" Lungo i sentieri della follia"

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Arte

Arte e follia

L’ipotesi che la componente essenziale dell’esperienza artistica sia la follia potrebbe sembrare scontata, se non altro perché nei detti popolari l’artista si configura come un “individuo che non rientra nella norma”, un diverso, soprattutto un pazzo. Ma i critici e i biografi sono stati sempre pronti a smentire questa asserzione, per mettere in luce l’aspetto razionale e l’equilibrio dell’artista che ha sempre camminato sul filo di un immaginario di perfezione.

In verità il rapporto tra arte e follia è stato più volte preso in esame: esiste una vasta letteratura in merito che conferma quella “devianza” dalla norma, che inserisce l’artista nell’ambito di una vera e propria patologia. Seneca diceva. “Nessun ingegno grande fu mai senza mistura di pazzia”.

Sono stati condotti molti studi sull’arte psicotica attraverso l’analisi di opere di alcuni psicopatici internati in ospedali o in cliniche psichiatriche, schizofrenici che vivono in un perpetuo mutismo o altri alienati la cui unica espressione è la pittura, poiché hanno saputo trasformare la fantasia malata in un atto creativo. Per queste persone la pittura ha rappresentato uno sfogo per liberare le fantasie, le ansie depressive e maniacali.

Sembra possibile supporre che i colori siano stati uno straordinario mezzo espressivo per rompere l’isolamento interiore. In altri termini l’arte, per questa gente ha rappresentato una vera e propria terapia.

Le ricerche effettuate su questo argomento non convergono tuttavia sull’equazione arte = terapia.

L’artista infatti non è un alienato, uno psicotico, uno schizofrenico o comunque un malato di mente che affonda la propria patologia nello stato di incoscienza.

Egli è un malato “lucido”, cioè perfettamente cosciente, consapevole di quanto avviene dentro la propria psiche: il suo malessere si insedia esclusivamente nell’ambito della nevrosi d’ansia.

Proust aveva intuito che “quanto c’è al mondo di grande è opera di nevrotici. Essi soli hanno fondato le religioni e dato vita ai nostri capolavori”. Infatti il genio, il grande artista, non nasce da una psicopatia , ma, al contrario, le dinamiche cerebrali insite nella sua mente “diversa”, possono portare il genio a toccare lo stadio della patologia e della follia, come è successo ad esempio a Van Gogh.

Per l’artista, che è appunto un malato “lucido”, l’arte, cioè la creazione dell’opera d’arte, rappresenta solo un mezzo ai fini del raggiungimento di un appagamento interiore, ossia di quel consenso da parte di critici e pubblico che si chiama successo.

Pertanto l’arte sarà solo una scarica dell’emotività dell’artista, quindi una pseudo-terapia, mentre sarà il successo a rappresentare il vero sblocco di tutte le tensioni e la scarica delle energie, quindi l’autentica terapia.

 L’artista, attraverso la creazione dell’oggetto d’arte, tende al raggiungimento dell’applauso per il proprio messaggio, quindi al successo. Lo psicotico crea invece un oggetto che potrebbe figurare nella “pseudo-arte” e in ogni caso, l’atto creativo è il fine ultimo e non un mezzo, in quanto l’arte ha per lui solo uno scopo terapeutico. Egli non può aspirare al successo, né potrà diventare un genio.

  Soffermando questa speculazione sul rapporto tra genio e follia, si deve premettere che sono stati individuati, all’interno della vita di molti artisti nevrotici, numerosi aspetti comuni che sembra siano fattori indispensabili al raggiungimento dello stadio “genio-follia”.

In estrema sintesi questi aspetti possono essere: 

     

SUL PIANO AFFETTIVO   SUL PIANO INTELLETTIVO

Allontanamento dalla famiglia

Frequentazione di collegi

Perdite affettive (genitori, persone care)

Sentimento di abbandono

Capacità intellettuale superiore alla norma

 

Alto quoziente emozionale

  +

alto quoziente intellettivo

=

Capacità speculativa superiore alla norma che si esplica come liberazione del proprio essere all'esterno per comunicare un proprio messaggio al mondo

 

·        I futuri artisti vivono gli ordini della scuola come un’imposizione opprimente.

·        L’esigenza dello studio si trasforma in una avidità morbosa e ossessiva di conoscenza, in maniera del tutto autonoma e slegata dai momenti dell’età scolare.

·        I geni vivono l’esperienza scolastica come un vero e proprio attentato alla loro ricerca di libertà.

·        Si ritrovano spesso soli, per l’incapacità di stabilire rapporti duraturi e stabili con altre persone dello stesso o dell’altro sesso.

  

Sembra ineluttabile che in questo contesto, miscelato da tortuose negatività, il potenziale artista venga facilitato ad approdare prima o poi alle trame della depressione e nella violenza psichica o fisica contro se stesso.

La depressione può essere bipolare quando l’artista vive in una dicotomia legata all’alternanza tra volontà di vivere (stati euforici) e volontà di morire (stati depressivi).

Il depresso bipolare alterna fasi di esaltazione ed entusiasmo a fasi di melanconia, di avvilimento o abbattimento. Questa continua alternanza gli fornisce la possibilità di recuperare gli eccessi di panico, di mostrarsi agli amici nei momenti di buon umore e soprattutto di scaricare le proprie idee ossessive nell’atto creativo. In questo caso l’artista tenta  di superare i fenomeni della perdita e della solitudine attraverso la surrogazione della realtà, producendo eccessive fantasie. Attraverso queste ultime e con lo studio ossessivo, il genio giunge nell’euforia allo stadio cerebrale dello sfogo artistico, una scarica parziale dell’energia che produce l’atto creativo, una pseudo-terapia.

L’artista tenta in seguito di raggiungere il successo, che si identifica nel recupero dell’affetto in una sfera più universale attraverso l’accettazione del proprio messaggio d’arte da parte degli altri: è questa la vera e propria terapia.

Nel corso della sua vita l’artista è un uomo pieno di paure nascoste, prima tra tutte la paura della morte. L’atto creativo è la scarica dell’artista che sopperisce a questa grande paura col desiderio del successo, perché solo il riconoscimento degli altri potrà dare una dimensione immortale alla sua opera. La paura verrà quindi sostituita con la sensazione che qualcosa del proprio Io non morirà e l’artista appare di conseguenza ossessionato da una continua e inesauribile attività creatrice, possibile garanzia di immortalità.

Se invece egli ad un certo punto non ricerca più il successo, significa che la sua depressione è di tipo unipolare perché non è alternata alla fase euforica. Questa depressione si esprime nelle sue manifestazioni più tragiche di disperazione, poiché l’artista, aggravandosi sempre più, vive in un “tunnel senza via d’uscita”, che a lungo andare può condurre a idee suicide. Crollando la stima del proprio Sé (mancanza di autostima), anche il valore del successo perde di significato, perché la terapia non ha senso per un uomo che non ha più voglia di esistere.

 

Il genio che esce da ogni schema è capace di tutto, nell’arte , nella vita di ogni giorno, nell’amore, nelle passioni: il creativo tutto genio e sregolatezza è “diverso”, è fuori dal comune.

Questa sregolatezza non è altro che l’intrinseco senso di libertà  auspicato dall’uomo artista, libertà con la quale supera le rigide norme che la società gli impone.

La libertà dagli schemi determina:

 1.      L’inconciliabilità tra l’esperienza creativa soggettiva e le correnti di pensiero tradizionali.

2.      L’inconciliabilità tra l’esperienza creativa e l’esperienza coniugale.

3.      L’inconciliabilità tra l’esperienza creativa e un lavoro dipendente.

4.      L’inconciliabilità tra l’esperienza creativa e il valore del denaro.

 

L’artista nevrotico è instabile, sente il bisogno di spostarsi continuamente, è un vagabondo alla ricerca di sé. Spesso si costruisce una propria immagine che dovrebbe essere applaudita, apprezzata, divinizzata; è narcisista e i numerosi autoritratti che i pittori-geni spesso dipingono lo confermano.

Nell’atto creativo l’artista squilibrato tende alla perfezione, quella che gli manca nell’intimo, e la raggiunge attraverso continui ritocchi e rifacimenti; in questo modo l’equilibrio interiore è sostituito da quello esteriore.

 Questo quadro introduttivo che si propone di stabilire il rapporto esistente tra arte e follia sembra essere la perfetta griglia nella quale inserire i dati biografici più precisi di GericaultVan Gogh, Munch, Schiele, Dalì, Ligabue,  artisti vissuti fra il XIX e il XX secolo e che possono essere assunti come emblemi del mito genio-sregolatezza.

   

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