Considerazioni sugli amplificatori di potenza Audio.

Obiettivo della tesi è quello di studiare il comportamento dei dispositivi finali di un amplificatore di potenza per uso audio, quando questo viene collegato ad un dispositivo trasduttore (altoparlante) e viene collegato in ingresso un segnale "random" (casuale). Valutarne dunque stress istantanei che potrebbero portare in alcuni casi alla distruzione del dispositivo finale.

Questo particolare studio è stato dettato per diversi motivi: ogni dispositivo di amplificazione per poter funzionare in maniera corretta deve essere studiato considerando fin dall’inizio quale sarà il segnale da amplificare e il carico a quale dovrà essere collegato. Nel settore della riproduzione audio norme internazionali e il metodo comune di progettazione degli amplificatori prevedono la ricerca di determinate prestazioni da parte dell’amplificatore considerando alla sua uscita un carico puramente resistivo e sottoposto a segnali di tipo sinusoidale. Questo metodo anche se corretto sotto molti aspetti, porta delle volte semplificazioni di troppo che ricadono nell’affidabilità dell’amplificatore stesso.

Purtroppo nella realtà segnale e carico non sono come quelli su cui si progetta:: il carico che ogni amplificatore vede ai propri morsetti di uscita è tutt’altro che una resistenza! Il finale dell’amplificatore di potenza infatti verrà collegato ad un sistema che comprende (in genere) due o più altoparlanti ed una rete detta di "crossover" che modifica la risposta in frequenza di ogni singolo altoparlante. L’altoparlante di per se presenta un circuito equivalente che comprende almeno tre elementi reattivi; il filtro ovviamente è costituito da soli elementi reattivi (in applicazioni audio i filtri sono nella maggioranza dei casi di tipo passivo, cioè non utilizzano nessun elemento attivo).

A questo si unisce il fatto che il segnale che l’amplificatore andrà ad amplificare non sarà mai di tipo sinusoidale bensì casuale.

Valutare il comportamento che ha un amplificatore in condizioni "reali" è un impresa laboriosa ma che può portare a riconsiderare alcuni di quelli che sono i parametri di progetto, soprattutto per quanto riguarda le caratteristiche elettriche estreme di utilizzo.

Per poter esporre chiaramente il problema dividerò la mia trattazione in varie parti, proprio come segue:

 

 

 

Elementi reattivi

Prima di aprire ogni discorso su quelli che possono essere gli amplificatori di potenza o gli stress istantanei subiti dagli stessi, occorre fare un esame di quello che potrebbe essere il carico visto dall’amplificatore ed il perché l’utilizzo di semplificazioni per scopi pratici porta in alcuni casi a grossi problemi.

Il carico visto da un amplificatore può essere della più diversa natura, ovviamente resistivo, puramente induttivo, o carico complesso: quest’ultimo è il carico reale che vede l’amplificatore, cioè una rete che comprende una resistenza e degli elementi reattivi. Per studiare quello che sarà il comportamento di un carico complesso bisogna prima capire quello che è un elemento reattivo.

Elementi reattivi sono i condensatori e le induttanze: la stessa terminologia vuole indicare che il loro comportamento è di "reazione", reazione a ad uno stimolo. Mentre la resistenza si oppone al passaggio della corrente (come da legge di Ohm), gli elementi reattivi non si "oppongono" ma "reagiscono" alle variazioni di corrente (o tensione) che hanno ai loro capi. Quindi, presentano un comportamento diverso a seconda della "velocità" di variazione delle citate grandezze.

Dal punto di vista della progettazione di amplificatori, condensatori e induttanze sono trattati sempre in regime sinusoidale, cioè come insegna l’elettrotecnica, adottando delle "semplificazioni" opportune: in regime sinusoidale i condensatori e le induttanze sono degli elementi reattivi che presentato una propria "reattanza" che varia al variare della frequenza e che introducono dei ritardi (o anticipi) di fase. Il condensatore presenta una reattanza XC= -j1/ wC : il segno meno sta ad indicare che il ritardo che la corrente che scorre in un circuito che presenta il solo condensatore è in anticipo rispetto la tensione di 90 gradi. L’induttore invece presenta una reattanza XL = jwL ed introduce un ritardo di 90 gradi della corrente rispetto alla tensione.

[w è la pulsazione naturale ed è uguale a 2pf dove f è la frequenza della sinusoide]

Valutare i componenti reattivi solo in questi termini porta a delle interessanti conclusioni, ma non bisogna però dimenticare alcune caratteristiche di questi elementi: condensatori ed induttore sono elementi passivi ad accumulo di energia, in grado cioè di immagazzinare energia nel campo elettrico e nel campo magnetico generati.

La capacità è definita come la proprietà che permette di accumulare una certa quantità di carica elettrostatica su due conduttori separati da un materiale isolante. La capacità ha origine dal rapporto tra la carica immagazzinata "q" e la tensione "v" tra i due conduttori : C= q/v. Una variazione della tensione corrisponde alla variazione della quantità di carica accumulata e quindi al fluire di una certa corrente; essendo v=q/C abbiamo che:

dv/dt = 1/C * dq/dt = 1/C * i da cui i= C * dv/dt

Pertanto la corrente che circola nella capacità è proporzionale alla variazione della tensione ai suoi capi.

Allo stesso modo l’induttanza è la proprietà di un dispositivo di generare un campo magnetico quando è attraversato da corrente. Se la corrente varia, varia il flusso magnetico concatenato e di conseguenza si genera una forza elettromotrice proporzionale alla variazione di corrente e di verso tale da opporsi alla variazione del flusso e quindi alla corrente stessa. Pertanto la tensione ai capi dell’induttanza è proporzionale alla variazione di corrente secondo la relazione v=L* di/dt.

Come si può notare i due elementi si comportano in maniera proporzionale alle "variazioni" (di corrente o tensione) che avvengono ai loro capi. Ad esempio in regime sinusoidale questi elementi sono sottoposti a continue "variazioni": una tensione sinusoidale varia la propria "velocità" in continuazione durante un intero ciclo, ottenendo i valori massimi quando la sinusoide passa per lo zero e minimi in cresta. Ma questo in regime sinusoidale ha poca importanza, perché ci porta agli stessi risultati che si possono ottenere considerando le reattanze. Ma nel nostro caso i segnali che interessano i gli elementi in questione sono di tipo casuale, cioè variano continuamente (e di conseguenza può variare casulamente la loro "velocità"): questo produrrà dunque degli effetti "inaspettati" rispetto a quelli previsti studiando il solo comportamento in regime sinusoidale.

 

 

Amplificatori di potenza audio

Come qualsiasi dispositivo di amplificazione sono costituiti da elementi attivi che impiegati in particolari tipologie circuitali provvedono ad incrementare l’ampiezza del segnale introducendo il minor numero di alterazioni possibili

La configurazione universalmente più utilizzata negli amplificatori audio è quella che vede come dispositivi finali due elementi attivi che funzionano in classe AB.

Per ottenere questo un amplificatore per utilizzo audio presenta nella maggioranza dei casi la seguente configurazione:

Lo studio che è stato effettuato è stato fatto solo sull’ultimo di questi stadi, il dispositivo atto a erogare potenza; è stata scelta la configurazione in classe AB (o B) perché oltre ad essere quella maggiormente utilizzata è anche quella più soggetta ai rischi per stress istantanei subiti dall’amplificatore.

Per stress istantanei si intendono quegli stress che subiscono i dispositivi attivi finali che possono portare al loro danneggiamento: tra questi abbiamo: corrente eccessiva, potenza dissipata eccessiva, secondo breackdown.

Come ho poco prima accennato, gli elementi reattivi che costituiscono il sistema diffusore sottoposti a segnali casuali si comportano in maniera inaspettata. Questo può portare in alcuni casi a far sì che il dispositivo attivo finale progettato per rientrare nei margini di utilizzo in regime sinusoidale, istantaneamente si trovi a superare le soglie di corrente o potenza dissipata eccessiva.

Un primo studio fatto con l’utilizzo di tensioni sinusoidali in ingresso ci può già far capire quanto sia riduttiva la semplificazione di avere come carico in uscita solo un elemento resistivo.

Se il nostro carico è una resistenza di valore opportuno e fisso (ad esempio convenzionalmente i diffusori sono idealizzati come una da 8 ohm) e vogliamo erogare sul carico una certa potenza, dobbiamo solamente fissare quanto sarà la tensione necessaria per ottenerla, e poi tenerci in condizioni da permettere che l’amplificatore sia capace di erogare la necessaria corrente, e dimensionare il tutto a dovere per non far oltrepassare i limiti di dissipazione del dispositivo previsto.

I calcoli vengono dunque effettuati come se ci si trovasse in regime continuo, dunque per ottenere ad esempio 50W su di un carico di 8 ohm dovremmo avere una tensione di uscita di 20V (P=V2/R). La corrente erogabile sul carico alla massima potenza sarà dunque di 2,5A (P=I2*R) (bisognerà poi passare dai valori medi a quelli massimi proprio perché ci troviamo in regime sinusoidale).

Dimensionare a questo punto il dispositivo non rappresenta un grosso problema, bisogna fissare tensioni e correnti, calcolare la dissipazione massima di ogni dispositivo finale, e dimensionare il tutto in maniera opportuna.

Se la cosa viene studiata dal punto di vista istantaneo, cioè osservando in ogni istante i valori di tensione e corrente sul carico e sui dispositivi finali la cosa non cambia, in un classe B infatti i dispositivi lavorano in modo che in assenza di segnale si trovino interdetti (o in caso di classe AB con una leggera polarizzazione atta a superare la barriera di potenziale base-emettitore), la loro tensione sul collettore sia massima, ma la richiesta di corrente sia nulla; quando invece si presenta un segnale che porta la tensione sul carico massima, la corrente sarà anche massima, ma la tensione sul collettore sarà praticamente nulla (a meno ovviamente della tensione di saturazione). La potenza dissipata istantanea avrà dunque il valore calcolato massimo.

Ma adesso passiamo al caso di carichi complessi. Come ho prima accennato un carico reattivo presenta ad ogni frequenza una sua reattanza ed introduce un certo sfasamento tra tensione e corrente. Tensione e corrente assorbite dal carico avranno dunque la stessa forma ma saranno sfasate tra di loro di un certo angolo chiamato j : v(t) = Vmax*sen(wt + j) ; i(t) = Imax*sen(wt).

Osservando andamento di tensioni e correnti dal punto di vista istantaneo possiamo arrivare a delle considerazioni: mentre con il carico resistivo quando la corrente era massima le tensione sul collettore era nulla (e viceversa) , in condizioni di carico reattivo le cose non stanno più così. Lo sfasamento introdotto dai dispositivo reattivi non fa altro che far variare i prodotti di tensione e corrente istantanee e dunque variare quella che sarà la dissipazione istantanea del dispositivo. Il caso peggiore nel quale un finale può trovarsi è quello di carico puramente reattivo , ossia con sfasamento di 90 gradi. In questo caso abbiamo che la corrente assorbita dal carico sarà massima in prossimità del punto di attraversamento per lo zero da parte della sinusoide in uscita, che non è altro che il punto di massima tensione di collettore per il dispositivo.

Nel dimensionamento di un amplificatore bisogna dunque tenere in conto anche questo problema, proprio per il fatto che un carico reale presenta un modulo di impedenza che varia molto.

Stesso discorso può essere fatto per quelli che sono i carichi complessi sottoposti a segnali non sinusoidali. In questo caso non parliamo più di fase ma di comportamento istantaneo del dispositivo, comportamento che può dare origine in alcune condizioni a richieste di correnti istantanee impreviste che potrebbero incrementare la potenza istantanea dissipata dal dispositivo.

Conoscere dunque il comportamento del sistema diffusore nelle reali condizioni di utilizzo ci permette di operare in maniera opportuna sul dimensionamento dei dispositivi finali, e delle loro condizioni di lavoro, avendo cura di rispettare i valori di massima corrente e dissipazione di un dispositivo istantanee (vedi curve si SOAR e PRC).

 

Altoparlanti e reti di crossover

I trasduttori elettroacustici ai quali verranno collegati i dispositivi di potenza sono i diffusori; questi sono costituiti da due o più altoparlanti interfacciati mediante opportune reti di filtraggio (già definite di "crossover") ed in alcuni casi mediante reti di equalizzazione dei singoli altoparlanti.

L’altoparlante montato in aria libera presenta la rete elettrica equivalente mostrata in fig1:

Fig1

una serie di resistenza ed una induttanza, in serie a loro volta ad un parallelo di resistenza, induttanza e capacità;

i valori dei singoli componenti dipendo dalle caratteristiche fisiche dell’altoparlante.

[(BxL) è il fattore di forza e viene espresso comunemente in T*m o N/A o anche Wb/m;

Cms è la cedevolezza delle sospensioni e è espressa in m/N;

Mms è la massa mobile in movimento ed è espressa in Kg;

Rms è la resistenza meccanica dovuta agli attriti delle sospensioni ed è espressa in ohm ]

Purtroppo lasciare l’altoparlante in aria libera non è possibile ai fini pratici e bisogna ricorrere ad un caricamento acustico che ne migliori le caratteristiche di trasduzione. Ma il caricamento acustico prevede la modifica della seguente rete elettrica. Purtroppo non è obbiettivo della seguente relazione parlare dei vari circuiti equivalenti dei caricamenti acustici, quindi il lavoro è stato limitato al caso di altoparlante in aria libera. Come considerazione si può dire che il caricamento più utilizzato è quello della "cassa chiusa" : è il più semplice e non apporta alcuna modifica al circuito equivalente, ma solo ai suoi valori. Valori che non cambiano comunque in maniera considerevole agli scopi pratici.

Per realizzare un diffusore occorrono però più trasduttori impiegati in settori diversi dello spettro acustico da riprodurre, questi sono collegati fra di loro e all’amplificatore mediante reti di crossover: queste reti sono realizzate ponendo in cascata uno o più elementi reattivi per ottenere filtri passa basso, passa alto, passa banda con ordini compresi spesso tra il primo ed il terzo.

Ovviamente filtri passa basso e passa alto comprenderanno tanti elementi reattivi quanto è l’ordine del filtro. I passa banda utilizzeranno il doppio degli elementi.

Per modellare le caratteristiche dei singoli altoparlanti per poter rendere il loro comportamento più simile a quello di una resistenza vengono utilizzate reti di equalizzazione del tipo RLC o solo RC in parallelo all’altoparlante.

Dal punto di vista dei dispositivi finali ci troviamo dunque a dover incontrare alla propria uscita carichi molto complessi comprendenti molti elementi reattivi. Purtroppo occorrerà a questo punto adoperare la semplificazione di studiare il comportamento di un dispositivo collegato ad un solo altoparlante senza alcuna rete di crossover o di equalizzazione.

 

Studio matematico degli stress di un finale

Il vero problema resta dunque quello di valutare il comportamento istantaneo dell’altoparlante vero e proprio sul quale verranno collegati i dispositivi finali, utilizzando in ingresso segnali casuali.

Il problema si appresta ad essere decisamente complicato, proprio perché per vedere il comportamento istantaneo bisogna risolvere equazioni alle maglie nel dominio del tempo. Le equazioni che vengono fuori da questi calcoli saranno sempre e comunque di tipo differenziale: nel nostro caso, di rete con tre elementi reattivi, di terzo ordine.

Diversi sono i metodi possibili per ottenere il risultato:

  1. si può provare a scrivere l’equazione del circuito in forma di equazione differenziale e quindi provare a risolverla. Purtroppo risolvere equazioni differenziali di terzo grado è di gran lunga difficile.
  2. Risolvere il circuito con Laplace, semplificare, antitrasformare e riportarsi nel dominio del tempo; è stato il primo metodo utilizzato, che purtroppo non ha avuto successo, vista la complessità nell’antitrasformare l’equazione;
  3. Risolvere per via numerica l’equazione differenziale e quindi valutare a questo punto l’andamento di tensione e corrente; questo è stato il metodo utilizzato, perché pur presentando un insieme di calcoli numeroso, è stato gestibile mediante l’ausilio del computer.

Il metodo utilizzato è stato dunque il terzo: per scrivere l’equazione differenziale si utilizza la seguente procedura:

Si pone un generatore di tensione V(s) sull'impedenza, e poi per ogni condensatore (C) si considera la sua tensione e per ogni induttanza (L) la sua corrente; la corrente e la tensione sugli elementi reattivi vengono definite variabili di stato; la tensione di ingresso viene chiamata termine forzante.

Poi, per ogni elemento reattivo si scrive una equazione di questo tipo:

s L IL(s)= questa è una tensione, e quindi a destra dell’uguale di sarà un’equazione ad una maglia di tensioni (ricavabili con il metodo di Kirchhoff) che farà uso di tutte le IL e VC ma SENZA s


s C VC(s) =questa è una corrente e quindi usando le equazioni di kirchhoff si esprimerà la corrente attraverso il condensatore senza usare pero` la s.

A destra dell'uguale ci saranno delle equazioni di kirchhoff del circuito, ma che usano solo le variabili di stato e il termine forzante; NON dovranno comunque esserci elemento reattivo, ma solo resistenze.

A questo punto si antitrasformano gli operatori, cioe` al posto delle "s" dei temini a sinistra si scrive la derivata nel tempo, e si portano dunque a destra dell’uguale i termini L o C. Si ottengono dunque espressioni del tipo:


iL'(t)=1/L*(espressione di sopra con iL(t) e vC(t), e eventualemnte v(t))

vC’(t)=1/C*(espressione di sopra con iL(t) e vC(t), e eventualemnte v(t))


Di queste equazioni ne deve essere scritta una per ogni elemento reattivo.

Ma vediamo dunque come si applica in pratica in un circuito:

il nostro circuito è formato da tre elementi reattivi dunque dobbiamo avere tre equazioni simili a queste:

le variabili di stato sono nel nostro caso la sCvC(s) (la corrente nel C del parallelo); la sLiL(s) (la tensione sulla L del parallelo); la sLeiLe(s) (la corrente che ci interessa che scorre nel carico);

La corrente che scorre nel condensatore e` data dalla corrente di ingresso (la iLe), meno quella che se ne va in L meno quella che se ne va in R, dunque :

s C vC(s)= iLe(s) – vC(s)/R – iL(s)

La tensione che arriva sulla L del parallelo è proprio vC dunque la seconda equazione sarà:

s L iL(s)=vC(s)

La corrente che scorre nel circuito è data dalla tensione di ingresso meno la caduta sulla resistenza (che possiamo esprimere come iLe * Re) meno la tensione sul parallelo (vC), dunque la terza equazione avrà la seguente forma:

s iLe iLe(s) = v(s) – iLe*Re – vC (s)

A questo punto si ritorna nel dominio de tempo e dunque:


C dvC/dt= iLe(t)- iL(t) – vC(t)/R

L diL/dt= vC(t)

Le diLe/dt= v(t) – iLe(t)*Re – vC(t)


e se si isolano le derivate salta fuori:


dvC/dt= (iLe(t)- iL(t))/C – vC(t)/(R*C)

diL/dt= vC(t)/L

diLe/dt= (v(t) – vC(t))/Le – (iLe(t)*Re)/Le

A questo si può integrare per via numerica (e quindi conoscendo la corrente nella Le arriviamo alla soluzione del problema).


Per integrare per via numerica ho utilizzato un programma di nome "Excel" (della Microsoft) che permette di eseguire i calcoli si più colonne e ripeterli per quante volte serve in diverse righe:

Si prende una riga per ogni passo temporale in cui si fa l'integrazione, utilizzando tante colonne quante sono le variabili di stato ed il termine forzante, più una per i passi temporali previsti (il tempo)


Si settano dapprima le condizioni iniziali ( tensione uguale a zero, corrente zero, condensatori ed induttanze scarichi);

Poi per ogni riga successiva bisogna aggiornare iL e vC (esempio per il condensatore, ma vale lo stesso per l’induttore):

la tensione che c'è adesso su C e` uguale a quella che c'era al passo precedente piu` una variazione data dalla derivata (=pendenza) per il passo temporale di integrazione "h" (che non è altro che la differenza di tempo trascorsa dal passo precedente)

Per avere dunque il vC istantaneo si devi sommare quello precedente più il valore di h*dvC/dt.


"h" è noto (lo fissiamo noi il passo temporale) dvC/dt è dato dalla espressione trovata prima [dvC/dt= (iLe(t)- iL(t))/C – vC(t)/(R*C)].


I valori delle espressioni delle derivate contengono a loro volta i valori, iL, vC e v che vanno ricavati anch’essi dalla riga precedente. E quindi in ogni riga iL , vC e iLe viene calcolato dal valore della riga precedente più una variazione che dipende anche lei dalla riga precedente.

v invece è noto (è la tensione istantanea che ho in uscita) e quindi non viene calcolato.

Il risultato cercato (la corrente istantanea ) è proprio la corrente iLe.


Risultati e considerazioni oggettive

La simulazione eseguita al computer è stata fatta utilizzando i valori reali dell’altoparlante Ciare modello PW250 un woofer da 25cm utilizzato per riprodurre la gamma bassa delle frequenze audio.

I valori dichiarati dalla casa sono i seguenti:

Re=5.7 ohm

Le=0.61 mH
Mms=31 g
Cms=0.26 mm/N
BxL= 12.12 Wb/m

Dai quali otteniamo i valori di:

L=39,7 mH

C=0,21 mF

R=39,5 ohm

Purtroppo eseguire un calcolo simile pur se ha portato a dei grossi vantaggi in termini nel risultato delle equazioni differenziali, ha portato qualche svantaggio dal punto di vista pratico:

il passo di integrazione affinché i risultati vengano corretti deve essere il più piccolo possibile e questo implica una serie di calcoli enormi (ho eseguito una serie incredibile di calcoli con passo di integrazione paria a 0.1microsecondi).

Tracciare una tabella che comprendesse tutta la serie di calcoli risulta dunque impossibile, come risulta anche far compiere un grafico su tutti questi da un calcolatore. Si possono però fare delle serie considerazioni solamente sfogliando i risultati delle operazioni: tutto quanto affermato riguardo il comportamento di un carico complesso su un finale che amplifica una forma d’onda sinusoidale sono corretti, ma nel caso degli altoparlanti sono da considerarsi in prima battuta trascurabili, infatti l’altoparlante in questione ha mostrato un comportamento rispetto alla fase decisamente buono. Lo stesso vale per segnali di tipo casuale o periodico: i problemi accennati sono stati incontrati soprattutto in quelli che sono i picchi di onde triangolari, o gli istanti di salita e di discesa di forme d’onda quadrate.

E’ stato però possibile fare qualche grafico su quelli che erano i punti fondamentali del discorso: questi sono i grafici proposti a corredo.

Grafico 1 mostra il comportamento istantaneo del carico sottoposto ad onda triangolare di ampiezza di picco di 20V: la linea rossa rappresenta la richiesta di corrente ideale da parte di un carico resistivo di 8 ohm; la linea blu rappresenta la risposta reale. Da notare come la linea rossa faccia proprio vedere il picco dell’onda, mentre la linea blu, fa notare come il carico ,anche se l’onda comincia a diminuire di intensità, richieda un incremento di corrente. In questo caso le correnti richieste e il tempo per il quale avviene è praticamente quasi ininfluente ai fini pratici.

Grafico 2 mostra quello che succede nel fronte di discesa di un’onda quadra, anch’essa di intensità massima pari a 20V: si nota che la richiesta di corrente sul carico continua anche dopo che l’onda ha portato il suo valore a 0V. Il tempo impiegato in questo particolare caso ammonta a quasi a 50 microsecondi (tempo non sempre troppo basso, soprattutto se si superano di molto le soglie di potenza dissipata).

Tutto ciò porta a concludere che particolare attenzione deve essere fatta quando si va a progettare un finale in classe AB, soprattutto per il fatto che i dispositivi finali non si trovano mai in interdizione e dunque in alcuni casi il carico potrebbe portare ad una dissipazione di potenza eccessiva (in classe B il problema diventa poco più lieve); curare bene l’interfacciamento amplificatore altoparlanti, poiché si è visto (e calcolato) che in determinate condizioni, quando la fase del carico supera i 30 gradi, la potenza dissipata dai finali può arrivare anche a due volte quella prevista.

Considerazioni meno oggettive, ma che hanno origine da numero di casi di guasti di dispositivi finali dovuti ad eccessiva dissipazione potrebbero fare pensare che i dispositivi di filtraggio che sono realizzati mediante componenti reattivi siano quelli che implicano i maggiori problemi per i dispositivi finali.

 

Possibile metodo per risolvere i calcoli utilizzando meno righe, e quindi un passo di integrazione più ampio è quello del metodo di Runge Kutta che si può trovare sfogliando le pagine di questo sito:
http://www.geog.ubc.ca/numeric/labs/lab4/lab4/node6.html

E' possibile scaricare il file excel da me utilizzato : tesi.xls
Basta avere un pò di pratica e capire come ho impostato le colonne per riuscire ad utilizarlo.

 

Riferimenti Bibliografici e ringraziamenti vari:

Bartolomeo Aloia "Amplificatori dalle alte prestazioni: quali transistor?" prima, seconda, terza e quarta parte pubblicati su Suono n° 80 Marzo 1979 - n°93 Maggio 1980 - n°97 Ottobre 1980 - n°99 Dicembre 1980-Gennaio 1981

Bartolomeo Aloia articoli sparsi su varie riviste (Suono, Fedeltà del Suono e Costruire Hi-Fi)

Letture varie su riviste e libri.

Un rigraziamento all'Ingegner Bartolomeo Aloia e all'Ingegner Luca Chiomenti per la disponibilità mostrata e l'aiuto concesso nel recupero delle fonti bibliografiche.

Doveroso ringraziamento all'Ingegner Franco che mi ha aiutato a portare a compimento la tesi dal punto di vista matematico.

Un GROSSO e CALOROSO RINGRAZIAMENTO all'amico Piercarlo Boletti, ispiratore e guida dell'intera tesi!!!

 

GRAZIE A TUTTI!!!

Per commenti ed ulteriori informazioni:
nicola.zanghi@tiscalinet.it