Pace e Giustizia in Palestina

di Melania Milani

La situazione complessiva della popolazione palestinese si fa sempre più drammatica, mentre i focolai di guerra diventano più incandescenti, con il rischio concreto di un'aspirale ed escalation terroristica causata dall'oggettivo rafforzamento dei reciproci estremismi e fondamentalismi. In realtà, con la vittoria elettorale del falco del Likud Sharon, le possibilità di sopravvivenza dei lavoratori palestinesi, precipitano, mentre il terreno diplomatico delle trattative bilaterali, segna una pesante battuta di arresto. La vittoria elettorale di Sharon costituisce un vero e proprio salto nel buio; in realtà il vero vincitore della competizione elettorale israeliana è il partito dell'astensionismo; gli arabi della Galilea hanno disertato in massa le urne, come forma di protesta (civile e non violenta), contro gli assassini sistematici che Israele realizza, con metodi militari di guerra, senza risparmiare donne e bambini. Anche il Partito Comunista Israeliano, con le dichiarazioni ufficiali del segretario Barakey, si schiera a fianco delle giuste (e moderate) rivendicazioni arabo-palestinesi. Tuttavia l'elemento inquietante, che fa prefigurare un arroccamento della leadership israeliana, è dato dal fatto che tanto il socialdemocratico Simon Peres, quanto lo sconfitto ex primo ministro Barak, hanno dato la loro immediata disponibilità a Sharon per entrare nel suo governo, sottoforma di una coalizione di unità nazionale. Ciò significa che il baricentro politico-governativo israeliano si radicalizzerà sempre più a destra, e gli spiragli di pace ostinatamente conseguiti da Arafat e dall'ampia maggioranza del suo partito Al Fatah, si richiuderanno rapidamente. Già Sharon, come primo atto esecutivo da primo ministro in carica, ha chiuso gli ingressi di CisGiordania e Gaza; questo significa impedire a decine di migliaia di famiglie palestinesi di lavorare, creando artificialmente una situazione di sfibramento, logoramento e affamamento dell'intera popolazione lavoratrice palestinese. A ciò si associano veri e propri blitz di guerriglia, nonché la espulsione di quanti più palestinesi possibili dalla cinta metropolitana di Gerusalemme. Tutto ciò porterà inevitabilmente ad una acutizzazione ed esasperazione del conflitto arabo-israeliano, alimentato dallo spirito imperialistico e filo-israeliano del nuovo presidente degli Stati Uniti G.Bush J.; le possibilità operative dello stato palestinese libero e indipendente, con il nuovo corso di scontro frontale inaugurato da Sharon, si riducono e quasi si azzerano. Ma nonostante la prevalenza , sia sul piano nazione che internazionale, di un pericoloso "blocco reazionario", le speranze di riprendere un dialogo costruttivo non devono essere abbandonate, in quanto non esiste nessuna alternativa al compromesso. Il raggiungimento di una pace negoziale, dopo il fallimento delle trattative di Camp Derby nell'ultimo periodo di presidenza clintoniana, deve essere considerato ancora un obiettivo possibile. Occorre esercitare una pressione e un condizionamento permanente sull'anima pacifista e moderata del nuovo governo in via di formazione, costringendo Peres a fronteggiare e temperare il radicale militarismo di Sharon. Il comunista Barakey alla Knesset ha proposto un accordo stratego con il Labour Party, nonché con le rappresentanze politiche arabe esterne alla stessa Knesset. Questa è una piattaforma significativa che è necessario approfondire, in quanto tutti i mezzi vanno bene pur di raggiungere un equilibrio nello scacchiere medio-orientale, basato sulla reciproca convergenza di pace e giustizia. Il popolo palestinese non solo deve sopravvivere, ma deve emanciparsi dalla condizione di subalternità e di emarginazione in cui versa.
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