Per poter avere gli altri numeri di Aria del Monte 2000 è sufficente inviare un'e-mail all'indirizzo: bextro@tin.it specificando quale o quali numeri desiderate.

 

 

PERCHE’ NON HO SCRITTO NIENTE

 

 

 

 

 

Volevo scrivere qualcosa sull’amministrazione comunale. Per un giornale locale mi sembra doveroso farlo almeno ogni tanto. Prima ho pensato di cantarne le lodi. Con Montefollonico sono stati bravi. Hanno comperato il Tondo e l’hanno fatto rimettere a posto, hanno comperato il Teatro e lo renderanno agibile, la fonte del Bighi ributta acqua dopo anni di coma profondo. Alcuni privilegiati (come me) hanno anche avuto il gas.

Poi ho pensato che se lodavo i nostri amminstratori parecchi lettori mi avrebbero preso sicuramente per un lecchino.  Guarda come s’arruffiana questo Butazzi, avrebbero detto. Di certo deve chiedere qualche piacere al Comune.

Così ho pensato che facevo più bella figura se criticavo l’amministrazione per i problemi di Montefollonico non risolti.

Per esempio quello del traffico. Ma i nostri amministratori lo conoscono di certo, mi sono detto.Nei primi mesi del 1990 (millenovecentonovanta) “Aria del Monte”, periodico analogo a questo, organizzò un referendum sull’opportunità di disciplinare il traffico “dentro le mura”. Editore e stimolatore del periodico era proprio Paolo Pieranni, l’attuale Sindaco. La maggior parte degli intervistati disse che il traffico andava quantomeno disciplinato, se non addirittura vietato. Da allora, pur avendo seguitato a parlarne, anche in riunioni pubbliche, non è stato fatto niente. Il traffico è aumentato, le auto passano su e giù per il borgo talvolta a velocità imprudente, camion pesanti (a volte anche le ruspe) seguitano ad avere libero accesso dalla porta di Follonica, quali che siano le loro dimensioni.. Essi sfiancano il selciato e sfregiano la facciata delle case (un esempio per tutti via Landucci 66), rischiando di rimanere incastrati in qualche strettoia. Oltre al disagio la situazione presenta qualche pericolo per gli anziani, gli amatissimi cittini e i gatti.

Le auto dei residenti e dei visitatori sono sparse dappertutto, come il formaggio sui maccheroni ma con risultati meno piacevoli. Perfino l’antico acciottolato intorno alla chiesa è un’area di parcheggio anche se, almeno per motivi storici, estetici e simbolici, meriterebbe maggior riguardo. L’esigenza di avere la macchina sotto casa è così sentita anche dai più giovani, che spesso il furgone delle Poste, le quali  hanno ovunque diritto a uno spazio riservato, deve caricare e scaricare restando in mezzo alla strada e bloccandola.

Dopo aver parlato del traffico avrei potuto segnalare che i cassonetti dell’immondizia sono insufficienti, per lo meno d’estate, quando la produzione di rifiuti aumenta per il turismo (chi l’avrebbe mai detto) e intorno ad essi c’è quasi sempre sporco. Ma anche questo gli amministratori lo sanno di certo. Oltre ad esserselo sentito dire un sacco di volte alcuni di loro ci passano vicino come tanti di noi.

Poi avrei potuto aggiungere che alla mitica fonte del Bighi l’acqua non basta: ha bisogno  di un serio intervento di pulizia e consolidamento. Cosa stradetta, strascritta e dunque stranota anche ai vertici comunali.

Per non parlare delle povere ex-lapidi della via dei Frati, anche questa un’incuria della quale si parla da anni e anni. Last but not least   l’intervento di Don Divo Zadi nel numero precedente di “Aria del Monte 2000” e quello di Alfredo Machetti su questo.

Dunque perché ricordare queste cosacce già conosciute bene da chi deve intervenire? Ho pensato che se lo avessi fatto i miei amici amministratori avrebbero detto che sono solo un vecchio rompiballe, intollerante e provocatore. E forse anche un po’ coglione, anzi sclerotico, anzi l’uno e l’altro.

Perciò ho preferito non scrivere niente. Siete voi che state sognando di aver letto.

 

Renzo Butazzi

ANAGRAFE MONTANINA

NUOVI DI ZECCA: Messo in cantiere da Simone Neri e Elisabetta Falsone nove mesi prima, il tre luglio è nato Cesare al quale facciamo i nostri migliori auguri di una vita lunghissima e felice.

Tutt’ora in allestimento, in attesa del varo, un secondo bambino di Stefania Cutini e Francesco Martini, che sarà grande caso, il fratellino di Daniele.

 

MATRIMONI: Nel prossimo futuro sono garantiti i matrimoni di: Laura Romani e Antonio Di Buono, Francesco Pallanti e Laura Batazzi, Alessio Pallanti e Monia Opisso, Stefano Sodi e Lorenza Barbetti.

 

NUOVI RESIDENTI: Nella casa di Gigi Duchini, in via della Costarella, hanno preso alloggio da poco due quasi giovanissimi :      Kenton Smith, inglese, e Viviana  Sabbioni, scesa da Vimercate (Mi) per stare con Kenton.  Kenton, che lavora nell’agriturismo,  pensa di rimanere al Monte almeno un annetto.

 

 

Purtroppo in questo triemstre ci hanno lasciato Carlo del Secco, per tutti “Quarantino” e Maria Machetti, detta anche Steccolino.

 

 

CRONACA

Il Monte si tinge di “Verde”

 

            Sabato 2 giugno è stata per Montefollonico una giornata importante. Grazie all’impegno del Centro Culturale, l’Associazione Polisportiva, la Sezione dei Democratici di Sinistra e la disponibilità dell’Amministrazione Comunale, si è svolta la “II Giornata Ecologica”. Sull’esperienza di tanti anni or sono, si è voluto organizzare nuovamente la pulizia del bosco lungo il “Giro del Bighi. Il ritrovo per chi era interessato era il piazzale del Bar di Ivano: là a tutti i partecipanti è stata consegnata una maglietta stampata, ricordo della giornata.

            Alla partenza si contava una quarantina di persone di cui quasi tutti al di sotto dei quarant’anni. A tal proposito menzioniamo con orgoglio i nomi dei rari ultra quarantenni che a quanto pare, all’ecologia e allo stare insieme, non hanno preferito Tv, videogiochi ecc.: i coniugi Marcello e Siriana, il Biondo, Enzo Mozini ed il “Nonno” della manifestazione Renzo Butazzi che, eroicamente nonostante una temperatura non troppo mite, ha indossato la maglietta a maniche corte della manifestazione come i più giovani (sotto però aveva quella del Dottor Gibeaux). L’aspetto positivo è stata proprio la presenza di tanti ragazzi, anche piccoli come Jacopo Masini, Mirco Bemoccoli, Linda Biagi ecc., ai quali, speriamo aver dato una lezione di educazione civica e ambientale. Certo non sono mancate le preoccupazioni: dei signori che tutti i giorni macinano chilometri e chilometri di strada su e giù per il Bighi non si è visto l’ombra…che sia stata un epidemia o qualcosa di più grave ? Niente paura il giorno dopo erano tutti in marcia….”meno male”!

              Passiamo ora a raccontare ciò che abbiamo fatto ma soprattutto ciò che abbiamo trovato. Oltre alle più comuni immondizie come pacchetti di sigarette o bottiglie, di fronte alla Cava s’ è trovato di tutto: pneumatici, ferro, sedie, reti e plastica…stranamente di legni o rami non si è visto l’ombra: forse qualcuno ci ha aiutato a modo suo! Qui abbiamo passato più di mezz’ora prima che anche l’ultimo raccoglitore, il più “tignoso”, Francesco Martini, uscisse dal Bosco. Ovviamente nel resto del percorso di robaccia se ne è trovata meno e la raccolta si è trasformata in passeggiata, tra scherzi, risate e chiacchiere. L’altro punto critico che ci ha impegnato per più di quaranta minuti è stato all’altezza del viottolo dell’Asinacci dove Enzo ci ha detto che quello che abbiamo trovato era una discarica abusiva di una ventina di anni fa: “un macello” ! Si è caricato per ben quattro volte l’Ape del Comune guidato da Paolo (non il Sindaco eh!) con lavatrici, televisori e scaffali e un ulteriore ape, il mio, di bottiglie di vetro…c’è da dire che là di lavoro ce n'è ancora molto, ma per vincoli di organizzazione non abbiamo potuto toglier tutto...sarà per il prossimo anno.

Da qui in poi, tra la fame e la voglia, l’arrivo al Tondo è stato fulmineo: qui infatti Fiorenzo e Simonetta Franchetti hanno ristorato tutti di panini con la porchetta e prosciutto e per le gole secche a dar sollievo ci ha pensato il vino di Marsilio Canestrelli.

            Un’assente illustre è stato l’Assessore all’ambiente Moreno Meucci che si è visto solo alla merenda: purtroppo il 2 giugno, come tutti saprete, era festa nazionale e Moreno era impegnato a Torrita ad un’altra manifestazione, ma posso testimoniare il vero interessamento e la disponibilità dataci dall’Amministrazione Comunale per l’organizzazione dell’evento.

 

Leonardo Trombetti

 

Tempo di collaborazione …o quasi !

 


            Da alcuni mesi le Associazioni Montanine, con lo scopo di coinvolgere il maggior numero possibile di persone, collaborano seguendo il principio che le accomuna: fare qualcosa per il Monte e per i montanini. Una di queste è stata, appunto, la gita a Genova che ha avuto come promotori il Centro Culturale e la Polisportiva. Vista l’ottima intesa e la riuscita della collaborazione, sono state programmate altre iniziative, tra le quali la “II Giornata Ecologica” svoltasi il 2 giugno, il pranzo di domenica 5 agosto negli spazi della Festa de l’Unità (a base di pesce… chef Grossi Giovanni), i “Giochi d’Agosto”, la “cena in Piazza” del 11 agosto (… chef sempre lui) e altre ancora in cantiere. Visto l’impegno che esse richiedono, sia di persone che economico, è stato necessario il coinvolgimento di “TUTTE” le Associazioni di Montefollonico: la Sezione dei Democratici di Sinistra ha raccolto l’invito con entusiasmo, anche perché dopo la batosta alle elezioni gli serviva per tirare un po’ su il morale. La Parrocchia, invece, nella persona di Don Carlos, nonostante l’entusiasmo e la voglia di collaborare manifestati nel precedente numero di Aria del Monte 2000 e negli incontri di preparazione delle varie iniziative, non ha avuto un comportamento coerente con le promesse fatte. Infatti pur sapendo che il 25 maggio, veniva fatta la gita a Genova ne ha organizzata una a Mirabilandia il 5 maggio: certo, c’è da riconoscere che il Parroco, essendo nuovo, non conoscesse ancora i problemi di partecipazione a queste iniziative, ma fatto sta che ha messo a rischio la riuscita della nostra gita che era stata organizzata da più di un mese quando bastava così poco per coordinare le “forze”. Lo stesso atteggiamento indifferente lo ha mostrato per la Giornata Ecologica del 2 giugno: non solo Don Carlos non ha partecipato ma non ha nemmeno invitato altri a partecipare….  Speriamo nel futuro.

Pierpaolo Fè e Leonardo Trombetti


 

Tra vedere e non vedere

 

Venerdì 6 Luglio presso il Palazzo Pretorio il Centro Culturale ha avuto il piacere di ospitare due professori fiorentini che con molta intelligenza ed ironia ci hanno parlato di un tema “apparentemente triste”, utilizzando le loro parole, come la cecità.

Antonio Quatraro ed Eliseo Ventura ci hanno fatto riflettere, ci hanno incuriosito, ci hanno spiegato e ci hanno fatto ridere.

Mi piacerebbe raccontare a chi sfortunatamente non ha partecipato a questa serata (“Tra vedere e non vedere: come il vedente vede la cecità”) che cosa ci hanno fatto capire, ma una relazione non riuscirebbe a farvi rivivere l’atmosfera di quella sera. Quello che cercherò invece di fare è riportarvi ciò che questo incontro mi ha insegnato.

In una società che dà così rilievo all’immagine la cecità risulta un tema “apparentemente” triste. Chi non vede vive nel buio, ma quale buio per chi non lo ha mai conosciuto? Non esistendo in lui il concetto di luce… la vista non è un senso. Chi non vede conosce attraverso gli altri sensi. Forma i propri concetti sperimentando il tatto, ascoltando i suoni, sentendo gli odori… Si può conoscere toccando, sentendo odori, e i non vedenti lo imparano perché ne hanno bisogno, come si impara una nuova lingua se si vive all’estero. Si scopre un’altra realtà e ci si sforza di conoscerla tornando poi arricchiti. Un filmato pieno di ironia ci ha spiegato quali sono gli errori che si possono fare nella relazione con un non vedente, ma il più grave è l’atteggiamento mentale: spesso non ci accorgiamo di avere davanti una persona, quello che vediamo è solo una funzione mancante.

A mio giudizio questo è un errore che gli uomini fanno spesso per pigrizia: vedere ciò che ci manca ci spinge a pensare che potremmo averlo, mentre vedere ciò che già abbiamo e che gli altri non hanno ci fa restare nella comoda posizione dello spettatore. Il problema è che così mi perdo la possibilità di sviluppare altre capacità. Potrei pensare che adesso non riesco a riconoscere una scrittura attraverso il tatto, ma se c’è chi lo fa potrei riuscire a farlo anch’io; però se io non conosco neppure che esiste tale possibilità perché conoscerla mi costerebbe fatica, allora mi impedisco di poter scegliere se sviluppare questa mia capacità.

Quanto poco conosco ed uso il mio corpo e quanto la pigrizia mi conviene quotidianamente: ma accidenti quanto mi impoverisce! Spesso non mi sforzo di conoscere se non quello che riguarda i miei problemi, il mio lavoro, ciò che mi riguarda strettamente, -non ho tempo!- dico, ma mi chiedo: non stimolare il tatto impoverisce la mia potenziale capacità di conoscere attraverso esso, ma allora non stimolare la mia conoscenza potrebbe impoverire la mia mente?

E se tutto ciò non fosse dettato dalla mancanza di tempo, ma dalla paura che mettendomi in gioco potrei iniziare a mettermi anche in discussione?

Ma chissà!!.. per adesso spero solo di avervi passato i miei dubbi, per quanto riguarda il tema di quella bellissima serata… beh… probabilmente chiederemo al Prof. Ventura e al Prof. Quatraro di tornare a farci conoscere attraverso la loro ironia… Non mancate!

 

Sabrina Capitoni

Siamo alla frutta…

 

L’otto di giugno alle ore 15 si è svolto nei locali della scuola materna di Montefollonico uno spettacolo teatrale che ha coinvolto tutti i bambini della Scuola e al quale hanno assistito i genitori e parte della popolazione.

Le insegnanti, coadiuvate dalle signore Mariella ed Elfride hanno messo in scena un divertente spettacolo, con costumi simpatici, ricchi di inventiva ed un allestimento scenico semplice e pieno di colore.

Il titolo “Siamo alla frutta” lascia chiaramente intendere il doppio significato: si era infatti alla fine dell’anno scolastico e l’argomento trattato era la frutta di stagione. È stato un modo simpatico ed allegro per festeggiare l’arrivo dell’estate e la fine della scuola con battute e canzoni divertenti, molto gradite da grandi e piccini.

Il nostro maggiore ringraziamento va ai piccoli attori che elenchiamo di seguito, ognuno con il proprio ruolo, ed ai quali auguriamo buone vacanze:

 

 

 

 

 

 

Frullato di banana: Francesca Fè – Melone: Claudio Facchielli e Roberto Sandroni – Cocomero: Leonardo Masini e Valerio Sabatini – Susina: Nike Paolucci e Camilla Belli – Melanzana: Gabriele Fiorilli – Albicocca: Laura Del Secco e Carlotta Belli – Pesca: Nico Fabricotti, Sofia Scroppo e Mariasole Monaci – Ananas: Ester Di Stasio e Giada Putzulu – Pomodoro: Ginevra Di Stasio – Pigna: Alfredo Mangiavacchi e Riccardo Sandroni- Fico: Giulio Jakupi – Fagiolini: Giacomo Redi, Elena Micheli, Owain Vaughan e Lorenzo Conoscenti – Estate: Elisa Tufo.

 

Infine ringraziamo il Monte dei Paschi di Siena che ha contribuito sostanzialmente alla realizzazione dello spettacolo.

 

Eva Andreucci


Gita all’Acquario di Genova e a Lucca

Organizzata dal Centro Culturale e dalla Polisportiva

 

25 maggio 2001.

Cronaca:

Ore 06:00 ritrovo dei 48 iscritti al Pianello…Bar chiuso: caffè negato !

Ore 06:10 presenti 42: prime preoccupazioni.

Ore 06:15 telefonate a casa degli assenti.

Ore 06:18 conferme ufficiali: 5 assenti giustificati…Sospetti su un solo caso di   “non risveglio” !

Ore 06:20 partenza senza…….Cristiano Fantacci !

Ore 06:25 discorso di presentazione satirico dell’autista … gelo nel pullman !

Ore 07:00 Andrea Rubegni, approfittando dello stordimento generale, raccoglie il saldo della quota.

Ore 08:05 sosta in Autogrill…compensati i valori di caffeina.

Ore 08:30 nuova partenza e presentazione del programma da parte di Raffaele Falconi.

Ore 11:10 arrivo all’Acquario di Genova.

Ore 11:30 alcuni emissari si recano alla biglietteria. Grazie alla prenotazione via internet si salta una mega fila per entrare !

Ore 11:50 tutti in fila all’entrata “Gruppi organizzati” con il biglietto in mano.

Ore 12:00 si entra.

Ore 12:05 ci accomodiamo in una sala cinema per vedere un filmato tridimensionale sulla vita sottomarina. L’effetto funziona: lo squalo sembra che guardi Pippi con l’acquolina in bocca !.

Ore 12:30 fine filmato ed inizio visita alle vasche con pesci, anfibi, e molluschi di tutti i tipi e di magnifici colori: due agenti della sicurezza bloccano Jacopo Masini che tentava di montare una “Crappola con la rotondera” (trappola per squali che consiste in un cerchio che si stringe intorno alla preda quand’ essa ci passa dentro come ci spiegò lo stesso Jacopo quando aveva quattro anni).

Ore 14:30 escono gli ultimi visitatori. Commenti positivi per l’acquario: ogni vasca una sorpresa. Mezz’ora di pausa per rinfrescarsi e mangiare un panino.

Ore 15:00 partenza per la visita a Lucca che si trova sulla via del ritorno.

Ore 15:05 visto l’avvicinarsi a Lucca la Farmacista fa una introduzione “veloce veloce” di quello che la città offre: mura, piazze, chiese, ecc. ecc.

Ore 16:55 fine della “piccola” introduzione.

Ore 17:00 arrivo a Lucca tra sbadigli e stiramenti…Tutti liberi per la città !

Ore 19:00 nella piazza di Lucca perfettamente ovale (prima era un anfiteatro romano) si ritrovano per un ristoro i piccoli gruppi formatisi.

Ore 20:00 ritrovo al pullman e attesa dei ritardatari…sempre i soliti: Silvia Pieranni ed il fidanzato Stefano.

Pierpaolo Fè

 

Rassicurazione sul Tondino

Ho parlato con il sig. Giuseppe Polito, proprietario del Tondino, il quale mi ha assicurato che non è mai stata sua intenzione realizzare una rimessa per attrezzature agricole, e che non riesce a spiegarsi come possa essere sorta questa voce. Mi ha detto che i lavori realizzati sono stati fatti solo per pulire il bosco. È sua intenzione infine chiuderlo al transito di mezzi a motore, e mantenerlo pulito, anche con la collaborazione dei montanini che potranno passeggiarci liberamente.

Alessio Capitoni



ATTENTI ALLA BOMBOLA

 

 Una bombola o un tubo di raccordo con qualche problema ha messo a rischio la vita e i beni dei neo-arrivati Viviana Sabbioni e Kenton Smith, tradendoli brutalmente mentre si cucinavano un pacifico risotto. Il gas non si è contentato di passare per la via canonica ma, uscito abusivamente dalla bombola o dal raccordo, ha creato un suo personale deposito sotto il fornello, dando sempre più vigore alle fiammelle regolamentari Viviana, rendendosi conto che per qualche ragione misteriosa il risotto stava per tostarsi, ha cercato di abbassare le fiammelle e poi di chiudere il fornello ma la fiamma ha seguitato ad aumentare, fuori controllo, attaccandosi ai mobili di cucina. Fuoco, fumo, panico, fuga e telefonata ai pompieri, mentre i vicini cercavano di organizzare qualche improbabile idrante. Per fortuna Simone Scotto, Primo violoncellista dei Pomeriggi Musicali di Milano, in vacanza con la moglie in casa Tarugi, ha acchiappato l’estintore domestico, è entrato nella cucina dei due ragazzi e, senza paura che la bombola scoppiasse, ha spento il fuoco I vigili del fuoco sono arrivati appena possibile (vengono da Montepulciano) ma se il Maestro Scotto non fosse intervenuto subito il fuoco avrebbe avuto il tempo di estendersi con sviluppi imprevedibili. E poi si dice che i musicisti hanno la testa nelle nuvole!

Per fortuna ai pompieri, guidati dal nostro Mozzini, non è rimasto che freddare la bombola, metterla in sicurezza accertarsi che non c’erano altri rischi e scrivere il verbale. Per il resto sono cavoli  di Viviana , Kenton e Gigi che  si sono trovati con parecchie cose rovinate e un gran puzzo di bruciato in casa.

Morali: 1)Controlliamo sempre  che il complesso valvolare della bombola, soprattutto quando è “a baionetta” (incastro) sia in perfette condizioni e che il tubo di raccordo sia a norma di legge, secondo quanto c’è scritto sopra. Ricordiamoci sempre che il gas è pericoloso, soprattutto perché può esplodere. 2) Lo sappiamo che è utopistico ma non sarebbe male tenersi un estintore in casa.

VA BENE LA MADONNINA, MA GLI ALBERI?

 

Nello scorso maggio due eventi hanno interessato il giardino della chiesa di San Leonardo. La signora Elisabetta De Unterrichter, madrina del parroco Don Carlos, ha regalato alla Parrocchia una statua della Madonna di Fatima. Alcuni amici montanini della  chiesa hanno  costruito la nicchia d’ordinanza e il basamento che la sostiene, il tutto addossato alla ringhiera dalla quale si gode la vista della Valdichiana. Passando davanti al cancello del giardino, che ora è sempre aperto, il sacro monumento si nota subito e chi vuole può entrare per goderselo da vicino e/o per ammirare il panorama. Purtroppo pare che una perfetta vista della simbolica statuetta abbia imposto lo spostamento di alcuni abeti (ex alberi di Natale) piantati e tenuti a balia d’acqua per alcuni anni dal quasi dirimpettaio Marino Trezzi. In maggio Marino ha commesso la “leggerezza” di assentarsi dal Monte per qualche giorno e quando è tornato gli abeti non si vedevano più. Erano stati sradicati e spostati sotto la terrazza, senza che nessuno glielo avesse detto (a Marino, magari per delicatezza). Ora gli abeti sono invisibili dalla strada e non è certo che riescano a sopravvivere. Marino c’è rimasto male come se gli avessero portato via qualche figlioletto. Forse, con un po’ di buona volontàù, si potevano salvare capra e cavoli (con tutto il rispetto per il Sacro Personaggio). Gli alberi potevano essere lasciati dove stavano e i fedeli avrebbero potuto rendere omaggio alla Madonna cercandola fra i tronchi con un filino di pazienza .

Le scuole di dottrina sul nuovo arredo del gradevole giardino sono tre: chi dice che stava meglio prima, chi che è meglio ora e chi che non gliene importa proprio niente. Qual’è la vostra opinione? Perché non ce la scrivete?

 

Renzo Butazzi


 


                      Osteria di Babacco

 

Montefollonico si è arricchito di un nuovo locale; l’Osteria di Babacco – dal nome di un fabbro che stava da qualle parti tanrissimi anni fa - che ha preso il posto del bazar di Graziana. Ad aprirlo sono stati Flavio Andreucci, detto “Chicco”, Alessandro Farnetani detto “Bocca”, e Gregorio Mannucci detto “Gogo”.

Da Babacco che è anche enoteca, si possono consumare sia all’esterno, nella piazzetta, sia all’interno, nei due locali ristrutturati ed arredati in modo rustico ma molto gradevole, oltre ai migliori vini della zona, antipasti e primi piatti tipici. Alla sera, il locale è reso più suggestivo, da candele e fiaccole.

L’Osteria di Babacco è dotata anche di un “punto internet” (Internet Point) a disposizione di chi volesse collegarsi alla rete.

 

Suona tra “Los Tangueros”

 

Il diciotto luglio “Los Tangueros”, quattro ragazzi e cinque ragazze dell’Istituto di Musica di Montepulciano, diretti dall’argentina Elizabeth Bossero, hanno eseguito pezzi di Astor Piazzolla, Elizabeth Bossero e Andrea Marcucci in un concerto tenuto al Parco dell’Acqua Santa di Chianciano Terme. La qualità dei pezzi e il livello dell’esecuzione hanno destato grande entusiasmo tra i numerosi spettatori, trascinati dal ritmo valorizzato anche dal raffinato arrangiamento.

Poiché il concerto faceva parte delle manifestazioni indette dal Comune di Chianciano nel contesto del 26° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, vi domanderete cosa c’entra con la cronaca di Montefollonico? C’entra perché uno dei dieci strumentisti è il montanino Alessio Capitoni, redattore e fabbricatore di questo periodico.

Ci auguriamo di risentire “Los Tangueros” anche in qualche serata Montanina. Chi non riuscisse ad aspettare, può andarli a sentire il 4 agosto a Bagno Vignoni e il 9 settembre a S. Quirico d’Orcia.


 

Renzo Butazzi

 

 

FATTI PERSONE E RICORDI

IL BALLO 3

Sono nata nel 1981 ed ho iniziato ad andare in una scuola di danza classica nel 1985, da allora non ho mai smesso di amare tutto ciò che implica il ballo. Sono cresciuta a pane e “FLASHDANCE”, sognando, insieme a Ilenia Giorgetti (la figliola di Vasco che prima aveva il Botteghino),a Sabrina e Valentina Franchetti di diventare ballerine come la protagonista del film. Durante le vacanze estive preparavamo nel giardino di casa, ogni giorno, uno spettacolo con innumerevoli e acrobatici balletti e costringevamo nonni e genitori ad applaudire senza sosta. Francesco Franchetti, l’unico e malcapitato maschio del Botteghino ha dovuto subire per circa 10 anni, Cristina D’Avena & C, nel fondamentale ruolo di tecnico “radiofonico”, addetto alla scenografia e alle luci. All’ età di 13 anni ho deciso di appendere al chiodo scarpette e tutù, per sempre, così dopo 5 anni di classica e 3 di moderna, dopo i super impegnativi balletti estivi, mi sono ritrovata adolescente senza di lei..la mia compagna d’infanzia: la danza. Nonostante non l’avessi più accanto, ho continuato a portarmela dentro, e con il passare degli anni ho iniziato ad identificarla con il ballo adesso di moda, quello delle discoteche. E così dopo continue richieste logoranti e asfissianti ai miei genitori, sono riuscita a farmi mandare in discoteca. Facevo la prima liceo, la prima volta che ci ho messo piede; quella serata la ricorderò sempre: ero con Veronica Porcu e Sabrina, naturalmente ci accompagnarono a Chianciano- il locale si chiamava “CAIPIRINHA”- i nostri genitori e inevitabilmente ci vennero a riprendere alle 3 di notte. Poveri Azzo e Ivana…quante levatacce!

 Mi divertii molto quella sera, anche se ero molto imbarazzata e per questo passai l’intera serata a cercare di non essere notata. E sorprendentemente mi accorsi a malincuore che, paradossalmente, in discoteca, quasi nessuno andava per ballare, ma piuttosto per….incontrare amici? “Girellare”? Conoscere gente nuova? Fumare senza essere visti dai genitori? Bere? Mettersi in ghingheri? Rimorchiare? Stare seduti sui divanetti a vedere chi passa? Fare tardi in un luogo affollato? Bho! Mi sfugge ancora il motivo preciso.

Quando mi sono messa a tavolino pensando a cosa scrivere in questo articolo, mi sono resa conto di quanto sia difficile parlare di sé, piuttosto che degli altri, sono arrivata quasi a pentirmi di aver scelto questo argomento, nonostante, ve ne sarete accorti, sia uno dei miei preferiti. Non sapevo di cosa parlare, avevo paura di andare “fuori tema” non potendo raccontare vicende successe al Monte, e poi, mi sembrava noioso elencare i locali che noi ragazzi frequentiamo, le canzoni che ascoltiamo e la gente che incontriamo. Così ho avuto l’idea- che non oso definire brillante, ma piuttosto :risolutrice! – di fare delle mini-interviste ad alcuni ragazzi del monte chiedendo loro<< PERCHE’ VAI IN DISCOTECA? Oppure perché NON CI VAI?>>Risultato?!Giudicatelo voi. Il mio intento era quello di dare un senso all’ultimo dei miei tre articoli (spero che chi ha avuto il fegato per leggere anche i precedenti non li abbia già rimossi), dimostrando nel modo meno retorico possibile, che le “motivazioni” al divertimento di noi giovani d’oggi, non sono poi così differenti da quelle dei giovani delle generazioni precedenti.

 

MONIA   1982

Non mi piace andare in discoteca perché ballare non è tra le mia preferenze. Ogni tanto vado perché sto in compagnia e quindi mi diverto, soprattutto per passare una serata diversa.

La discoteca è un luogo, soprattutto se piccolo, molto affollato e con fumo, la gente tende e bere e molte volte finisce con la rissa, Preferisco passare una serata in compagnia ma in un locale più tranquillo.

 

LUCA   1973

Perché vado a ballare? Non ci ho mai pensato, ci vado perché mi piace. Ballare…ritmo…movimento….gestualità; ecco mi piace perché si comunica più con i gesti che con le parole, a volte uno sguardo rende più di un ora di dialogo. Nelle discoteche quasi tutti, uomini e donne, perdono parte dei freni inibitori e quindi comunicano in maniera diversa. In pratica, s’indossa una maschera che ci permette di apparire e di mostrarci più belli di quanto siamo realmente.

Si, io vado a ballare per vedere come cambiano le persone dal giorno alla notte!!

 

RAFFAELE   1969

In discoteca non ci vado quasi mai, tutto mi sembra finto lì dentro, soprattutto le ragazze che sembrano tutte belle sotto quelle luci, in realtà molto spesso c’è la fregatura e ci si rende conto il giorno dopo….Secondo me in discoteca si va o per ballare, o per rimorchiare, ma visto che io non so fare né l’una né l’altra cosa, preferisco indubbiamente andare altrove con gli amici. Almeno, quando ero più piccolo, circa quindici anni fa, in discoteca si andava anche solo per ascoltare la musica visto che era bella, o comunque migliore di quella di oggi.

 

ALESSIO   1977

Io sono tra il gruppo di persone che non amano molto le discoteche Ciò nonostante, come quasi tutti i giovani le frequento a volte con una regolarità inquietante, e devo dire che a volte mi ci diverto. Non mi piacciono, non perché non mi piace ballare, anzi, forse perché mi piacerebbe saper ballare e non so farlo, e probabilmente "invidio" chi in discoteca si muove come un ballerino provetto. L'altro motivo è perché a volte non mi sento proprio a mio agio in un mondo che spesso mi sembra anonimo. A volte davvero mi chiedo che cosa ci sono andato a fare!"

 

VERONICA   1981

Andare a ballare?... per divertirsi ed essere al centro dell'attenzione, non c'è di meglio per un'egocentrica come me! Fregarsene di quello che pensa chi sta intorno: quando ballo sento solo la musica!"

 

BARBARA   1981

Andare a ballare mi scarica, sembra banale ma è così: sentire la musica ad alto volume ti aiuta a liberare la mente e a non pensare. E’ bello sentire il corpo che non risponde più a nessun comando e si muove libero senza limiti. Serve a sentirsi completamente fuori dal tran tran quotidiano. Non è necessario bere, a me basta la musica come valvola di sfogo. IO VIVA: la musica e la danza fanno parte di questo!

 

VALENTINA   1984

Sembrerà strano, ma io a ballare ci sono andata solo una volta e per di più di mattina. Mi dispiace ammetterlo, ma non è stato proprio come me lo immaginavo, divertita? Si, molto, ma per quanta sia stata la voglia di ballare, quell’esperienza mi ha un po’ deluso. La discoteca non è un luogo che mi attiri più di tanto, per me ballare è un momento di sfogo, di liberazione e quel luogo buio e chiuso non mi sembra il più adatto. La curiosità c’è e una serata in buona compagnia, passata a ballare, magari all’aria aperta, non mi dispiacerebbe. 

 

Sofia Canapini

IL NUOVO CHE AVANZA

 

I ricordi sono molto importanti e anche in questo periodico sono stati molti finora gli articoli legati a questo tema. Penso però che strettamente legate ai ricordi siano anche le tradizioni, allora perché non parlarne?

Probabilmente oggi è una bella giornata, fa caldo, ci stiamo divertendo…Proviamo però a tornare con la mente un po’ indietro…

E’ freddo, siamo immersi in un piovoso venerdì di Pasqua di qualche anno fa…Sono più o meno le nove di sera, in molti siamo al caldo dentro al bar; c’è chi gioca a carte, chi beve un caffè e chi parla, magari appoggiato davanti alla porta d’ingresso.

All’improvviso dalla porta del Pianello sentiamo avvicinarsi un suono, è un po’ malinconico ma molto suggestivo…ecco che ora appare la processione…una moltitudine di persone con candeline colorate in mano è preceduta da uomini incappucciati che fanno girare la regola, altri con le fiaccole, dietro a loro la banda che finito il fragore delle regole inizia a suonare…

Questa atmosfera particolare, mistica, porta a riflettere, coinvolge un po’ tutti, credenti e non.

Scorrendo nei ricordi ho un sussulto e rivedo la processione del 2001.

Non più persone incappucciate, né la banda e neanche tanta gente (complice anche il maltempo?). Al posto delle note musicali udiamo solo la voce che riecheggia grazie agli altoparlanti e penso “bene! La tecnologia è arrivata anche qui, ora tutti possono sentire le parole del parroco durante la processione…”

Ma non era meglio sentire anche la musica?

Non era suggestivo vedere quelle persone con il volto coperto?

A questo punto il mio “sé tradizionalista” si è risvegliato dall’ombra e mi ha suggerito “qualcosa non va! Perché perdere un punto di contatto che ci lega ai ricordi di quando eravamo più piccoli?”

Forse io vedo il significato di questa giornata da un punto di vista troppo laico e, oltretutto, visto che non ho intenzione di addentrarmi in questioni organizzative,  che ovviamente non mi competono, non posso neanche dare giudizi. In ogni caso mi sembra lecito porsi una domanda: non si potrebbe pregare anche salvaguardando le belle tradizioni che ci legano al territorio? Per di più, visto che a Montefollonico siamo in molti a considerare il Venerdì Santo più per il significato puramente religioso, come una serata particolare in cui era suggestivo sentir riecheggiare per le vie del paese e i piccoli borghi un suono di tanto tempo fa.

E’ questo il nuovo che avanza?  

 

Silvia Pieranni                                   

 

SFONDONI STORICI

 

A chi non è capitato di fare una figuraccia o di dire uno sfondone così clamoroso da far ridere tutti?!

Almeno a valutare dalla mia esperienza i fortunati sono pochi. Tra i ragazzi della mia generazione gli sfondoni erano tanti e tali che decidemmo di annotarli in un quaderno, con tanto di giorno, mese e anno in cui erano stati detti.

L’idea ci venne ricordandone uno che disse Nicola Fè molti anni prima: andavamo a Milano per vedere una partita di calcio e alla domanda se avesse giocato Paolo Rossi, Nicola rispose: “Non è trapanata nessuna notizia”:

I nostri appunti andarono arricchendosi con Manuela Burroni convinta che gli abitanti della Svezia fossero gli svezi e, con Carla Pallanti che narrava di aver preso un piccione con due fave.

Tra le più prolifere Manuela Caroti che era convinta che lo sterzo della sua macchina fosse più piccolo in grandezza degli altri e che per andare da Montefollonico a Sinalunga dovevamo prendere la Cassia.

Con il passare del tempo il quaderno andava via via riempiendosi. Una volta, mentre guardavamo una partita di tennis in televisione, Alessandro Facchielli esordì così: “Se la Seles vince Wimbledon fa il grande slalom” e proseguì chiedendo: “Al torneo di calcetto chi ci sponsora?”. Mia sorella Rosanna, mi guardò e mi chiese: “Lo conosci quello?”. Ora sono fidanzati; speriamo bene.

Il 15 maggio 1992 alle ore 18:30 è stato detto lo sfondone che si è aggiudicato il premio come il migliore di tutti i tempi. Era il periodo delle elezioni del Presidente della Repubblica e Laura Romani stava guardando lo spoglio in televisione: la voce in TV diceva: “Scalfaro, Scalfaro, Bianca, Scalfaro, Bianca…” allora Laura esclamò: “O sta’ vedè che ‘sto Bianca lo fanno presidente”.

Ora il quaderno era diventato famoso, la gente segnava gli sfondoni su un foglietto per ricordarseli e poi trascriverli non appena c’incontravamo. L’impresa ardua era quella di trovare uno sfondone meglio di quello di Laura.

Il mio amico Pepo “Stefano Fè” in questo senso si dette da fare: sosteneva che le femmine dei rospi fossero le rane, che Hitler si chiamasse Halfons e che esistesse un famoso poeta di nome Ugo Pascoli. La più famosa resta comunque la “rima”: “Monticchiello gambe torte e brutti visi”, dove Monticchiello aveva sostituito l’originale Montisi.

All’inizio dell’articolo parlo non solo di sfondoni ma anche di figuracce tra le quali vale la pena di ricordare quella che il nostro Stefanino fece quando disse al dentista: “Certo che con tutti i soldi che guadagni l’infermiera potresti trovarla anche meglio!”. Il dentista rispose: “L’infermiera è mia moglie”.

Un’altra clamorosa la fece Laura Romani (poco dopo aver vinto il premio come miglior sfondone): arrivò in negozio un rappresentante nuovo e Laura gi chiese: “Non c’è più quello di prima?” la persona gli rispose di no, allora Lauretta esclamò: “Bene, mi stava antipatico: era brutto e secondo me anche drogato!”. Il rappresentante disse: “Lo so, è un po’ strano il mi’ figliolo!”.

Per finire ecco alcuni brevi sfondoni:

Lucio Trombetti: “Al Palio di Siena sono per il Riccio”

Leonardo Trombetti ascoltando “Mille giorni di me e di te” di Baglioni, affermava: “A me Cocciante è sempre piaciuto parecchio!”

Stefania Cutini: “Non è un motivo plausonico”

Cristian Soru: “Stanislao viene un attimino, è andato via subito”

Raffaele Falconi: “I palloni si gonfiano con il gas ilio.”

Danila Lorenzioni: “Famosissimo complesso Ilio e le Storie Tese.”

Carlo Mangiavacchi: “Al Polo Nord stanno 6 mesi al sole e 6 mesi all’ombra”

Samuela Nieddu: “Stasera sto e palamena in piedi”

Laura Romani: “Meglio ave’ paura che rischianne”

Franceso Pallanti: “Io per la musica ci ho occhio”.

 

                                                                                                                          RaffaeleFalconi

 

LE COLONIE DI MONTEFOLLONICO

 

            In un precedente articolo, a commento delle vicende del Convento rievocate da Andrea Tonini, avevo accennato che nell’ultima fase della sua esistenza come tale, prima di cambiare ragione sociale e divenire un esclusivo Residence, il Sacro Luogo aveva ospitato varie colonie estive, tra cui quelle del Centro Italiano Femminile, (in sigla C.I.F.) su cui avevo detto, per celia, che si poteva scrivere un romanzo, <O Machetti, o perché tu un parli un po’ di donne e ci descrivi le avventure dei ragazzi di allora> mi dice il Direttore, immaginando che fossero successe cose turche. <Hai trovato la persona giusta- risposi –con tutte le ragazze che ho avuto fra le mani>.

            E allora scriverò un po’ più a lungo dei nostri tempi giovanili così come i ragazzi di oggi parlano dei loro, anche se non ho da rivelare nessun Sexigate.

            Negli anni ’30 c’era stata la Colonia Elioterapica organizzata dal Fascio, dove i ragazzi di allora, Negus in testa, erano vestiti da figli della Lupa. E’ il periodo nero del nostro Nanni, seguito poi da un profondo rosso che ora, nella vecchiaia, è diventato rosa: un po’ come è successo a Picasso con i colori dei suoi dipinti. Picasso ha avuto pure il periodo Azzurro: chissà che non lo abbia pure lui e passi con il Cavaliere. Se invece il Fascismo di li a poco non fosse finito, il giovane Negussino sarebbe diventato Balilla, poi Avanguardista e forse Capo della Milizia. O magari sarebbe finito in galera come capitava al su babbo ?

            Oltre che mangiare e prendere il sole, i ragazzi di allora venivano addestrati a sviluppare le virtù guerriere per fare parte un giorno dei Battaglioni del Duce e conquistare il modo. Fecero la conoscenza del latte condensato, sciolto in molta acqua e doveva piacergli così tanto a Nanni e a gli altri piccoli camerati, che lo  rovesciavano quasi tutto nel tavolo dopo che uno lo aveva sollevato un po’: all’altro capo c’era Memo che faceva come Calimero, da nero diventava bianco.

            Una domenica vennero varie autorità da Siena, con in testa Sua Eccellenza il Prefetto a visitare la Colonia e presenziare al “Saggio Ginnico” dei ragazzi e ai loro giochi di squadra. C’erano anche quelli del pre-militare che dovevano dar prova del loro addestramento. In mancanza dell’istruttore titolare li comandava il Batazzi, babbo di Buicche e nonno di Pierpaolo. Mise in movimento la squadra: uno, due, uno, due, dietrofront, avanti march. Non si ricordava però come si faceva a fermarla e allora gli venne in mente come si faceva con le ciuche. Proprio davanti agli illustri ospiti, esclamò: <Squadra…ghiè>. A chi gli rimproverava di avere dato l’alt in quel modo, rispondeva: <Per forza, erano un branco di somari !>.

            Dopo gli anni della guerra, fu di nuovo “Colonia”, organizzata dal Vescovo di Pienza. Del Monte ci saranno stati più di 50 ragazzi, diciamo quelli nati tra il ’35 ed il ’40 tra cui l’Ochetto e l’Ochino che sarebbero diventati il babbo e lo zio di Andrea. Poi c’erano diversi di Torrita e qualcuno di Pienza e Chiusi; i forestieri dormivano nel convento mentre i Montanini tornavano a casa. Chissà che casino, dirà qualcuno. Al Tondo naturalmente si faceva chiasso e tutti i giorni si udivano interminabili cori <Rapai, rapai> dicevano i Montanini.<Lumacai, lumacai> rispondevano i Torritesi. Ma nel Convento tutti zitti: sennò volavano i ceffoni di Padre Raggi. Naturalmente non c’era più l’inquadramento paramilitare, ogni gruppo di ragazzi organizzava il gioco come voleva. Si giocava agli indiani, a nascondino, a palline di terracotta o figurine. Si faceva a gara nel costruire piccole barche con la scorza e per i pini fu il principio della fine.

I più bravi riuscivano a farle muovere in acqua, usando un elastico attorcigliato che faceva girare una piccola elica e comunque, belle o brutte, galleggiavano tutte. Poi c’erano i giochi organizzati dagli Animatori, come il Giro d’Italia. Erano infatti i tempi accaniti di Coppi e Bartali, i ragazzi più grandicelli, ammessi alla gara, avevano il nome di un corridore: ricordo solo che Bartali era Roberto Fè. La gara, una al giorno come le tappe, consisteva nel far correre una pallina in una bella pista preparata con cura, con rettilinee e curve, salite e discese, le sponde erano fatte con l’abbondante terriccio e l’abilità consisteva nel saper sfruttare la concavità delle curve senza uscire di fuori. Dopo la tappa i più piccoli potevano provare anche loro ma senza rovinare la pista. E poi c’erano tante corse, le piste erano i vari anelli che il Tondo offriva. Dopo mangiato si doveva fare un riposino su una coperta portata da casa. Federico del poro Bato portava una coperta a due piazze e legando gli angoli alle piante faceva una specie di tenda: dormire li sotto, si fa per dire, per chi veniva invitato era  un privilegio. E una tenda c’era d’avvero, a me sembrava grandissima, quasi una casa, ma l’ingresso era riservato ai più grandi. A quei tempi c’erano i film di Tarzan che con le sue avventure colpiva la nostra fantasia. I dintorni del Tondo erano la nostra jungla, dove si cercava qualche ramo lungo che facesse da liana, i serpenti e i ramarri erano le nostre bestie feroci. Il mangiare era da dopo guerra, quasi tutta roba americana: latte in polvere, legumi in polvere, carne in scatola. Sapori strani che le brave cuoche montanine come Amabile, Oriade, Zuara e altre, a stento riuscivano a rendere accettabili. Ricordo che Vittorio Innocenti guardava la minestra per mezz’ora, con occhi stralunati prima di decidersi. Comunque la fame era tanta e si buttava giù ogni cosa. La domenica veniva il Vescovo Baldini e da bravo oratore quale era, ci raccontava delle lunghe novelle che ascoltavamo a bocca aperta. Siccome ci faceva venir fame, seguiva una lauta merenda: pane spalmato di una roba giallastra e biscotti al cioccolato, sempre roba americana ma stavolta molto buona. Poi tutto finì e dopo qualche anno, versa la metà degli anni ’50, fu di nuovo Colonia, questa volta vestita da donna e organizzata dalla C.I.F. di Siena. La Ciambellotti era la dirigente provinciale e veniva di tanto in tanto mentre la colonia montanina era diretta dalla Panzacchi, un donnone mastodontico, praticamente un elefante in gonnella. Generalmente si trattava di adolescenti sorvegliate da Vigilatrici più grandi qualche volta carine, parecchie volte no. Cominciò allora un viavai continuo di ragazzi e giovanotti sfaccendati verso il Tondo, diventato terra di conquiste immaginarie, virtuali, come si direbbe oggi. Venne perfino Carlo Pallanti che si era infortunato a un dito; si metteva solo solo tra una piccia di lecci aspettando qualche preda, quasi fosse al capanno, come faceva il su babbo Ottorino con le ghiandaie. Ottima la tecnica di Piergiorgino: adocchiava la più brutta e così evitava la concorrenza e si assicurava il pieno successo, sempre virtuale si intende dal momento che al massimo si riusciva a farci un po’ di amicizia, guardati in cagnesco dalle Vigilatrici. In una di quelle estati di fuoco,in uno dei rari momenti di follia spendereccia per Montefollonico, a quelli del Comune venne l’idea di asfaltare il pezzo di strada dal Pianello alla via dei Frati (dopo alcuni anni fino all’Indicatore).Tra i lavoranti figurava il nostro povero Tamascio, al suo primo impiego.< Alò Tama si va al Tondo!>, gli dicevano i donnaioli che si avviavano alla caccia.<Madonnona, se un vi levate di qui vi tiro ‘sto piccone>.E’ proprio vero che chi lavora sempre è un rassegnato,chi lavora di rado lo fa da incazzato. Per fortuna l’opera durò solo due settimane,poi il nostro Nanone prese un breve periodo di ferie durato qualche anno prima di diventare il Postino del Paese. Venne per qualche anno una ragazza un po’ strana che non era né vigilante né vigilata, vestiva colori tra il rosso e l’amaranto e per questo veniva chiamata la Cardinale. A quella c’è caso che qualcuno qualche stropicciata l’abbia data, così come a qualche vigilatrice,almeno tra quelle che erano dell’idea che”ogni lasciata è persa”.Le ragazze erano generalmente di Siena,qualche volta di Roma e dintorni.Le prime cantavano che nella Piazza del Campo ci nasce la Verbena, viva la nostra Siena; infatti tutti sapevano che Siena di tre cose è piena: di chiese, di campane e di……Verbena.Queste figliole avevano pure il fotografo ufficiale,come il Papa o il Presidente della Repubblica, nella persona del Neri detto il Secco forse perché non arrivava al quintale.

Un vero professionista il nostro Azelio,riusciva a persuadere tutte a mettersi in posa e poi suggeriva, aggiustava, adulava, faceva le finte, gli ultimi ritocchi e poi da ultimo scattava. Era così pignolo, così perfezionista che una volta, chiamato a fare una foto per la lapide ad un vecchietto che era morto, dopo mezz’ora di puntamenti pare abbia esclamato “Fermo così!”. Prima di consegnare le foto fatte faceva sospirare quelle figliole un paio d’ore e poi le stillava scoprendole piano piano come si fa con le carte a poker. I ragazzi più coraggiosi erano all’opera anche di notte portandosi nella clausura sotto le finestre delle camerate e da lì cominciavano a chiamare per nome l’oggetto dei loro desideri. All’emozione di parlare con delle femmine si univa la paura del buio per via che c’era la chiacchera che lo spirito di qualche frate si aggirasse nelle stradette del Convento,con il cappuccio in testa per via del fresco notturno.

Se le sciagurate rispondevano e lo facevano tutte contente, allora fioccavano innocenti dichiarazioni d’amore, si fissavano improbabili appuntamenti per il giorno dopo. Una sera a qualcuno cominciò ad arrivare qualche calcio nel culo. “La fai finita accidenti a te e alla tu’ mamma maiala”, “ coglione un so’ stato io, puttana sarà la tù sorella”.Dopo un po’,siccome tutti, erano in tre o quattro, ricevevano pedate e nessuno le dava, si guardarono l’uno con l’altro e via a gambe. Sicuramente era stato uno dei frati. E invece erano i Carabinieri chiamati dalla Panzacchi perché c’erano dei ragazzacci che disturbavano il sonno di quelle povere fanciulle.

Sempre a proposito di Paure che allora erano l’argomento preferito delle veglie, una sera le cuoche delle Colonie, sempre le stesse,tornavano tranquille a casa e arrivate all’angolo della clausura dove è la croce su un basamento cilindrico e dove ora è il cancello che sbarra la strada ai non residenti del Residence, sentirono dei rumori. Voltatesi, videro un corpicino nudo in croce che si lamentava e sotto altri corpi che chiedevano perdonpietà. Arrivarono in fondo alla via  dei Frati in  sei secondi netti anche se erano a corto di allenamento. Il giorno dopo Oriade, saputo che il corpicino era di Barracino, il su citto, lo spogliò di nuovo, perché le sentisse meglio.

Un’altra sera avvenne un fatto di inaudita gravità. Una banda di giovinastri,30 o 40, decise di fare una cena al Tondo o meglio uno spuntino di mezzanotte con pane, salame e qualche fiasco di vino. Poi a qualcuno, non me lo ricordo chi fu, ma potrei essere stato io,frullò in testa l’idea di invadere il Convento e così fecero: attraverso la clausura tutti dentro,facendo più casino possibile.Tutte le dormienti furono in un attimo sveglie e affacciate alle finestre, contente come picchi.”Disgraziati,delinquenti,- urlava la Panzacchi-, vi denuncio ai Carabinieri, andate a finire in galera tutti quanti,vergognatevi mascalzoni!”. Ma era l’unica ad avere questi brutti pensieri,tutte le altre, vigilatrici comprese,gradirono molto l’intrusione. Finita la chiassata, noi si ritornò in paese, le ragazze a letto e la Panzacchi,dopo una notte insonne ,riuscì a capire che se andava ai Carabinieri ci avrebbero fatto una bella risata.

Poi tutto finì. L’Italia degli anni ’60 diventò il paese del miracolo economico e la funzione delle colonie venne meno. Il Convento fu venduto e nei primi anni ’80 è divenuto quello che è ora. Il Tondo. Ritornato più silenzioso e deserto, dopo un lungo periodo di degrado e dopo essere diventato proprietà del Comune, è ora di nuovo in ordine: sta a tutti noi mantenerlo tale.

 

Alfredo Machetti

TRA BOTTA E RISPOSTA

 

Nel numero pasquale di “ Aria del Monte “, quasi in ultima pagina (last but not least, come direbbero gli inglesi), è comparso un piccolo pezzo di un Pezzo Grosso, nientemeno che S.E. Mons. Divo Zadi e,di seguito, la risposta, da par suo, del nostro Direttore.

Nei tempi andati toccava a Vittorio se c’era da fare un articolo serio e impegnativo, a me se si se si trattava di scrivere qualcosa di scherzoso o pungente, come di solito accadeva quando arrivavano le lettere dell’allora Don Divo. Niente di strano quindi anche se questa volta faccio il mio commentino; come si dice a poker, “Piatto ricco mi ci ficco”.

Prima di entrare nel merito della “Doleance” del nostro Monsignore, voglio spendere qualche parola sul Personaggio oggi come allora improntata da grande stima e sincera amicizia. Non è facile parlare di un Vescovo, ma nel nostro caso lo è perché io seguito a considerarlo, e con me tutti i Montanini, semplicemente Don Divo. E una caratteristica costante dei compaesani che hanno raggiunto una posizione di prestigio, quella di lasciare i propri titoli in fondo al Bighi e di presentarsi in paese come se niente fosse successo. Tutti ricorderemo; il povero prof. Tarquini: titolare di una cattedra di Patologia a Firenze e insegne clinico, quando veniva al Monte era solo Brunetto e qualcuno degli amici lo chiamava addirittura Zenzero. E il dottor professor Mastroiacovo, che ora è primario al Policlinico Gemelli, al Monte è Pierpà, si interessa dei vini di Vittorio e parla volentieri di quando con i suoi coetani aveva formato una specie di società a delinquere. E il Direttore di prima classe ragionier Papini ? Al Monte si chiama Nasello e basta. Nessuno ha mai visto Albertino di Toselli in divisa, eppure è arrivato al grado di contrammiraglio. Neanche Giustino si è mai visto, però era solo Maresciallo e chiamava Alberto “Demente colonnello”. Veramente un eccenzioncina ci sarebbe. Fu quando Checco, il fratello di Fanny, diventò ufficiale della marina. Al Monte faceva il ciabattino, poi andò in marina e arrivò al grado di maresciallo e poi, con encomiabile forza di volontà raggiunse il grado di tenente. Fiero della sua divisa nuova di zecca, meritatissima, andò alla messa prima, poi alla messa ultima e tra l’una e l’altra fece vari giri del paese.

            E così il nostro “Don” lascia l’abito episcopale a Civita Castellana e passeggia per il paese come semplice prete o addirittura in abiti sportivi quando con il Sergente và a scarpinare nelle stradette e sentieri nei dintorni del Monte. Viottoli che lo hanno visto correre, da ragazzo insieme agli altri discolacci del suo tempo per andare forse a spollinare qualche ciliegio o nocio, o a cercare nidi, o alla Steccaia a fare il bagno. Un irriducibile quindi, che nonostante i lunghi anni trascorsi nei sacri Palazzi Vaticani e poi nella Curia Vescovile, rimane attaccato come pochi al nostro Castello Medioevale, ultima Terra di Siena, come era solito dire. E’ naturale quindi che lodi le cose ben fatte e manifesti il suo disappunto per quelle che invece non vanno. E una di queste è la via dei Frati che nel suo pezzo iniziale divenne Parco della Rimembranza, dove il duplice filare di cipressi più grossi ricordava i caduti della prima guerra mondiale ed i più piccoli, per fortuna in numero minore, quelli della seconda e speriamo ultima. A cominciare il degrado è stata la malattia dei cipressi che ha coinvolto più o meno tutta la Toscana, un fungo micidiale che comincia a seccare la punta e poi tutto il resto. A poco a poco anche le lapidi hanno cominciato a deteriorarsi, un po’ a causa del tempo un po’ forse per mano dei ragazzi che, da che mondo è mondo, hanno la mania di spaccare e distruggere. Il nostro Don Divo ci dice che una di queste ricordava suo zio, il sergente Zadi e mi pare ci fosse qualche altro sottufficiale. I graduati erano quelli che sapevano leggere e scrivere,tutti gli altri o quasi erano analfabeti. Ci fu pure un ufficiale: il sor Dando Spadacci, che lo fecero capitano perché aveva fatto la quinta ginnasiale, ma lui riuscì a tornare a casa. Tra i reduci era famoso il pluridecorato Marcoccio che con le sue tre tintinnanti medaglie sfilava nel corteo del 4 novembre. Anch’io avevo il mio nonno Alfredo e da ragazzo ero contento che avesse uno dei cipressi più belli. Questi soldati che poi sono diventati zii,nonni e bisnonni, quando partirono erano ragazzi dai venti ai trent’anni, partirono addirittura quelli del ’99, diciottenni. La prima guerra mondiale, concluse le nostre guerre d’indipendenza, iniziate nel 1848, e fu completata l’unità territoriale dell’etnia italiana anche se ci prendemmo un pezzo di etnia che italiana non era, cioè il Sud Tirolo, perché era militarmente importane che il confine fosse sullo spartiacque Italia-Austria. Fu il primo grande evento storico in cui fu coinvolto profondamente il popolo; nelle precedenti guerre risorgimentali, si trattava di qualche decina di migliaia di uomini , volontari o militari di carriera, ma questa volta i combattenti italiani furono sei milioni, di cui seicento mila non tornarono a casa, senza contare i tantissimi mutilati. Fu una guerra durissima, prevalentemente di posizione, cioè di trincea, sulle montagne venete, dove i nostri ragazzi passarono tre lunghi inverni. E ogni tanto dovevano andare all’assalto, con il loro fucile modello 91 con la baionetta innestata, contro i nemici che erano nella trincea di fronte a 50, 100 metri di distanza e arrivati loro addosso dovevano cercare di infilzarli per non essere infilzati. Un’esperienza terribile per uomini per lo più contadini che fino ad allora avevano inforcato le manne covoni) e mucchi di paglia e fieno. Non quindi dei Rambo, come ci mostrano gli stupidi telefilm di guerra, ma ragazzi paurosi e infreddoliti che dovevano obbedire e andare all’assalto di altri ragazzi nelle medesime condizioni, forse senza neanche capire perché. Ricordarli con monumenti o altri segni esteriori non è quindi retorica ma segno di profondo rispetto per il dramma che hanno vissuto.

            Non ho fatto in tempo (per fortuna) ad ascoltare le commemorazioni del ventennio dove il caduto in guerra diveniva un eroe immolatosi per rendere la patria più grande e gloriosa, con le scellerate guerre coloniali e di aggressione.

Anche se le uniche guerre giuste sono quelle di Liberazione, l’onore del soldato è sempre salvo, a meno che non si sia macchiato di violenze sugli inermi. Sono le classi dirigenti che alimentano la cultura della violenza e della sopraffazione le vere responsabili dei massacri. Oggi siamo cittadini dell’Europa unita e insieme ai nostri ex nemici ed i nostri soldati non andiamo più a “spezzare le reni” ad altri popoli ma a compiere missioni di pacificazione, laddove purtroppo gruppi etnici diversi continuano a distruggersi e ad odiarsi. Tutto questo significa che il ricordo deve essere prima di tutto nei nostri pensieri e ci deve far riflettere sull’amara realtà di chi ha combattuto. Se poi il Comune potrà fare qualcosa per ripristinare il Parco farà cosa gradita non solo al Monsignore ma anche a molti compaesani. E’ vero che sotto la torre del Cassero c’è il monumento ai caduti, il cui pregio artistico sarà più chiaro alle future generazioni, tuttavia il cipresso e la lapide personale erano considerati dalla popolazione come la tomba dei propri parenti e dove si portavano i fiori, come si fa al cimitero.

Alfredo Machetti

STORIA LOCALE

 

 

La memoria (articoli ritrovati da Marco Fè)

Affreschi in S. Leonardo (prima parte)

 

La Pieve di S.Leonardo graziosa costruzione romanica finora negletta e trasandata comincia a far parlare di sè. Quasi per caso il Pievano si è dato, tempo fa, a scrostare il muro sopra l’orchestra che occupa la parete absidale della chiesa, muro completamente coperto da un grossolano intonaco in parte caduto, in parte distaccato e pericolante. Sotto il primo strato, che ha uno spessore non unito di mezzo centimetro, è comparso uno strato alquanto sogliato che riveste l’intonaco più antico, grosso e poco coerente. Su la sogliatura sono apparse alcune figurine grafite e dipinte a tinte leggere che quasi si potrebbero dire a chiaroscuro. L’intonaco in parte caduto e rifatto posteriormente, è, nelle parti conservate, tutto martellato per farvi aderire il nuovo strato di calce e di bianco. Per questo e perchè i saggi del Pievano si sono fermati a piccole zone, non è così facile stabilire di che cosa si tratti, nè dire qual’è il tema di questa pittura a fresco. Solamente crediamo di poter esprimere il parere che queste pitture appartenendo alla prima matà del sec. XIV e forse anche agli ultimi anni del sec. XIII costituiscano una certa attrattiva. Le figure delle quali soltanto le teste sono scoperte, possono essere alte non oltre i cm. 70 e rappresentando uomini armati e donne atteggiate a dolore fanno pensare ad una grande scena della Crocifissione. La tecnica è delle più semplici e quasi completamente affidata al contorno che è disegnato con un tratto deciso di tinta bruna che segue il segno impresso nella calce. Uguali saggi praticati dal Pievano nelle altre parti della Chiesa hanno condotto alla scoperta di un altro grande affresco nella parete di destra dove era certamente un altare. Il dipinto a forma di trittico formava il dossale dell’altare e rappresentava in figure grandi al vero la Madonna col Bambino in mezzo a due Santi, opera di pittore senese del sec. XV. Sventuratamente il secolo dei vandali non si contentò di coprire la pittura con uno strato di bianco, ma dopo aver raschiato a martellate le figure dei due Santi, caricò addosso a quella della Madonna un goffo pulpito di legno verniciato, col suo bravo baldacchino, per murare il quale, lo scalpello dell’operaio non portò rispetto nè alle sante immagini, nè all’arte. E’ invocata per queste pitture una mano delicata e coscenziosa di restauratore che scopra e non alteri specialmente il carattere delle prime pitture. Il lavoro, per queste, sarà difficile perchè deve compiersi quasi al buio e perchè l’intonaco è fragile e friabile. Sarebbe utile anche toglier via l’orribile orchestra in gesso e legno che deturpa e ingombra la Chiesa.

 

                                              Da “Rassegna d’arte senese 1908”

 

Gli Statuti di Monte Follonico

 

Nell’anno 1560, il mese di aprile, sotto Pio IV sommo Pontefice e Cosimo de’ Medici duca secondo di Fiorenza e primo di Siena (ormai non esiste più la Repubblica di Siena , ma solo il Granducato di Toscana), furono stabiliti gli Statuti in base ai quali verrà amministrata la Terra di Monte Follonico per gli anni a venire; l’atto fu rogato da Antonio di Antonio Marsili da Monticchiello notaio e, in quel periodo, “Offiziale “ di detta Terra, e gli statutari furono Bartolomeo di Mastro Giorgio, M.Giulio di Mastro Biagio e Tofano di Giulio, il tutto sotto l’invocazione dei santi protettori della Terra di Monte Follonico e cioè S. Paolo, S.Rocco, S.Leonardo e S.Bartolomeo.

Il libro degli Statuti è conservato all’Archivio di Stato di Siena; è diviso in cinque distinzioni ordinate per argomenti, la prima delle quali è quella che riguardava la nomina e i compiti delle cariche ufficiali di Monte Follonico, l’assegnazione delle licenze relative agli esercizi di proprietà comunale come l’osteria e i forni, e come venivano stabilite le norme per la macellazione di bestie, sia vaccine che ovine. In quest’ultimo caso risulta curioso il fatto che bestie sbranate da lupi o morte per accidente potessero esser vendute ugualmente purchè il venditore giurasse “per lo sancto dei Evangeli”  che tale bestia non fosse stata malata.

La “Cabella” per l’uso dell’Ostaria  durava un anno, come si legge nell’articolo relativo:

“ Statuirno, et ordinorno e savj predetti che li priori, che risederanno nel mese di dicembre, sieno tenuti in principio di detto mese fare bandire né luoghi publici del Castello del Monte chi volesse comprare l’uso dell’Ostaria per uno anno, cominciando il dì primo di gennaio, et così finire, et di poi al lume di candela al più offerente di gente allirata in detto Comuno sia dato, et concesso et sia tenuto compratore tenere fornita detta hostaria ad uso di buono hoste, cioè di pane, vino, et letto …”

Nella seconda distinzione sono comprese le questioni riguardanti le cause civili il responsabile delle quali era il Vicario.

I reati contro persone e cose, ad esclusione degli omicidi, erano inseriti nella terza distinzione. Qui venivano presi in considerazione i “Malefitii” come il bestemmiare “Idio, o alcuno Sancto” per il quale reato la pena variava a seconda dell’importanza del santo chiamato in causa: “Che nissuna persona abitante nel Castello del Monte o suo distretto ardisca, o vero presumi in alcuno modo bastemmiare Idio, né la sua gloriosa Vergine Madre Maria, né alcuno altro Sancto, o sancta, et chi bastemmiasse Idio dicendo sia maledetto, o vero la sua Madre Vergine Maria, caschi in pena per ciascuno e ciascuna volta in lire quattro di denari…

Questa era la sanzione massima per un reato del genere; inoltre erano previste multe anche per chi lavorava nei giorni festivi compresi  quelli dedicati ai santi Paolo. Bartolomeo, Leonardo, Valentino e Gismondo. Una deroga era prevista al fabbro solo per “…mettere chiodi a cavallo, et medicare alcuna bestia…”, cose che,in periodi come quelli, era molto importante dato che spesso la vita di una famiglia poteva dipendere anche dalla salute della bestia da stalla.

I danni causati a terzi erano espressamente menzionati nella quarta distinzione detta, appunto, “de danni dati”.

Nel  quarto paragrafo di questa distinzione intitolato “della pena delle bestie in vigne, o’ zaffarano di altri”, viene nominata una coltivazione che attualmente è molto ridotta in Toscana e cioè quella dello zafferano. Lo zafferano non è altro che il prodotto del Crocus, una pianta erbacea perenne originaria dell’Oriente coltivata per gli stigmi dei suoi fiori i quali essiccati, producono una polverina rossa usata in alimentazione, medicina e tintoria. Il suo costo è piuttosto elevato anche perché la sua coltivazione è piuttosto laboriosa; estese coltivazione erano nelle campagne intorno a S.Gimignano le cui torri furono in gran parte costruite con i guadagni della vendita di questa preziosa “polverina”.

La quinta distinzione è intitolata “Di rivedere Vie, Ponti, Fonti, Termini di Comuno, di Corte & Campana del Comuno”; i Priori e il Camarlengo erano incaricati, rispettivamente, di comandare e finanziare i controlli e i lavori di ripristino relativi alle opere sopreddette; pene pecuniarie piuttosto severe riguardavano chi le guastava e chi non adempiva al proprio dovere di controllo.

Gli Statuti di Monte Follonico sono rimasti in vigore per molto tempo, con alcuni piccoli cambiamenti negli anni successivi; l’ultima approvazione degli stessi, eseguita dai Signori Regolatori Statutarii della Città e Stato di Siena, è avvenuta nell’anno 1756, il giorno 30 del mese di dicembre ed è firmata da un certo Gio. Francesco Andreucci Cancelliere.

 

Andrea Tonini

Montefollonico starebbe per Ercole

 

“Aria del Monte 2000” è così universalmente conosciuto e stimato che ci ha scritto perfino un etruscologo, il professore e architetto Eugenio Rossi, che ha insegnato urbanistica all’Università “La Sapienza” di Roma ed ha pubblicato parecchi libri sulle antiche civiltà italiche.

Come il professore spiega nella sua tostissima lettera, l’antico nome di Montefollonico, traslitterato in italiano dal nome etrusco Vilinal con qualche elaborazione per noi acrobatica, sarebbe Omfalo Niko che significherebbe “il vittorioso figlio di Minerva di Omfale”, ossia il semidio Ercole nato da Minerva e Apollo. Se il professor Rossi ha ragione il nome del nostro paese non avrebbe origine dalla “follatura” dei panni, come dicono le guide e i saggi storici su Montefollonico ma farebbe riferimento ad una divinità estrusca.

Il nostro amico professore (speriamo che ci permetta di chiamarlo così) ci ha inviato anche un suo manuale sulla “Lettura e interpretazione della scrittura etrusca”, pubblicato recentemente a cura dell’Associazione di studi linguistici etrusco-falisci “Halesus”. Se ci limitiamo a sfogliarlo il libro, pieno di riproduzioni, pare docile e simpatico. Se però ci mettiamo a leggerlo senza un desiderio bruciante di conoscere la civiltà e la lingua etrusca, ci accorgiamo che è serissimo e molto impegnativo. Chi volesse acquistarlo, pensiamo che possa rivolgersi al professore (tel/fax 076/1574176) o all’editore (tel/fax 076/1568239).

Grazie della considerazione, professor Rossi. E tantissimi auguri per le sue ricerche presenti e future.

 

Alla redazione di Aria del Monte 2000:

In un ossario etrusco da Chiusi ho letto l’espressione “VILINAL” che mi ha subito interessato perché poteva contenere il nome etrusco di Montefollonico; infatti, nella scrittura etrusca le due lettere finali “AL” costituiscono un suffisso che non fa parte della voce perché significano “nato nella città, nel paese di”; quindi segnalano che, prima di loro è scritto il nome di una città. “AL” era una voce già usata dai Babilonesi con lo stesso significato, ma collocata prima del nome della città come “prefisso determinativo”, mentre gli etruschi l’avevano spostata trasformandola in suffisso. Il suo uso è rimasto in alcune espressioni italiane, come ad esempio in “laziale”, “meridionale” o “orientale”, che indicano, infatti, chi è nato nel Lazio, nel meridione o in oriente; il suffisso etrusco si è esteso al latino, e poi direttamente all’italiano, dove è applicato anche a concetti astratti, come ad esempio, al luogo o al momento dove termina qualcosa, che perciò si chiama “terminale”, o a quello dove si soccorre o si aiuta qualcosa, che perciò si chiama ”succursale”.

 

Nell’ossario di Chiusi la voce VILIN era quindi certamente il nome etrusco della città di nascita della defunta, ed ho pensato a Montefollonico non solo perché è un centro urbano molto vicino a Chiusi, ma anche perché il suono della vocale “I” etrusca, quando è scritta all’interno di una parola, corrisponde a quello della “O” e della “U” latine; ho indicato queste regole nel nuovo metodo di lettura”allofonico” delle lettere dell’alfabeto etrusco, illustrato nel manuale di lettura da me redatto (maggiori informazioni si possono trovare sul mio sito internet:http://www.lingua-etrusca.it/ ;  quindi VILIN si legge”FULLON”, allo stesso modo in cui, ad esempio, nella nota tomba dei Volumni di Perugia, il nome etrusco dei “VELIMNA” corrisponde al latino”VOLUMNI”, documentato dalle molte bilingui che vi sono contenute; la “I” interna etrusca corrisponde alla “U” latina, che registrava il suono esatto. La “V” iniziale di nome etrusco può essere letta sia “V” che “F”, come in VETI, nome di Vesta, che si può leggere “Vesta” o “Festa”; il nome è derivato da quello di “Efestia”, che era un appellativo di Venere giacché moglie di Efesto; in alcuni nomi italiani la “V” iniziale si è trasformata in “F”, come in”festa”, “festivo” e simili; ma il maschile di VETI, che era VETU, ossia Efesto, ha conservato il suono “V”, e si pronuncia “Vito”.

Purtroppo il testo dell’ossario di Chiusi, pur essendo una bilingue etrusco-latina, non traduce in latino il nome etrusco della città natale della defunta, ed al suo posto scrive il nome del padre.

Quanto all’interpretazione del nome “FULLON”, è anzitutto da escludere che

possa essere messo in relazione con il latino “fullo, fullonis”, che indicava “lavandai” o “lavanderie”, perché tutti i centri abitati etruschi erano sempre chiamati con il nome della divinità loro patrona, o con uno dei tanti appellativi, come hanno continuato a fare gli spagnoli nelle loro colonie. Per capire il significato delle voci etrusche, quando viene eletto correttamente con il metodo allofonico, è di solito possibile confrontarlo con quello di una voce greca dal suono simile; in questo caso la voce greca più vicina poteva essere “fullon”, che significa “le foglie”, “il fogliame”, “le messi”, o “il fiore”, che corrisponde all’egiziano “papiro”, o “foglio”, ma poiché partendo da questa voce è difficile risalire ad una divinità che implicasse tra le sue caratteristiche il concetto di fogliame, ho dovuto cercare un’altra voce greca simile a “fullon” ma dal significato diverso.

            Questa voce poteva essere “follos”, che ha come varianti “obolos” ed “omfalos”, che significano l’umbone, lo scudo, l’ombelico, l’obelisco e che erano anche un appellativo di Apollo; questi significati sembravano promettere risultati migliori. Da “omfalos” era derivato anche il nome di Onfale, la Regina di Lidia che, secondo il mito, avendo dovuto tenere con sé Ercole come schiavo per tre anni, su ordine di Giove, si era innamorata del semidio, o dio-uomo, come lo chiamavano gli etruschi, generando tre figli, tra cui Agelao, che sarà antenato di Creso; alcuni presumono anche che ne avesse avuto un quarto, il famoso Tirreno, o Tirseno, il conduttore della migrazione etrusca dalla Lidia in Italia, ma quest’ipotesi sembra contrastare con il fatto che Tirreno, il dio Eneo del Tirso, più noto come Bacco, era figlio di Persefone, ossia di Diana e di Apollo, precedente figlio di Onfale che aveva preso il suo nome proprio da lui, quindi Onfale era Latona, la Venere del Lete, la Regina di Lidia.

            A volte si può risolvere il problema dell’interpretazione ponendo a confronto il nome etrusco della città con quello attuale di Montefollonico; il nome attuale è molto più complesso, perché “follon” è preceduto dalla voce “monte” e seguito dalla voce “Niko” che nella forma femminile, “Nike”, era un classico appellativo di Minerva; in etrusco il finale “O” al posti di “E” si leggeva spesso “uiò” e significava il figlio di; forse si potrebbe presumere che il nome etrusco scritto nell’ossario di Chiusi fosse solo un’abbreviazione del nome più ampio che invece è rimasto completo nel linguaggio parlato. Si può allora supporre che, tolta la voce “monte” il vero nome di Montefollonico fosse “Omfalo Niko” che avrebbe il significato di “il vittorioso (figlio) di Minerva di Omfale”.

            Vi potrebbe essere il dubbio che “Folon”, ossia il “VILIN” etrusco dell’ossario di Chiusi, indichi invece “Follonica” di Grosseto o “Foligno” di Perugia, che era allora una città molto importante; ma Follonica termina in “a” e indica una divinità diversa da “Follonico” che termina in “o”, mentre l’antico nome di Foligno era FULGINIA che sembra distante dal nome dell’ossario etrusco.

            Un importante confronto tra il presunto significato del nome di “FOLLON NIKO” con le figure di una moneta di Biblo, sembra confermare l’ipotesi avanzata e riconoscere in Ercole il patrono di Montefollonico. La moneta raffigura su un lato il tempio di Apollo fiancheggiato da un porticato, al centro del quale è “l’Omfalo” a forma di corto obelisco; sull’altro lato è raffigurata una maestosa divinità seduta, Omfale, ossia Venere la madre di Apollo, che sostiene un’asta sormontata da una piccola croce simbolo del suo amato Ercole, il dio del sole, il Melkart fenicio, figlio di Apollo e  Minerva; Omfale è incoronata da una piccola Nike alata che è la stessa Minerva, madre di Ercole.

            La conferma di questa ipotesi è fornita dal nome cristiano del santo patrono della chiesa, San Leonardo, che è la forma italiana del nome LARTh etrusco; infatti, questo nome è composto da “LA”, da leggere “Elia”, nome di Venere, che significa anche “la leonessa”, da “R”, da leggere ”Ero”, che significa l’amore, e da “Th”, da leggere “de”, che significa “quello, il dio”; l’espressione completa significa quindi “il dio amore di Venere”.

            E’ un’ipotesi che considera la progressiva ascesa del culto del sole come un’evoluzione dei vecchi miti che hanno trasferito in lui molte loro caratteristiche; lo stesso nome della Vergine Maria nella religione cristiana, ed in particolare in quella cattolica, è un appellativo di Minerva; per questo motivo non era necessario cambiare la divinità patrona delle singole città.

Mi permetto allegarvi il volumetto che ho scritto sulla lettura e l’interpretazione della scrittura etrusca. Vi porgo rispettosi ossequi.

Fabrica di Roma, 30/05/2001

Eugenio Rossi

       

CULTURA, SPORT, RICREZIONE

L’ANGOLO DELLA LETTURA

I RACCONTI DI ANTON CECHOV

 

            Anton Cechov, terzogenito di undici fratelli, nacque a Taganrog, nella Russia meridionale, nel 1860, da una famiglia di umili origini (il nonno era un ex servo della gleba). Nel 1879 si trasferì con la famiglia a Mosca dove nel 1884 conseguì la laurea in medicina, anche se in seguito si dedicherà quasi esclusivamente all'attività letteraria e teatrale.

            Cechov iniziò a scrivere racconti giovanissimo per mantenersi gli studi e continuerà questa attività copiosa e ininterrotta per tutta la sua vita, tanto che alla fine scriverà più di duecento racconti e novelle. Parallela a questa sarà la sua produzione teatrale, della quale si ricordano "Il Gabbiano" (1895), "Zio Vanja" (1889), "Tre Sorelle" (1901), "Il Giardino dei Ciliegi" (1904), considerati tutt'oggi dei capolavori, anticipatori dei motivi fondamentali della drammaturgia moderna. Le scene cechoviane, povere ed essenziali, con trame elusive nelle quali tutti attendono qualcosa di mai nominato, ma sinistramente incombente, sono tra gli antecedenti necessari del teatro novecentesco, specialmente di Beckett.

            Così pure nei racconti si delineano gli stessi motivi conduttori: i personaggi sono in genere degli anti-eroi, piccoli borghesi, impiegati, con una vita povera di avvenimenti, umiliati e frustrati, vittime di equivoci, illusi che si autoingannano.

            Secondo Cechov sono i piccoli movimenti psicologici che comunicano con maggiore efficacia l'impotenza dell'uomo, il dramma dell'incomprensione e l'attesa di qualcosa che non si verificherà mai, perchè nella realtà tutto è caduco, illusorio, ingannevole come un miraggio. Le grandi azioni del romanzo devono lasciare spazio ad azioni infinitesimali poichè è nel frammento che si scopre un mondo intero. Lo scrittore, inoltre, per Cechov, deve essere il più possibile imparziale e oggettivo fino a giungere all'indifferenza: "solo così è possibile vedere chiaramente le cose". Perciò il suo stile è semplice e sobrio, la concisione, egli dice, è sorella del talento: un unico dettaglio ben scelto comunica l'impressione complessiva meglio di una prolissa descrizione.

            I suoi racconti sono spesso brevi, talvolta brevissimi, con finali "tronchi", che sorprendono e colpiscono in faccia il lettore. Per questo si può considerare Cechov come il maestro e l'antesignano degli autori delle cosiddette "short stories" (vedi oggi Raymod Carver).

            Tra i racconti si devono almeno ricordare:

            - "La Steppa" (1888), novella elegiaca nella quale il protagonista è il paesaggio russo.

            - "Contadini" (1897). Si descrivono le miserabili condizioni di vita dei villaggi russi; Olga una giovane donna rimasta vedova va a vivere in un villaggio poverissimo e dopo aver subito ogni genere di privazioni e di angherie si avvia con la figlioletta per la strada a chiedere l'elmosina.

            - "Il Monaco Nero" (1894). Kovrin, filosofo mediocre e un po' stravagante vede un giorno un'apparizione, un monaco nero che arriva in volo e gli parla. Tutti quelli che gli stanno intorno lo convincono di avere gravi disturbi e lo fanno curare. Svanita l'allucinazione svanisce anche la voglia di vivere. Kovrin si sente oppresso e disperato, abbandona la famiglia torna a vivere libero e il monaco riappare, ma egli morirà dopo poco di turbercolosi.

            - "La corsia n° 6" (1892). Il dottor Ragin, direttore di un istituto psichiatrico è indolente, debole, incline alle fantasticherie e incapace di gestire l'istituto. Si interessa ad uno dei ricoverati in modo eccessivo poichè rimane colpito dalla sua strana saggezza. Accusato di non essere dalla parte delle istituzioni viene interdetto e rinchiuso anche lui nella corsia n° 6 dove, picchiato selvaggiamente muore dopo poco tempo.

            Cechov morirà di turbercolosi, a soli 44 anni, nel 1904 a Badenweiler in Germania.

 

Gianfranco Rossi

 

 

 

Vita e avventure della Montanina

 

Stavo leggendo il giornalino del Monte e il nome di tutti i suoi “giornalisti”quando mi sono chiesto:”perché non ci provi anche te”? Si, tanto a scuola andavi bene,è stata la risposta,non sei te quello che ha scritto: “Dante, Petrarca e Boccaccio ambetre del Trecento!”E poi lo sai che c’è sempre qualcuno che ti esamina e che ti giudica?Vabbè ma è un giornale locale fatto per Montefollonico e non c’è bisogno di essere laureati in lettere per scriverci ,quindi io ci provo.Detto questo mi sono trovato di fronte un altro interrogativo:di che cosa tratterà il mio articolo?Ma di calcio naturalmente,l’unica argomento in cui sono ferrato,ed in particolare della mia squadra:la Montanina.

Montefollonico da sempre è stato un paese di calcio e come tale ha avuto sempre la sua squadra.Non sono a conoscenza dei risultati precedenti la mia nascita o la mia infanzia e me ne scuso con gli atleti di allora ma ricordo perfettamente quando,ancora ragazzino,vedevo partire i vari Velio, Zenza,Palle etc. per andare alla conquista di Monticchiello o di Torrita.Non sempre ci riuscivano anzi a dire la verità quasi mai, ma è da quella voglia e da quello spirito che negli anni a venire,sotto la guida di “Nanone”,è nata la società di calcio di Montefollonico.Inizialmente le cose non andarono nella maniera sperata anche perché il” materiale” a disposizione di Giuliano non era dei migliori tanto che mi ricordo che a Trequanda dopo una partita persa 3-2 con il Sinalunga l’indimenticato Nano mi disse:”se avessi fatto entra’ prima il mi’ “spaghetto” forse questa partita non l’avremmo persa”.Spaghetto era Nicola Fè ed arrivare a rimpiangere il suo utilizzo la dice lunga su quali fossero le potenzialita’ di quella squadra.Nicola era l’esempio di quanta voglia di calcio aveva Montefollonico.Gambe e bracci rotti non lo fermavamo;era sempre pronto a dare il suo contributo.Aveva però,calcisticamente parlando ,un grosso handicap: gli occhiali. A Torrita,in campionato,dopo aver preso palla a centrocampo e saltato tre avversari si presentò solo davanti al portiere.Sarebbe stato un gol da antologia ma stranamente tirò in fallo laterale e a chi gli chiese come mai rispose: mi si sono appannate le lenti e non sapevo più dove era la porta.Con il tempo però e con l’innesto di nuove forze, la  Montanina è cresciuta e quella che era la cenerentola della Valdichiana pochi anni dopo è diventata la squadra da battere. Campionati,tornei di Petroio di Montepulciano e di Torrenieri hanno arricchito la bacheca della società portando la Montanina al vertice del calcio Amatoriale .Chi scrive ha fatto la sua parte insieme ai Sabatini, Ciuti, i vari Fè, Facchielli, Falconi etc. L’unico rammarico è non aver mai centrato una salvezza nelle poche volte in cui abbiamo disputato il Campionato Provinciale di Eccellenza. Però vista la storia della societa’ chissà che questo non avvenga negli anni a venire con il naturale cambio generazionale.

Quest’anno la squadra si è ben comportata  piazzandosi seconda dietro il Monsigliolo e alimentando la convinzione di tutti che il prossimo sara’ nuovamente un anno vincente.Oggi rispetto ad allora la squadra si avvale anche di ragazzi di Torrita che oltre ad avere notevoli doti tecniche hanno anche quelle qualità umane e di sopportazione che ne hanno permesso l’ingresso in uno spogliatoio difficile come quello di Montefollonico. Forse chi legge non ne è consapevole ma vi assicuro,io che quest’anno l’ho vissuto da “trainer”, che tenere a bada gli umori dei vari Sabatini, Ciuti e compagnia,specialmente adesso che con la” vecchiaia”avanza anche l’arteriosclerosi,non è cosa facile.Se poi ci mettiamo anche il caratterino del sottoscritto ecco descritto quello che in realtà non è uno spogliatoio ma una polveriera. Malgrado questo la”Nostra” va avanti grazie soprattutto a quelle persone che più di tutti,secondo il mio parere,hanno preso a cuore questa causa.Giuliano Marcocci prima e Pierpaolo Fè ora. Sono loro che negli anni,con il loro impegno e la loro professionalità, hanno permesso a tutti noi di divertirci ed è grazie a loro se ho potuto giocare,con il mio sport preferito, fino a 43 anni,visto che da altre parti mi avrebbero “sbolognato” molto prima. Però,mi chiedo,se mi hanno sopportato per tutti questi anni e se Andrea ancora gioca perché non ricominciare?Dopo lunga riflessione durata circa 1 secondo smetto la tuta ed il fischietto di allenatore,lascio la penna da scrittore  e corro con il pensiero al prossimo Ottobre,mese di inizio del campionato,quando uscendo dal campo,dopo una vittoria,sudato e stanco ma felice,dentro lo spogliatoio potrò di nuovo gridare”per la Montanina Hip Hip hurrà!!!”.

 

Gianni Fè

 

 

Tre settimane di calcio…anzi calcetto !

 

            Dal 16 maggio al 9 giugno, si è svolto il 1° Torneo di Calcetto di Montefollonico. A dire il vero sarebbe il secondo ma l’anno scorso si iscrissero solo tre squadre! Quest’anno a partecipare sono venute squadre da tutta la Valdichiana: Montepulciano, Torrita, Gracciano, Acquaviva, Chiusi, Sinalunga e Abbadia di Montepulciano. Quest’ultima ci ha fatto conoscere un personaggio “singolare” che ha tenuto compagnia con le sue “chiacchiere”, a tutti, per tutta la durata del Torneo...Miro ossia l’Allenatore del Cites/Gruppo’900. In tutto cinque gironi di quattro squadre per un totale di venti, delle quali quattro di Montefollonico: il www.bucadibabacco.com, del Ciuti, Marcello Fè e compagnia; l’Impresa Edile Belli, di Luca, Gianni, Giona ecc; il Caseificio SOLP dei fratelli Trombetti, Pepo e Lele; ed infine gli esordienti Panga Manga di Tommaso, Giacomo, ecc.

            Per quasi quattro settimane il Monte si è popolato fuori stagione; il Torneo è stato divertente nonostante il livello non fosse dei più alti. Il tempo ci ha graziati dall’acqua ma è stato generoso di vento e freddo!

            Le squadre montanine sono durate poco, fatta eccezione per la Bucadibabbacco  e l’Impresa Edile Belli che però sono state eliminate nei quarti. Quello che più farà ricordare questo Torneo , purtroppo, è la semifinale: nella prima partita tra Le Iene di Acquaviva ed il Montepulciano del Fiat Autoeffe, l’arbitro (PIPETTA !) dopo aver fischiato una fallo dubbio si è visto accerchiare dai giocatori dell’Acquaviva ed uno di loro gli ha “allentato” un calcetto nel sedere. Questo è ciò che fa male al calcio ma nella partita successiva è avvenuto ciò che fa male all’Italia! Sempre Pipetta, “poraccio”, ha dato un cartellino Rosso ad un giocatore del Pub Amico Mio di Torrita che contro il Cassioli sempre di Torrita, si giocava un posto per la finale. Questa decisione platealmente contestata dai giocatori e dal pubblico è stata la miccia che, con la sconfitta del Pub Amico Mio, ha fatto esplodere la “bomba”. Una “bomba” alta 1 metro e 65 circa, bionda con i capelli a baschetto e, fondamentale, “DONNA”….ricordate la storia del sesso debole no !?....dimenticatela ! Infatti a fine partita questa signora, moglie del giocatore espulso, con una bimba di tre anni per mano, si è fiondata verso l’arbitro che era scortato da me, mio fratello Lucio e Pruzzo che ci faceva largo tra la folla….Il pericolo però arrivava da dietro: da distanza ravvicinata la “signora” bionda ha sferrato una raffica di tre calci nel “culo” al povero Pipetta.

Non ho certo raccontato questo episodio solo per far ridere ma con la speranza che in futuro chi gioca e chi osserva le partite si limiti a fare proprio quello: giocare e osservare!

Il Torneo è stato vinto dal Cassioli di Torrita in una bella finale “maschia” ma corretta. A loro è andato un bel Trofeo e un milione. Secondi il Servizio Fiat Autoeffe; miglior giocatore Vittorio Tardani, capocannoniere Trabalzini Simone e miglior portiere il nostro Carlo Mangiavacchi che, dopo questa affermazione, speriamo rimanga tra i pali della Montanina per la prossima stagione.

Per ultimo cito il Quadrangolare Femminile di Calcetto che ci ha regalato enormi soddisfazioni. Le partecipanti erano: la Polisportiva Sant’Albino, il G.S. San Quirico, il Bar Le Crete di San Giovanni d’Asso e Il Bar Lo Sport di Montefollonico. Le “citte” montanine dirette da Raffaele e Stefano hanno fatto manbassa piegando il San Quirico in finale e regalando ad Ivano un Trofeo da esporre al Bar ! Seconda il San Quirico, terza il Sant’Albino e quarta il San Giovanni. Capocannonieressa del Torneo è stata Alessandra Morgantini mentre la migliore giocatrice è risultata la nostra Cristina Fabricotti (i punteggi li decidevo io, e prossimamente devo far riverniciare la macchina a Renzo…!). Cristina sportivamente,    ha donato la coppa a Valentina Suriani, che ha militato con le montanine per questo Torneo.

Colgo questa opportunità per ringraziare chi mi ha aiutato nello svolgimento del Torneo: Silvia, Lucio, Raffaele, Pippi nonché le imprese montanine che hanno offerto i Trofei.

 

Leonardo Trombetti

 

 

 

 

CAMPIONESSE D’ITALIA

 

 

            Con grande soddisfazione e immensa gioia nel cuore, annuncio a tutti, montanini e non, che abbiamo tra noi dei campioni d’Italia. No, che avete capito? Nessun giocatore della Roma è al Monte, ma tre bellissime compaesane, Cristina Fabricotti, Silvia Capitoni e Raffaella Mechini, chiamate a far parte della Rappresentativa Valdichiana Uisp di calcio a 5 ,come rappresentanti della Ass. Pol. Montanina, sono diventate campionesse nazionali vincendo a Roseto degli Abruzzi il 29 e 30 maggio il titolo di Campioni d’Italia. Dopo aver battuto le più forti squadre d’Italia, come le Marche per quattro reti a due, pareggiato con la Calabria e superato in finale il Piemonte per quattro reti a due la rappresentativa si è aggiudicata il prestigioso riconoscimento.

Le altre partecipanti al torneo nazionale sono:Silvia Terzuoli del Vernazzano(PG),Valentina Suriani del Colle S.Paolo(PG) Laura Bocci di San  Giovanni d’Asso, Valentina Mundi di San Quirico d’Orcia, Lucia Bricca, Michela Parretti del DLF di Chiusi, Alessandra Morgantini, Luigina Rossetti, Laura Frosoni di Sant’Albino, Sabrina Salvucci di Città della Pieve.

Pierpaolo Fè

 

 

            Fine  delle  “ ruzze “

 

E’  finito!! Dalla semplice e innocua domanda “com’è andato il campionato?” la risposta è una soltanto….questa qua! Si perché diciamoci la verità, è dispiaciuto a tutti perdere quella partita dei play-off contro il VERNAZZANO e poi in che  modo!!! Una  nostra  deviazione  su  punizione  e  un  goal  completamente  a  c…aso  di  una  che  passava  di    per  sbaglio.

Certo  anche  noi  abbiamo  le  nostre  colpe:  dopo  un  primo  tempo  dalle  prestazioni  senza  colori  ci  siamo  “ svegliate “  quando  ormai  era  troppo  tardi…già  era  successo l’irrimediabile.

“ Ma  questo  è  il  calcio “,direbbe  qualcuno….e  purtroppo  ha  ragione!

Così,  abbandonato  l’obiettivo  “ finale “  e  dopo  aver  piagnucolato  per  circa  una  settimana,  abbiamo    messo  gli  occhi “  sul  terzo  posto…meglio  di  niente  sarà!!

Macchè!! Lotta  lotta,  tira  tira,  ci hanno  portato  via  anche  quello,  MONTANINA  beffata  in  ZONA  CESARINI!! 

Da  dire  però  che  la  partita  è  stata  esaltante: massima  concentrazione  e  grande  grinta,  il  pubblico  è  rimasto  con  il  fiato  sospeso  fino  all’ultimo  minuto  e  poi….abbiamo  perso  8 a  7 (non  siamo  sicure  al  100%  di  questo  risultato  perché  abbiamo  cercato  di  rimuovere  la  sconfitta!!! ).

In  questo  modo  è  terminato  anche  il  terzo  Campionato  che  ancora  una  volta  vede  vincitore  l’OTISMODA  di  TERONTOLA ( nova !! ),  al  secondo  posto  il  VERNAZZANO,  seguito  dal  COLLE  S.PAOLO  e  dalla  MONTANINA (  fonti  certe  dicono  sia  stata  premiata  con  la  valorosissima  COPPA  DEL  NONNO ! ).

Se  da  una  parte  rimane  l’amarezza  per  la  fine  di  questa  bella  esperienza  dall’altra  c’è  la  felicità  per  il  successivo  meritato  riposo,  necessario  perché  siamo  arrivate  alle  ultime  partite  completamente  a  pezzi…e  questa  volta  non  per  sommosse, tentativi  di  golpe  o  chissà  cos’altro:  è  stata  proprio  una  questione  di  fisico.  Ultimamente  l’aria  che  si  respirava  nel  nostro  spogliatoio,  non  era  di  festa  o  di  compagnia,  ma  proprio  di  ospedale,  sembrava  una  sede  distaccata  di  NOTTOLA:  la  sala  macchinari  fisioterapici,  il  reparto  bendaggi,  l’angolo  avvolgimenti  di  stomaco  e  malesseri  vari  e  se  vogliamo  anche  il  reparto  maternità….tanto    ci  pensa  Alessandra!!  Diciamo  che  gli  unici  che  si  sono  salvati  dagli  infortuni  sono  stati  i  mister (anche  se  un  paio  di  volte  Raffaele  ha  rischiato  di  buscare  da  una  giocatrice  dell’OTISMODA: è  toccato “ strigalli “)  e  Elena  Maradona  dei  Carpazi ( Trombetti )  che  spesso  era  assente  e  quando  c’era  veniva  in  panchina  esclusivamente  “ per  fa’  due 

chiacchiere “.

La  cosa  bella  è  che  i “ voli ”  più   spettacolari  e  le  cadute  più  gravi  non  ci  sono  state  durante  le  partite,  ma  bensì  in  allenamento….quello  per  noi  è  stato  il  vero  campo  di  battaglia!!! Al  momento  del  fischio  d’inizio,  non  c’era  storia,  non  esisteva  più  l’amico  o  il  parente,  solo  il  pallone  e  poi  questo  massacro  lo  sapete  per  cosa? Per  il  semplice  gusto  alla  fine  della  partitella  di  prendersi  in  giro…..” impuzzolimenti alle  stelle  “ !

Però  tutto  ha  contribuito  a  fare  gruppo  e  non  c’è  stata una  sera  in  cui  non  ci  siamo  divertite. Per  questo  motivo  cogliamo  l’occasione,  con  questo  articolo,  per  ringraziare  Pepo  e  Raffaele  ( i  nostri  mister ), Carlo  ( l’allenatore  del  portiere )  e  tutte  le  nostre  compagne  di  squadra!!! 

 

Sara Natalini e Cristina Fabricotti

 

LE  PAGELLE  DEL  MISTER

 

LAURA  ROMANI:  S.V. Ha  giocato  soltanto  due  partite  e  non  la  si  può  giudicare,

                                             in  compenso  si  deve  sposare,

                                              tanti  auguri  per  il  matrimonio

                                              a  lei  e  ad  Antonio.

 

ANGELA  FE’:  7.   Ha  difeso  la  porta  con  coraggio

                                  Da  Novembre  al  12  di  Maggio

                                  Con  classe  ed  esperienza  riesce  a  stare  in  sella

                                   Peccato  che  sia  un  po’  “ puzzardiella “.

 

RAFFAELLA  MECHINI:  8.  Detta  “ EL  TORPE “ per  come accarezza  la  palla

                                                     Da  ultimo  difensore  chiude  ogni  falla,

                                                     fisico  e  velocità   fanno  di  lei  una  roccia

                                                     l’attaccante  avversario  non  vede  “ boccia “.

 

SILVIA  CAPITONI:  8.  Gran  colpo  di  testa  ed  eleganza

                                            Fa  il  secondo  difensore  ma  avanza,

                                           ricorda  Thuram  nel  modo  di  giocare 

                                           e  ogni  tanto  va  anche  a  segnare.

 

ELENA  TROMBETTI:  S.V.  In  panchina  è  presenza  gradita

                                                     Anche  se  parla  di  tutto  meno  che  della  partita,

                                                     gruppo  ne  fa  tanto,  ha  giocato  solo  a  sprazzi

                                                     ma  resta  sempre  il  “ Maradona   dei  Carpazi “.

 

SAMUELA  NIEDDU:  6,5.  Detta  il  “ puma “  per  il  passo  felpato

                                                 Ma  la  zampata  è  sempre  in  agguato,

                                                 in  quanto  ad  impegno  non  ha  eguali

                                                 e  batte  sempre  i  falli  laterali.

 

SARA  NATALINI:  8.  E’  quella  che  ha  avuto  i  maggiori  miglioramenti

                                         E  per  questo  le  vanno  fatti  i  complimenti,

                                         senso  della  posizione,  fisico  di  gran  stazza

                                         quando  le  arriva  la  palla  spazza.

 

MARIANNA  CANESTRELLI:  6,5.  Della  squadra  è  il  nostro  orgoglio

                                                                E  la  più  brava  a  fare  spogliatoio,

                                                                ha  avuto  anche  lei  il  suo  tarlo

                                                                e  cioè  una  pallonata  nei  denti  da  Carlo.

 

SOFIA  CANAPINI:  6.  Ci  mette  sempre  l’umiltà,

                                           ma  l’ha  frenata  l’Università, 

                                           centrocampista  dotata  di  gran  corsa

                                           ma  troppo  spesso  va  a  Roma  con  la  borsa.

 

ROSANNA  FALCONI:  8.  Attaccante  puro,

                                                 per  il  suo  tipo  di  gioco  è  detta  “ El  pioco “,

                                                dodici  goal,  molto  brava  di  sponda

                                                ma  basta  che  sbagli  qualcosa  e  il  suo  morale  affonda.

 

ALESSANDRA  FE’:  6,5.  Centravanti  di  sfondamento  e  nessuno  lo  nega;

                                               unico  neo  agli  allenamenti  frega,

                                               stop  di  palla  e  tiro  eccezionale

                                               quando  lo  incolla  può  far  male.

 

LISA  BATAZZI:  7,5.  Centrocampista  o  punta  sembra  un  gatto,

                                         lascia  sempre  il  difensore  esterrefatto,

                                         quando  parte  corre  come  il  vento

                                          ma  non  gradisce  l’allenamento.

 

CRISTINA  FABRICOTTI:  8,5.  Con  numeri  d’alta  classe  ha  preso  la  squadra  per  mano,

                                                          stiamo  parlando  del  nostro  capitano,

                                                          oltre  trenta  reti,  punto  di  riferimento,

                                                          l’unico  punto  dove  non  si  è  fatta  male  è  il  mento.

 

CINZIA  BEMOCCOLI:  S.V.  Ragazza  volenterosa  sembrava   andasse  ad  una  festa,

                                                      giocava  sempre  con  le  mollette  in  testa,

                                                      ma  dopo  soli  tre  allenamenti  si  siede,  diagnosi  terribile:

                                                      stiramento  del  dito  del  piede.

 

ANITA  FE’:  S.V.  Ha  giocato  una  volta  contro  il  S.Giovanni

                                  E  non  c’è  stato  bisogno  di  lavargli  i  panni,

                                  in  porta  sembrava  dotata  anche  se  si  muoveva  al  rallentatore

                     poi  però  non  gli  è  stato  più  simpatico  l’allenatore.

 

 

SAPORI  DI  UNA  VOLTA

Continua  il  viaggio  nella  CUCINA  TOSCANA

Passando  attraverso  le  pentole  di  SIRIANA

La  scelta  non  è  stata  una  casualità:

lei  è  la  cuoca  più  rinomata  della  Festa  de  l’ Unità.

Ogni  sua  ricetta  vi  sarà  gradita  e

a  fine  pranzo  vi  leccherete  baffi  e  dita,

penne,  cantucci e  cinghiale

sono  un  terzetto  niente  male  e 

Siccome  altro  tempo  non  vi  vogliamo  rubare

presto  montanini  correte  a  cucinare!!! 

 

PENNE  ALL’ORTOLANA

 

INGREDIENTI  PER  4  PERSONE:

 


q     1  ZUCCHINA;

q     1  MELANZANA;

q     1  CIPOLLA;

q     2  FETTE  DI  RIGATINO;

q     4  POMODORI  MATURI;

q     OLIO;

q     BASILICO.

PREPARAZIONE:

Tagliare  la  cipolla  a  fettine  sottili  e  far  imbiondire  nell’olio,  spezzettare  il  rigatino  e  farlo  rosolare  insieme  alla  cipolla,  tagliare  anche  la  zucchina  e  la  melanzana  e  aggiungere  nella  padella,  quando  è  ben  cotto  aggiungere  i  pomodori  passati  crudi  e  far  ritirare.  Condire  la  pasta  e  aggiungerci  sopra  un  po’ di  basilico  fresco.


 

CINGHIALE  CON  FUNGHI.

 

INGREDIENTI  PER  4  PERSONE:

 


q       ½  KG  DI  POLPA  DI  CINGHIALE;

q       1  LIMONE;

q       1  COSTOLA  DI  SEDANO;

q       1  CIPOLLA;

q       1  SPICCHIO  D’AGLIO;

q       1  CAROTA;

q       1  MAZZETTO  DI  PREZZEMOLO;

q       POMODORI  PELATI;

q       PEPERONCINI;

q       SALE;

q       3  ETTI  DI  FUNGHI.

 

PREPARAZIONE:

 

Tagliare  a  pezzi  il  cinghiale  e  metterlo  a  bagno  nell’acqua  con  un  limone  spremuto  e  lasciarcelo  per  una  notte.  Sciacquarlo  bene  e  scolarlo,  metterlo  in  un  tegame  con  olio,  tutti  gli  odori  tritati,  salare,  aggiungere  2/32  pomodori  pelati,  coprire  e  farlo  cuocere  piano  piano  per  2/3  ore  circa.  Intanto  far  cuocere  i  funghi  a  parte  nell’olio  con  uno  spicchio  d’aglio,  salare  e  quando  sono  cotti  aggiungerli  al  cinghiale.


 

CANTUCCI.

 


INGREDIENTI:

 

q       200  g.  DI  MANDORLE;

q       200  g.  DI  ZUCCHERO;

q       250  g.  DI  FARINA;

q       2  UOVA  INTERE  PIU’  UN  TUORLO;

q       1  BUSTINA  DI  LIEVITO  PER  DOLCI.

 

 

PREPARAZIONE:

 

Sbattere  le  uova  con  lo  zucchero,  aggiungere  le  mandorle,  il  lievito  e  poi  la  farina,  fare  un  impasto  e  formare  dei  pici  più  grandi  del  normale  e  stenderli  in  un  vassoio  da  forno  foderato  di  carta  oleata,  far  cuocere  per  15  minuti  e  poi  tagliare  a  pezzetti.


 

RAP MONTANINO

 


E finalmente un rap, un rap montanino

un rap che ti prende, ti trascina un casino

lo ballano tutti, perfino al botteghino.

Lo so potevo nascere chianino

vedere la luce a Torrita o Guazzino

essere allevato, orrore, a S.Albino

però ho avuto culo, son nato montanino.

Se li sai trovare ci sono mille intrighi

è un luogo misterioso dal Pianello al Bighi

tiri tardi la sera e la notte è più bella

seduto con gli amici accanto alla cannella

e se con la ragazza vuoi parlare d’amore

il posto più indicato son le Budella al cuore

se invece non ti basta il mano nella mano

dalle parole ai fatti ti consiglio il Triano

se della vita poi cerchi il senso più profondo

il luogo che ti serve è certamente il Tondo

quand’ero più piccino per scaricar tensione

usavo sia il Tondino che il Gioco del pallone

ti trovi a ragionare sulla rava e la fava

sotto il cielo stellato che si vede alla Cava

A volte pensi “mamma mia che par di coglioni”

ma poteva andar peggio se abitavi a Sterponi

certo l’inverno ha un effetto strano

se passi il tempo seduto al bar d’Ivano

se vuoi restare solo, se sei d’umore nero

vai a trovare i vecchi amici seppelliti al cimitero

nel borgo di sotto incontri Riccardo

nel borgo di sopra il pozzo e S. Leonardo

col freddo la neve ricopre ogni pino

ma pensa che gusto se scivoli al Chiassino

se proprio vuoi dare una botta di vita

in quattro balletti raggiungi Torrita

ma in Chiane fa caldo, si sa è una sentenza

perciò preferiamo Montepulciano o Pienza

è un rap travolgente, lo suona la banda

ma pensa che sfortuna nascere a Trequanda

chi lo balla svelto chi lo balla piano

t’immagini che sculo nascere a Foiano

siamo alla fine il rap è finito

ma il Monte per noi rimane sempre un mito.

Marco Fè (Kneteman)


 

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