Tu prova ad avere un mondo
nel cuore
e tu non riesci a esprimerlo
con le parole
e la luce del giorno si
divide la piazza
tra un villaggio che ride e
te, lo scemo, che passa
e neppure la notte ti lascia
solo:
gli altri sognan se stessi e
tu sogni loro.
E sì, anche tu andresti a
cercare
le parole sicure per farti
ascoltare:
per stupire mezz'ora basta
un libro di storia,
io cercai d'imparare la
Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky e
malfatto
continuarono gli altri, fino
a leggermi matto.
E senza sapere a chi dovessi
la vita
in un manicomio l'ho
restituita:
qui sulla collina dormo
malvolentieri,
eppure c'è luce ormai nei
miei pensieri,
qui nella penombra ora
invento parole,
ma rimpiango una luce, la
luce del sole.
Le mie ossa regalano ancora
alla vita,
le regalano ancora erba
fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle
voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e
lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con
la stessa ironia:
"una morte pietosa lo
strappò alla pazzia".
Fabrizio De Andrè
"Un
matto"
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