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SVILUPPO URBANO E TOPONOMASTICA



Il primo nucleo abitativo di Minervino iniziò a formarsi, come altri centri medioevali, intorno ai due centri principali del potere temporale e spirituale, rispettivamente il Castello e la Cattedrale.
Intorno a questi due centri vennero costruite le povere abitazioni dei contadini, in pietra o tufo, addossate l'una all'altra.
L'intera estensione dell'abitato medioevale era condensato su un'unica collina che, viste le incursioni di Saraceni, Ungari e Longobardi, costituiva un luogo facilmente difendibile da eventuali razzie.
La situazione nei secoli seguenti non mutò di molto, visto che nella Relazione compilata dall'ingegnere Onofrio Tango nel 1668 si evince che il paese copriva l'estensione di un quarto circa di quella attuale; per quanto riguarda il numero degli abitanti consisteva in appena 1450 abitanti in seguito all'epidemia di peste del 1656 che aveva mietuto circa 3000 persone.
Questa Relazione, avvenuta in occasione della vendita del feudo da parte del principe Marzio Pignatelli al duca di Calabritto Vincenzo Tuttavilla, fornisce molte informazioni e descrizioni della città.
Oltre alla suddetta relazione, altra fonte utile per fini storici è costituita da due tomi scampati all'incendio dell'Archivio Capitolare della Cattedrale nel 1656.
Tali tomi sono composti da raccolte di atti giuridici stilati dai notai dell'epoca e comprendenti testamenti ed atti notarili.
In uno di questi viene riportata la presenza nella seconda metà del XV secolo di una piccola comunità di ebrei neofiti, che può aver lasciato tracce nella toponomastica come i nomi "scale di Ismaele" e "gradoni Calvario" sembrano suggerire.
L'antica Città era edificata sopra una sola collina e circondata in parte da mura vere e proprie, in parte da case costruite una vicina all'altra, in modo da formare una specie di riparo contro minacce esterne.
Attraverso le mura e fra le case esistevano varie porte e "portelle".
La porta principale era posta dove l'attuale via De Gasperi sbocca in piazza Bovio, all'incirca fra l'inizio di via Elifani e il palazzo Acquaviva.
La cerchia muraria verso ponente andava lungo l'attuale palazzo Tedeschi, all'angolo sud-occidentale del quale, fra la piazza e via Fratelli Bandiera, esisteva una torre circolare.
Basta del resto dare un'occhiata nell'interno del locale sito al piano terra di quella vecchia torre, per averne la conferma.
Le mura poi continuavano per Vico II Portella, dove sono ancora visibili parti di esse.
Nel punto dove attualmente questa strada si congiunge con via Portella, in seguito (circa ottant'anni dopo) fu ingrandita un'altra apertura nelle mura, che fu chiamata appunto "Portella".
Tale, quindi, il motivo del nome della strada.
La cerchia seguitava poi per una direttrice, ora occupata da case, che si congiungeva a via Tocco, a circa 20 metri dall'attuale inizio di questa.
Lì era ubicata un'altra porta, detta di S.Antonio, la seconda per importanza; era la più antica e una volta l'unica della città.
All'interno di essa, sul lato sinistro, si trovava una chiesetta dedicata a S.Antonio Abate.
Il suo nome è rimasto ancora nell'uso corrente ("Arco di S.Antonio"), anche se non nella toponomastica ufficiale.
Le mura proseguivano ancora lungo la parte destra (lato orientale) dell'attuale via Roma, già Belvedere, con qualche piccola apertura in esse: Portella S.Andrea e il cosiddetto "Voccolicchio".
Brevi tratti di mura sono ancora visibili in tale strada.
Sotto di esse, dalla parte esterna (lato ovest) esisteva una strada carrozzabile che portava, come ora, al Castello.
Il suo tracciato è esattamente quello della citata via Roma.
Il limite settentrionale della città era costituito dalla vecchia costruzione del Castello.
Si girava, quindi, verso est e poi a sud bordeggiando appunto questo edificio, per proseguire, seguendo un tratto di mura ora distrutte completamente, che univano il Castello stesso ad alcune case pose poco al di sopra di via Le Mura, ad est del palazzo Caputi.
La cerchia poi seguiva pressappoco tutta l'attuale via Le Mura, dove è facile rilevarne ancora dei resti.
E' da notare una vecchia torre circolare, stretta fra le abitazioni, presso vico V Scesciola.
Recentemente un'altra costruzione si è aggiunta a soffocarla ancora di più.
Quasi alla fine di via Le Mura il perimetro della città volgeva ad ovest, verso l'attuale vico Gelso, nel quale sono ancora visibili tracce delle vecchie mura; poi, seguendo una linea parallela a via Luigi Barbera, si congiungeva alla porta principale.
Fuori le mura, davanti a questa porta, esisteva un largo spiazzo, chiamato "Largo fuori la Porta", corrispondente all'attuale piazza Plebiscito.
Lì si trovava una chiesetta con campanile dedicata a S.Rocco. Al tempo della Relazione Tango questa chiesa era chiusa al culto, forse perché pericolante.
Poco lontano, a duecento metri circa verso sud, si ergeva solitaria, la massiccia costruzione della Torre. Nel Largo fuori la Porta si trovavano un ospizio per i poveri e una taverna per i forestieri di passaggio.
Entrando nella città per la porta principale, nella parte interna delle mura, a sinistra, nel XVIII secolo, in una nicchia si notava una statua in pietra dell'Arcangelo Michele.
Questa statua si trova ora sul pilastro, in alto, all'angolo del palazzo Acquaviva, già Tedeschi, che dà su piazza Plebiscito.
Imboccando via De Gasperi, anche sulla sinistra sorgeva dove si trova ora il palazzo Acquaviva, una chiesa dedicata alla SS.Annunziata.
Proseguendo, da un lato e l'altro della via vi erano dei palazzi e le varie botteghe.
Si giungeva così alla piazza, che era il centro della città.
Subito di fronte si trovava il "Seggio", che diede alla piazza il nome che ancora oggi è nell'uso corrente dei cittadini.
L'amministrazione cittadina, o Università, era governata dal Consiglio degli Eletti, composto dal sindaco e da sette Eletti o Deputati, fra cui quattro aventi mansioni di Prosindaco, Cassiere, Camerlengo e Cancelliere.
Tali cariche avevano la durata di un anno e le relative designazioni avvenivano di solito il 15 agosto nel "Seggio Nuovo", chiamato così per distinguerlo da quello vecchio, posto in via Tocco (nome di etimologia greca "thokos" indicante un luogo, il seggio dove si riunivano i rappresentanti della città), utilizzato precedentemente per vari secoli.
Molto tempo dopo, quando ormai il Seggio non serviva più, la piazza dove esso sorgeva, secondo il Carbone, era ridotta a "letamaio", con edifici fatiscenti e crollati.
Nel 1822 il sindaco, Antonio d'Ambrosio, fece bonificare il sito, espropriando dietro indennizzo i fabbricati cadenti e liberando il tutto dalle macerie.
Ne venne fuori una piazza più vasta di quella precedente, intitolata "Largo Montaperto" in onore dell'Intendente (prefetto) di Bari, Gennaro de Tocco, conte di Montaperto, che aveva favorito l'opera di risanamento.
Quando poi, nel 1887, nella piazza sorse il monumento a Emanuele De Deo, essa cambiò ancora nome e fu chiamata appunto piazza De Deo.
Ma ritorniamo al XVII secolo.
Sulla parte destra del Seggio, quella rivolta ad oriente, passava una strada stretta, che portava alla chiesa della Madonna delle Grazie, quella del Conservatorio.
Il lato di ponente del Seggio, invece era costeggiato da un'altra strada, più larga, che andava verso la Cattedrale e il Castello.
Salendo per tale strada a sinistra si notava, come oggi, una vecchia torre campanaria, ora intesa come "Orologio Vecchio", che anticamente faceva parte di un convento di suore, fondato dagli Orsini del Balzo nella prima metà del XV secolo.
Sulla base della costruzione esiste ancora una lapide, logorata dal tempo, con lo stemma di quella famiglia.
Proseguendo ancora, si giungeva alla Cattedrale, che allora aveva la sua entrata quasi al piano stradale.
La sua sistemazione attuale risale al 1827, quando il comune, per ovviare in parte alla ripidità della strada, ne fece abbassare il livello, iniziando il lavoro di sterro nelle attuali vicinanze dell'Arco d'Ambrosio per terminarlo in prossimità del portone del Conservatorio.
Ne conseguì che l'ingresso della cattedrale venne a trovarsi a circa due metri sul livello della nuova strada.
Allora il comune a proprie spese fece costruire la doppia rampa di scale per l'accesso alla chiesa.
Si passava poi, come ora, sotto "un bellissimo campanile isolato a cinque ordini", come lo descrive il Tango, e attraverso un altro arco, che ora non esiste più, si giungeva ad una strada larga che portava al Palazzo Baronale o Castello.
Sulla sinistra, dove ora è la sede del Liceo Scientifico, si trovava un monastero di suore dette della "Concezione", secondo Tango.
Il Carbone invece riferisce che le suore erano chiamate di S.Chiara e che il loro monastero fu costruito con un lascito testamentario della signora Elisabetta de Roggeriis nel 1585.
La costruzione, comunque, fu terminata a spese del principe Pignatelli, che ottenne da papa Urbano VIII, nel 1633, che il monastero fosse servito negli uffici divini dai Francescani del vicino convento.
Nel 1667 il monastero godeva di una sovvenzione annua di 150 ducati da parte dell'Università.
Proseguendo sulla stessa strada, si sboccava in un largo (l'attuale piazza Trento e Trieste) delimitato sulla destra da un tratto delle mura, che partivano dalla costruzione del Castello e proseguivano lungo via Le Mura.
Sulla sinistra vi era il convento di S.Francesco con l'annessa chiesa.
I due conventi furono soppressi da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, nel 1807 con un decreto, mandato in esecuzione nel 1811 da Murat.
Quello delle suore fu poi adibito di volta in volta a Casa Comunale, Uffici giudiziari, carceri, scuole.
Di fronte, nella piazza si trovava il Palazzo Baronale.
Si entrava attraverso un grande portone sormontato dallo stemma dei Pignatelli e Guevara; proprio su di esso era ubicata la cappella del palazzo, dedicata a S.Anna, che dovrebbe essere la stanza adibita attualmente a gabinetto del sindaco.
Successivamente, in epoca non determinabile con sicurezza, il paese cominciò a estendersi verso sud, oltre la porta principale, e verso occidente, sì che le sue mura divennero inutili e furono in massima parte demolite o incorporate nelle nuove abitazioni, che in poco tempo si moltiplicarono.
Nel 1823 le costruzioni verso ponente erano giunte pressappoco al limite attuale, tanto è vero che il sindaco del tempo, Antonio d'Ambrosio, fece iniziare la strada che poi si chiamò via Giordano Bruno.
In epoca fascista il limite meridionale era costituito pressappoco all'altezza della chiesa di S.Michele.
Nel 1932 contemporaneamente alla costruzione del Faro si iniziò a costruire la strada che conduceva, fiancheggiando Castel del Monte, al capoluogo barese.
Ciò contribuì a far espandere il paese fino ai limiti attuali, all'altezza del rione delle case popolari concesse dagli enti governativi a una parte degli abitanti del centro storico.
Negli ultimi anni si sta assistendo a un vasto processo edilizio, costituito dalla costruzione di condominii e infrastrutture collegate, rivolto verso ponente in direzione della stazione ferroviaria.
Per quanto riguarda le infrastrutture scolastiche, idriche, fognarie ed energetiche, esse hanno poco meno di un secolo di vita.
Per quanto riguarda le scuole fino al 1929 funzionavano le sole scuole elementari, e chi doveva frequentare le scuole tecniche, ginnasiali e liceali era costretto a recarsi ogni mattina ad Andria, a Canosa, a Barletta o a Trani, affrontando sacrifici finanziari e personali.
Nel 1929-30 fu istituito il corso di avviamento al lavoro con programmi ridotti e il 1931-32 il Regio Corso secondario biennale di avviamento professionale a tipo agrario.
Nel 1936-37 venne fondata la scuola media, e nel 1950-51 quella di avviamento professionale a tipo agrario che fu unificata alla scuola media nel 1962-63.
Finalmente il 1° ottobre 1966 cominciò a funzionare il Liceo Scientifico come sezione staccata da quello statale di Barletta; divenne autonomo statale dal 1° ottobre 1974.
Di recente a causa del decremento demografico Il Liceo Scientifico è stato accorpato come struttura con quello di Canosa.
Per quanto riguarda la rete idrica e fognaria basti dire che solo nel 1914 vi fu l'inaugurazione dell'Acquedotto Pugliese e nelle strade e nelle rampe vennero installate diverse fontanine.
In precedenza poiché difettava la fognatura, verso l'alba, per le rampe e per le strade suonava la trombetta e le donne erano costrette a portare il vaso da notte, vuotarlo nei carribotte e lavarlo.
L'approvvigionamento dell'acqua dipendeva dai pozzi e dalle precipitazioni che venivano raccolte in grandi recipienti di creta chiamati rasàule.
Nello spiazzale della stazione ferroviaria esisteva una fontanina di acqua potabile e molte persone, giornalmente, si recavano a riempire fiaschi e ziri ("cìcere").
In tempo di siccità, giravano per le strade i così detti "carrate" lunghi circa tre metri, con cocchiume al centro e pieni d'acqua che si vendeva a 5 centesimi la "quartare" (10 litri).
Dopo l'allaccio con l'Acquedotto Pugliese gradualmente le case furono dotate di acqua e di bagni.
Per i bisogni della pastorizia e dell'agricoltura nel XVI secolo furono scavate e costruite, nell'intero territorio del Comune, 36 "pescare" (serbatoi d'acqua), 20 sulle Murge, 3 nel Bosco da piedi e altre 13 nel Demanio Inferiore. Due di esse erano sorgive.
Sufficienti per un'agricoltura di sussistenza tali risorse d'acqua si rivelarono insufficienti in seguito all'aumentare dell'estensione dei terreni adibiti a colture agricole come vigneti, frutteti, ortaggi, ecc. e anche per far fronte al susseguirsi di annate sempre più siccitose fu ideata e costruita negli anni '80 una diga in terra battuta lunga 1396 metri e alta 67 metri, seconda del genere in Europa, che ha creato un lago artificiale alimentato dal torrente Locone.
Le fonti di riscaldamento delle case di circa un secolo fa erano costituite da bracieri e scaldini, alimentati da carbonella.
In seguito si ricorse all'uso di stufe a cherosene e per le cucine di bombole a gas, fino alla realizzazione dell'attuale rete a metano realizzata in due anni a partire dal decreto del Ministero del Tesoro del 10/9/1998.
Per quanto riguarda le comunicazioni, prima della costruzione nel 1895 della ferrovia Barletta-Spinazzola, si usavano i traini e le carrozze. A Piazza Parati c'era una grande taverna ("u staddàune") per il cambio dei cavalli per quelli che provenivano da Spinazzola.
In contrada Monte Carafa ne esisteva un'altra per quelli che andavano verso Andria.