruppo sociale.

La stessa percezione del proprio corpo e del peso varia in funzione di alcuni elementi che riguardano:

- La personalità dell’individuo;

- Il valore attribuito al proprio aspetto;

- Il regime alimentare personale e familiare;

- I modelli culturali appresi.

 

 fattori coinvolti in questa relazione sono i seguenti:  

- l’individuo;

- la relazione con la madre;

- la relazione familiare;

- la dimensione psicologica;

- la dimensione socio-culturale;

- il tipo di alimentazione.

 

Possiamo notare come il neonato, fin dalla nascita, presenta ben sviluppate quelle funzioni senso-motorie che sono implicate nella ricerca del cibo (riflesso di suzione, riflesso di orientamento) perché è spinto dalla motivazione alla nutrizione e all’esplorazione presenti in tutte le specie. Com’è facile intuire, l’alimentazione per il bambino non rappresenta dunque solo un bisogno fisiologico, ma anche e soprattutto il prototipo delle sue relazioni umane. Inoltre, il processo di nutrizione soddisfa numerosi altri bisogni come: il contatto corporeo (che si rinforza grazie a processi come la suzione, l’allattamento, ecc.), il legame di attaccamento (nel quale troviamo il soddisfacimento dei desideri fisici e affettivi), gli scambi sociali (che molto spesso sono rinsaldati da lauti banchetti o semplicemente dalla condivisione di un semplice panino).

Nella relazione madre-bambino vi è perciò un adattamento reciproco che risulta essere più lento nelle primipare mentre è più rapido nelle secondipare poiché queste possiedono già un’esperienza diretta di maternità. Questo delicato rapporto, se intervengono alcuni fattori scatenanti, può però innescare situazioni patologiche che si manifestano sia nella prima infanzia che nell’adolescenza. Ecco perché è necessario intervenire prima possibile attraverso una corretta informazione e un intervento psicologico adeguato.

Una madre molto ansiosa, ad esempio, iperprotettiva, che controlla costantemente il ciclo alimentare del bambino farà sì che questi diventi poco autonomo e incapace di riconoscere i propri bisogni alimentari oltre ad investire il cibo stesso di significati simbolici diversi. Molti di noi hanno potuto constatare direttamente come in molti casi il bambino utilizza proprio il momento della nutrizione per tentare di ricattare i genitori utilizzando frasi del tipo: “se voi non fate uscire io non mangio”. Questi atteggiamenti di ribellione, che rappresentano uno dei tanti modi per affermare sé stessi possono, se incoraggiati e se si ripetono in modo costante nel tempo, rappresentare un primo campanello di allarme di una relazione patologica genitore-bambino-cibo. Inoltre, il significato che il bambino attribuisce al nutrimento e il suo vissuto corporeo rappresenta una delle chiavi di lettura fondamentali nello studio e trattamento dei disturbi correlati all’alimentazione Alcuni disturbi nella percezione della fame sono riconducibili a modelli conflittuali di relazione madre-figlio. Infatti, le prime esperienze alimentari sono fondamentali in questo tipo di interazione poiché è attaverso tale rapporto che il bambino apprende i modelli comportamentali da adottare nella vita adulta. Per uno sviluppo equilibrato il bambino deve saper riconoscere i propri bisogni fisici ed indicarli correttamente e perché questo accada è necessario che le risposte dell’ambiente siano adeguate.

 

Il cibo assume significati psicologici diversi e quindi può essere considerato:

Un alimento sostitutivo – tipico dei piluccatori - serve a colmare un vuoto e a calmare l’angoscia prodotta da una situazione di crisi. Rappresenta, dunque, un alimento tranquillante oltre che svolgere un’azione antidepressiva.

Un alimento distruttivo – tipico dei bulimici - la cui assunzione comprende dei vissuti di colpa e scatena desideri di autopunizione che possono portare verso un’organizzazione patologica grave.

Un alimento vendicatore – tipico degli adolescenti anoressici - viene utilizzato come elemento di ricatto e di ribellione nei confronti dell’ambiente familiare e sociale.

Un alimento gratificante – tipico degli obesi e dei grandi obesi – serve a gratificare il bisogno di protezione e di sentirsi forti oltre a svolgere una funzione tranquillante nei confronti delle pulsioni sessuali ed aggressive.

Per consentire una facile comprensione delle principali psicopatologie dell’alimentazione andremo a considerare i maggiori disturbi del comportamento oro-alimentare che vengono così classificati:

 

Anoressia mentale;

Bulimia nervosa;

Iperfagia o atto di piluccare;

Pica;

Potomania;

Coprofagia;

Medicismo-ruminazione.

Ognuno di essi rappresenta non una costante, ma un variegato sistema nel quale ritroviamo elementi che si collocano sia nella sfera individuale che familiare e sociale.

 

 

 

 

1. L’anoressia mentale

 

 

Colpisce per il 95-98% le donne tra i 13 e i 25 anni e solitamente insorge nel 30% dei casi in individui lievemente obesi ed in seguito al ricorso a diete restrittive o a trattamenti dimagranti. Compare solitamente in adolescenza, ma vi sono numerosi casi in cui disturbi di tipo diverso di solito di forma anoressica si manifestano già durante lo svezzamento. Di solito il quadro clinico non è preoccupante perché questo disturbo rispetto all'anoressia nervosa ha manifestazioni cliniche separate che possono però rappresentare degli indicatori molto importanti.

I soggetti a rischio presentano spesso una personalità caratterizzata da:

-eccessiva sensibilità;

-introversione;

-ostinazione;

-egocentrismo;

-marcato attaccamento allo studio e alle attività mentali;·      

-iperattività;

-ricerca della perfezione.

 

Dalle numerose osservazioni effettuate è possibile avere un quadro piuttosto eloquente di questa patologia che più delle altre sottolinea lo stretto legame mente-corpo. Infatti, differenti elementi psichici sembrano continuamente intrecciarsi ed interagire con fattori decisamente somatici. In questo caso il desiderio di far scendere l’ago della bilancia è molto intenso e vi è la progressiva disponibilità ad accettare qualsiasi sacrificio per avere un corpo snello, da esibire, da modella.

 

Come riconoscere l’anoressia

Per identificare correttamente la sindrome è opportuno segnalare il caso ad uno specialista in grado di definire una corretta diagnosi per evitare di confondere la patologia con altre forme che possono presentare sintomatologie simili. Va, inoltre, ricordato che è bene evitare inutili, quanto dannosi, allarmismi e per questo sarà bene rivolgersi ad uno psicologo al fine di riequilibrare, innanzi tutto, la crisi familiare prodotta dal timore di trovarsi in presenza della temibile anoressia. Per tale ragione sentiamo la necessità di utilizzare lo schema seguente per distinguerla da altre forme di perdita di peso corporeo, collegate a sindromi psichiche differenti.

 

Nell’anoressia si possono riconoscere alcune caratteristiche specifiche:

-Sproporzionata paura di ingrassare;

-Errata percezione della propria immagine corporea;

-Diminuzione del peso del 25% del peso iniziale;

-Rifiuto di alimentarsi sufficientemente per raggiungere e mantenere un peso adeguato;

-Amenorrea: arresto delle mestruazioni per almeno tre cicli;

-Frenetica iperattività motoria ed intellettuale;

-Assenza di altre patologie cui imputare l'eccessivo calo di peso.

 

 

 

Fattori coinvolti nell’insorgenza della patologia

 

-Fattori sociali - Immagine moderna di una donna snella, agile, attiva, ideale culturale del corpo, passione per lo sport, danza, etc.;

-Fattori biologici - Ereditarietà del comportamento, obesità preanoressica, precedenti di bulimia.

-Fattori psicologici - Conflitti familiari, Madre iperprotettiva, ricerca della perfezione e del successo, bisogno di magrezza, bellezza, ecc.

 

 

Le fasi dell’intervento

 

L’intervento in questo caso va adattato alla particolare situazione del soggetto interessato visto che ogni caso, pur nella sua somiglianza con tutti gli altri episodi, rappresenta un fatto unico com’è unica la persona che manifesta la psicopatologia in questione.

In ogni caso i momenti più importanti del trattamento dell’anoressia riguardano:

-Una psicoterapia individuale e familiare;

-Un approccio terapico polispecialistico;

-Il ricovero ospedaliero in condizioni di pericolo per l’eccessivo dimagrimento in cui la psicoterapia resta l'elemento fondamentale;

-La nutrizione per via parentale o per sondino gastrico;

-Una attenta sorveglianza.

 

 

 

 

2. La bulimia

 

 

La bulimia rappresenta per molti quasi il contrario dell’anoressia visto che è caratterizzata da un impulso improvviso a mangiare di tutto ed in modo molto disordinato, dovuto al bisogno di colmare un vuoto che provoca una situazione di angoscia depressiva. Molto frequenti sono le abbuffate notturne, mentre gli altri dormono, che quando sono scoperte scatenano comportamenti di derisione del familiare bulimico da parte di tutta la famiglia. Difatti, questo atteggiamento viene vissuto come “bizzarro” oltre al fatto che il frigo al mattino si presenta vuoto scatenando comprensibili reazioni di protesta dei conviventi.

L’atmosfera di stravaganza che circonda le manifestazioni bulimiche troppo spesso porta i i genitori, e gli stessi bulimici, a sottovalutare questa psicopatologia che può invece andare incontro a complicazioni molto gravi sia dal punto di vista psicologico che medico. Infatti, la bulimia è molto spesso legata ad uno sconvolgimento pulsionale per cui il vissuto aggressivo e distruttivo costituisce il problema di fondo. Alla base vi può quindi essere la costruzione immaginaria aggressiva di un rapporto con una figura genitoriale oltre al fatto che l'impulso bulimico può rappresentare una sorta di compensazione sia di tipo affettiva che sessuale.

La patologia, come molte altre è tipica delle società più industrializzate e quindi correlata alla diffusa condizione di benessere dei nostri tempi. Inoltre, essa è tipica dei paesi occidentali e quindi connessa a variabili di tipo socio-culturale. Molto rara sino alla seconda guerra mondiale, la bulimia, rappresenta oggi un fattore di rischio molto frequente visto che secondo le statistiche ogni 20 ragazze 2 soffrono di disturbi oro-alimentari gravi, 8 di forme minori. Si calcola che ogni 100 casi 5 sono riferiti ai maschi e 95 alle femmine anche se si possono avere casi di insorgenza precoci o al contrario tardivi.

 

Come riconoscere la bulimia:

 

-Manifestazione di più crisi a settimana per almeno tre mesi consecutivi;

-Eccessi di disordine alimentare;

-Ingestione in poco tempo di grandi quantità di cibo;

-Consumo di cibi molto calorici di solito in solitudine e in segreto;

-Sensazione di perdere il controllo durante l’attacco riconosciuto non come fame di stomaco, ma di cervello come avviene nelle tossicodipendenze;

-Senso di colpa e necessità di prevenire l’aumento di peso;

-Vomito autoindotto;

-Abuso di lassativi e di farmaci anoressizzanti;

-Diete, digiuni forzati e combinazione di questi metodi;

-Attacchi di panico frequenti;

-Compulsività che la rende simile alle tossicomanie;

-Presenza di indicatori clinici (alterazioni cutanee del dorso delle dita e delle mani, ipertrofia delle ghiandole salivari, erosioni della superficie dentale. Emorragie congiuntivali se il vomito è recente).

 

 

I rischi più frequenti correlati alla bulimia

 

Disturbo cronico con frequenti ricadute. Da uno studio si è dedotto che il 40% resta bulimico, il 60% può ricadere dopo un anno di terapia. La prognosi è peggiore rispetto all'anoressia per la presenza di psicopatologie associate; Danni fisici provocati dall'abbuffata. Abuso di alcol, psicofarmaci e di altri farmaci; Tentativi di suicidio; Depressione; Insorgenza tardiva; Casi di morte per esplosione dello stomaco; Ricorso frequente alla lavanda gastrica; Vomito che determina squilibri elettrolitici (crollo del potassio con rischio elevatissimo); Disturbi neurologici (crisi epilettiche), cardiopatie, danni ai reni (dialisi); Danni somatici collaterali (grave alterazioni dei denti e carie prodotte dai succhi gastrici emessi con il vomito), esofagite, lesioni della faringe, polmonite da aspirazione dei residui del vomito ecc.

 

Le fasi dell’intervento

 

La fase terapeutica in questo caso è molto complessa e si colloca a diversi livelli:

-Allontanamento dalla famiglia - distacco temporaneo dall'ambiente familiare presa di distanza soprattutto psicologica;

-Chiarificazione dei contenuti conflittuali e sulla progettazione verso uno sviluppo autonomo e rassicurante;

-Psicoterapia individuale, familiare e di gruppo;

-Ricovero ospedaliero (inserire l'ospedalizzazione in un progetto terapeutico in cui la psicoterapia resta l'elemento fondamentale).

 

 

 

 

3. Altri disturbi del comportamento oro-alimentare

 

 

Iperfagia o atto di piluccare

 

L'iperfagia corrisponde ad un apporto alimentare eccessivo ed è legata a certe abitudini alimentari familiari. Mentre l'atto di piluccare di produce al di fuori dei pasti e consiste in un'attività alimentare che può durare tutta la giornata. Questo comportamento può accompagnarsi ad altre attività come: studio, gioco, etc. Può portare alla bulimia o all'obesità.

 

 

Pica

 

Prende il nome latino della gazza e si riscontra solitamente nei bambini e corrisponde all'ingestione di materiali non commestibili (sabbia, carta, ecc.).

 

Potomania

 

Il bambino è portato a bere grandi quantità di liquidi (acqua, etc.) ed in mancanza di questi, a bere la sua stessa urina. Sul piano psicopatologico questi bambini presentano di solito alterazioni della personalità di tipo psicotico, ma possono utilizzare questo comportamento come tentativo per manipolare l'ambiente.

 

 

Coprofagia

 

E' un comportamento del bambino che è portato a spargere le feci, a nasconderle o al contrario ad esibirle. Solitamente si tratta di soggetti freddi e distaccati che possono andare incontro ad un'organizzazione psicotica della personalità.

 

 

Medicismo-ruminazione

 

Il soggetto deglutisce il cibo precedentemente ingerito nella bocca per rimasticarlo nuovamente. Questo comportamento si può osservare in pazienti ospedalizzati cronici. Nei bambini è in genere l’espressione di un’organizzazione psicopatologica di una certa rilevanza che sottolinea l’angoscia di sparizione dell’oggetto di gratificazione.

 

 

 

 

 

4. L’OBESITA’

 

 

Nello studio delle origini dell'obesità convergono diversi fattori che interessano più livelli: genetici, metabolici, endocrini, psicologici e socio-culturali.

Nella maggior parte dei casi l'obesità si manifesta fin dall'infanzia durante la quale possono comparire condotte specifiche e veri e propri disturbi del comportamento oro-alimentare come il piluccare e l’iperfagia a connotazione spesso familiare.

 

Vengono distinti due tipi di obesità:

 

1. Obesità primaria - che può manifestarsi fin dai primi anni di vita;

2. Obesità secondaria - che interessa il periodo puberale (10/13 anni).

 

Vi sono inoltre altre forme, più o meno diffuse, come:

-l’obesità iperplastica (in cui il numero degli adipociti è normale ma la loro dimensione è eccessiva);

-le obesità miste (dovute a crisi bulimiche o ad un eccesso alimentare in particolare ad un apporto smodato di glucidi e zuccheri).

 

Dal punto di vista psicologico l'eccesso di peso corporeo, nell’infanzia e nell’adolescenza, non può essere considerato una malattia vera e propria, ma una fattore predisponente la malattia oltre al fatto che in molti casi rappresenta un fattore altamente limitante delle attività psicomotorie. Infatti, questa patologia non costituisce una condizione certa di rischio del bambino e dell’adolescente visto che quando si manifesta in questa fase potrebbe segnalare l’esistenza comune e normale di un certo aumento ponderale e pre-puberale che tuttavia non ha un significato fisiopatologico, ma può assumerlo agli occhi dell’ambiente innescando disturbi a carattere psico-sociale. Ai fini di un equilibrato sviluppo della personalità, i fattori psico-sociali rivestono un ruolo estremamente importante, ma, come fa notare H. Bruch, bisogna distinguere fra: fattori che svolgono un ruolo nello sviluppo dell’obesità, fattori creati dall’obesità stessa e fattori suscitati dal desiderio di dimagrire.

In un’epoca come la nostra, nella quale la magrezza è sinonimo di bellezza, tali considerazioni psicologiche sono più che mai confermate e per questo l’intervento dello psicologo assume un ruolo rilevante sia nella fase di prevenzione che di trattamento dei disturbi correlati ai comportamenti oro-alimentari.

 

Alcune considerazioni sulla personalità dell’obeso

Il soggetto obeso è solitamente descritto come una persona passiva, calmo, timido, apatico, ma che va incontro a scatti di collera improvvisi. In quest’ambito ritroviamo spesso la presenza di vissuti di noia e di solitudine oltre all’idea di non accettazione, senza che ciò denoti, in molti casi, l’esistenza di una vera e propria depressione. Altri disturbi possono essere dovuti alla comparsa di enuresi, insuccesso scolastico, cattiva definizione del sé. Inoltre, vengono segnalati diversi casi di ansia con tratti nevrotici, solitamente a connotazione fobica.

Nel bambino obeso si è più volte osservata una carenza, più o meno marcata, nella capacità di riconoscere e definire i singoli bisogni fisiologici del corpo e lo stesso schema corporeo è di solito alterato.

Nella bambina il grasso in eccesso può essere sinonimo di forza e di virilità, di riscatto sociale contrapposto a fragilità; nel maschio il grasso pre-pubico sembra rappresentare una sorta di protezione nei confronti dell'angoscia di castrazione come dimostrano i test proiettivi. Infatti, secondo alcuni autori, l’immagine del corpo obeso è voluminosa e la relativa massa gonfia dona al soggetto un senso di sicurezza senza la quale il proprio sé non esisterebbe.

In molti casi la massa corporea in eccesso può rappresentare una difesa nei confronti dei desideri sessuali e dai sensi di colpa che si originano da essi. Tutto ciò viene confermato dalla stretta relazione che esiste fra la sfera sessuale e le psicopatologie della sfera alimentare. Inoltre, si è potuto osservare come l’obesità costituisce un freno capace di inibire un comportamento psicotico perché assume la funzione di guscio protettivo rispetto all’ambiente esterno.

Il ricorso a diete restrittive, spesso inventate da coloro che speculano sulle sofferenze altrui, può innescare differenti scompensi che si possono osservare dopo un dimagrimento eccessivo. Il fatto di aver perduto peso-massa influisce sulle difese sulle quali il soggetto poteva contare per ridimensionare la carica di aggressività proiettata sull’esterno.

I fattori sociali da soli, naturalmente, non bastano a spiegare il perché dell'obesità, ma sono le esperienze emozionali ad incidere sull'insorgenza di un’organizzazione patologica; non è questo o quell'aspetto del comportamento dei genitori,  la loro origine,  i fattori socio-culturali o la posizione del bambino obeso tra i fratelli a favorire un disturbo della personalità, ma è significativo il livello di ansia e discordia che esiste in queste famiglie e che impedisce ai genitori di lasciare che il bambino si sviluppi e acquisti indipendenza. Va poi sottolineato il possessivo attaccamento al bambino che stimola atteggiamenti iperprotettivi. Difatti, il bambino grasso ed in seguito l'adulto soffrono di gravi deficit nel processo di autodifferenziazione; a questo si accompagna l'incapacità di identificare la sensazione di fame e di distinguerla da altri stati fisici ed emozionali. Il bambino viene a trovarsi in una dimensione carente di risorse nei suoi continui sforzi di regolare il consumo alimentare e di impostare la sua vita. Il tipo di disturbo emozionale varia, naturalmente, da bambino a bambino seguendo linee che sono del tutto soggettive e poco quantificabili.

L’attenzione dello psicologo per la storia personale del soggetto diviene per questo fondamentale. Inoltre, si è potuto osservare come gli individui maggiormente a rischio psicopatologico siano stati spesso privati nell'infanzia delle esperienze necessarie per costruirsi un proprio codice appropriato di comportamento, tra cui la capacità di orientarsi riguardo ai propri bisogni fisici ed emozionali per arrivare ad un'integrazione costruttiva di essi durante la fase adolescenziale.

L'obeso ha spesso fame ogni qualvolta è perturbato il suo equilibrio interpersonale. Egli vive la grande difficoltà di distinguere tra stimoli provenienti dal di dentro e dal di fuori, tra realtà e fantasia, fra i pensieri propri e quelli altrui. Il soggetto problematico non possiede una percezione sicura di dove lui stesso finisce e dove comincia l'altro. La rappresentazione mentale connessa alla diade madre-figlio, considerata come unità psicosomatica, diviene sempre più forte e in essa la madre iperprotettiva offre cibo al figlio come risposta ad altre richieste che non è in grado di soddisfare. Il cibo viene perciò percepito, sempre di più, come sostituto universale capace di soddisfare ogni tipo di bisogno. I soggetti obesi crescono senza un adeguato senso di sicurezza e con un'alterata immagine corporea, oltre a difficoltà evidenti nel riconoscere gli stimoli interni che indicano fame e sazietà e ad una considerevole incertezza circa la propria identità sessuale. L'inattività tipica degli obesi appare quindi incastonata alla loro immagine corporea spesso distorta. Vi è una fissazione a livello orale, dove l'incorporazione del cibo è spesso un sostituto compensatorio sul piano simbolico a certe carenze esistenziali affettive e di tipo traumatico.

 

L'intervento psicologico

 

L’intervento dello psicologo assume un significato rilevante che va ad interessare tutte le fasi evolutive del soggetto obeso.

L’approccio segue solitamente due itinerari strettamente correlati:

-Intervento psicologico preventivo;

-Intervento psicologico clinico-psicoterapico.

 

 

Il colloquio clinico con l’obeso

 

Il colloquio clinico con l’obeso si pone l’obiettivo di delineare la struttura della sua personalità allo scopo di aiutarlo a risolvere i conflitti personali, relazionali e ambientali, che hanno favorito l’insorgere dei disturbi oro-alimentari che sottostanno all’aumento del peso corporeo.

L'utilizzo del colloquio diagnostico e prognostico si basa sul presupposto che i tratti psicologici e somatici rilevati in una persona durante il colloquio non siano caratteristiche incidentali limitate nel tempo, ma possono essere trasferite ad ambiti più vasti e rilevanti del comportamento. Il colloquio stesso viene ad essere quindi un momento particolare della vita di relazione del soggetto visto che il comportamento di una persona non è costituito da una serie incoerente di comportamenti e pensieri variabili a caso.

La persona rappresenta un sistema multivalente con delle potenzialità molteplici in quanto si è formata attraverso l'apprendimento di numerosi ruoli psicosociali. Naturalmente, la situazione di colloquio se limitata ad un solo incontro non permette di manifestare tutte le disposizioni ed i ruoli sociali assimilati. Nel compiere un'esplorazione diagnostica l'esaminatore rischia di considerare il soggetto secondo una prospettiva limitata ed artificiosa. Inoltre, la tendenza a generalizzare porta ad una semplificazione e ad un appiattimento deformante nella percezione della personalità. Il metodo permette di osservare direttamente l'individuo impegnato in una relazione interpersonale, ma l'informazione utilissima che si può trarre da questa situazione deve essere usata per avanzare ipotesi e non verità definitive.

L’intervento verte su momenti terapeutici diversi:

-Psicoterapia individuale;

-Psicoterapia familiare;

-Psicoterapia di gruppo.

 

Con queste tecniche si interviene direttamente sul disturbo in base alla definizione del problema e si adottano le strategie terapeutiche più adeguate.

Si agisce quindi a più livelli:

- Analitico;

- Analisi delle cause del problema;

- Intervento diretto sul disturbo;

- Tecniche avversative.

 

Una psicoterapia individuale o di gruppo si pone l’obiettivo di restituire al soggetto obeso la piena capacità di riconoscere le pulsioni ed i sentimenti che nascono in lui e contemporaneamente offre la possibilità di soddisfare questi bisogni o di utilizzarli in modo adeguato e produttivo. Questa nuova consapevolezza può interessare inizialmente una sfera diversa da quella oro-alimentare così che il dimagrimento va a rappresentare un aspetto secondario; infatti, dal punto di vista psicologico, i progressi nei confronti di un’obesità non possono misurarsi in termini di quantità di peso, ma l’autoregolazione del peso corporeo dipende da un migliore adattamento personale in termini di maggiore gestione delle proprie risorse e capacità globali oltre ad una ridefinizione del proprio sé corporeo.

 

Verso una nuova visione di se stessi

Si va dunque verso un graduale rafforzamento dell'Io che consenta al paziente di riuscire a tollerare meglio l'ansia per ottenere un migliore controllo degli impulsi ed un integrazione delle rappresentazioni scisse del sé e dell'oggetto per conseguire una visione di se più coerente, salda e completa, per raggiungere la piena autonomia rispetto alle figure di attaccamento.

L’utilizzo del diario alimentare-comportamentale rappresenta sicuramente uno degli strumenti base per il lavoro di equipe.

Un vero e proprio diario personale, dunque, sul quale il soggetto può trascrivere giornalmente tutto quanto ritiene importane ed in particolare:

- I propri comportamenti alimentari;

- Il tipo di alimentazione;

- Il menù giornaliero;

- Preferenze alimentari;

- L’attività fisica svolta;

- L’eventuale presenza di disturbi (vomito, ansia, ecc.);

- L’assunzione di medicinali;

- Lo stato emotivo.

 

Il blocco di informazioni costituisce un elemento fondamentale del percorso organizzato dall’equipe nella quale sono presenti figure professionali diverse: medico nutrizionista, dietista, psicologo, endocrinologo, ecc.

Il compito dello psicologo sarà, in questo contesto, quello di esplorare le dinamiche psichiche del soggetto per valutare la capacità, in termini psicologici, di affrontare il problema. Nel corso del colloquio vengono affrontate problematiche relative alla sessualità, immagine di sé, relazione con il mondo esterno e con le figure genitoriali, e si cerca di stimolare le associazioni e le fantasie su ciò che emerge dal colloquio. In questo modo si attua un processo di crescita e riflessione che spinge il soggetto verso una modificazione del comportamento indesiderato.

 

 

Abitudini alimentari e contesto sociale

La nostra società è dominata dal mito della bellezza a tutti i costi e dalla ricerca della “magrezza” ad ogni costo e ciò scatena, in genere, un atteggiamento di rifiuto nei confronti degli obesi che vengono percepiti come “devianti le regole sociali” e perciò poco intelligenti.

Le abitudini alimentari mutano quindi continuamente e persino la nostra sana dieta mediterranea subisce ogni giorno gli attacchi delle nuove proposte alimentari che rispondono al desiderio della gente di dimagrire in fretta. Difatti, solo in Italia il 15/35% circa della popolazione, per lo composto da giovani donne, cerca di dimagrire per adeguarsi ai modelli proposti dai mass media che incoraggiano le diete che rappresentano uno dei fattori scatenanti dell’insorgenza dell’anoressia e della bulimia che stanno assumendo proporzioni tragiche. Il rischio di mortalità cresce di continuo mettendo in pericolo una persona su cinque. Ciò che conta è perdere chili e spendere molto per essere di moda e sentirsi al passo con i tempi comprando alimenti speciali a basso contenuto calorico, frequentando palestre e club esclusivi, iscrivendosi ai soggiorni-vacanza che promettono risultati miracolosi.

L’utilizzo di condimenti e pietanze rappresenta un vasto sottosistema culturale nel quale sono presenti alcuni dei comportamenti primordiali dell’uomo come la condivisione del cibo elemento vitale prezioso. Si può notare come le stesse origini dei rituali riguardanti l’ospitalità sono ricche di offerte di pietanze preparate apposta per l’occasione che ricordano da vicino i dolci natalizi largamente sfruttati su scala industriale (panettone, uova di Pasqua, ecc.). L’obeso, questi motivi, si sente diverso ed è poco inserito perché i giovani hanno difficoltà a relazionarsi con lui. Questi soggetti dimostrano chiaramente il disagio dovuto al fatto di non poter seguire i dettagli della moda che impietosamente impone un corpo snello ed abiti di piccole taglie. Possiamo notare come l’aspetto esteriore obeso si lega comunemente a significati di ingordigia, voracità, prepotenza, trascuratezza, abuso. A tal proposito è estremamente emblematico l’utilizzo della sagoma obesa per indicare con ironia l’abuso di potere e la tendenza all’ingordigia espressa dai vignettisti nel ritrarre i politici. Sfatare i pregiudizi attraverso una concreta campagna di informazione rappresenta, alla luce di quanto detto, un dovere della comunità scientifica oltre che degli organi preposti all’istruzione e all’educazione.

 

 

 

 

PER APPROFONDIRE L'ARGOMENTO:

"Peso, Sovrappeso e Obesità"

Guidaverde Editrice, Roma, 20001 

pp. 176, L. 23000

"A.I.O."

Associazione Italiana Obesità

Via Faà di Bruno, 29 - 00195 Roma

Tel. 06.37517807

 

 

 

 

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