TALASSEMIA

 

 

 

 

Aspetti psicologici della talassemia

Le emopatie mediterranee, rappresentate dalla talassemia (minima, minor e maior) e dalla microdrepanocitemia, meglio conosciute con il nome di anemie mediterranee, raffigurano una delle sfere patologiche più gravi sia dal punto di vista medico, sia psicologico, viste le molteplici problematiche riconducibili a livello individuale, familiare e sociale ad esse correlate. Difatti, quando si parla di talassemia ci si riferisce, ad ogni modo, ad un'alterazione ereditaria dei globuli rossi che in molti casi porta all'insorgere della malattia vera e propria. Dal punto di vista epidemiologico la microcitemia è notevolmente diffusa e tende ad espandersi sempre di più per l'effetto delle continue migrazioni e per la quasi totale mancanza di adeguate campagne di informazione e prevenzione che dovrebbero coinvolgere innanzi tutto la scuola come momento educativo e preventivo.

La nascita di una psicologia preventiva, che proceda di pari passo con le altre discipline, nella quale siano considerati sia i fattori psicologici individuali, sia socio-ambientali, produrrebbe sicuramente una maggiore consapevolezza rispetto alle numerose e diverse psicopatologie connesse alla talassemia ed alle eventuali strategie da utilizzare per una sicura prevenzione.

L'intervento psicologico clinico e preventivo in questo caso diviene indispensabile al fine di garantire una corretta educazione sia delle coppie già costituite che dei singoli individui. In esso si terrà naturalmente conto di tutte le implicazioni psicoaffettive legate alla libera scelta del partner che viene in questo caso condizionata dalla patologia. L'Umbra (ombra) o Stimmata, com’è chiamata nelle regioni del Sud Italia quasi a designare un male oscuro, un’impronta maligna di origine diabolica, raggiunge il più alto indice di frequenza nei paesi del Mediterraneo: Italia Meridionale, Cipro, Delta Padano, Sardegna, dove può raggiungere valori pari al 20% della popolazione. Inoltre, è presente in zone extraeuropee come l’Africa settentrionale, il Sud della Cina sino alle Filippine e naturalmente in tutti quegli stati interessati dal fenomeno immigrazione.

La malattia, oltre ai ben noti problemi di tipo medico e sociale, tende a far nascere tutta una serie di complicazioni psicologiche legate strettamente al vissuto personale spesso permeato di stati depressivi, conflitti di colpa, manifestazioni superstiziose, quasi fosse una "maledizione" da cui non ci si può liberare se non attraverso l'astensione dalla pulsione alla riproduzione: bisogno primario e fondamentale d’ogni specie.

Il problema del normale e del patologico è, anche in questo caso, il nocciolo centrale della questione. Fra i tanti quesiti che lo psicologo deve necessariamente risolvere ricordiamo: in che modo il soggetto è venuto a conoscenza della malattia; i suoi vissuti infantili; quali sono le considerazioni rispetto ad essa; in che misura interferisce con l'aspetto relazionale e comunitario. Questi fattori sono molto importanti visto che da queste variabili dipende lo stesso adattamento psicosociale dell’individuo.

Lo psicologo, solitamente, interviene nei casi conclamati per interagire ed esaminare un individuo che, in genere, non chiede nulla chiuso nella sua sofferenza mentre al paziente si chiede di prendere coscienza del fatto che attraverso alcune precauzioni la sua vita potrebbe notevolmente migliorare sia dal punto di vista personale, sia affettivo-relazionale (J. De Ajuriaguerra, 1988).

Nella valutazione psicologica si considerano variabili assai diverse come: la funzionalità delle difese utilizzate; il processo di sublimazione; l’importanza dei controinvestimenti affettivi; la plasticità o rigidità della complessa organizzazione cognitiva di base; il livello del conflitto in funzione dell'età; ecc. I criteri d’indagine, dunque, non possono limitarsi alla sola diagnosi della condotta e al solo riassumersi delle ipotesi di decodificazione sintomatica poiché in questo caso non è il vissuto inconscio a creare il sintomo; troppo spesso è la stessa presa di coscienza del male e dei sintomi stessi che provocano il conflitto.

Un altro particolare di rilievo è costituito dal fatto che la talassemia insorge intorno al primo anno di vita collocandosi così nella sfera delle malattie infantili più gravi pur perdendo, sempre più, la sua connotazione di "malattia mortale" per assumere i caratteri di cronicità.

Tutto ciò si deve soprattutto ai sempre più incisivi progressi terapeutici in cui le diverse professionalità s’inseriscono mantenendo un loro ruolo distinto, ma di profonda cooperazione. Proprio questo prospetto terapeutico, sperimentato oramai da un ventennio, ha fatto sì che i soggetti talassemici non vadano più incontro a complicazioni come ad esempio: deformità scheletriche e del volto, ritardo marcato dello sviluppo staturo-ponderale, epato-splenomegalia, evidenti complicazioni psicoaffettive, crisi di coppia, suicidio.

Lo stesso vissuto personale connesso alla malattia si è progressivamente modificato per l’azione sempre più incisiva della psicologia moderna. Inoltre, è grazie soprattutto alle terapie psicologiche di sostegno, unite alle pratiche mediche e farmacologiche, se le condizioni di vita dei soggetti interessati, bambini in particolare, non sono più precarie e satellizzate attorno al ridotto spazio vitale famiglia-ospedale. Bisogna però tener presente che questi soggetti, nonostante siano attualmente ben inseriti nel contesto sociale e riescono a stabilire soddisfacenti rapporti affettivi, vivono quotidianamente l'angoscia per la propria malattia e proprio questa condizione di sofferenza richiede un sostegno psicologico costante.

Lo stimolo verso nuovi interessi, pur tenendo sempre presente la reale possibilità dei pazienti, fa sì che la qualità della vita non sia garantita solo dal benessere fisico, ma anche dalla capacità di saper contenere ed analizzare i propri vissuti. Questi vissuti sono legati alla possibilità-impossibilità di vivere una vita "normale" in cui proprio il concetto di sofferenza rappresenta il perno centrale attorno cui ruota la giostra della propria esistenza e della stessa organizzazione familiare. Inoltre, non bisogna dimenticare che, come avviene in ogni situazione problematica, tutto il gruppo familiare si riorganizza attorno alla patologia creando sistemi e sottosistemi comunicativo-relazionali continuamente in evoluzione che, vista la loro precaria organizzazione strutturale, possono andare incontro a crisi drammatiche. Da questa nostra analisi emerge che la talassemia è sì una malattia ereditaria ad evoluzione cronica, ma non presenta deformità evolutive del comportamento se ci si spinge oltre il solo approccio medico che, come afferma A. Carotenuto (1995), non può scindersi dalla cura dell'anima. In contrasto con la letteratura riguardante l’ospedalizzazione ed il trattamento medico, i contributi inerenti gli aspetti psicologici non solo sono molto scarsi, ma poco hanno a che fare con le problematiche legate all’infanzia e alle diverse età dello sviluppo. Nel nostro lavoro, l'interesse è per lo più stato rivolto a questo specifico campo giacché tale patologia rappresenta uno dei settori verso cui s’indirizza la ricerca scientifica visto che, la microcitemia, determina lunghi trattamenti con necessità di ricoveri resi caratteristici dalle frequenti trasfusioni che condizionano lo stile di vita dei pazienti oltre ad incidere in modo considerevole sulla spesa sanitaria pubblica.

Il bambino, in particolare, elabora, utilizzando gli schemi cognitivi che possiede, sempre nuove norme adattive di reazione psicologica nei confronti di tutte le fasi che si succedono durante il decorso della malattia: diagnosi, crisi familiare, accettazione e negazione, vissuti e sensi di colpa dei genitori, risoluzione favorevole-sfavorevole. Tutti questi stati sono esperiti molto intensamente dai soggetti nell’età dello sviluppo anche per l’incidenza dell'eccessiva rigidità delle regole che la terapia richiede che va ad influenzare la vita sociale e scolastica proiettandoli nel mondo dei diversi.

Per questi e per tanti altri motivi i piccoli talassemici ricorrono all'uso frequente e massivo di meccanismi difensivi quali: la regressione, la negazione, l'opposizione, la ribellione, o, al contrario, reagiscono attraverso comportamenti permeati d’eccessiva rassegnazione, passività e dipendenza. In tali dinamiche la funzione dello psicologo e delle figure parentali, soprattutto se il soggetto è molto piccolo, è fondamentale per aiutarlo ad elaborare processi di adattamento più funzionali e positivi nei confronti della malattia. Tale compito rappresenta uno degli obiettivi del testo; cioè fornire indicazioni utili per rimuovere gli ostacoli che impediscono la completa realizzazione delle potenzialità dei soggetti interessati dalla patologia al di là di ogni tipo di mercificazione.

Consentire un inserimento equilibrato basato su di un appropriato adattamento cognitivo nella famiglia, nella scuola nella società, non è solo un problema professionale, ma anche morale che lo psicologo avverte in misura maggiore rispetto a quanti s’interessano del problema. Il solo ascolto della sofferenza rappresenta un training non facile ed un costante banco di prova per ogni psicologo. Inoltre, il continuo presentarsi delle difficoltà legate a pregiudizi di tipo sessuale, proprio perché la malattia è correlata alla procreazione, pone il terapeuta di fronte a numerosi ostacoli tipici delle psicopatologie della sfera sessuale. Si percepisce, difatti, un estremo disagio da parte dei talassemici a rispondere alle domande che riguardano la sessualità, anche per l'enorme quantità di stereotipi che la nostra cultura, traboccante di tabù e, paradossalmente, di eccessi di ambiguità ha prodotto. Nella prima parte dell’opera l’attenzione sarà rivolta a tutti quegli elementi che da sempre accompagnano la talassemia per permettere al lettore di comprenderne: la patogenesi e l’ereditarietà, gli aspetti antropologici e magico-religiosi, le norme giuridiche e gli istituti folklorici. Verranno, poi, attentamente considerate le molteplici credenze e superstizioni che sono all’origine dei processi di emarginazione e delle difficoltà psicosociali degli individui affetti dalla patologia.

Nella seconda parte, attraverso la trascrizione fedele di interviste, di storie di vita e la successiva analisi-confronto con le più attuali metodologie scientifiche, tenteremo di comprendere la variegata realtà psicosociale dei talassemici alla luce dei diversi contesti ambientali. Le proposte d’intervento e le strategie di prevenzione e reinserimento, contenute nella terza parte dell’esposizione, focalizzeranno l’approccio terapeutico nel senso più ampio del termine. Il nostro lavoro ha, naturalmente, coinvolto operatori appartenenti a settori diversi poiché più persone hanno il compito di garantire un sostegno adeguato in un’ottica che veda la società civile disegnata a misura dell'ultimo dei suoi componenti. Le trattazioni sulla talassemia sono molte, ma solo alcune di esse hanno posto l’accento sull’estrema sofferenza e sugli aspetti psicologici della malattia. Difatti, il solo approccio statistico ha spesso occultato la possibilità di comprendere le diverse realtà umane esistenti. Tali esperienze, difficilmente quantificabili, sono da considerarsi uniche e diverse pur nella percezione di caratteristiche comuni oltre che rappresentare un patrimonio esperenziale originale e permeato di dignità e sorprendente forza interiore. E’ necessario ricordare che i talassemici sono individui che esprimono un’immensa forza di vivere ed una visione altamente creativa dell’esistenza. Inoltre, si è più volte osservata una fervida capacità di progettualità che dovrebbe consentire loro di partecipare attivamente alla progettazione e costruzione di un mondo migliore. Ciò con l'augurio che questi e altri problemi siano recepiti dalla collettività e soprattutto dai suoi più alti rappresentanti istituzionali per una maggiore attenzione e sensibilizzazione al fine di consentire una migliore integrazione dei soggetti interessati dalla patologia.

L'obiettivo fondamentale di ogni proposta d’intervento sarà allora quello di consentire che ogni individuo preservi la propria dignità di essere umano e realizzi se stesso come persona e come membro attivo della collettività. Consapevoli di ciò, vogliamo esprimere la nostra più viva gratitudine a tutte quelle persone che raccontandoci la loro esperienza ci hanno permesso di raccogliere le preziose informazioni necessarie per la ricerca e per la definizione delle proposte di intervento contenute in questa nostra esposizione.

 

 

 

 

 

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