Sulle prove dell’esistenza di Dio |
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L’esistenza di Dio
non si può provare né confutare. Per sua essenza Dio è l’Assoluto che
nulla può contenere e che
tutto contiene e supporta. Dio non può quindi essere verificabile a misura del contingente e del relativo: è un’esperienza diretta del nostro spirito e noi possiamo soltanto accettare o rifiutare l’idea della sua esistenza nella quale Egli ci si manifesta.
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La coscienza umana può non accogliere l’idea di Dio nella quale Egli si rivela. |
Quando i filosofi
dicono che “Dio è morto” vogliono significare che la coscienza umana
ha rifiutato il suo assenso a
Dio e non ha voluto accogliere la sua rivelazione, il che naturalmente non
influisce minimamente sulla sua esistenza. Le vie seguite dai filosofi per provarne l’esistenza,sia quelle di tipo aristotelico-tomistico sia quelle riconducibili alla prova ontologica di S.Anselmo, in realtà presuppongono una aprioristica disposizione a concludere la ricerca con l’accoglimento dell’idea di Dio. Anche il ragionamento degli gli scienziati che si professano credenti, deriva dalla loro scelta di interpretare i problemi scientifici alla luce della loro interiore disponibilità. |
Il problema dell’idea dell’esistenza di Dio |
Il problema di fondo
consiste dunque nel tentare di capire se tale disponibilità all’idea
dell’esistenza di Dio è un fatto di carattere psicologico o culturale o
se è un fatto costitutivo della coscienza umana. Molto frequentati sono
oggi gli studi sul problema
dell’emergenza della mente dal cervello, studi a cui partecipano non
solo scienziati,ma anche epistemologi e filosofi analitici. Ciò che interessa al filosofo non è però tanto un approccio al problema di taglio scientifico, una ricerca cioè sul come si verifichi tale emergenza-soluzione per altro che gli studiosi fiscalisti riduzionisti e non sono ben lungi dal prospettare- ma piuttosto un approccio fenomenologico inteso ad accertare le specificità della mente e di quella umana in particolare. |
Anche gli animali hanno una forma di coscienza |
E’ indubbio che
anche gli animali hanno una forma di coscienza. Essi dimostrano di
saper comprendere certi aspetti del mondo esterno e di riuscire, sia pure in
maniera molto semplice, a manipolarlo ai fini della propria sopravvivenza Gli animali mostrano di provare desideri, di essere capaci di intenzioni e di emozioni. Gli studi di molti etologi hanno rilevato inoltre come certi comportamenti animali, quali il corteggiamento, l’allevamento della prole o la difesa del territorio, possano trovare corrispettivi anche nei comportamenti umani.
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La parola come tratto distintivo dell’uomo |
Si dice che ciò che
fa la differenza tra l’uomo e l’animale sia la parola. In effetti la
parola è tratto distintivo degli umani, in quanto incarnazione di
pensiero , che non è solo emergenza dal cervello, come forse si potrebbe
sostenere nel caso degli
animali, ma trascendimento degli impulsi vitali. Il contenuto intenzionale della mente,i sentimenti, le credenze, vengono innalzate mediante la funzione simbolica del linguaggio e rese autonome, tanto da creare una sopra realtà, un mondo nuovo fatto di concetti, di rappresentazioni,di fedi. |
L’essere in relazione come fondamentale per la vita |
Se dunque tutte le
esigenze della vita organica sono nell’uomo trascese nella mente,
coscienza o spirito come dir si voglia, si può sostenere che è
nell’uomo trascesa anche la situazione più originariamente connessa
alla vita, cioè la situazione di relazione. L’essere in relazione è categoria fondamentale alla vita a tutti i livelli, sia come rapporto di scambio con l’ambiente, sia nelle forme più evolute come rapporto parentale o sociale.
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La relazione fondamentale nell’uomo implica un riferimento ad una dimensione sovra sensibile
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Nell’uomo però
questa categoria si rivela non solo come
apertura verso l’alterità sensibile, come necessità fisica e
psicologica, ma come rimando ad una alterità soprasensibile. La possibilità di
trascendere la realtà con il
potere astrattivo della mente, comporta infatti un riferimento ad una
dimensione che non trova il corrispettivo
nel sensibile, una dimensione assoluta libera dai limiti del finito
e tale da porsi al di sopra del mondo. Per tale riferimento
l’uomo si percepisce nella sua finitudine, unico tra i viventi che sa di
dover morire, ma che avverte anche
la presenza dell’altro termine della relazione come mistero, come
trascendenza. Dio non è un concetto astratto, ma è l’altro termine della
relazione fondamentale in cui l’uomo con la sua mente capace di
trascendimento, che lo fa partecipe dell’assoluto, è inscritto. E’ su questo
rapporto essenziale e non su motivi psicologici quali il senso di dipendenza o la brama di eternità, come sosteneva
Feuerbach, che si basano le religioni, la cui specificità nei confronti
della filosofia, consiste nel fatto che esse si richiamano ad una
rivelazione storicamente collocabile, che mette a confronto l’umano con
il divino.
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L’idea di Dio connessa alla struttura della mente umana |
L’ idea di Dio non
ha da fare se non solo in
parte con motivazioni psicologiche o con ragioni culturali, ma con una
struttura connessa alla mente umana, che sarebbe rischioso
ignorare o voler estirpare, pena il sorgere di nefaste ideologie o
di menzognere superstizioni.
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Sul tema del
trascendere del pensiero umano si veda anche P.Ruminelli, Tra
finito e infinito, Compagnia dei librai, Genova 1998
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