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Breve storia del vino

 

Sicuramente noto anche in tempi molto più antichi, in Asia Minore e in Mesopotamia, si può affermare che il vino aveva già un ruolo centrale nei riti misterici e orfici legati al culto di Dionisio nel VI secolo a.C., il terribile dio greco delle baccanti, il dio delle metamorfosi che come il vino, travolge la mente degli uomini, ma il vino era anche nei simposi dove si prendevano decisioni importanti serviva a rischiarare la mente e donare saggezza; successivamente il vino perde in parte questa sacralità e diviene oggetto di scambio e fra il IV e V secolo a.C. era un costoso e ricercato prodotto in tutta l'area mediterranea. Famosi allora i vini di Lesbo, Chio, Thasos e Coos, molto aromatizzati. A Roma il corrispondente di Dionisio era Bacco, tutto sommato un dio bonaccione e ilare, sempre circondato da ninfe e satiri festanti, assai lontano dal vendicativo e crudele dio greco. Presto anche in Italia (detta appunto anticamente, Enotria, terra del vino) la vite si diffuse, anzi era coltivata meglio che in Grecia, tanto che si può paragonare la resa per ettaro di allora con quella di una vigna di oggi, coltivata con metodo intensivo (circa 150 quintali d'uva per ettaro). Dall'Italia il vino si diffuse nelle provincie che venivano via via conquistate e annesse all'Impero Romano; allora si beveva Falerno e Massico, vini campani, il Cecubo del Lazio, il Mamertino siciliano, il Rethico veneto, ma anche il vino d'Alba, di Taranto, d'Ancona e di Sezze; anche in Gallia (Francia) specie in quella zona che oggi si chiama Còte du Rhòne, si produceva un buon vino come anche in Spagna a Valencia e Terragona. A partire dal II secolo d.C. vennero costituiti i vigneti della Còte d'Or destinati a divenire col tempo i grandi vini di Borgogna. Tutto questo vino veniva costudito in anfore affusolate di circa 20 litri che venivano accuratamente sigillate con pece, le anfore venivano sepolte in terra o nella sabbia, sull'anfora il pittacium (etichetta) ne indicava la provenienza, il produttore e il console in carica. Il commercio con i popoli celtici, esperti nella lavorazione del legno, favorì la comparsa della botte, che, nel giro di qualche secolo, prese il sopravvento sull'anfora. Il vino si beveva allungato con acqua, in quanto aveva la consistenza di uno sciroppo, esistevano il Simposiarca greco e il Magister Simposii (o Arbiter Bibendi) romano che decidevano la quantità d'acqua da aggiungere al vino prima di mescerlo. Bere il vino puro (merum) era considerato un atto barbarico, si racconta che l'imperatore Tiberio avesse questo vizietto, infatti veniva soprannominato dai suoi legionari Biberius Caldius Merum (bevitore di caldo merum) invece di Tiberius Claudius Nero. Solo alla fine dell'epoca imperiale, cambiando anche la consistenza del vino, si cominciò a berlo puro. In Inghilterra, dipendente dai francesi per l'importazione vinicola, i rapporti politici, spesso tesi a partire dalla guerra dei cento anni fino a Napoleone, influirono sul commercio vinicolo; ma intorno al seicento a Oporto, in Portogallo, cominciarono ad aggiungere alcol al vino, in questo modo lo resero più stabile durante il trasporto, ecco allora la nascita del vino di Porto, adatto a lunghi viaggi per mare: lo stesso fecero a Jerez de la Frontera, vicino a Gibilterra, così nacque lo Sherry, il Marsala nasce con la stessa tecnica in Sicilia, ad opera di due mercanti vinicoli inglesi Ingham e Woodhouse. In Francia i vini di Borgogna erano, già intorno al mille, i migliori del mondo, ancora i francesi sono considerati a buon diritto gli inventori della botte prima e successivamente della bottiglia di vetro soffiato e del tappo di sughero per non parlare della coltivazione intensiva della vite. Una data fondamentale nella storia del vino è il 1668, il luogo è nei pressi di Reims nell'Abbazia di Hautvillers, nella regione della Champagne, il monaco Dom Pèrignon, per impedire che le bottiglie esplodessero per la spinta dell'anidride carbonica, usò bottiglie più resistenti che permettevano, sopportando la pressione, all'anidride carbonica di sciogliersi nel vino durante la fermentazione, era nata una bevanda strepitosa lo Champagne. In Italia, dopo la guerra greco gotica del Vi secolo, il Medioevo segnò il declinio della produzione vinicola, che rimase solo in ambiti locali, il vino conservato in botte era bevuto entro l'anno e non si prestava al trasporto e alla conservazione. Col Rinascimento il vino ricompare come merce trasportata dalle navi Veneziane che monopolizzarono il commercio dei dolci vini delle regioni del sud, siciliani, di Creta e isole greche, verso i freddi porti delle regioni del nord Europa. Risalgono all'epoca rinascimentale i vini toscani di Montepulciano (o vino Nobile), la Vernaccia di San Gimignano, il vino bianco dolce d'Orvieto, i vini dei Castelli Romani, il vin d'Albano. Un ricordo merita (siamo nel XII sec.), un chierico fiammingo, certo Johann Defuk a seguto dell'imperatore tedesco, che aveva il compito di precedere di un giorno l'imperatore e assaggiando tutti i vini trovati nelle osterie, segnalare con la parola "est" (qui c'è) dove ne trovava di particolarmente buoni; giunto in prossimità di Montefiascone ne trovò uno che gli piacque tanto da segnalarlo tre volte "est, est, est", addirittura decise che non si sarebbe più mosso di lì e ne bevve tanto che ne morì, diventando leggenda, tanto che ancora oggi nella zona sono numerose le scritte "est, est, est", ad indicare il vanto dei vini del luogo. Nel 1709, una gelata spaventosa distrusse le poche vigne del Galles, della Francia e di gran parte del nord Europa, Italia del nord compresa, il prezzo del vino andò alle stelle e questo favorì i reimpianti, ma con altri vitigni più resistenti al freddo di quelli precedenti, ecco comparire il verduzzo, il pagadebit, i trebbiani. Nel secolo dei Lumi furoreggiavano in tutto il mondo i vini francesi i famosi Bordeaux (lo Chateau d'Yquem, lo Chateau Latour, lo Chateau Haut-Brion) e gli altrettanto famosi Borgogna (il Romanée Conti, il La Tache, il Richebourg, il Montrachet) apprezzati nelle principali corti europee, anche gli Champagne godettero di grande fama, per citarne uno per tutti quello della vedova Clicquot Ponsardin; da noi solo il Chianti, il primo a essere regolamentato dal Granduca Leopoldo (1716) come zona ben precisa di produzione, godeva di una certa fama, gli altri vini restarono in ambito locale ed erano pressochè sconosciuti ai più. All'inizio del 900, in Italia e successivamente in Francia vi fu il terribile flagello della filossera, che attacca le viti alla radice per nutrirsi di linfa, per fortuna i francesi trovarono il rimedio d'innestare la vite europea su radici di vite selvatica americana, immune al flagello, così quando la filossera giunse in Italia in Friuli, Veneto e Trentino, le regioni più colpite, si dovettero importare vitigni francesi per far fronte allo sfacelo delle vigne; così ancora oggi in quelle regioni si coltivano vitigni francesi, il merlot, il cabernet, il pinot bianco, grigio e nero, il sauvignon, il traminer, il riesling, lo cherdonnay, accanto a vitigni tipici della zona come il refosco, il tocai, il marzemino, il nosiola, il ribolla, il verduzzo e il malvasia istriano. Attualmente l'Italia gode di una varietà stupefacente di vini di ottima qualità ed è la maggior produttrice mondiale di vino.