Un Castelmezzanese Signore dei Grattacieli

tratto integralmente dalla rivista del 1924 La Basilicata nel Mondo

Cav. Giuseppe Paterno

   Quando per il 6° centenario per la nascita di Dante Alighieri, il "Progresso Italo-Americano" eresse, con propria sottoscrizzione e iniziativa, il monumento al Poeta, in New-Yorck, il nostro comprovinciale cav. Giuseppe Paterno , con gesto munifico e patriottico, volle a sue spese costruirne tutto il basamento.       Questo atto di fede Italianissima dell'egregio uomo ci richiama il ricordo della sua vita avventurosa, e le mille e mille peripezie, attraverso le quali,  vincendo ostacoli, che ad altri meno forti di lui sarebbero parsi insormontabili, egli costruì, giorno per giorno, la sua fortuna, elevandola pietra su pietra, blocco su blocco, come fa con i suoi grattacieli e reggendola e avvitandola, nell'altezza sempre crescente, con quel suo spirito indomito, che nulla paventa e di nulla s'insuperbisce, che la sconfitta non prosta e la vittoria non esalta. Aveva tre anni Giuseppe Paterno, quando, dalla natia Castelmezzano, il padre, che aveva fatto in America il costruttore di case, con alterna fortuna, se lo menò a New-Yorck, ove il ragazzo, che cresceva pensoso e acuto, si adattò a fare il giornalaio, strillando per le vie interminabili della "City" irte di tumulto e di grattacieli, che tolgono la visione del cielo, e soffocano, come un incubo, il respiro. Il fanciullo, che, confusamente, in fondo alla sua anima bambina, doveva avere il ricordo nebbioso di un altro cielo, sotto il quale era nato, e degli sconfinati orizzonti Lucani, abbacinati dal sole, corsi dai venti, concepì un amore incosciente e curioso, misto a terrore, per quelle case così alte, più alte dei nostri campanili, che egli ammirava e osservava sempre, senza sapere perchè, come se già un piccolo demone profetico gli mordesse il cuore e il cervello, e, dentro, gli sussurrasse: "Tu costruirai grattacieli, come quelli, più alti di quelli".

 

E passava le sue giornate, così, tra i grattacieli e i giornali, in quello sbalordimento tipico, tra apatico e audace, che devono avvertire tutti quelli, i quali in fondo al  cuore presentono la buona ventura e il successo. Com'era solito fare tutte le sere, una sera dell'anno 1889, in Park Bow, il quartiere newjorckese dei giornalai, il piccolo fanciullo lucano, niente affatto sperduto nella città colossale, vendeva le ultime copie di giornali, che gli erano rimaste, e aspettava che il padre, occupato nella costruzione di un nuovo palazzo nel rione, uscisse dal cantiere, per tornarsene a casa insieme. Nell'attesa osservava attentamente le costruzioni, ne misurava con gli occhi gioiosi l'altezza vertiginosa, e carezzava in sé, Dio sa quali chimere e sogni infantili. in questa osservazione, lo sorprese il padre, al quale, di colpo, il fanciullo domandò: "ma perché costruiscono case tanto alte?". Il padre, via via, gli spiegò, (con l'amorevolezze speciale di tutti i padri di Basilicata, i quali, non avendo, nella grande maggioranza, vistose eredità da lasciare ai figli, si preoccupano di addestrarli e prepararli ai cimenti della vita, con il consiglio e con l'esempio), come l'altissimo prezzo delle aree di terreno da costruzioni avesse suggerito ai costruttori edili l'idea di ammonticchiar piani su piani, per spendere di meno e guadagnare di più. Gli spiegò pure il tenero padre come, in quella cosmopoli degli affari, nessuno sforzo e nessuna audace dell'impegno umano era possibile e che l'industria di quegli uomini doveva abituarlo anche al miracolo. Un mondo molto diverso dal nostro! Il fanciullo precoce comprese. Quindi il padre passò a spiegarli come i grattacieli, che si erano rilevati ottimi covi di uffici, non fossero però molto pratici come case di abitazioni per famiglie, fors'anche perché, a quell'epoca, essi non erano ancora troppo numerosi neanche nella capitale nord-americana e non si erano ancora volgarizzati al punto da invogliare, nemmeno i cittadini americani, ad abitare un decimo o un ventesimo piano.  >>>>>>>>>>>

Ma il fanciullo dall'intuito rapido, che soffriva, come una malattia ereditaria, il male della pietra, comprese che il grattacielo sarebbe stato, per necessità ineluttabile, la casa dell'avvenire, a New Yorck, ove la vita si congestionava e si agglomerava incessantemente, ora per ora, per il perenne afflusso di sempre e sempre nuove correnti migratorie, da tutte le parti del mondo.

Poco dopo, il piccolo Giuseppe paterno smise il mestiere nomade di giornalaio e passò a servire nello studio di un dentista. Ma, in realtà, altro non faceva che seguire il padre in cantiere e sognare, in quei dolorosi sogni a occhi aperti, che lasciano il vuoto dentro le mani e nel cuore, di essere diventato .. costruttore di grattacieli. Tutto il suo fervido cervello di fanciullo giovinetto lucano era ormai invasato dalla persecuzione dei grattacieli. E forse egli si vedeva già tra cielo e terra, sulle altezze vertiginose, a cogliere stelle ... d'oro. Fu al cantiere, che conobbe un ricco costruttore il quale gli diete una "job" per sè e per suo padre. Il lavoro era duro, ma a Giuseppe premeva cominciare: e cominciò così a realizzare il suo sogno di costruttore. La sua idea era fissa, il suo nascosto disegno era sempre quello di adibire il grattacielo non più solamente a sede uffici, ma come case di abitazioni. Il padre, convertito all'idea del figlio, sul momento di lasciarlo, per tornarsele, ammalato, in Italia, al nativo paese di Castelmezzano disse: "Figlio mio, tu hai ragione. Siamo al punto che si devono costruire grattacieli per abitazioni. Le case non bastano più e la città è già così immensa". Confortato dall'assenso paterno senza perdere tempo, l'ardente lucano si presenta a un costruttore arcimilionario e gli propone di elevare un palazzo a venti piani. Il milionario si sgrana gli occhi in faccia. Poi, con un piglio ironico, gli dice: "Ho capito, voi siete sognatore. Questo palazzo vi servirebbe per farvi ballare i vostri sogni. Quale matto volete che se ne vada ad abitare a un ventesimo piano". Il lucano tiene fermo, come una roccia delle Dolomiti Lucane della sua terra. Ma abilmente tergiversa fino ad avere i fondi per la costruzione di un palazzo a sei piani. A questo primo, ne seguirono rapidamente altri a otto, dieci e dodici piani. Ben presto, Giuseppe Paterno si rilevò industriale geniale, sagace, di larga e lunga veduta. Mise su selve di cantieri, drizzò armature di costruzioni in tutta New Yorck, reclutò intere legioni di operai e falangi di ingegneri, dando sempre simpatica e affettuosa preferenza all'elemento Italiano, lucano, Castelmezzanese. Con la chiara percezione della necessità assoluta di moltiplicare rapidamente e senza numero le abitazioni della colossale metropoli nord-americana, si diete a tutt'uomo, con formidabile sicurezza, all'acquisto delle case basse  nel cuore di New Yorck, per abbatterle ed elevarle, sullo stesso suolo, i suoi immensi grattacieli, grappoli mostruosi di sovrapposti nidi umani, di quindici, di venti, di ventidue piani. Fatti compiere dai suoi tecnici gli studi necessari, si lanciò nell'impresa con la foga, al tempo stesso placata e irruente,  riflessiva e irragionevole, che è caratteristica fondamentale della nostra razza lucana.

Grattacielo "The Paterno"

 

A Venezia in piazza San Marco, nel 1911, il Cav. Giuseppe Paterno e la sua Signora. GRATTACIELO "IL COLOSSEO" situato nel miglior luogo del "Riverside": 14 piani di altezza, 16 appartamenti nell'intero fabbricato composti da 12 camere 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Intorno a sé, vi erano i congiunti pavidi, gli amici preoccupati. Gli scettici crollavano il capo, i sarcastici ghignavano chi largiva consigli di moderazione, chi parlava di immaginari possibili catastrofi. Giuseppe Paterno non diete retta ad alcuno, non vide nessuno. Tirò innanzi per la sua via, senza volgersi mai, né a diritta, né a manca, senza mai esitare, senza mai sostare prima di aver raggiunto la meta. Era tanto forte e tanto sicuro di sé, che l'idea dell'eventuale catastrofe non lo turbò. Chi si abitua alla vertigine dell'altezza, non ha paura nemmeno della vertigine degli abissi. La sua stella era con lui. E, ancora una volta, trionfò. In breve tempo, i suoi cantieri costruirono palazzi per l'ammontare di centosette milioni di dollari, nella Colonia University. Sicché, quando negli anni 1907 - 1908 scoppiò a New Yorck la crisi edilizia, egli poté farvi fronte, non sospendendo, ma solo ragionevolmente diminuendo, l'attività costruttiva dei sui cantieri, alleviando così il disagio della disoccupazione degli operai edili, specialmente Italiani e Lucani. A questo riguardo, il suo patriottismo non subì mai imposizione di sorta: egli accettò operai irlandesi, canadesi, di tutte le nazioni, perfino negri, solamente quando la mano di opera italiana faceva difetto. Da venditore di giornali, attraverso il breve intermezzo di garzone di dentista, a venditore .... di grattacieli, mutatasi così eloquentemente la sua sorte, è rimasto però sempre immutato il cuore schietto, semplice, generoso, cuore di lavoratore, che sa, perché l'ha vissuta, come sia dura la lotta per l'esistenza, di Giuseppe Paterno. Il trattamento, che vien fatto agli operai dei sui cantieri, lo dimostra nella maniera più mirabile. La paga minima giornaliera é di sette dollari (centocinquanta lire italiane). Sebbene la vita a New Yorck costi quattro volte più che in qualsiasi città italiana, pure i nostri operai hanno così un margine possibile di economie. Lavoratore egli stesso, non lascia poi nessun mezzo intentato per l'organizzazione e la valorizzazione dei nostri operai all'estero, prodiga denaro e consigli per la loro assistenza civile e morale, per i loro circoli, le loro leghe patriottiche ed economiche, le loro case di ricreazione e di ricovero, i loro ospedali. E' la solidarietà infrangibile della fratellanza e dell'origine comune. Né ha mai dimenticato la sua Basilicata, il suo paese nativo di Castelmezzano, verso il quale ha sempre fatto e continuamente fa il suo dovere di figlio, memore e benefico. Ogni appello della sua Terra riceve da lui generosa risposta, e dobbiamo così segnalare come egli, insieme col cognato avv. Antonio Campagna, stia per far sorgere in Castelmezzano un grandioso edificio scolastico, e come abbia dichiarato di voler largamente concorrere nella spesa per dotare il proprio Comune dell'illuminazione elettrica. E non accenniamo di proposito alla beneficenza privata, ai sussidi alle opere pie, a tutto quell'altro bene che Giuseppe Paterno elargisce, in silenzio, agli umili della sua terra. E' di ieri la elargizione munifica di cinquemila lire che egli ha fatto all'orfanotrofio di Potenza. All'apice della fortuna egli è rimasto sempre un lavoratore instancabile e onesto. Delle sue ricchezze, egli gode non per sé, ma per la sua famiglia, che adora. "Ho avuto fortuna - egli suole dire - non nego. Ma i primi anni sono stati duri assai. Che lotte! che ansie tormentose! ho provato tanti mestieri. Ho lavorato come un forzato, spesso per ventiquattro ore su ventiquattro. Non mi sono mai concesso una settimana di quiete, qualche ora beninteso. E lavoro senza interruzione, perché non saprei vivere in ozio, lontano dai miei cantieri, da i miei operai, da i miei ingegneri". A questo magnifico campione della razza lucana, esempio tipico di intelligenza, della volontà, della saggezza e della fierezza Italiana, il nostro Governo ha conferito "onorificenza invero non adeguata ai meriti italianissimi di Giuseppe Paterno la Croce di Cavaliere". Ma il suo più grande compenso è certo la coscienza, che egli ha, di aver onorato il nome della Patria, di Castelmezzano nel mondo. Non vogliamo chiudere queste note, senza rilevare qualche tratto simpatico del carattere sociale di Giuseppe Paterno. Si è completamente americanizzato, pur conservando intatto il suo spirito italiano e il suo fondo lucano. Passa, con disinvoltura eccezionale, dalla blusa di operaio all'abito da passeggio, da questo al frack, dal cantiere al teatro, da una sala da ballo a un ristorante di lusso. Guida magnificamente la sua automobile. E a bordo della sua macchina, impassibile, egli, nelle ore di svago, ama girare da un capo all'altro di New Yorck, per la gioia di rivedere, uno dopo l'altro, tutti i grattacieli, che la sua operosa intelligenza ha elevato, qua è là, nella immensa cosmopoli.

 

La Famiglia

 

Torna alla Pagina della Storia di Castelmezzano