" Nei playground di tutta America ci sono molti giocatori che sanno schiacciare e che hanno più talento di almeno la metà dei giocatori di questa lega". Parole di Charles Oakley, parole sante. E la riprova viene dalle varie league estive, dove non è raro che team di giocatori NBA vengano battuti da squadre di perfetti nessuno, chiedete al team di Steve Francis in quel di Atlanta, non più tardi di 5 mesi fa. Non è poi così raro ciò che è accaduto a “Mister X” Xavier McDaniel, che un'estate sfidava la gente in uno contro uno fuori da un supermercato. Si fa avanti un giovanotto, X lo squadra, breve cenno del capo…take away, e la partita ha inizio. Pochi minuti dopo il giovanotto di cui sopra umiliava una tra le ali forti più dominati della lega al tempo, permettendosi addirittura un paio di dunk in faccia a McDaniel. Il suo nome….Dontonio Wingfield. Non perdete tempo a cercare il suo nome in un roster qualsiasi, Dontonio ha avuto breve vita nell'NBA. Uscito dopo un solo anno da Cincinnati, quando stare al college per almeno un tre anni era la moda, dopo aver seminato, è proprio il caso di dirlo, 9 figli illegittimi per gli Stati Uniti, Wingfield fu scelto da Seattle. Scaldò le bench dei Sonics per un'anno, poi quelle dei Blazers l'anno successivo e infine finì chissa dove e a fare chissa cosa. Altro esempio eclatante è rappresentato da Rafer "Skip to my lou" Alston, leggenda dei playground di NY, handballing sopraffino, visione di gioco paranormale. Peccato che a Milwaukee giochi una manciata di minuti a sera, e il resto del match lo passa a incitare Cassell e Hunter. E che dire di Leon Smith? Prima scelta di Dallas lo scorso anno, ora lotta nella IBL, dove il profumo dei dollari NBA lascia spazio alla puzza di sudore di quelli che sognano un posto al sole. La lista di grandi talenti potrebbe continuare, perché la nazione è piena zeppa di giocatori fenomenali che i parquet dell'NBA non li hanno mai calcati e non li calcheranno mai. Perché? Perché promesse certissime si perdono nella mediocrità? Perché fenomeni da playground falliscono sul palcoscenico più importante? Evidentemente perché il talento non basta, aiuta, ma non è tutto. Evidentemente il talento va plasmato, va educato, e l'uscita prematura di molti giocatori dal college, quando ci vanno, non aiuta. E' opinione diffusa che se Corey Maggette avesse completato l’iter accademico sotto coach K, oggi sarebbe un giocatore di impatto ben diverso rispetto ad  un super atleta inarrestabile in campo aperto come invece è. E troppo spesso l’atletismo è metro di giudizio per un giocatore. Non è così raro che per i playground della Grande Mela vengano organizzate gare a chi riesce a raccogliere le monete poste all’estremità superiore del tabellone, e la città stessa è piena di aneddoti che riguardano schiacciate mirabolanti e saltatori fuori dal comune. Ma tra l’essere un atleta eccezionale e essere un giocatore da NBA, ci sta gente come TMAC, che in linea di massima salta, però tira benino, va a rimbalzo, gestisce la partita e soprattutto difende. Difesa è una parola che il basket da strada non conosce. Gestione del gioco non rientra nel vocabolario di nessun player. “Quando giochi al playground non vuoi dare la palla in post, vuoi tenrla nelle mani e farci quello che ti pare”. Così Odom, che in strada è nato. Allora il cerchio si chiude perché al college devi difendere, soprattutto se capiti sotto gente come coach Izzo, devi gestire la partita, capire quando puoi forzare e quando invece devi andare in post, e rallentare il ritmo. Non sto dicendo che stare al college è indispensabile per sfondare nella NBA, perché non sono scemo, Garnett lo conosco anch’io. Sto solo dicendo che di Garnett ce né uno solo, gli altri sono ottimi giocatori, ma non fenomeni. Lo stesso McGrady ha passato due anni essendo considerato un buon giocatore, e nessuno si aspettava che esplodesse in questa maniera ad Orlando. Kemp stesso il primo anno giocava poco, poi è diventato Kemp, ma non il primo giorno che calcò il parquet. So che molti giovani stanno poco al college perché sono poveri e hanno bisogno di soldi, ma questa è una motivazione extra cestitisca e va bene. Ma la tendenza a lasciare il college anzi tempo, che ormai è come un vestito di Armani, rovina parecchi talenti, che se solo avessero la pazienza di fare il salto non rischierebbero di gettarsi via. Tutto qui, e la NBA è fatta si dei Carter o dei Kobe, ma è fatta anche dei Ben Wallace, dei Charles Oakley, gente che suda, che lavora, che lotta, che magari ha poco talento ed è poco spettacolare, ma si sa che con lo spettacolo si vincono pochi titoli…chiedere a San Antonio!

Gabe