In
Italia soffia una brutta aria di intolleranza verso lo straniero che
non è allarmistico chiamare razzismo, che si manifesta a volte in
modo strisciante, qualche volta violente se non nella forma sicuramente
del messaggio. I mass-media che quotidianamente enfatizzano qualsiasi
misfatto, anche di modesta entità, commesso da extracomunitari, tralasciando
le grandi difficoltà ed umiliazioni che la stragrande maggioranza
di essi subiscono, il malessere che agita gli animi dei cittadini
puntualmente strumentalizzato e alimentato dalle Destre che per una
manciata di voti e forse, drammaticamente, per vocazione, non esitano
a sobillare la ricerca di un capro espiatorio che consente di non
"indagare" dentro i propri confini nell'illusione che il "male" sia
all'esterno, sono il terreno fertile su cui domina la paura e quindi
il pregiudizio verso che è altro da sé. Quando la coscienza non riesce
ad elaborare la parte oscura ed inesplorata di sé, quando la luce
della ragione è offuscata dalle pulsioni e degli istinti di dominio
dell'uomo sull'uomo, quando ad animare le intenzioni è l'egoismo e
la difesa della nostra "roba" anziché la condivisione e, quando ancora
le idee forti sulle quali dovrebbe fondarsi il senso civile di una
nazione si traducono da parte di chi dovrebbe essere la classe dirigente
oltre che intelligente, in balbettio incerto, un sussurrare sottotono,
un fraseggio indistinti di buone intenzioni ma di incerte soluzioni,
il pregiudizio torna a dominare l'individuo e a spargersi a macchia
d'olio nel contesto sociale e culturale in cui viviamo. Da sempre
a tutte le latitudini, l'umanità è attraversata dall'inquietudine
e dalla diffidenza verso chi è altro da noi, dove per "noi" si intende
un gruppo, una categoria, un microcosmo che si dota di norme e codici
per consentire una convivenza accettabile per cui l'uomo venuto da
lontano con altre norme e altri codici, è vissuto come una minaccio,
un sovvertitore, l'elemento destabilizzante di quell'ordine che fa,
o dovrebbe, chiudere il cerchio oltre i cui confini regna l'incontrollato
e l'incontrollabile. Nella parte del mondo in cui viviamo, l'opulento
Occidente che ha costruito il suo impero a spese del resto del mondo,
si scopre la paura dell'uomo nero come ne ha il bambino nei suoi incubi
notturni, poiché, nonostante il progresso e la ricchezza, non si è
ancora formata quella profonda coscienza di essere tutti parte di
una sola immensa specie che si chiama umanità, non si è ancora superata
la visione egocentrica del mondo, per cui chi è altro da noi è uno
sconosciuto e quindi pericoloso, negativo, intollerabile. Si nega
diritto di cittadinanza e perfino di esistenza a chi non ci appartiene,
a cui sentiamo di non appartenere, che si differisce per colore della
pelle, fede religiosa o quant'altro. L'Occidente progredito e super-protetto
in realtà avverte la sua fragilità tanto da ritenere un pericolo uomini
bisognosi, sofferenti, lesi nei loro primari diritti. Il mondo ricco
e potente teme il confronto, ha paura di non reggere l'impatto con
una parte di mondo diversa da sé, percependosi come un gigante d'argilla;
la stessa Chiesa, potenza tra i potenti, teme fortemente l'espansione
dell'Islam perché il processo di secolarizzazione e l'indebolimento
del messaggio cristiano che ha rinunciato a diffondere per impartire
lezioni di morale tout-court, potrebbero, in futuro, appannare l'immenso
potere conquistato nei secoli, più con l'uso della forza che con il
Vangelo. La politica, dal canto suo, non si impegna più di tanto,
si barcamena per tenere insieme le parti piuttosto che prendere posizione
netta e forte in difesa del diritto e della pari dignità dei popoli.
Si ricorre così al patetico espediente di ridurre casi umani tragici
e dolenti a problemi di ordine pubblico e sociale. Non si parla di
uomini, donne, bambini nella loro specificità di individui, ma lisi
cataloga sbrigativamente e in spregio alla ragione come "emergenza
- "allarme sociale", mine vaganti insomma di quell'ordine e di quella
sicurezza che ci s illude di essersi garantiti senza vere la coscienza
delle profonde smagliature del tessuto sociale in cui viviamo. Inquieta
e indigna che si quantifichi il massiccio esodo di popolazioni duramente
provate e in balia della criminalità che specula pressoché impunemente
sulle loro tragedie, in flussi migratori da disciplinare e dirottare
qua e là ove vi fosse necessità di braccia da lavoro quasi si trattasse
di una legittimazione postuma della tratta degli schiavi . Fa specie
ascoltare illustri esponenti della politica e della cosiddetta "società
civile " e perfino illuminati prelati maneggiare le parole che esprimono
alti concetti come "uguaglianza", "diritti", "pari dignità", con pietismo
fingardo e un cinismo che ci riporta alle piantagioni di cotone. Ancora
una volta in modo puerile ed offensivo si tenta di esorcizzare il
pregiudizio verso l'immigrato circoscrivendolo dentro il recinto del
permesso di soggiorno a tempo limitato, nel primo, secondo, terzo
centro di accoglienza, per "liberarlo" , qualora tornasse utile come
mano d'opera a basso costo, per degradarlo a mezzo di produzione senza
garantirgli pari diritti né potere interlocutorio. Si noti, a proposito,
lo scandalo che suscita in una certa parte politica la proposta, più
sussurrata che avanzata con il giusto tono, di concedere il diritto
al voto, a una casa o ai sussidi che i Comuni mettono a disposizione
per i meno abbienti. Non sono dunque le fiaccolate della Destra ad
indignare maggiormente, misere parodie di ben altri cortei che hanno
sfilato e sfilano in altri Paesi dell'Europa, quanto il liquame nauseabondo
ed appiccicaticcio che inquina le coscienza, le imbastardisce, le
lascia in balìa della preistoria della ragione, corrodendone gli strumenti
di conoscenza, deprimendo qualsiasi effettiva crescita dell'uomo che,
per quanto benestante ed acculturato, è del tutto impreparato a raccogliere
e vincere la vera sfida a cui è chiamata l'umanità intera: il senso
di fratellanza fra ti popoli diversi, ma pari. |