Incontro
dell'Arcivescovo Carlo Maria Martini con i Giovani
del Decanato
di Saronno
Centro
giovanile mons. Ugo Ronchi - Saronno - 30 maggio 2000
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IN ASCOLTO
DELLA PAROLA
Dal
Primo libro dei Re [1Re 19, 11-15]
In
quel tempo fu detto a Elia: "Esci e fermati sul monte alla
presenza del Signore".
Ecco,
il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da
spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il
Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma
il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un
fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu un
mormorio di vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto
con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.
Ed
ecco, sentì una voce che gli diceva:"Che fai qui,
Elia?". Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il
Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno
abbandonato la Tua alleanza, hanno demolito i Tuoi altari, hanno
ucciso di spada i Tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi
tentano di togliermi la vita".
Il
Signore gli disse: "Su, ritorna sui tuoi passi verso il
deserto di Damasco…".
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INTERVENTO
DELL'ARCIVESCOVO
Vorrei
esprimere un saluto cordiale a tutti voi che siete qui questa
sera.
Vi ringrazio per questa vostra presenza; guardandovi, vedendo qua
davanti a me i vostri nomi, mi ricordo degli incontri che già
abbiamo avuto nelle visite pastorali con parecchi di voi nelle
vostre parrocchie.
E vi ringrazio di esservi radunati ancora, questa sera, qui, per
un momento comune di riflessione, di preghiera, di
approfondimento; se vogliamo, anche di ricerca profonda della
nostra verità, della verità che è in ciascuno di noi.
Vi ho poi visti, in particolare parecchi di voi, tra coloro che
avevano organizzato e gestito la Via Crucis, che è stata molto
impressionante per me, nella sera del Venerdì Santo: ho visto
come tanti di voi hanno collaborato a vivere questo momento forte.
Vi ringrazio per come vi siete preparati anche all'incontro di
questa sera, e per le domande che avete fatto emergere, che sono
in realtà tante e dense; mi sento persino un po' smarrito di
fronte al peso di queste domande, quindi mi scuserete se non posso
rispondervi se non un po' a flash: ciascuno di questi argomenti
meriterebbe un approfondimento più grande.
Avete toccato con le vostre domande quattro temi: il tema
dell'educazione, il tema della missionarietà, il tema del futuro
in particolare dei giovani e il tema dell'etica e della società.
Riprenderemo
uno per uno questi argomenti, ma anzitutto vorrei partire da
quella bellissima pagina del libro dei Re, che è stata evocata
anche con una coreografia all'inizio.
E' una pagina, che ricordo, io leggevo fin da ragazzo con molta
passione; ci trovavo dentro tanto, e ancora oggi mi impressiona
molto, là dove in risposta alla domanda: "Dove è
Dio?", si risponde: "Non è nel vento impetuoso, non è
nel terremoto, non è nel fuoco", cioè non è in nessun
fenomeno appariscente - almeno questo è detto in quella occasione
ad Elia -, e quindi bisogna cercarlo più nel profondo.
E anche le risposte alle
vostre domande non possono essere appariscenti, non possono
indicare delle evidenze plateali, ma sono da cercare nel fondo del
nostro cuore.
(le
risposte del vescovo sono precedute dalle domande preparate dai
giovani della Consulta decanale di Pastorale Giovanile per questa
occasione).
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EDUCAZIONE
*La società è
molto forte e capace di impegnare i ragazzi con diverse
attività. Come è possibile focalizzarle? Quali sono gli
strumenti che la Chiesa può utilizzare per avvicinarsi di
più? Come si può chiedere di seguirci nell'avventura senza
"obbligare", e comunque senza chiedere tanta
fatica? La società, forse, ne chiede meno e attira di più:
siamo forse "scemi"?
*La famiglia delega
alle istituzioni il ruolo educativo e vive la figura di
"assistente". Come può la Chiesa aiutare la
famiglia a riassumersi il ruolo che le è proprio?
Proposta:I
ragazzi sono i protagonisti dell'educazione in ogni ambito:
sociale, familiare e cristiano. La società attrae i giovani con
una miriade di iniziative avventurose e divertenti; la famiglia
delega alle istituzioni il ruolo educativo e vive solo una
figura di assistente nella crescita dei ragazzi. E la Chiesa che
ruolo deve avere? Come può interessare la vita di un giovane,
catturarne l'attenzione senza obbligarlo, senza chiedergli
troppo impegno e fatica e senza sostituirsi al ruolo delle altre
istituzioni educative?
Dunque veniamo alla
prima serie di domande che riguarda il tema dell'educazione e
che comincia con una parola che mi piace molto: "i ragazzi
sono i protagonisti dell'educazione". E' una verità
fondamentale e ciascuno di noi è protagonista della propria
educazione. Potremmo dire che tre sono i protagonisti
dell'educazione, anzitutto ciascuno di voi, ciascun giovane il
quale deve giungere al momento in cui decide da sé che cosa
fare di sé e della sua vita. Questo è il punto nodale di tutto
il cammino educativo. E per questo voi vedete che io guardo con
un certo scetticismo a quanto giustamente viene detto poi.
E' stato detto nella
domanda: "la società attrae i giovani con una miriade di
iniziative avventurose e divertenti". Finché ci lasciamo
attrarre non troveremo mai noi stessi. Finché siamo vittime di
queste attrattive non giungeremo mai a quelle decisioni su noi
stessi che sono la nostra realizzazione autentica, che sono il
punto nodale del cammino educativo; quindi l'educazione non è
fatta attraendo piuttosto di qua che di là, ma aiutando
ciascuno a scendere dentro di sé, a dire: "io che cosa
voglio fare responsabilmente di me stesso?" Questo è il
punto nodale di ogni cammino educativo.
E però c'è un secondo
protagonista che è lo Spirito Santo, ovverosia - diciamolo in
maniera più semplice - il nostro cuore, in quanto il nostro
cuore riflette le grandi domande e le grandi proposte dello
Spirito Santo, e questa grande domanda fondamentale che è nel
nostro cuore può essere espressa in maniera molto semplice:
"Che cosa mi fa veramente contento? Che cosa mi dà
veramente pace, gioia, serenità, soddisfazione profonda?"
Ecco, l'educazione ha
il coraggio di farsi queste domande, di non dire: "corri
dietro a questo, o a questo o a quest'altro", pensando che
alla fine, facendo molte esperienze, l'una o l'altra poi ti
piacerà più di altre. L'educazione ci fa entrare nel nostro
cuore per domandarci: "Che cosa mi dà veramente
gioia?". E questa domanda è un toccare lo Spirito Santo
che è dentro di noi. Quindi l'educazione ha due protagonisti
fondamentali: me stesso e lo Spirito che mi parla nel cuore.
All'infuori di questo, tutto il resto è aggiunta.
C'è però un terzo
protagonista dell'educazione: ci sono dunque io stesso che devo
decidere da me che cosa fare di me, c'è lo Spirito Santo che mi
propone qualcosa che giova veramente alla mia pace, e poi c'è,
potremmo dire, la figura dell'amico, cioè di colui che mi aiuta
a rientrare in me stesso e a fare verità su di me. E questo
amico ha molti volti: è la Parola di Dio, è la Chiesa, sono le
realtà educative che noi stimiamo ed apprezziamo. Ecco, tutto
questo come vedete non ha niente a che fare con le attrazioni
della società che ci sono, ci saranno sempre, ci sono sempre
state, ma non hanno mai educato nessuno. Come non educano
nessuno le semplici proposte esteriori, le abitudini.
L'educazione parte
dall'avere voluto decidere da sé che cosa fare di sé,
nell'ascolto dello Spirito Santo e con la vicinanza di un amico
che spesso è semplicemente - e può essere anche solo - la
Parola di Dio, il Vangelo; questo amico mi fa rientrare
veramente in me stesso, e la Chiesa assume anche questo ruolo di
amicizia con persone, con istituzioni che però non risolvono il
mio problema educativo ma mi sono di aiuto e di sostegno per
entrare in me stesso e decidere che cosa fare di me.
Se questo è il cammino
educativo, che cosa rispondere alla domanda: "Come può il
cammino educativo interessare la vita di un giovane, catturarne
l'attenzione senza obbligarlo, senza chiedergli troppo impegno e
fatica?" Senza obbligarlo lo capisco, proprio perché
ciascuno deve decidere liberamente di sé, ma senza chiedergli
troppo impegno e fatica, questo non lo capisco, perché qui vale
la Parola evangelica: "Se il chicco di frumento caduto in
terra non muore, non produce frutto". Non giungiamo a
decisioni autentiche su di noi senza rischiare e senza pagare
qualche prezzo, quindi educare senza chiedere troppo impegno e
fatica è un po' un'impossibilità.
Educare è proprio
accettare di compiere qualche impegno o fatica per un motivo
giusto che mi appare serio e tale da meritare il mio impegno e
la mia fatica. Ecco come vedo il cammino educativo: capisco, la
società farà sempre proposte strambe, proporrà sempre nuovi
divertimenti, nuovi diversivi, ma io non giungerò mai
attraverso questi a una vera realizzazione di me, se non entro
in me stesso, se non ascolto la voce dello Spirito interiore e
se non ascolto quella parola di amicizia che è la parola del
Vangelo, la parola della Chiesa, che mi aiuta non a dirmi
dall'esterno ciò che devo fare, ma a rientrare in me stesso e
prendere quelle decisioni che danno l'indirizzo pieno alla mia
esistenza.
Ecco, io vorrei che
ciascuno si interrogasse e dicesse a se stesso: "quando mai
mi sono interrogato su che cosa mi dice il cuore nel profondo,
su che cosa veramente mi dà pace e gioia?". In quei
momenti ho trovato davvero il cammino educativo, ho trovato
davvero me stesso; e quindi non si educa attraverso semplici
imposizioni esteriori, anche se per i bambini, per i ragazzi
fino a una certa età è utile insistere su alcune cose perché
non hanno ancora la capacità di fare scelte autonome, ma la
vera educazione comincia quando io faccio alcune scelte autonome
e le faccio per ciò che è vero, giusto, bello e buono, per ciò
che ha una sua verità profonda, ascoltando lo Spirito Santo e
ascoltando dall'esterno la parola della Chiesa e la parola del
Vangelo.
Così noi giungiamo a
decisioni educative forti; certo l'amicizia di educatori ci è
molto utile, ma a niente giunge se non fa scattare dentro di noi
quella libera scelta che è la radice della nostra vera dignità,
la perla preziosa nascosta dentro di noi.
Vedete, sono risposte
un pochino affrettate, ma voglio dirvi come io sento questo
problema e come sento che la mia esperienza, che mi dà gioia,
è andata in questa linea. Ciò che mi ha guidato non è stato
il seguire l'uno o l'altro, l'una o l'altra attrattiva
esteriore, ma il rientrare dentro, quindi il non lasciarmi
spaventare né dal terremoto, né dal fuoco, né dal vento
impetuoso, ma l'entrare dentro e domandarmi: che cosa voglio
fare di me? Che cosa una parola amica come quella del Vangelo mi
suggerisce? Che cosa una esperienza amica come quella della
Chiesa mi aiuta a decidere?
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MISSIONARIETA'
*In che modo
possiamo portare la nostra testimonianza all'interno della
scuola, nel rapporto con i nostri compagni e con i
professori e nell'affrontare lo studio considerando che il
clima scolastico non tiene conto delle domande di senso, di
verità, di felicità che sono la struttura del nostro io?
*Che posizione
dobbiamo assumere perché i rapporti di amicizia di cui
facciamo esperienza nelle nostre comunità non siano basati
sul puro sentimento ma siano un aiuto per appartenere alla
Chiesa?
*Come potrebbe
"educarsi" un giovane ad una vera cultura
dell'accoglienza nell'accettazione delle diversità e nel
superamento del sospetto? Quali atteggiamenti, quali scelte
si dovrebbero favorire per alimentare una coscienza di
solidarietà e di fratellanza? Come reinterpretare in questo
senso la stessa "opera di Evangelizzazione" (la
missionarietà) della Chiesa?
* Come essere
testimoni credibili al giorno d'oggi?
Proposta:
Sia in ambito scolastico che lavorativo i rapporti
interpersonali rimangono sempre ad un livello superficiale,
potremmo dire quasi empatico. Come può un giovane crescere e
educarsi in modo nuovo alla vera cultura dell'accoglienza, ad
accettare le diversità, a superare le semplici simpatie per
sviluppare una coscienza della solidarietà, della
fratellanza? Come essere testimoni credibili oggi e come
reinterpretare e vivere l'attività di evangelizzazione e di
missionarietà della Chiesa?
Vengo alla seconda
serie di domande riguardanti la missionarietà; sia in ambito
scolastico che lavorativo i rapporti interpersonali rimangono
spesso a un livello superficiale. Come può un giovane crescere
e educarsi in modo nuovo alla vera cultura dell'accoglienza, ad
accettare le diversità, a superare la semplice simpatia per
sviluppare una coscienza della solidarietà e della fratellanza?
Come essere testimoni credibili?
Qui mi pare ci sono due
grandi temi: primo, quello della relazione, e secondo, quello
della testimonianza. La relazione si gioca quando io metto in
gioco un po' me stesso con altri; e giustamente la domanda dice
che molti rapporti interpersonali rimangono superficiali. Sì,
perché non mi gioco mai personalmente. Ed è proprio di fronte
alla persona diversa da accogliere, alla persona lontana da me
per cultura o per abitudini che allora scatta la mia capacità
di accogliere o di respingere. E' vero che molte relazioni
quotidiane sono superficiali, ma è colpa nostra. In ogni
relazione quotidiana io posso metterci qualcosa di serio e di
autentico se semplicemente considero come l'altro è parte di
me, e come nell'altro trovo qualcosa di me stesso. E questa è
una semplice acquisizione umana che può avere anche un
non-credente.
Ricordo una volta una
discussione su questo tema con Massimo Cacciari, filosofo
marxista, con il quale ci interrogavamo su che cosa è la
solidarietà anche per chi non crede. E lui rispondeva: "E'
almeno questo, che nell'altro vedo qualcosa di me, e in me vedo
qualcosa dell'altro". E se poi questo altro, attraverso il
dono della fede, noi lo riconosciamo anche come la
"epifania", la manifestazione del volto misterioso di
Dio, allora io ho raggiunto la ragione per cui la relazione
diventa profonda. Una relazione diventa autentica quando nel
volto dell'altro colgo un riflesso del volto di Gesù.
E questo può essere
vissuto in ogni momento della quotidianità; è chiaro che è
vissuto di più quando la relazione diventa sacrificio, fare
qualcosa che ci costa per l'altro fino alla gratuità, fino al
perdono; è qui che la relazione diventa profonda. Quando
entrano in gioco gratuità e perdono siamo certi che la nostra
relazione ha un significato costruttivo e un valore eterno.
Credo che così noi
dobbiamo crescere e educarci alla vera cultura dell'accoglienza,
non soltanto con progetti generici, ma intuendo in ciascun altro
un riflesso del volto di Gesù. Sono contento che questa domanda
abbia menzionato la cultura dell'accoglienza; proprio oggi,
riflettevo su questo tema con una personalità della cultura e
della politica che conosce molto bene l'ambito nel quale
viviamo, il quale lamentava che la vera cultura dell'accoglienza
è ancora lontana da noi, e che noi non sappiamo accogliere
veramente. Ci sono società più povere, regioni più povere,
che accolgono molto di più, e quindi certamente questo è un
motivo per un grosso esame di coscienza.
Il secondo tema che
avete toccato è quello della testimonianza: "come essere
testimoni credibili?". Essere testimoni credibili significa
anzitutto essere mandati a testimoniare. La nostra testimonianza
si fonda sulle parole di Gesù: "Sarete miei
testimoni!", e si fonda anche su quell'altra parola detta
dagli apostoli, riportata negli Atti degli Apostoli: "Non
possiamo non raccontare ciò che abbiamo veduto e
sperimentato".
Quindi la
testimonianza, per essere credibile, deve partire da una qualche
esperienza, per esempio quella di cui parlavo prima, riferendomi
all'educazione: se la Parola di Dio mi penetra nel cuore e mi
porta a decisioni concrete, io divento un testimone perché
posso parlare per esperienza, partendo da ciò che ho dentro.
Non è quindi necessario aspettare chissà quale momento facile
nella società per essere testimoni. E' inutile lamentarsi che
la società oggi ha pochi testimoni, pochi maestri. Ciascuno di
noi è chiamato in ogni azione, anche la più semplice, ad
essere testimone.
Quando ci convinciamo
che la nostra giornata è ricca di possibilità, di decisioni
serie, anche semplici, allora siamo testimoni dal mattino alla
sera. Siamo testimoni tutte le volte che usciamo dalle nostre
comodità, dalle nostre pigrizie; tutte le volte che mettiamo un
po' in gioco noi stessi per servire altri; tutte le volte che
compiamo qualche atto con vera gratuità e non per riceverne
gratificazione; tutte le volte che perdoniamo di cuore; tutte le
volte che lasciamo cadere i pensieri di invidia, di pessimismo,
di malumore; tutte le volte che cerchiamo di giudicare il
prossimo con amore e tutte le volte che cerchiamo di giudicare
senza pessimismo, ma piuttosto con qualche ottimismo il mondo
che ci sta intorno. Ecco, tutte queste sono testimonianze.
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FUTURO/GIOVANI
* Di fronte alle
sempre più evidenti crisi dei tradizionali strumenti di
Pastorale, dal Catechismo dell'iniziazione cristiana
all'Oratorio all'Azione Cattolica, come dobbiamo comportarci
noi che in queste istituzioni siamo cresciuti, ci siamo
formati, e nelle quali ancora crediamo? Dobbiamo rassegnarci
alla resa dovuta all'inevitabile declino della loro validità
nel tempo? O dobbiamo cercare di riproporle in modo
rinnovato? E se così, verso quale direzione?
* Come si immagina
la Chiesa tra cinauanta anni? Quali "urgenze" e
quali "atteggiamenti" dovrà maggiormente curare
un giovane credente? Quali "segni testimoniali"
potrebbero apparire più efficaci?
* Pastorale del
futuro e futuro dell'Oratorio: come giudica la disaffezione,
il disinteresse e l'indifferenza?
* Quali cambiamenti
evidenti nei giovani oggi e in quali direzioni?
Proposta:
i cambiamenti nei giovani di oggi sono sempre più evidenti e
la disaffezione, il disinteresse e l'indifferenza sono
problematiche quotidiane. I tradizionali strumenti di
Pastorale, dal Catechismo dell'iniziazione cristiana
all'Oratorio all'Azione Cattolica, sono di fronte ad una
evidente crisi: come dobbiamo comportarci noi che in queste
istituzioni siamo cresciuti, ci siamo formati, e nelle quali
ancora crediamo? Dobbiamo rassegnarci alla resa dovuta
all'inevitabile declino della loro validità nel tempo? O
dobbiamo cercare di riproporle in modo rinnovato? E se è così,
quali "urgenze" e quali "atteggiamenti"
dobbiamo maggiormente curare? Quali "segni
testimoniali" possono apparire più efficaci? E infine,
pensando al domani, come si immagina la Chiesa tra cinquanta
anni e quale sarà la pastorale del futuro e il futuro
dell'Oratorio?
La terza serie di
domande, anch'essa molto ricca e complessa, riguarda il futuro,
i giovani, i cambiamenti di oggi addirittura negli strumenti
tradizionali di pastorale, catechismo, oratorio, azione
cattolica…crisi di tutte queste cose...Che senso ha tutto ciò?
Io non nego che ci
siano anche delle situazioni di crisi, anche se grazie a Dio noi
viviamo rispetto ad altre realtà e situazioni del mondo
occidentale, in una realtà di cristianesimo vissuto che è
ancora ricca di forze straordinarie, e io ne ho tanti esempi
continuamente. Tuttavia noi non dobbiamo partire soltanto dalle
circostanze di crisi che ci stanno attorno, ma credere
fermamente che se il Signore ci ha posto a vivere qui, in questa
situazione di Chiesa, è perché in essa possiamo santificarci,
servire Dio e il Vangelo, proclamarlo, essere personalità
evangeliche fino in fondo, quindi la forza, la certezza nella
grazia di Dio giorno per giorno è ciò che ci deve sostenere
continuamente.
Ma allora - la domanda
incalza - quali urgenze, quali atteggiamenti dobbiamo
maggiormente curare? Ecco, io credo che tali atteggiamenti sono
soprattutto due: la gratuità e il perdono. Quando questi
atteggiamenti emergono, noi stiamo vivendo autenticamente e
diamo segni di testimonianza efficaci; non c'è bisogno di
andare molto lontano per trovare ricordi di persone in mezzo a
noi che danno esempio di gratuità e di perdono, che danno
esempio di dimenticanza di sé e attuano veramente un'immagine
autentica di Chiesa.
E ancora la domanda
incalza: quale sarà il domani, come si immagina la Chiesa fra
cinquanta anni, quale sarà la pastorale del futuro e il futuro
dell'oratorio?
Io rispondo onestamente
che non lo so, perché noi abbiamo visto in questo scorsi non
cinquanta anni ma dieci o venti anni quante cose sono cambiate
immensamente nella cultura, nella politica, nelle ideologie, nei
grandi scontri internazionali; quante sorprese, quante
sofferenze impreviste, nella ex-Jugoslavia, nel Kosovo, nel
Centro Africa. Quante nuove situazioni che non rispondono per
nulla a quelle che si appesantivano venti o trenta anni fa –
pensiamo ai due blocchi d'occidente e d'oriente -, tutto è
cambiato, e fra cinquanta anni molto di nuovo sarà cambiato. Ma
allora, come immagino la Chiesa?
Immagino una Chiesa
che, affidata allo Spirito Santo, avrà continuamente la
scioltezza per rispondere ai nuovi problemi e per aiutare la
gente a vivere fede, speranza e carità. Quindi è soprattutto
nella forza dello Spirito Santo che io confido; quello Spirito
che, dicevo all'inizio, è il protagonista fondamentale della
nostra educazione.
Devo dire che non mi
preoccupa il futuro: mi preoccupa il presente che noi non
sappiamo vivere con spirito di gratuità, di perdono, di
superamento del proprio egoismo, di vedute larghe e comprensive,
di un certo ottimismo nel giudicare le persone e le situazioni;
tutto questo prepara il futuro.
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ETICA E SOCIETA'
* La scienza ed il
progresso fanno passi da gigante. Fino a che punto si deve e
si può spingere l'uomo? Esiste una morale oggettiva,
condivisa da tutte le religioni?
* Come le
istituzioni ecclesiali e la coscienza personale sono
chiamate a comportarsi nella sfera complessa, e talvolta
ambigua, dell'economia, della grande finanza, dello
spostamento di grossi capitali? Quali "tentazioni,
quali "rischi" – al di là delle sue stesse
intenzioni – può incontrare la Chiesa, chiamata da Dio ad
essere povera?
* Non crede che la
Chiesa sia chiamata in un prossimo futuro a limitare alcune
forme di rigidità etica? Non crede che si dovrà
comprendere con più realismo – e secondo proposte
maggiormente praticabili – questioni delicate quali: la
fecondazione artificiale, lo stato delle coppie di fatto, la
possibilità di fare uso di contraccettivi di fronte ad una
piaga come l'AIDS?
Proposta:
La Chiesa ed i cristiani non sono estranei alle evoluzioni
della scienza e del progresso e alla crescita della complessa
realtà economica. Non crede che la Chiesa in un prossimo
futuro sarà chiamata ad aprirsi ad alcune problematiche
sociali quali la fecondazione artificiale, lo stato delle
coppie di fatto, la possibilità di fare uso di contraccettivi
di fronte ad una piaga come l'AIDS? Ma allo stesso tempo come
potrà rimanere "rigida" di fronte alle
"tentazioni" e ai "rischi" legati alla
grande finanza e allo spostamento di grossi capitali?
L'ultima serie di
domande, anch'esse molto pesanti, cioè molto dense, riguarda il
tema "Etica e Società".
Non crede che la Chiesa
in un prossimo futuro sarà chiamata ad aprirsi ad alcune
problematiche sociali quali la fecondazione artificiale, le
coppie di fatto, i contraccettivi per l'AIDS, etc. …?
Ecco, sì, qui il
discorso verrebbe lungo, ma la Chiesa anzitutto non ha
necessariamente una sua morale che quasi sia la morale della
Chiesa rispetto ad altre.
La Chiesa fonda tutta
la sua morale sulla dignità della persona, e tutto è in difesa
e in promozione della dignità della persona. E' chiaro che la
Chiesa legge la dignità della persona alla luce della persona
di Cristo, del volto di Cristo nell'altro, e quindi può
esprimere con molta più forza alcune esigenze etiche, ma sono
le stesse per ogni uomo e ogni donna di questo mondo.
Ciò che noi dobbiamo
proclamare non è una dottrina morale della Chiesa più rigida
di altre dottrine morali, ma il primato della persona e della
sua dignità a cui ogni uomo deve sottostare se vuole
sopravvivere.
Noi tutti sappiamo
molto bene che se la tecnologia sfrenata al servizio del
capitale, del guadagno e del profitto diventa dominante,
l'umanità uccide se stessa. Quando il primo valore è la dignità
dell'uomo, l'umanità cresce, accetta certi limiti, non perché
sono limiti ma perché sono una maniera di proclamare la dignità
della persona, e quindi la Chiesa non può che rimanere, non
dico ferma, ma "di diamante" su questi temi, facendo
capire alla gente con la forza del diamante che solo così si
salva la dignità della persona.
E questa forza della
Chiesa, che il papa Giovanni Paolo II° manifesta così bene nel
salvare la dignità della persona, è pienamente compatibile con
molto amore, molta misericordia, molta pazienza, molta attesa,
con l'aiutare ciascuno a capire che cosa può fare, quale passo
in più "perché la tua dignità meglio si affermi e perché
tu serva meglio la dignità di un altro".
Ecco, questa è la
forza della Chiesa, la forza del Vangelo che proclama la dignità
dell'uomo amato da Dio, redento da Gesù e abitato dallo Spirito
Santo. Però anche chi non proclama queste cose (io lo vedo in
coloro che vogliono essere pensosi sulle sorti dell'umanità
anche senza essere credenti), anche chi non crede giunge a
comprendere che la dignità della persona è da rispettare in
ogni caso e da promuovere sempre. E qui non si fanno sconti.
Tutto ciò che noi
facciamo in questo senso ci ricarica come persone umane, ci
rende autentici e ci rende capaci di esprimere una verità a cui
nessuno può contrastare perché non solo è buona ma è anche
bella; è un ideale di vita straordinario.
E allora rimettiamoci
in ascolto del brano della Scrittura, perché questo brano ci ha
detto che Dio non è necessariamente in tutto ciò che è
appariscente, nel tuono, nel fuoco, nel vento, nel terremoto: lo
si trova invece in maniera molto più profonda là dove si
rivela nell'intimo del cuore. Credo che possiamo metterci ancora
in ascolto di questa parola della Scrittura.
Anzitutto cerchiamo di
trarre una parola di sintesi da quanto abbiamo finora sentito o
vissuto, una parola di sintesi che ci invita a ripercorrere
brevemente la vicenda di Elia di cui abbiamo ascoltato qualche
brano, ma che comprende tutto il capitolo 19 del primo libro dei
Re.
Elia è una persona
lamentosa, una persona in fuga, una persona che ha paura della
società del suo tempo, e fugge lontano nel deserto, quindi
rappresenta veramente una persona smarrita, che dice: "ma
qui tutto cambia, tutto non è più come prima, non ce la faccio
più", si sente inutile, e arriva addirittura a dire quella
parola che suona così: "Prendimi, Signore, prendi la mia
vita, non sono migliore dei miei padri". Cioè: "Ho
criticato tanto coloro che sono venuti prima di me pensando di
saper fare chissà che cosa, ma adesso sono qui e mi accorgo che
posso fare molto poco e mi sento sconfitto".
Il racconto mostra come
Elia viene a poco a poco preso per mano dal Signore che gli fa
riconoscere che in quei fenomeni appariscenti, vittoriosi,
tracotanti, che egli avrebbe voluto, non si trova il Signore: lo
si trova nel silenzio, nella profondità, nel raccoglimento.
Ebbene io credo che
possiamo da qui trarre una parola conclusiva che voi avete già
messo come titolo di questo incontro: "Ritorna sui tuoi
passi", cioè "rileggi la tua vita quotidiana
considerando che in essa minuto dopo minuto tu hai straordinarie
occasioni per diventare una persona autentica e per rendere
testimonianza alla verità del Vangelo.
Non cercare situazioni
all'estremità del mondo, vivi la tua vita quotidiana con la
certezza che ogni minuto ti dà la possibilità di crescere
nella verità e nell'amore".
Vorrei sintetizzare
tutto questo con una parola ancora più semplice: "Siate
portatori di ottimismo, siatelo nelle comunità parrocchiali,
nell'oratorio, nella scuola, negli incontri, nelle diverse forme
di impegno caritativo, sociale, politico che vi attendono, siate
portatori di ottimismo" non nel senso di dire che questa
società è buona, perché lo è molto poco, ma nel senso di
credere che "ogni istante noi possiamo costruire un
pezzetto di verità se ci impegniamo nelle relazioni
interpersonali uscendo da noi stessi e compiendo atti di gratuità,
di perdono, di dono di sé, di sacrificio".
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CONCLUSIONE
Questa
parola molto semplice vorrei che vi rimanesse nel cuore, siate
testimoni di ottimismo, portatelo in particolare nella nostra
Chiesa che ha delle ricchezze straordinarie e delle possibilità
immense se ciascuno si decide a far fruttare il piccolo tesoro
che ha nel cuore, minuto dopo minuto.
Ve
lo lascio come ricordo e chiedo che voi preghiate anche per me,
perché anche io possa rendere testimonianza minuto per minuto
alla verità del Vangelo.
Chiedo al
Signore di benedire ciascuno di voi, di benedire i vostri
cammini e soprattutto di benedire le vostre scelte di vita;
soprattutto gli chiedo di benedire quelli di voi che hanno in
animo di compiere scelte coraggiose nella loro vita, per la loro
esistenza, e poi di benedire le vostre famiglie, le vostre
parrocchie, le vostre comunità e tutto questo decanato.
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