La
situazione complessiva della popolazione palestinese si fa sempre
più drammatica, mentre i focolai di guerra diventano più incandescenti,
con il rischio concreto di un'aspirale ed escalation terroristica
causata dall'oggettivo rafforzamento dei reciproci estremismi e fondamentalismi.
In realtà, con la vittoria elettorale del falco del Likud Sharon,
le possibilità di sopravvivenza dei lavoratori palestinesi, precipitano,
mentre il terreno diplomatico delle trattative bilaterali, segna una
pesante battuta di arresto. La vittoria elettorale di Sharon costituisce
un vero e proprio salto nel buio; in realtà il vero vincitore della
competizione elettorale israeliana è il partito dell'astensionismo;
gli arabi della Galilea hanno disertato in massa le urne, come forma
di protesta (civile e non violenta), contro gli assassini sistematici
che Israele realizza, con metodi militari di guerra, senza risparmiare
donne e bambini. Anche il Partito Comunista Israeliano, con le dichiarazioni
ufficiali del segretario Barakey, si schiera a fianco delle giuste
(e moderate) rivendicazioni arabo-palestinesi. Tuttavia l'elemento
inquietante, che fa prefigurare un arroccamento della leadership israeliana,
è dato dal fatto che tanto il socialdemocratico Simon Peres, quanto
lo sconfitto ex primo ministro Barak, hanno dato la loro immediata
disponibilità a Sharon per entrare nel suo governo, sottoforma di
una coalizione di unità nazionale. Ciò significa che il baricentro
politico-governativo israeliano si radicalizzerà sempre più a destra,
e gli spiragli di pace ostinatamente conseguiti da Arafat e dall'ampia
maggioranza del suo partito Al Fatah, si richiuderanno rapidamente.
Già Sharon, come primo atto esecutivo da primo ministro in carica,
ha chiuso gli ingressi di CisGiordania e Gaza; questo significa impedire
a decine di migliaia di famiglie palestinesi di lavorare, creando
artificialmente una situazione di sfibramento, logoramento e affamamento
dell'intera popolazione lavoratrice palestinese. A ciò si associano
veri e propri blitz di guerriglia, nonché la espulsione di quanti
più palestinesi possibili dalla cinta metropolitana di Gerusalemme.
Tutto ciò porterà inevitabilmente ad una acutizzazione ed esasperazione
del conflitto arabo-israeliano, alimentato dallo spirito imperialistico
e filo-israeliano del nuovo presidente degli Stati Uniti G.Bush J.;
le possibilità operative dello stato palestinese libero e indipendente,
con il nuovo corso di scontro frontale inaugurato da Sharon, si riducono
e quasi si azzerano. Ma nonostante la prevalenza , sia sul piano nazione
che internazionale, di un pericoloso "blocco reazionario", le speranze
di riprendere un dialogo costruttivo non devono essere abbandonate,
in quanto non esiste nessuna alternativa al compromesso. Il raggiungimento
di una pace negoziale, dopo il fallimento delle trattative di Camp
Derby nell'ultimo periodo di presidenza clintoniana, deve essere considerato
ancora un obiettivo possibile. Occorre esercitare una pressione e
un condizionamento permanente sull'anima pacifista e moderata del
nuovo governo in via di formazione, costringendo Peres a fronteggiare
e temperare il radicale militarismo di Sharon. Il comunista Barakey
alla Knesset ha proposto un accordo stratego con il Labour Party,
nonché con le rappresentanze politiche arabe esterne alla stessa Knesset.
Questa è una piattaforma significativa che è necessario approfondire,
in quanto tutti i mezzi vanno bene pur di raggiungere un equilibrio
nello scacchiere medio-orientale, basato sulla reciproca convergenza
di pace e giustizia. Il popolo palestinese non solo deve sopravvivere,
ma deve emanciparsi dalla condizione di subalternità e di emarginazione
in cui versa. |