Bresciaoggi Martedì 4 Novembre 2003
Il desenzanese Dante Morrone, classe 1914, ex
ufficiale, è diventato il beniamino di tanti alunni sirmionesi
L’inno del «comandante»
Racconta nelle scuole la sua vita avventurosa: guerra e libertà
di Maurizio Toscano
Una vita spericolata, avventurosa, da romanzo: è quella di un ex
ufficiale della Regia Marina Italiana, in seguito pilota ricognitore e di
aerosiluranti, comandante di sommergibili, pluridecorato con medaglie al valor
militare; quindi, dopo la guerra, manager di successo, responsabile delle
vendite estere dell'Alfa Romeo fino agli anni ’60.
Quest’uomo, la cui vita è stata infinite volte in bilico in tante battaglie, in
ripetute evasioni dalla prigionia, abita a Desenzano. Dante Morrone, classe
1914, quasi 90 anni portati benissimo e un'invidiabile lucidità, non ha esitato
a mettere a repentaglio la sua vita per gli altri.
Morrone, personaggio autentico, viene spesso invitato dalle scuole
di Sirmione - oggi, ad esempio, sarà ospite in una classe delle elementari -,
grazie a Roberta Marai, un'intraprendente ragazza sirmionese che l'ha
«scoperto», per raccontare imprese che agli scolari assomigliano ai leggendari
eroi di Salgari. Racconti che incollano al banco i bambini anche per più di un'ora.
Del resto il «comandante», come affettuosamente lo chiama Roberta,
è un personaggio che sembra uscito da un libro di avventure. Vive in un
appartamento a Desenzano, la moglie gli è morta qualche anno fa, ma ha due
figli, Marcello di 56 anni e Luciano di 52. La sua casa è zeppa di documenti,
lettere d'amore inviate dalla prigionia alla sua adorata consorte, fotografie,
appunti, ritagli di giornali anche di mezzo secolo fa di ogni parte del mondo.
Sono la sua vita: li conserva, li rilegge e spesso si commuove.
Nativo di Ravenna, il «comandante» divenne ufficiale di Marina nel
1935 dopo aver frequentato l'Accademia Navale di Livorno. «Durante la famosa
battaglia di Punta Stilo del 9 luglio 1940, con gli inglesi, ero a bordo di un
ricognitore - racconta Morrone -. Riuscii a sorvolare per tre ore, un vero
record, la squadra navale nemica, riuscendo ad evitare, come uno slalomista, i
colpi dell'antiaerea nemica».
Grazie alle sue ricognizioni, riuscì a fornire alla nostra flotta
importanti notizie, tanto da meritarsi qualche giorno dopo la prima medaglia
d'argento al valor militare. Un altro episodio di grande eroismo lo vide
protagonista nel febbraio 1943 nelle acque antistanti il Nord Africa. «Ero al
comando del sommergibile "Asteria", che venne colpito da caccia
inglesi. Ordinai ai miei uomini di abbandonare la nave, mentre io ci restai
fino all'ultimo, rischiando di venire colpito dalle mitraglie degli aerei
nemici». Anni più tardi, per questo episodio di eroismo, gli venne conferita
una seconda medaglia d'argento.
Due anni prima, nel 1941, «mentre mi trovavo insieme ad altri
cinque compagni ai comandi di un aereo da ricognizione sopra Rodi, venni
sorpreso da un uragano che mi costrinse a compiere un atterraggio di fortuna in
Turchia». Costretto a risiedere in libertà vigilata ad Ankara (la Turchia non
era in guerra contro l'Asse), il «comandante», anziché trattenersi nella
capitale turca tutto sommato in una posizione agiata e senza più correre i
pericoli della guerra, decise di scappare.
«Perchè - ricorda compiaciuto -? Ma per sposarmi con Ada, una
ragazza che avevo conosciuto a Pinerolo qualche tempo prima. Era il 1942».
Morrone raggiunse così l'Italia, usando un passaporto «con foto e
timbri tanto ben contraffati da trarre in inganno anche i rigidi controlli alle
frontiere di Turchia, Grecia e Italia». Questo passaporto, il «comandante» lo
custodisce ancora tra i propri ricordi. «Era stato intestato a un certo Lino
Castagna, nato a Torino...».
Per poter raggiungere l’Italia Morrone impiegò, però, ben tre
mesi, passando attraverso amici della filiale della Banca di Roma a Istanbul,
conventi di frati francescani, case private, consolati. Finalmente, a Napoli,
il «comandante» potè portare all'altare Ada.
Dopo aver assistito all'affondamento dell'«Asteria», Morrone venne fatto
prigioniero dagli inglesi e trasferito in un campo di concentramento del Nord
Africa, quindi in Gran Bretagna. «Rientrai in Italia nel 1946; l'anno seguente
diedi le dimissioni dalla Marina. Dopo una breve esperienza nella fabbrica di legnami
di mio fratello, in Trentino, ottenni un posto dirigenziale all'Alfa Romeo (il
presidente di allora era il mitico Luraghi, ndr.), grazie alla mia buona
conoscenza dell’inglese e francese».
Trascorsi due anni in Sudafrica, Morrone si trasferì in altri
Paesi e, infine, in Belgio dove divenne buon amico dei principi (oggi reali) di
Belgio, Alberto e Paola Ruffo di Calabria, tanto da convincerli ad acquistare
la leggendaria Alfetta spider. Finisce qui la storia o, per meglio dire, un
pezzo della storia che il «comandante» ha voluto raccontare al nostro giornale,
non per conquistarsi una medaglia di notorietà ma per testimoniare l'amore per
la sua patria e per la sua famiglia in occasione della ricorrenza odierna del 4
Novembre. Un inno alla libertà e all'amore, alla vita estrema e al rischio, ma
anche alla coerenza, alla dedizione e all’impegno civile. Ed è questa la
«medaglia» più bella sul petto di Dante Morrone.