Cardinal Martini.jpg (3411 byte)Incontro dell'Arcivescovo Carlo Maria Martini con i Giovani del Decanato di SaronnoGraficaLineacolorata.gif (4535 byte)

Centro giovanile mons. Ugo Ronchi - Saronno - 30 maggio 2000

IN ASCOLTO DELLA PAROLA

Dal Primo libro dei Re [1Re 19, 11-15]

In quel tempo fu detto a Elia: "Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore".

Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu un mormorio di vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna.

Ed ecco, sentì una voce che gli diceva:"Che fai qui, Elia?". Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la Tua alleanza, hanno demolito i Tuoi altari, hanno ucciso di spada i Tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita".

Il Signore gli disse: "Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco…".

 

INTERVENTO DELL'ARCIVESCOVO

   Vorrei esprimere un saluto cordiale a tutti voi che siete qui questa sera.

   Vi ringrazio per questa vostra presenza; guardandovi, vedendo qua davanti a me i vostri nomi, mi ricordo degli incontri che già abbiamo avuto nelle visite pastorali con parecchi di voi nelle vostre parrocchie.

   E vi ringrazio di esservi radunati ancora, questa sera, qui, per un momento comune di riflessione, di preghiera, di approfondimento; se vogliamo, anche di ricerca profonda della nostra verità, della verità che è in ciascuno di noi.

   Vi ho poi visti, in particolare parecchi di voi, tra coloro che avevano organizzato e gestito la Via Crucis, che è stata molto impressionante per me, nella sera del Venerdì Santo: ho visto come tanti di voi hanno collaborato a vivere questo momento forte.

   Vi ringrazio per come vi siete preparati anche all'incontro di questa sera, e per le domande che avete fatto emergere, che sono in realtà tante e dense; mi sento persino un po' smarrito di fronte al peso di queste domande, quindi mi scuserete se non posso rispondervi se non un po' a flash: ciascuno di questi argomenti meriterebbe un approfondimento più grande.

   Avete toccato con le vostre domande quattro temi: il tema dell'educazione, il tema della missionarietà, il tema del futuro in particolare dei giovani e il tema dell'etica e della società.

  Riprenderemo uno per uno questi argomenti, ma anzitutto vorrei partire da quella bellissima pagina del libro dei Re, che è stata evocata anche con una coreografia all'inizio.

   E' una pagina, che ricordo, io leggevo fin da ragazzo con molta passione; ci trovavo dentro tanto, e ancora oggi mi impressiona molto, là dove in risposta alla domanda: "Dove è Dio?", si risponde: "Non è nel vento impetuoso, non è nel terremoto, non è nel fuoco", cioè non è in nessun fenomeno appariscente - almeno questo è detto in quella occasione ad Elia -, e quindi bisogna cercarlo più nel profondo.

E anche le risposte alle vostre domande non possono essere appariscenti, non possono indicare delle evidenze plateali, ma sono da cercare nel fondo del nostro cuore.

(le risposte del vescovo sono precedute dalle domande preparate dai giovani della Consulta decanale di Pastorale Giovanile per questa occasione). 

 

EDUCAZIONE

*La società è molto forte e capace di impegnare i ragazzi con diverse attività. Come è possibile focalizzarle? Quali sono gli strumenti che la Chiesa può utilizzare per avvicinarsi di più? Come si può chiedere di seguirci nell'avventura senza "obbligare", e comunque senza chiedere tanta fatica? La società, forse, ne chiede meno e attira di più: siamo forse "scemi"?

*La famiglia delega alle istituzioni il ruolo educativo e vive la figura di "assistente". Come può la Chiesa aiutare la famiglia a riassumersi il ruolo che le è proprio?

Proposta:I ragazzi sono i protagonisti dell'educazione in ogni ambito: sociale, familiare e cristiano. La società attrae i giovani con una miriade di iniziative avventurose e divertenti; la famiglia delega alle istituzioni il ruolo educativo e vive solo una figura di assistente nella crescita dei ragazzi. E la Chiesa che ruolo deve avere? Come può interessare la vita di un giovane, catturarne l'attenzione senza obbligarlo, senza chiedergli troppo impegno e fatica e senza sostituirsi al ruolo delle altre istituzioni educative?

Dunque veniamo alla prima serie di domande che riguarda il tema dell'educazione e che comincia con una parola che mi piace molto: "i ragazzi sono i protagonisti dell'educazione". E' una verità fondamentale e ciascuno di noi è protagonista della propria educazione. Potremmo dire che tre sono i protagonisti dell'educazione, anzitutto ciascuno di voi, ciascun giovane il quale deve giungere al momento in cui decide da sé che cosa fare di sé e della sua vita. Questo è il punto nodale di tutto il cammino educativo. E per questo voi vedete che io guardo con un certo scetticismo a quanto giustamente viene detto poi.

E' stato detto nella domanda: "la società attrae i giovani con una miriade di iniziative avventurose e divertenti". Finché ci lasciamo attrarre non troveremo mai noi stessi. Finché siamo vittime di queste attrattive non giungeremo mai a quelle decisioni su noi stessi che sono la nostra realizzazione autentica, che sono il punto nodale del cammino educativo; quindi l'educazione non è fatta attraendo piuttosto di qua che di là, ma aiutando ciascuno a scendere dentro di sé, a dire: "io che cosa voglio fare responsabilmente di me stesso?" Questo è il punto nodale di ogni cammino educativo.

 

E però c'è un secondo protagonista che è lo Spirito Santo, ovverosia - diciamolo in maniera più semplice - il nostro cuore, in quanto il nostro cuore riflette le grandi domande e le grandi proposte dello Spirito Santo, e questa grande domanda fondamentale che è nel nostro cuore può essere espressa in maniera molto semplice: "Che cosa mi fa veramente contento? Che cosa mi dà veramente pace, gioia, serenità, soddisfazione profonda?"

 

Ecco, l'educazione ha il coraggio di farsi queste domande, di non dire: "corri dietro a questo, o a questo o a quest'altro", pensando che alla fine, facendo molte esperienze, l'una o l'altra poi ti piacerà più di altre. L'educazione ci fa entrare nel nostro cuore per domandarci: "Che cosa mi dà veramente gioia?". E questa domanda è un toccare lo Spirito Santo che è dentro di noi. Quindi l'educazione ha due protagonisti fondamentali: me stesso e lo Spirito che mi parla nel cuore. All'infuori di questo, tutto il resto è aggiunta.

C'è però un terzo protagonista dell'educazione: ci sono dunque io stesso che devo decidere da me che cosa fare di me, c'è lo Spirito Santo che mi propone qualcosa che giova veramente alla mia pace, e poi c'è, potremmo dire, la figura dell'amico, cioè di colui che mi aiuta a rientrare in me stesso e a fare verità su di me. E questo amico ha molti volti: è la Parola di Dio, è la Chiesa, sono le realtà educative che noi stimiamo ed apprezziamo. Ecco, tutto questo come vedete non ha niente a che fare con le attrazioni della società che ci sono, ci saranno sempre, ci sono sempre state, ma non hanno mai educato nessuno. Come non educano nessuno le semplici proposte esteriori, le abitudini.

L'educazione parte dall'avere voluto decidere da sé che cosa fare di sé, nell'ascolto dello Spirito Santo e con la vicinanza di un amico che spesso è semplicemente - e può essere anche solo - la Parola di Dio, il Vangelo; questo amico mi fa rientrare veramente in me stesso, e la Chiesa assume anche questo ruolo di amicizia con persone, con istituzioni che però non risolvono il mio problema educativo ma mi sono di aiuto e di sostegno per entrare in me stesso e decidere che cosa fare di me.

Se questo è il cammino educativo, che cosa rispondere alla domanda: "Come può il cammino educativo interessare la vita di un giovane, catturarne l'attenzione senza obbligarlo, senza chiedergli troppo impegno e fatica?" Senza obbligarlo lo capisco, proprio perché ciascuno deve decidere liberamente di sé, ma senza chiedergli troppo impegno e fatica, questo non lo capisco, perché qui vale la Parola evangelica: "Se il chicco di frumento caduto in terra non muore, non produce frutto". Non giungiamo a decisioni autentiche su di noi senza rischiare e senza pagare qualche prezzo, quindi educare senza chiedere troppo impegno e fatica è un po' un'impossibilità.

Educare è proprio accettare di compiere qualche impegno o fatica per un motivo giusto che mi appare serio e tale da meritare il mio impegno e la mia fatica. Ecco come vedo il cammino educativo: capisco, la società farà sempre proposte strambe, proporrà sempre nuovi divertimenti, nuovi diversivi, ma io non giungerò mai attraverso questi a una vera realizzazione di me, se non entro in me stesso, se non ascolto la voce dello Spirito interiore e se non ascolto quella parola di amicizia che è la parola del Vangelo, la parola della Chiesa, che mi aiuta non a dirmi dall'esterno ciò che devo fare, ma a rientrare in me stesso e prendere quelle decisioni che danno l'indirizzo pieno alla mia esistenza.

Ecco, io vorrei che ciascuno si interrogasse e dicesse a se stesso: "quando mai mi sono interrogato su che cosa mi dice il cuore nel profondo, su che cosa veramente mi dà pace e gioia?". In quei momenti ho trovato davvero il cammino educativo, ho trovato davvero me stesso; e quindi non si educa attraverso semplici imposizioni esteriori, anche se per i bambini, per i ragazzi fino a una certa età è utile insistere su alcune cose perché non hanno ancora la capacità di fare scelte autonome, ma la vera educazione comincia quando io faccio alcune scelte autonome e le faccio per ciò che è vero, giusto, bello e buono, per ciò che ha una sua verità profonda, ascoltando lo Spirito Santo e ascoltando dall'esterno la parola della Chiesa e la parola del Vangelo.

Così noi giungiamo a decisioni educative forti; certo l'amicizia di educatori ci è molto utile, ma a niente giunge se non fa scattare dentro di noi quella libera scelta che è la radice della nostra vera dignità, la perla preziosa nascosta dentro di noi.

Vedete, sono risposte un pochino affrettate, ma voglio dirvi come io sento questo problema e come sento che la mia esperienza, che mi dà gioia, è andata in questa linea. Ciò che mi ha guidato non è stato il seguire l'uno o l'altro, l'una o l'altra attrattiva esteriore, ma il rientrare dentro, quindi il non lasciarmi spaventare né dal terremoto, né dal fuoco, né dal vento impetuoso, ma l'entrare dentro e domandarmi: che cosa voglio fare di me? Che cosa una parola amica come quella del Vangelo mi suggerisce? Che cosa una esperienza amica come quella della Chiesa mi aiuta a decidere?

 

 

MISSIONARIETA'

*In che modo possiamo portare la nostra testimonianza all'interno della scuola, nel rapporto con i nostri compagni e con i professori e nell'affrontare lo studio considerando che il clima scolastico non tiene conto delle domande di senso, di verità, di felicità che sono la struttura del nostro io?

*Che posizione dobbiamo assumere perché i rapporti di amicizia di cui facciamo esperienza nelle nostre comunità non siano basati sul puro sentimento ma siano un aiuto per appartenere alla Chiesa?

*Come potrebbe "educarsi" un giovane ad una vera cultura dell'accoglienza nell'accettazione delle diversità e nel superamento del sospetto? Quali atteggiamenti, quali scelte si dovrebbero favorire per alimentare una coscienza di solidarietà e di fratellanza? Come reinterpretare in questo senso la stessa "opera di Evangelizzazione" (la missionarietà) della Chiesa?

* Come essere testimoni credibili al giorno d'oggi?

Proposta: Sia in ambito scolastico che lavorativo i rapporti interpersonali rimangono sempre ad un livello superficiale, potremmo dire quasi empatico. Come può un giovane crescere e educarsi in modo nuovo alla vera cultura dell'accoglienza, ad accettare le diversità, a superare le semplici simpatie per sviluppare una coscienza della solidarietà, della fratellanza? Come essere testimoni credibili oggi e come reinterpretare e vivere l'attività di evangelizzazione e di missionarietà della Chiesa?

Vengo alla seconda serie di domande riguardanti la missionarietà; sia in ambito scolastico che lavorativo i rapporti interpersonali rimangono spesso a un livello superficiale. Come può un giovane crescere e educarsi in modo nuovo alla vera cultura dell'accoglienza, ad accettare le diversità, a superare la semplice simpatia per sviluppare una coscienza della solidarietà e della fratellanza? Come essere testimoni credibili?

Qui mi pare ci sono due grandi temi: primo, quello della relazione, e secondo, quello della testimonianza. La relazione si gioca quando io metto in gioco un po' me stesso con altri; e giustamente la domanda dice che molti rapporti interpersonali rimangono superficiali. Sì, perché non mi gioco mai personalmente. Ed è proprio di fronte alla persona diversa da accogliere, alla persona lontana da me per cultura o per abitudini che allora scatta la mia capacità di accogliere o di respingere. E' vero che molte relazioni quotidiane sono superficiali, ma è colpa nostra. In ogni relazione quotidiana io posso metterci qualcosa di serio e di autentico se semplicemente considero come l'altro è parte di me, e come nell'altro trovo qualcosa di me stesso. E questa è una semplice acquisizione umana che può avere anche un non-credente.

Ricordo una volta una discussione su questo tema con Massimo Cacciari, filosofo marxista, con il quale ci interrogavamo su che cosa è la solidarietà anche per chi non crede. E lui rispondeva: "E' almeno questo, che nell'altro vedo qualcosa di me, e in me vedo qualcosa dell'altro". E se poi questo altro, attraverso il dono della fede, noi lo riconosciamo anche come la "epifania", la manifestazione del volto misterioso di Dio, allora io ho raggiunto la ragione per cui la relazione diventa profonda. Una relazione diventa autentica quando nel volto dell'altro colgo un riflesso del volto di Gesù.

E questo può essere vissuto in ogni momento della quotidianità; è chiaro che è vissuto di più quando la relazione diventa sacrificio, fare qualcosa che ci costa per l'altro fino alla gratuità, fino al perdono; è qui che la relazione diventa profonda. Quando entrano in gioco gratuità e perdono siamo certi che la nostra relazione ha un significato costruttivo e un valore eterno.

Credo che così noi dobbiamo crescere e educarci alla vera cultura dell'accoglienza, non soltanto con progetti generici, ma intuendo in ciascun altro un riflesso del volto di Gesù. Sono contento che questa domanda abbia menzionato la cultura dell'accoglienza; proprio oggi, riflettevo su questo tema con una personalità della cultura e della politica che conosce molto bene l'ambito nel quale viviamo, il quale lamentava che la vera cultura dell'accoglienza è ancora lontana da noi, e che noi non sappiamo accogliere veramente. Ci sono società più povere, regioni più povere, che accolgono molto di più, e quindi certamente questo è un motivo per un grosso esame di coscienza.

Il secondo tema che avete toccato è quello della testimonianza: "come essere testimoni credibili?". Essere testimoni credibili significa anzitutto essere mandati a testimoniare. La nostra testimonianza si fonda sulle parole di Gesù: "Sarete miei testimoni!", e si fonda anche su quell'altra parola detta dagli apostoli, riportata negli Atti degli Apostoli: "Non possiamo non raccontare ciò che abbiamo veduto e sperimentato".

Quindi la testimonianza, per essere credibile, deve partire da una qualche esperienza, per esempio quella di cui parlavo prima, riferendomi all'educazione: se la Parola di Dio mi penetra nel cuore e mi porta a decisioni concrete, io divento un testimone perché posso parlare per esperienza, partendo da ciò che ho dentro. Non è quindi necessario aspettare chissà quale momento facile nella società per essere testimoni. E' inutile lamentarsi che la società oggi ha pochi testimoni, pochi maestri. Ciascuno di noi è chiamato in ogni azione, anche la più semplice, ad essere testimone.

Quando ci convinciamo che la nostra giornata è ricca di possibilità, di decisioni serie, anche semplici, allora siamo testimoni dal mattino alla sera. Siamo testimoni tutte le volte che usciamo dalle nostre comodità, dalle nostre pigrizie; tutte le volte che mettiamo un po' in gioco noi stessi per servire altri; tutte le volte che compiamo qualche atto con vera gratuità e non per riceverne gratificazione; tutte le volte che perdoniamo di cuore; tutte le volte che lasciamo cadere i pensieri di invidia, di pessimismo, di malumore; tutte le volte che cerchiamo di giudicare il prossimo con amore e tutte le volte che cerchiamo di giudicare senza pessimismo, ma piuttosto con qualche ottimismo il mondo che ci sta intorno. Ecco, tutte queste sono testimonianze.

FUTURO/GIOVANI

* Di fronte alle sempre più evidenti crisi dei tradizionali strumenti di Pastorale, dal Catechismo dell'iniziazione cristiana all'Oratorio all'Azione Cattolica, come dobbiamo comportarci noi che in queste istituzioni siamo cresciuti, ci siamo formati, e nelle quali ancora crediamo? Dobbiamo rassegnarci alla resa dovuta all'inevitabile declino della loro validità nel tempo? O dobbiamo cercare di riproporle in modo rinnovato? E se così, verso quale direzione?

* Come si immagina la Chiesa tra cinauanta anni? Quali "urgenze" e quali "atteggiamenti" dovrà maggiormente curare un giovane credente? Quali "segni testimoniali" potrebbero apparire più efficaci?

* Pastorale del futuro e futuro dell'Oratorio: come giudica la disaffezione, il disinteresse e l'indifferenza?

* Quali cambiamenti evidenti nei giovani oggi e in quali direzioni?

Proposta: i cambiamenti nei giovani di oggi sono sempre più evidenti e la disaffezione, il disinteresse e l'indifferenza sono problematiche quotidiane. I tradizionali strumenti di Pastorale, dal Catechismo dell'iniziazione cristiana all'Oratorio all'Azione Cattolica, sono di fronte ad una evidente crisi: come dobbiamo comportarci noi che in queste istituzioni siamo cresciuti, ci siamo formati, e nelle quali ancora crediamo? Dobbiamo rassegnarci alla resa dovuta all'inevitabile declino della loro validità nel tempo? O dobbiamo cercare di riproporle in modo rinnovato? E se è così, quali "urgenze" e quali "atteggiamenti" dobbiamo maggiormente curare? Quali "segni testimoniali" possono apparire più efficaci? E infine, pensando al domani, come si immagina la Chiesa tra cinquanta anni e quale sarà la pastorale del futuro e il futuro dell'Oratorio?

La terza serie di domande, anch'essa molto ricca e complessa, riguarda il futuro, i giovani, i cambiamenti di oggi addirittura negli strumenti tradizionali di pastorale, catechismo, oratorio, azione cattolica…crisi di tutte queste cose...Che senso ha tutto ciò?

Io non nego che ci siano anche delle situazioni di crisi, anche se grazie a Dio noi viviamo rispetto ad altre realtà e situazioni del mondo occidentale, in una realtà di cristianesimo vissuto che è ancora ricca di forze straordinarie, e io ne ho tanti esempi continuamente. Tuttavia noi non dobbiamo partire soltanto dalle circostanze di crisi che ci stanno attorno, ma credere fermamente che se il Signore ci ha posto a vivere qui, in questa situazione di Chiesa, è perché in essa possiamo santificarci, servire Dio e il Vangelo, proclamarlo, essere personalità evangeliche fino in fondo, quindi la forza, la certezza nella grazia di Dio giorno per giorno è ciò che ci deve sostenere continuamente.

Ma allora - la domanda incalza - quali urgenze, quali atteggiamenti dobbiamo maggiormente curare? Ecco, io credo che tali atteggiamenti sono soprattutto due: la gratuità e il perdono. Quando questi atteggiamenti emergono, noi stiamo vivendo autenticamente e diamo segni di testimonianza efficaci; non c'è bisogno di andare molto lontano per trovare ricordi di persone in mezzo a noi che danno esempio di gratuità e di perdono, che danno esempio di dimenticanza di sé e attuano veramente un'immagine autentica di Chiesa.

E ancora la domanda incalza: quale sarà il domani, come si immagina la Chiesa fra cinquanta anni, quale sarà la pastorale del futuro e il futuro dell'oratorio?

Io rispondo onestamente che non lo so, perché noi abbiamo visto in questo scorsi non cinquanta anni ma dieci o venti anni quante cose sono cambiate immensamente nella cultura, nella politica, nelle ideologie, nei grandi scontri internazionali; quante sorprese, quante sofferenze impreviste, nella ex-Jugoslavia, nel Kosovo, nel Centro Africa. Quante nuove situazioni che non rispondono per nulla a quelle che si appesantivano venti o trenta anni fa – pensiamo ai due blocchi d'occidente e d'oriente -, tutto è cambiato, e fra cinquanta anni molto di nuovo sarà cambiato. Ma allora, come immagino la Chiesa?

Immagino una Chiesa che, affidata allo Spirito Santo, avrà continuamente la scioltezza per rispondere ai nuovi problemi e per aiutare la gente a vivere fede, speranza e carità. Quindi è soprattutto nella forza dello Spirito Santo che io confido; quello Spirito che, dicevo all'inizio, è il protagonista fondamentale della nostra educazione.

Devo dire che non mi preoccupa il futuro: mi preoccupa il presente che noi non sappiamo vivere con spirito di gratuità, di perdono, di superamento del proprio egoismo, di vedute larghe e comprensive, di un certo ottimismo nel giudicare le persone e le situazioni; tutto questo prepara il futuro.

 

ETICA E SOCIETA'

 

* La scienza ed il progresso fanno passi da gigante. Fino a che punto si deve e si può spingere l'uomo? Esiste una morale oggettiva, condivisa da tutte le religioni?

* Come le istituzioni ecclesiali e la coscienza personale sono chiamate a comportarsi nella sfera complessa, e talvolta ambigua, dell'economia, della grande finanza, dello spostamento di grossi capitali? Quali "tentazioni, quali "rischi" – al di là delle sue stesse intenzioni – può incontrare la Chiesa, chiamata da Dio ad essere povera?

* Non crede che la Chiesa sia chiamata in un prossimo futuro a limitare alcune forme di rigidità etica? Non crede che si dovrà comprendere con più realismo – e secondo proposte maggiormente praticabili – questioni delicate quali: la fecondazione artificiale, lo stato delle coppie di fatto, la possibilità di fare uso di contraccettivi di fronte ad una piaga come l'AIDS?

Proposta: La Chiesa ed i cristiani non sono estranei alle evoluzioni della scienza e del progresso e alla crescita della complessa realtà economica. Non crede che la Chiesa in un prossimo futuro sarà chiamata ad aprirsi ad alcune problematiche sociali quali la fecondazione artificiale, lo stato delle coppie di fatto, la possibilità di fare uso di contraccettivi di fronte ad una piaga come l'AIDS? Ma allo stesso tempo come potrà rimanere "rigida" di fronte alle "tentazioni" e ai "rischi" legati alla grande finanza e allo spostamento di grossi capitali?

L'ultima serie di domande, anch'esse molto pesanti, cioè molto dense, riguarda il tema "Etica e Società".

Non crede che la Chiesa in un prossimo futuro sarà chiamata ad aprirsi ad alcune problematiche sociali quali la fecondazione artificiale, le coppie di fatto, i contraccettivi per l'AIDS, etc. …?

Ecco, sì, qui il discorso verrebbe lungo, ma la Chiesa anzitutto non ha necessariamente una sua morale che quasi sia la morale della Chiesa rispetto ad altre.

La Chiesa fonda tutta la sua morale sulla dignità della persona, e tutto è in difesa e in promozione della dignità della persona. E' chiaro che la Chiesa legge la dignità della persona alla luce della persona di Cristo, del volto di Cristo nell'altro, e quindi può esprimere con molta più forza alcune esigenze etiche, ma sono le stesse per ogni uomo e ogni donna di questo mondo.

Ciò che noi dobbiamo proclamare non è una dottrina morale della Chiesa più rigida di altre dottrine morali, ma il primato della persona e della sua dignità a cui ogni uomo deve sottostare se vuole sopravvivere.

Noi tutti sappiamo molto bene che se la tecnologia sfrenata al servizio del capitale, del guadagno e del profitto diventa dominante, l'umanità uccide se stessa. Quando il primo valore è la dignità dell'uomo, l'umanità cresce, accetta certi limiti, non perché sono limiti ma perché sono una maniera di proclamare la dignità della persona, e quindi la Chiesa non può che rimanere, non dico ferma, ma "di diamante" su questi temi, facendo capire alla gente con la forza del diamante che solo così si salva la dignità della persona.

E questa forza della Chiesa, che il papa Giovanni Paolo II° manifesta così bene nel salvare la dignità della persona, è pienamente compatibile con molto amore, molta misericordia, molta pazienza, molta attesa, con l'aiutare ciascuno a capire che cosa può fare, quale passo in più "perché la tua dignità meglio si affermi e perché tu serva meglio la dignità di un altro".

Ecco, questa è la forza della Chiesa, la forza del Vangelo che proclama la dignità dell'uomo amato da Dio, redento da Gesù e abitato dallo Spirito Santo. Però anche chi non proclama queste cose (io lo vedo in coloro che vogliono essere pensosi sulle sorti dell'umanità anche senza essere credenti), anche chi non crede giunge a comprendere che la dignità della persona è da rispettare in ogni caso e da promuovere sempre. E qui non si fanno sconti.

Tutto ciò che noi facciamo in questo senso ci ricarica come persone umane, ci rende autentici e ci rende capaci di esprimere una verità a cui nessuno può contrastare perché non solo è buona ma è anche bella; è un ideale di vita straordinario.

E allora rimettiamoci in ascolto del brano della Scrittura, perché questo brano ci ha detto che Dio non è necessariamente in tutto ciò che è appariscente, nel tuono, nel fuoco, nel vento, nel terremoto: lo si trova invece in maniera molto più profonda là dove si rivela nell'intimo del cuore. Credo che possiamo metterci ancora in ascolto di questa parola della Scrittura.

Anzitutto cerchiamo di trarre una parola di sintesi da quanto abbiamo finora sentito o vissuto, una parola di sintesi che ci invita a ripercorrere brevemente la vicenda di Elia di cui abbiamo ascoltato qualche brano, ma che comprende tutto il capitolo 19 del primo libro dei Re.

Elia è una persona lamentosa, una persona in fuga, una persona che ha paura della società del suo tempo, e fugge lontano nel deserto, quindi rappresenta veramente una persona smarrita, che dice: "ma qui tutto cambia, tutto non è più come prima, non ce la faccio più", si sente inutile, e arriva addirittura a dire quella parola che suona così: "Prendimi, Signore, prendi la mia vita, non sono migliore dei miei padri". Cioè: "Ho criticato tanto coloro che sono venuti prima di me pensando di saper fare chissà che cosa, ma adesso sono qui e mi accorgo che posso fare molto poco e mi sento sconfitto".

Il racconto mostra come Elia viene a poco a poco preso per mano dal Signore che gli fa riconoscere che in quei fenomeni appariscenti, vittoriosi, tracotanti, che egli avrebbe voluto, non si trova il Signore: lo si trova nel silenzio, nella profondità, nel raccoglimento.

Ebbene io credo che possiamo da qui trarre una parola conclusiva che voi avete già messo come titolo di questo incontro: "Ritorna sui tuoi passi", cioè "rileggi la tua vita quotidiana considerando che in essa minuto dopo minuto tu hai straordinarie occasioni per diventare una persona autentica e per rendere testimonianza alla verità del Vangelo.

Non cercare situazioni all'estremità del mondo, vivi la tua vita quotidiana con la certezza che ogni minuto ti dà la possibilità di crescere nella verità e nell'amore".

Vorrei sintetizzare tutto questo con una parola ancora più semplice: "Siate portatori di ottimismo, siatelo nelle comunità parrocchiali, nell'oratorio, nella scuola, negli incontri, nelle diverse forme di impegno caritativo, sociale, politico che vi attendono, siate portatori di ottimismo" non nel senso di dire che questa società è buona, perché lo è molto poco, ma nel senso di credere che "ogni istante noi possiamo costruire un pezzetto di verità se ci impegniamo nelle relazioni interpersonali uscendo da noi stessi e compiendo atti di gratuità, di perdono, di dono di sé, di sacrificio".

 

CONCLUSIONE

   Questa parola molto semplice vorrei che vi rimanesse nel cuore, siate testimoni di ottimismo, portatelo in particolare nella nostra Chiesa che ha delle ricchezze straordinarie e delle possibilità immense se ciascuno si decide a far fruttare il piccolo tesoro che ha nel cuore, minuto dopo minuto.

  Ve lo lascio come ricordo e chiedo che voi preghiate anche per me, perché anche io possa rendere testimonianza minuto per minuto alla verità del Vangelo.

  Chiedo al Signore di benedire ciascuno di voi, di benedire i vostri cammini e soprattutto di benedire le vostre scelte di vita; soprattutto gli chiedo di benedire quelli di voi che hanno in animo di compiere scelte coraggiose nella loro vita, per la loro esistenza, e poi di benedire le vostre famiglie, le vostre parrocchie, le vostre comunità e tutto questo decanato.

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