Contraddizione.
Non esiste termine che, meglio di questo, possa caratterizzare
Jack Kerouac, ma se ci fosse sarebbe ancora da coniare.
Parlando dell'uomo che agli occhi del mondo è stato l'emblema
della Beat Generation, è semplice precipitare in luoghi comuni,
critiche scontate e moralismi poco originali. D'altra parte, io,
non sono intenzionato a scrivere una biografia su
"Duluoz" (a cui aveva gia provveduto Kerouac). Infatti
quello che mi preme di più, è cercare di dare un senso,
probabilmente valido esclusivamente per me, a tutti quei dissidi
interiori e a quei contrasti che, dallo scrittore, sono diventati
un fatto generazionale che protrae il suo strascico di pensieri
sino ai giorni nostri.
Beatitudine e sconfitta
Essere beat significa essere "sconfitto", battuto ed
emarginato dalla società americana conformista, priva di
scrupoli e di aspirazioni ideali; ma essere beat significa anche
essere "beato", una beatitudine che si conquista con il
rifiuto del condizionamento dei valori della borghesia americana,
rifugiandosi spontaneamente nella strada.
Nell'america a cavallo degli anni '50 i beat si dividevano in
beat "caldi" e beat "freddi". I primi,
frenetici e urlanti, dei pazzi estroversi che saltavano da un
locale all'altro in cerca di Ognipersona, uomini che
desideravano tutto nello stesso momento sotto le note
jazzeggianti della musica di Charley Parker; i secondi, più
riflessivi e laconici, preferivano la pacatezza, il silenzio e le
luci cupe dei locali beat.
Allen Ginsberg, per quanto possa essere uno dei beat più
rappresentativi, è classificabile come un beat freddo e lo
stesso si può dire di William Burroughs mentre il discorso si fa
diverso per Gregory Corso e Neal Cassady, dei beat
fondamentalmente "caldi". Jack Kerouac è, a mio
parere, una sintesi di entrambi gli umori, un concentrato di
tristezza ed esuberanza dove nessuno dei due prevale sull'altro,
una sorta di tao buddhista dei due sensi più profondi della beat
generation.
Romanzo o Poesia?
Una mattina, mentre rovistavo tra i libri di uno studio in cui
facevo da apprendista, mi capitò fra le mani la raccolta di
poesie "Mexico City Blues". Fu il primo libro che lessi
di Kerouac.
Rimasi letteralmente affascinato dal suo stile, dal suo modo di
sentire le cose, dall'accostamento apparentemente confuso delle
immagini, dal realizzare infine che quelle poesie, erano il suo
pensiero.
Kerouac aveva scritto ciò che pensava nel modo in cui lo
pensava. Il pensiero era esposto cosi com'era in realtà, nella
sua forma originale: irrazionale, superbo, scombinato, perverso,
slegato dal senso delle poesie successive ma completamente
inerente a ciò che avrei letto due pagine avanti.
- Scrivi con eccitazione,
velocemente,
coi crampi da penna o battitura
secondo le leggi dell'orgasmo -
Tempo dopo cominciò la mia ricerca nelle librerie e nelle
biblioteche dei suoi romanzi.
Quella che era stata la mia impressione leggendo le sue poesie,
non era cambiata.
Non esiste una netta distinzione tra il Kerouac narratore e il
Kerouac poeta, perchè entrambi sono avvinti dal desiderio di
esprimere le loro sensazioni cosi come sono, di
"eiaculare" i concetti in qualsiasi forma letteraria a
loro congeniale, indipendentemente dal fatto che i due generi
potessero discostare dai canoni consueti o confondersi tra loro.
La "Prosa spontanea", come egli la chiamò, era la
scrittura dinamica e concitata del romanzo be-bop, ritmata sui
canoni ripetitivi ed incalzanti della musica jazz
"calda".
Kerouac, in una lettera, scrisse all'amico John Cellon Holmes
- Quello che stò cercando di scoprire è qualcosa al di
là dei confini arbitrari della storia...
Una forma pazza. Una forma pazza è l'unica forma per quello che
ho da dire: la mia mente esplode per dire qualcosa su ogni
immagine e ogni ricordo...ho una cupidigia irrazionale di mettere
giu tutto quello che so...
In questo momento della mia vita mi stò torturando per trovare
la forma pazza che possa crescere col mio pazzo cuore...perché
ora so che il mio cuore cresce. -
Anemone