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MINERVINO ANNO 1836

Di seguito presenteremo alcuni passi delle cronache del tempo redatte da un cronista dell'epoca, Vito Carbone Dottore di Medicina e Filosofia, il quale le espose nel libro "Notizie storiche sulla Città di Minervino in Provincia di Bari" redatto il 20/7/1856 e strutturato in quattro capitoli.
Nel primo narra le vicende di Minervino antico, soffermandosi sulle diverse fonti riguardanti la sua origine, nel secondo tratta le peripezie storiche di Minervino nel Medioevo con il succedersi delle varie famiglie feudali, nel terzo capitolo ("Stato presente di Minervino") descrive il paese ai suoi giorni, sia dal punto di vista topografico e architettonico (chiese, palazzi, strade ecc.) che da quello degli usi e costumi dell'epoca (forme di autogoverno, attività produttive, religiosità), e infine nel quarto enumera le varie personalità minervinesi che più si distinsero nel corso dei secoli.
Posteriormente a questi quattro capitoli furono aggiunte delle note riguardanti il rifacimento del pavimento della Cattedrale nel 1839 e la successione dinastica delle casate dei Pipino e dei Principi di Taranto, Orsino-Del Balzo.
Come si può desumere dal titolo di questa pagina web, verrà esposto soltanto il terzo capitolo, ("a parte il prologo tratto dal primo capitolo riguardante la posizione geografica dell'abitato e una delle prime testimonianze scritte sull'uso della dicitura "Balcone delle Puglie" caratterizzante la città"), di eminente interesse storico per comprendere l'origine e il significato di nomi, usi e costumi adoperati ancora oggi.
Rileggendo le vicende di oltre un secolo e mezzo fa di un paese in piena espansione sia dal punto di vista demografico ( circa diecimila abitanti al pari di oggi) che da quello abitativo (costruzione di strade, abitazioni, ponti)non possiamo fare a meno di annotare i tratti distintivi del paese che continuano ad avere un forte vincolo sulle nostre vite, come il forte anelito religioso che ha adornato il paese di chiese, cappelle e santuari; la semplice e sana mentalità contadina che avvalendosi delle poche risorse di un territorio aspro e roccioso ha creato da una parte un'architettura maestosa e al tempo stesso austera e dall'altra un'agricoltura rispettosa della natura che ha razionalizzato l'utilizzo dell'acqua disponibile e delle risorse del terreno; e la passione verso la partecipazione politica alla vita della città, che a volte è degenerata in scontri tra fazioni diverse facendo perdere di vista gli interessi della città stessa, come accennato dal Carbone parlando della perdita del Vescovado.

CAPITOLO I : MINERVINO ANTICO
ARTICOLO I [ Situazione topografica di Minervino e sua origine ]

CAPITOLO III: STATO PRESENTE DI MINERVINO
ARTICOLO I [ Delle Chiese e Cappelle suburbane e rurali ]
ARTICOLO II [ Delle Chiese e Cappelle urbane ]
ARTICOLO III [ Delle mura da cui circondato era Minervino, dei suoi edifici più notabili, del Sedile e delle principali strade sì interne che esterne. ]
ARTICOLO IV [ Digressione sugli usi del Sedile di Minervino e del Regno, non che di quei della città di Napoli ]
ARTICOLO V [ Dell'amministrazione municipale, e giudiziaria antica ]
ARTICOLO VI [ Estensione e qualità del territorio di Minervino ]


In quella regione che prima Peucezia diceasi ed oggi Provincia di Bari si chiama, poco lungi dal fiume Aufido, cioè nove miglia circa da donde cominciava la Daunia, siede Minervino, Minervium in latino, sopra un ameno colle del quale come da un'orchestra l'intera Puglia si scorge quasi un ampio teatro.
Vedesi da solo il Monte Maiello, detto anticamente Nicate, Foggia, Cerignola, la parte rilevata di Canosa, Montemilone, Lavello, Venosa, Maschito, Forenza, Acerenza, Palazzo, il soppresso monastero del Carmine a Barile a piè del Monte Vulture, il sito di Manfredonia a piè del Monte Gargano ed il Mare Adriatico da cui dista circa 18 miglia.
A giusto titolo dunque fu ad esso, da taluni scrittori, dato il nome di Balcone di Puglia. Non è d'uopo trattenerci molto nel segnare i confini di Minervino, trattandosi della geografia di un sol paese che non puote essere messo in questione.
Abbracciato viene l'agro Minervinese dal territorio di Andria dalla parte orientale, territorio che percorre anche quasi tutta la linea settentrionale, onde propriamente ricominciando dalla masseria così detta di Ciminiera va a terminare alla masseria di Montecarrafa.
Il territorio di Canosa è quello che in molta parte lo circuisce dal lato di ponente, cioè dal detto Montecarrafa sino al luogo detto "Coppe del maltempo", mentre il restante della linea occidentale dalle enunciate Coppe del maltempo sino alla masseria nuova adiacente al fiume Locone è legato al territorio di Montemilone.
Dal territorio di Spinazzola finalmente va egli confinato dal lato meridionale limitrofo la linea del detto Locone che divide l'uno e l'altro, buttandosi alquanto sulla linea orientale per unirsi alla rapportata masseria di Ciminiera, punto che si è fissato per principio.
Dell'estensione e qualità di un siffatto agro se ne farà menzione altrove e propriamente nella fine.


CAPITOLO III
Stato presente di Minervino


ARTICOLO I
Delle Chiese e Cappelle suburbane e rurali

Non deve mettersi in dubbio che vi esistessero un tempo molte Cappelle rurali, che ora più non figurano, essendo solo restato il nome di esse alle varie contrade di questo Comune.
I sedici titoli dei Canonicati alla Chiesa di Minervino annessi, la maggior parte dei quali portano di esse il nome e senza che oggi i ruderi pur anco si osservassero, convincono ad evidenza che una volta siano esse esistite.
Tali titoli sono S. Nicola Tolentino, S. Vito, S. Iarnullo, S. Maria Maddalena, S. Croce, S. Lucia, S. Giovanbattista, S.Bartolomeo, S. Caterina, S. Martinelli, S.Leonardo, S.Rocco, S.Martino, S.Lorenzo, S.Marco e S.Andrea Apostolo.
Altre cappelle rurali esistevano ancora all'infuori di quelle destinate per titoli ai Signori Canonici, di essi pochi ruderi se ne osservano ed esse sono S.Elena, S.Benedetto, vicino al cosidetto ripone del fu Paolo a Minervino, S. Gregorio ed il SS. Crocifisso nel luogo detto il Casino del fu Canonico S.Vincenzo Giannelli.
Altre si trovano oggi racchiuse nell'abitato, e se ne parlerà, quando questo si descriverà.
In quanto alle suburbane, tale è la Grotta di San Michele di cui si è fatto parola, a proposito della quale non si deve tralasciar di far riflettere più cose.
In primo luogo ella per la sua orridità e scabrezza è veduto dai passeggeri con ammirazione maggiore della celebre grotta del Monte Gargano.
In secondo luogo che, nella stessa da tempo di cui non vi è memoria, si venera con particolare culto S.Michele Arcangelo Protettore della Città; di cui una statua di pietra già descritta è esposta alla devozione dei fedeli.
E finalmente che un'altra statua d'argento si conserva nel Monastero di Gesù, Giuseppe e Maria, da donde si rileva nelle sue festività per riportarsi dopo di esse.
Quest'ultima fu fatta nel 1740 circa dai coloni di Minervino con aver fatto per più anni un deposito di un tommolo di grano all'anno sino a che raggiunta si fosse la somma di ducati mille e cinquecento, valuta della medesima, a quel che si dice.
Quindi una deputazione fu eletta per custodirne le chiavi, una in mano di due Amministratori Comunali, e l'altra in mano di due Ecclesiastici.
Cadde la prima deputazione in persona del Canonico D.Lonardo Colia, e dell'Abate D. Tommaso Corsi come Ecclesiastici, e dei secolari D. Antonio Damiani, e D. Domenico Coleti, come da istrumento rogato per mano del fu Notaio D. Nunzio Matera in data dì 29 settembre 1741.
("detta statua fu formata da beneffattori e Coloni per aver ottenuta la grazia per intercessione di S.Michele di essere stati a loro preservati gli animali vaccini da un male epidemico, che distrusse quasi tutti quelli de' paesi vicini").
Non si può precisare l'epoca nella quale la Religion Cristiana presso i Minervinesi introdotti si sia, se prima o dopo che Costantino il Grande, che vivendo nel terzo secolo dell'Era Cristiana diede la libertà alla Chiesa di Cristo, stante che prima di lui in queste nostre regioni, come vicine alla sede degli Imperatori pagani e da loro uffiziali governate, il pubblico culto della nostra Religione non si permetteva, e di soppiatto e secretamente i Cristiani il loro culto talora nelle spelonghe esercitavano.
Determinare si può molto meno il tempo da quando in Minervino la particolare venerazione di S.Michele introdotto si sia.
Molto probabile sembra però essere ciò accaduto quando l'Imperatore Giustiniano, discacciato i Goti dall'Italia per mezzo di Bellisario e Narsete; poichè in quell'epoca la divozione de' Greci verso questo Santo si vide crescere in modo che Città non vi fu sì nella Grecia che nell'Italia che non ergesse Tempii ed Altari.
Ed in appoggio di ciò valga ciò che narra Procopio (dal primo libro dell'opera "Sugli edificii di Giustiniano Imperatore"), che da Giustiniano nella sola città di Costantinopoli gli furono molti Tempii eretti, ed altri antichi rifatti, il di cui esempio anche le altre città greche imitarono, fra le quali non può negarsi essere in quei tempi Minervino ("si vegga l'Autore della Storia Civile del Regno di Napoli, Lib. IV cap. 8").
II) Via facendo dalla Grotta di S.Michele a pochi passi di distanza s'incontra una Chiesa detta della Madonna della Croce, di cui se ne ignora la fondazione, e solo si conosce essere state aumentate le sue rendite dalle famiglie ora estinte dei Biscotti, e Ficca a pro delle quali annualmente dal Capitolo si celebravano le Messe, e che la detta Chiesa da Monsignor Carissimo Vescovo di Minervino sia stata consacrata, come da un'iscrizione nella stessa esistente.
E' tradizione che un tempo la Madonna della Croce fosse stato un Monastero di Dominicani, o di altro ordine religioso, essendo anche oggi il suo fabbricato tale di essere stato un tempo una Casa Religiosa.
Certo si è però che negli ultimi tempi il Duca di Calabritto vi possedeva quattro Cappellanie, che poi surrogate furono a S.Maria a Cappella in Napoli.
III) Per lo stesso sentiero proseguendo il cammino verso la Città, alla occidentale parte della stessa, essendo le altre due descritte al settentrione, s'incontra di più a piè del Colle il Convento dei Cappuccini situato in luogo piano, in cui si gode un'eguaglianza di temperatura atmosferica che non si ha nell'abitato.
Fu questo a spese comunali fabbricato nell'anno 1593, e da allora sin d'oggi il Comune gli ha somministrato, e somministra ogni anno, la somma di ducati 40 per l'uso che ai Frati potesse servire.
IV) Finalmente suburbana è la Madonna del Sabato sita anche alla parte occidentale di Minervino, ma a più distanza delle altre dallo stesso.
Si dice, ed apparisce anche oggi, che una Chiesetta sotterranea da lungo tempo vi esistesse col Altare ed effigie di detta Madonna, ma non si sa quando fu costruita, ed a spese di chi ("si ha tutta la ragion di credere che la Chiesetta fosse stata un luogo dove i Cristiani si riunivano per esercitare il loro culto quando venivano perseguitati; prima cioè di Costantino il Grande ". "In chryptis officiavant").
La tradizione dei vecchi poi ci afferma la Chiesa ora esistente essere stata eretta dai Principi Pignatelli utili Signori di Minervino prima di passarlo nel dominio dei Duchi di Calabritto, come si disse.
Vi si celebra la Festa di detta Madonna nel secondo sabato e seguente domenica dopo la Pasqua di Resurrezione con gran concorso di popolo, ed a cui manifesta una gran divozione.


ARTICOLO II
Delle Chiese e Cappelle urbane


Il perimetro dell'antico abitato di Minervino non era certamente quello che è oggigiorno, essendo ristretta la Città in più angusti limiti, circondata da mura tutt'all'intorno e a cui non si aveva l'ingresso che per una sola porta detta di SantAntuono.
Ora aumentata essendosi la sua estensione per il fabbricato a circa il doppio di ciò che era, chiaro apparisce essere addivenute urbane alcune Cappelle che non lo erano prima, ad alcune interdette e distrutte, essendosi convertite in abitazioni.
E per incominciare dalle Chiese che site si trovano lungo la strada maestra, e propriamente dal Largo del Castello all'estremità settentrionale dell'abitato, la prima è quella che oggi si chiama la Chiesa del Purgatorio.
Appartenente questa ad un Convento di Frati detti dei Minori Osservanti, fondato l'anno 1400 da Raimondo Orsino Principe di Taranto, ed allora padrone di Minervino.
Era questo un convento non dei mediocri, avendo un chiostro con peristilio, buoni corridoi, e numerose celle, cisterne contenenti freschissime acque piovane ed un giardino per comodità e passeggio dei detti Frati.
Fu egli soppresso nell'anno 1811 per ordine del governo militare, regnando Gioacchino Murat, quando il regno intero ebbe la sventura di veder soppressi molti monasteri di monaci e monache, devolvendosi i fondi e le rendite ad essi annessi in beneficio dello Stato, la maggior parte dei quali fu dai particolari comprata isborsandone la valuta al governo stesso.
Fu anche allora che il Sig. Duca di Calabritto D. Francesco Tuttavilla lo chiese al Re, che glielo donò col giardino che costituisce la metà della Villa posteriormente da esso Sig. Duca formata, mentre l'altra metà a costui apparteneva, e che oggi tutta insieme si vede.
Il fabbricato poi per incuria del possessore, si rese, disabitato e semidiruto, ma ora si va restaurando e utilizzando.
La sola Chiesa si domandò dal Comune al detto Re e si ricevette in grazia, che è quella che oggi chiamasi la Chiesa del Purgatorio, come si è detto, e che altrove esisteva, come si dirà.
In questa i pii uffizii esercita l'Arciconfraternita dei signori galantuomini, elevata a questo grado nell'anno 1828, mentre prima non era che semplice Congrega.
E' da avvertirsi intanto che quantunque la soppressione del menzionato monastero, come di un altro di cui or ora si parlerà, avvenuta sia nell'epoca suespressata, pure la soppressione dei Monasteri degli Ordini possidenti, come dei celestini, Domenicani fu ordinata ed eseguita con decreti del 13 febbraio 1807 e 7 agosto 1809, appena occupato il regno dai Francesi sotto la condotta di Giuseppe Napoleone Bonaparte, dichiarato poi Re di Napoli dal fratello Napoleone imperatore dei detti Francesi e re d'Italia.
Sull'istessa strada, e poco discosto dal Monastero dei Minori Osservanti vi era il Monastero delle Monache di S. Chiara, che fu cominciato a costruirsi nell'anno 1585 per avere una signora benestante nomata D. Elisabetta De Roggeriis ordinato nel suo testamento, che le sue sostanze impiegate si fossero nella fondazione di siffatto Monastero.
Ciò fu eseguito ma non fu formato che dopo più anni da D. Mario Pignatelli Principe di Minervino, ed a proprie spese.
Costui impetrò ed ottenne dal Papa Urbano VIII, che detto Monastero stesse sotto il governo dei suddetti Minori Osservanti, per cui fra le altre facoltà, il Guardiano dei medesimi chiudeva la porta d'ingresso nella sera, e portandosi la chiave, si andava ad aprirla nel seguente mattino.
Fu egli soppresso anche nell'anno 1811 e s'impetrò dall'allora Re Gioacchino di essere rilasciato al Comune per l'uso di una casa municipale e Regio Giudicato.
Riformato poscia essendosi il fabbricato, il regio giudicato si trasferì altrove, pagandosi dal Comune, giusta la legge, il pigione, ed invece si costituì la Caserma della gendarmeria, come tutto si osserva al tempo di oggi.
I benifondi che dal medesimo si possedevano consistendo tanto in urbani, che rustici, censiti furono da vari proprietarii minervinesi, che per ordine del governo, siffatti censi sono devoluti in favore delle Monache di S.Giovanni in Napoli.
La Chiesa al Monastero appartenente poi si rilasciò al Comune, ed è quella in dove esercita oggi le sue diverse funzioni la Fratea, ossia la Congrega del Protettore S.Michele.
Si entrava in detto Monastero e Chiesa annessa ascendendo un sol gradino, ma ribassata essendosi la strada che loro passa davanti per sotto il Campanile della Chiesa Madre sino alla salita del Conservatorio delle Monacelle per il traffico più comodo delle vetture, oggi si ascendono più gradini.
Un siffatto ribassamento si effettuò nell'anno 1817 per opera ed impegno dell'allora Primo Eletto fu Sig. D. Antonio D'Ambrosio, essendo in quel tempo sindaco il fu Sig. D. Giovanbattista Cristiani.
Percorrendo sempre la stessa strada, e poco distante dall'ex Monastero di S.Chiara, s'incontra la Chiesa Madre in cui si entrava ascendendo tre soli gradini e che ribassata essendosi poi la strada, come si è detto, il Comune nell'anno 1827 obbligato venne a costruire a sue spese la gradinata che attualmente esiste.
Siffatta Chiesa Madre è di buona architettura con tre navi distinte da grandi colonne di pietra semplice, con proporzionato Presbiterio e con un Coro rozzamente rinnovato dopo essere stato per una fatalità incendiato.
Sul conto della stessa Chiesa dal protocollo del quondam notaio D. Agostino De Stasis si rileva, che ella fu fatta da primo punto, dove forse malconcia ed angusta anticamente esisteva, e che probabilmente l'antico tempio a Minerva dedicato esser poteva come si disse, fu fatta e costruita, diceva, nell'anno 1519.
Si gettarono le prime pietre nella fondamenta nel dì 21 febbraio di detto anno col canto del Te Deum.
Tutte le pietre della costruzione cavate furono vicino alla Chiesa di S.Marco, oggi Chiesa dell'Incoronata, a meno che quelle servite per le tre porte di entrata che trasportare si fecero da Cerenzola(1) paese di Schiavonia.
Tre ne furono gli intraprenditori fabbricatori che a loro spese la costruirono per 4800 ducati, es essi furono Sebastiano Lombardi, Lodovico e Domenico Selamone di Trani.
Era allora Vescovo D. Marino dei Falconi; Arcidiacono D. Lorenzo Martecchia; arciprete D. Nicola de lo Priore; Cantore D. Giovanni de Massari e Primicerio D. Antonio di Spera.
Barone di Minervino in quel tempo era Onorato Gaetano e regnava Carlo V dell'Impero d'Austria, I del Regno di Spagna e IV del Regno di Napoli.
Era la stessa una Cattedrale che aveva i suoi Vescovi, quantunque s'ignora l'epoca precisa in cui a siffatto grado venne elevata.
Si dice essere stato Vescovo di Minervino un certo Landulfo che viveva nell'anno 901 circa, che casato avendo il suo figlio lo fece Arcidiacono della sua Chiesa, assegnandoli di grossa rendita mediante Bolla del Patriarca di Costantinopoli, sotto di cui stava in detto tempo la Chiesa di Minervino.
Altri vogliono non essere stato un Vescovo ma un Visitatore della medesima inviato dal Patriarca.
Certo si è però che detto Landulfo morì in Minervino e seppellito fu nella Chiesa Cattedrale vicino al Fonte Battesimale, in dove vi esiste ancora la lapide della sua sepoltura.
Vescovo di Minervino ancora si dice essere stato un certo Bisanzio (tratto dall'opera di Ughellio "Dei Vescovi di Lavello, e Minervino") il quale viveva nell'anno 1069, assumendo una tal notizia da un autentico documento di una donazione fatta dal Duca Roberto Normanno in favore del Monastero della Santissima Trinità di Venosa, in dove il detto Bisanzio fu testimone.
Non è da preferirsi che smentita viene una siffatta assertiva da Lucenzio nelle annotazioni all'enunciato autore, e fa rilevare che il Bisanzio che come testimone intervenne col Vescovo di Melfi e di Venosa all'espressata donazione, non fu di Minervino, ma bensì di Lavello.
Si dice finalmente che un altro Bisanzio chiamato il Vecchio fosse stato Vescovo di Minervino vivente nell'anno 1092; che cercò licenza dal Papa Urbano II allorchè andò al Concilio Romano che si chiamò per la translazione del Corpo di S.Nicola da Mira Vescovo, ossia S. Nicola oggi in Bari, e le parole del detto Papa sono le seguenti: "Gli altri Pastori, e specialmente quello di Siponto e Minervino ...".
Lascio la libertà di chicchessia di giudicare, se su di un tal particolare merita più credenza lo Scoliaste, od il testo, e solo fo osservare che tra i stemmi vescovili che si ritrovano nella sala dell'Episcopio, quello di Bisanzio che viveva nel suddetto anno 1069 occupa il primo posto con questa sottoscritta:"Bisantius Episcopus Minerbinem aestis donationis Ruberti Ducis facte Monasterio Venusino A.D. 1069.
Potrebbe ciò opporsi essere stata una vanagloria de Minervinesi per vantarsi di avere un vescovado di più antica data, e che confuso lo avessero con Bisanzio il Vecchio che fu posteriore.
Credat judeus Apella.
Da tutto ciò nulladimeno in quanto a me concludo non essere a nostra notizia quando ebbe il primo Vescovo a Minervino appoggiandomi all'autorità dell'altra volta citato Freccia ("Marino Freccia autore del Dei subfeudi Lib. 1, pag.1").
Egli dice che il Vescovado di minervino sorse dallo smembramento dell'Archidiocesi di Canosa, oppure che fu creato in vicinanza della stessa.
Ecco le sue parole: " Episcopus Minervini iuxta Canusium et Venusium ab antiquo canusio trahit originem minime vero constat, quonam tempore institutus, erectusque sit recens hic Episcopatus".
In mezzo a tanta nebbia sulla questione dell'installazione del Vescovado in Minervino, dato e monumento certo si ha nella lapide posta all'ingresso a destra della sacrestia della Chiesa di S.Sabino in Canosa, monumento che se la questione non decide, fissa l'epoca certa almeno dell'esistenza di un Vescovo in Minervino.
Nè però amo uniformarmi al parere del Prevosto Andrea Tortora, che pretende essere stato quello che si va a dire il primo Vescovo di Minervino.
Si trova colà menzione di un certo Mando Vescovo di Minervino, trascritto in una lapide, che fu chiamato tra gli altri Vescovi, Arcivescovi, Abati nel Sinodo tenuto dal Papa Pasquale II in detta città per la dedica della Chiesa in onore di S.Sabino e ciò avvenne sul dì 6 settembre dell'anno 1102, Indizione decima.
Avuto avremmo al certo un documento sicuro all'oggetto, se avvenuto non fosse quel che si va a dire.
Nel 1656 Minervino afflitto essendo stato da un'atroce peste ch'esterminò quasi la popolazione, il Demanio delle Murge abbandonato rimase per mancanza di coltivatori e di animali.
Profittando della circostanza, buona parte del detto Demanio Comunale usurparono i Baroni di quel tempo, ed avendo fatto invadere l'Archivio della Curia in dove con le carte e scritture della Università ossia Comune conservate erano anche quelle della Mensa Vescovile e del Capitolo e fattele trasportare nel Castello baronale, le fecero tutte divorare dal fuoco, a fine di far perdere i titoli nelle contestazioni che insorgere doveano, come insorsero, tra essi ed il Comune per l'enunciata esurpazione.
Comunque oscura sin delle più volte detta installazione Vescovile l'epoca, certo si è però, di aver avuto Minervino una lunga serie di Vescovi, come rilevare si può dai rispettivi di loro stemmi nella detta gran sala dell'Episcopio dipinti.
Ed astrazione facendo se prima del riferito Bisanzio, Vescovi alla dominazione del Patriarca di Costantinopoli soggetti avesse avuto, come il riportato Landulfo e Monsignor Porcari qui morti e nella Chiesa sepolti nella qualità come sopra, oppure nella qualità di meri visitatori, mentre chiaro costa che le Chiese di Puglia e delle Calabrie nell'ottavo secolo per opera del Patriarca Anastasio col favore dell'Imperatore Leone Isaurico dalla Comunione dell Chiesa Romana separate si trovavano; e che i Normanni, dietro le loro conquiste nel nostro Regno, alla Santa Sede le restituirono ("da Nicola Vivenzio nota IV alla pag. 31 dell'opera "Considerazioni sul Tavoliere di Puglia""); non ometto di trascrivere le iscrizioni della prima serie di Vescovi che con i loro rispettivi stemmi nella detta sala dell'Episcopio si ritrovano, nulla alterando le date e tutt'altro, mentre le altre due serie inferiori radiate dal bianco sono state, e non ne riporto che quelli che a mia notizia han potuto pervenire.
Essi sono dunque i seguenti:
I) Bisantius Epus Minerbinesi aestis in A.D. 1069
II) Indacius qui interfuit consecrationi Ecclesie Cassinensis ab Alexandro secundo celebrate A.D. 1071
III) Transmundus(3) Epus Minervinen sub Ruberto Rege
IV) Leopardus Epus Minervinen aestis privilegii Henrici sexti Imperatoris pro militibus S. Iohannis Hierosolimitani A.D. 1097
V) Richardus Monacus ordinis S. Benedictis assumptis degremio Ecclesia S.Samuelis de Barulo ad hanc Ecclesiam Minervinen A.D. 1200 , cui Innocentius P.P. III concessit facultatem exercendi pontificalia in dicta Ecclesia Sancti Samuelis.
VI) Petrus de Cidoniglia a Candensis Eccle Caplo expostulatus, iussu Alexandri IV ab Archiepiscopo Barensi huc transfertur A.D. 1256
VII) Leonardus electus die undecima Xbres 1406. Obiit A.D. 1432
VIII) Sancius(4) Epus Civitensis huc translatus per mortem Leonardi XII kal februarii fuit deinde Epus Barensis
IX) Goffridus Cantor Eccle Auriensis electus Epus Minerbinem die XV Octobus 1434. Ex hac vita migravit A.D. 1456
X) Iohannes Campanella Monacus Ordinis S. Benedicti Monasterii S. Fhilippi Policastrensis, sedis Minervinen Antistes denunciatus fuit die XIII 1456
XI) Rubertus .... Antistes Minervinen declaratus die XV Iannuarii 1492 translatus fuit ab hac ad Cannensem ecclesiam(5)
XII) Franciscus de Falconibus (6)Archipresbiter ... Baren Diocesis successit Ruberto XV May Obiit 1525
XIII) Franciscus Antonius Sansolinus Regolaris Ordino Minorum Conventualium a Clemente VII electus fuit die XXI Iannuarii 1525, defunctus vero 1528
XIV) Bernardinus Fumarellus Etruscus de S. Geminiano(7) die V Augusti hanc obtinuit sedem, vix elapso anno translatus fuit ad Aliphanan Ecclesiam 1529
XV) Iohannes Franciscus de Bitonto Aliphanen Epus Minervinem factus eodem die XIV Augusti 1529, quo Bernardinus ad Aliphanan translatus fuit, excessit A.D. 1535
XVI) Donatus Mauritius(8) hanc sedem obtinuit die XI Februarii 1536 fuit deinde Lavellinus Episcopus A.D. 1545
XVII) Iohannes Vincentius Michaelis es Lavellino factus est huius Ecclesie Epus die undecima Martii 1545, mortalitatem explevit A.D. 1590
XVIII) Franciscus Laurentius Mongigi Galatinus Ordinis Minorum Observantium successit die decima Iulii A.D. 1596, translatus ad Laucianam, et Puteolanam Ecclesiam XIX) Iacobus Antonius Caporalis Tricaricensis ad Minervinen sedem pervenuit die II Iannuarii 1605, obiit A.D. 1616
XX) Altobellus Carissimus de Anclona cadem sede nobilitatus a Paulo V die XXX Iannuarii 1617, defunctus vero A.D. 1633
XXI) Franciscus Iohannes Michael de Rubus Ordinis Carmelitanorum,Procurato Generalis, iussu Urbani VIII Minerbini trono sedit die decima 1633, post paucos menses translatus ad Aliphanam Ecclesiam
I Vescovi a questi posteriori poi radiati dal bianco per ignavia di un inquilino, a cui detta sala locata, a nove li riduco, perchè di questi soli ho potuto raccoglierne notizia, colle date della loro morte taluni, e taluni altri senza data, a meno che del Vescovo Spani, di cui un'iscrizione nel fondo della volta si vede.
Essi sono i seguenti:
I) Monsignor Frambeccari di Bologna...
II) Pranzonio Antonio Maria .... morto a dì 25 aprile 1663
III) Vignola Francesco di Spinazzola morto nel 1700.
IV) Chenevi Marco Antonio di Torino morto il dì 17 luglio 1718
V) Pignatelli Antonio promosso al ....
VI) Troylo Fabio Vescovo vivente a dì 26 S.bre 1741("fu detto dì ed anno che accordò tra gli altri privilegi quello di conservarsi una chiave dove veniva rinchiuso S.Michele(2) dall'arcidiacono protempore ed un altra da un deputato secolare")
VII) Spani eletto Vescovo nel dì 1 febbraio del 1751, e morto nel 1777, di cui esiste la seguente iscrizione: " Stephanus Iannuaris Spani Patritius Civitatis Caleni, cum Generalis Vicarii cum Eminentissimi ac Reverendissimi Cardinalis Carrafa albanensis Episcopi munere fungeretur, Episcopus Minervinensis kal Februarii A.D. 1751 electus, XIV vero kal Aprilis proximi consecratus, ac VIII kal eiusdem in Collegium domesticorum Presulum, Solioque Pontificio assistentium a S.S. Dno Benedictio XIV Pontefice Maximo cooptatus
VIII) Monsignor De Gennaro
IX) Mancini D. Pietro del Comune di S. Marco in Lamis nel Gargano, che da Vicario Generale in Benevento fu eletto Vescovo di Minervino, e fu l'ultimo Presule vissuto a nostri tempi; avvenuta essendo la sua morte nel dì 11 giugno 1805 in detta sua patria per mezzo di un tocco apoplettico.
Non mancò chi opinato avesse sul conto della di costui morte essere ella succeduta in forza di veleno fattogli propinare da alcuni suoi nipoti di bassa estrazione ad oggetto di appropriarsi il ricco suo retaggio; ma ciò smentito viene dal riflettere ch'egli morì nel dopo pranzo in un monastero di monaci suoi amici in dove convitato era stato, ed in dove influenza ed aderenza alcuna i detti suoi nipoti aver non poteano.
Dal tempo suddetto in poi Minervino restò sede vacante fino all'anno 1818, quando tenutosi dal Papa Pio VII col nostro Re Ferdinando I un concordato, fu dichiarato con questo restar soppressa la Sede Vescovile di Minervino, che nella sua Diocesi comprendeva Montemilone, Canosa e Cerignola; e per maggior sventura ottener neppure potè la grazia di essere Concattedra, e quindi al Vescovo di Andria venne sottoposta.
Tiro un velo sulle cause che diedero mano ad una siffatta perdita, perdita che si è pianta e si deplora tuttavia, perchè non giova il memoriale.
E chi sa se, o quando potrà saldarsi questa sempre cruenta piaga, che Cittadini e secolari e Preti, se non direttamente, indirettamente almeno, aprirono!
Nell'anno 1839 a spese del chiarissimo e degno Prelato D. Giuseppe Cosenza Vescovo di Andria fu fatto costruire il pavimento della Chiesa Madre, si serrarono i quattro finestroni che davano lume alla detta Chiesa, facendosi aprire le finestre antiche che si trovavano chiuse, e si fecero altre restaurazioni che hanno dato più vetustà alla stessa.
Con la detta riformazione del pavimento della Chiesa, la lapida della lunghezza di circa palmi quattro, e della larghezza di circa un palmo e mezzo senza iscrizione alcuna e con un rosone sculto nel mezzo che covriva il sepolcro del Vescovo Landulfo in vicinanza del Battistero, fu tolta, e le poche ossa del medesimo ivi rinvenute, forse perchè altra volta traslatate o disperse, tumulate furono nel Coro della ridetta Cattedrale.
Esiste, inoltre in Minervino ancora un Monastero di Monache poco lungi dalla Chiesa Madre che va sotto il titolo di Gesù, Giuseppe e Maria.
Vanta questo la sua fondazione sin dall'anno 1758.
Un pio Canonico Minervinese a nome D. Lodovico Grisorio lo fondò a sue spese per le orfane zitelle, che in prosiego addivenuto esemplare per la buona educazione e condotta delle Monache, non le sole orfane zitelle, ma donne oneste e signore ancor che hanno amato di menar vita lontana dal mondo, si ci sono immesse.
Queste dato hanno al loro Monastero un aspetto quasi di Clausura, quantunque professione con voto solenne non fanno, e la loro morale è tale che da ogni parte giovinette per educande attira, essendo religiosamente custodite ed istruite, ed il caso sinora non si è dato che qualcheduna di esse monache volontariamente il suo stato abbandonato avesse per menar vita secolare.
Per ordine del Governo dopo l'anno 1815 vivono esse sotto la direzione di una Commissione Sacerdoto-Laicale; i cui due capi sono l'Intendente ed il Vescovo ognuno colle proprie attribuizioni, mentre prima si governavano da loro istesse sotto la sorveglianza e guida del Vescovo locale.
La Chiesetta di S.Andrea Apostolo titolo di in canonicato, come si disse, è anche una delle urbane esistenti alla parte occidentale dell'abitato poco al di sotto del Castello ed in vicinanza delle antiche mura della Città.
Ella è di jus padronato dei Signori Tofano, e la sua manutenzione è alquanto trascurata. Una simile Chiesetta, detta della Madonna di Costantinopoli si ravvisa anche nell'antico abitato sita nella parte orientale dell stesso, e propriamente in vicinanza dell'abitazione dei Signori Iambrenghi.
Apparteneva questa ai Duchi di Calabritto Tuttavilla, dai quali comprata venne dal fu Arciprete D. Giuseppe Massari domiciliato allora nella casa oggi detta di Nicola di Ruvo, perchè di pertinenza del Massari medesimo, onde aver l'agio di celebrare la Messa per mancanza di Oratorio in casa.
Coll'estinzione di detta famiglia, avendone i Signori Corsi tutti i benifondi ed altro per mezzo di D. Gaetana Massari moglie del fu D. Metello, così forma oggi un Cappellario dell'esistente Arcidiacono Sig. D. Felice Corsi.
La Chiesa dell'Immacolata Concezione si ritrova nel centro dell'abitato, Chiesa che per la leggiadria, capacità e comodità che dà agli abitanti è la migliore dopo la Chiesa Madre.
Una siffatta Chiesa tiene un così detto Soccorpo col Altare, sepolture, e traslata venne in tale sito da un altro che il nome ancora ne conserva chiamato la Concezione vecchia, come si diràparlando delle Chiese distrutte.
Circa l'epoca di una tale traslazione non cade quistione, trovandosi a destra dell'Ingresso della Chiesa la seguente lapidaria iscrizione:"D.O.M. in Dei, par sine labe Concepti, cultum, quod aedicula olim ei dicata vetustate deformis, et angusta esset, templum eius summe, ac fide tuti a fundamentis extrui curarunt an Sabutis 1788".
E perchè sulla porta d'ingresso vedesi una lapide che marca l'epoca del 1776, pare dunque che il tempo impiegato per la costruzione di tal Chiesa sia stato di 12 anni. Consacrata fu poi a dì 8 settembre 1794 dal vescovo D. Pietro Mancini per divozione del Priore Diego Tricarico come da una lapide sinistra dell'ingresso medesima ed in questa esercitano le opere di carità: Fratelli sotto il titolo della Concezione.
Quel che vi è di osservabile in detta Chiesa, fra l'altro, si riduce a sei quadri incastrati nelle pareti della stessa, copie dell'esimio pennello del Giordano venute da Venezia, come da Venezia anche venne la Statua dell'Immacolata, in cui si ammira un bello e particolar lavoro, scolpita da Giovan-Antonio Colucci nel 1745.
L'ultima Chiesa esistente è quella dell'Incoronata all'estremità dell'abitato alla sua parte meridionale, e che non ha molto tempo dietro che si ritrovava fuori della stessa, come si accennò in parlando della Chiesa Madre per essersi cavate colà vicino tutte le pietre per la costruzione della stessa servite, e che Chiesa di S. Marco allora si chiamava.
Una nuova Congrega s'installò nella stessa nell'anno 1832 a spese di un cittadino a nome Giuseppe Brandi di Vincenzo, e che va sotto il titolo del Santissimo Crocefisso.
A cinque si riducono le confraternite che esistono in Minervino, le quali nelle processioni prendono l'ordine come si espongono riguardo avendo alla posteriorità del di loro rispettivo installamento.
Prima quella dell'Incoronata, ossia S.S. Crocifisso come l'ultimo installato, acui segue la Congrega di S.Michele installata nel 1802, essendo Vescovo il più volte detto Pietro Mancini, che i suoi pii ufficii esercitava nella Chiesa di Costantinopoli sino a che non ottenne quella del soppresso Monastero di S. Chiara; il terzo luogo, prende la Congrega della Concezione, il quarto quella del Purgatorio, ossia l'Arciconfraternita della morte; e l'ultimo, perchè legalmente installata prima delle altre è la Congrega del Santissimo Sacramento.
Di quest'ultima ho detto legalmente installata per la seguente ragione.
Le Congreghe tanto del Purgatorio, quanto del S.S. Sacramento e Concezione, quantunque da tempo remotissimo formato avessero Corporazioni laicali, pure, perchè prive di regio assenso, così riconosciute per tali non venivano dietro Dispaccio emanato nel 1700, onde perchè quella del S.S. Sacramento l'ottenne prima delle altre due e propriamente nel dì 13 novembre del 1776, diciasette giorni dopo la Congrega del Purgatorio e posteriormente quella della Concezione, onde il S.S. Sacramento occupa un posto più dignitoso, e progressivamente le altre.
In quanto alle altre due, perchè sono negli ultimi tempi installate, perciò hanno dovuto cedere il posto più dignitoso alle prime.
Ed in quanto al Santissimo Crocefisso(9) pare opportuno il far conoscere quel che una volgare e comune tradizione ci ha tramandato.
Vuole questa, che la statua di legno e di color bruno per un'accidente rinvenuta si fosse in un fosso nel territorio tra Corato e Minervino.
Precisare non si sa il tempo in cui fu ritrovata; e la foggia con cui è formata fa supporre essere antica, dapoichè, essendo ella di colore bruno, presumere si può essere opera dei Greci che così dipingere soleano le loro immagini e scolpire le loro statue.
Di simil colore difatti è la Madonna dell'Incoronata di Puglia, e la Madonna dell'Assunta detta d'Icon vetere in Foggia, ritrovata in un bosco su di un albero la prima, ed in un pantano effigiata su di una tavola la seconda, pantano che esisteva dove è oggi la sua Basilica.
Non cerco oppormi a chi sostenere volesse non essere greco lavoro, ma lavoro dai Greci imitato, perchè vi fu un tempo in cui prevaleva un tal gusto greco per la pittura e scoltura delle statue e delle immagini.
Comunque ciò vada, ella conservata viene nella Chiesa Madre e dai Minervinesi in somma venerazione si tiene; ed in Processione non si caccia, se non se quando qualche grazia dal cielo ottenere si vuole, od in caso di siccità, od in altro simile e contrario, narrandosene prodigi della sua Protezione ogni qualvolta con vera divozione al detto Santissimo Crocifisso si è ricorso.
Oltre le già descritte Chiese e Cappelle nell'abitato esistenti, ve ne erano delle altre nello stesso comprese che più non figurano, ed altre similmente distrutte e poco da esso discoste, a cui è restato il nome del quartiere e contrada della Città dove esistevano.
Queste ultime erano S.Rocco, dove oggigiorno è la cantina di Felice Delfino; S.Giovanni sotto la casa del fu Francesco Carella e San Lorenzo e San Lonardo poco al di sotto della strada a mezza costa che rade l'abitato alla parte di occidente. In quanto a quelle poi che contenute erano nel vecchio abitato, si riducono esse alla Madonna dell'Arco che esisteva sotto l'attuale cucina dei Signori Tofano; a Santa Caterina abitazione che al Capitolo oggi si appartiene, abitata al di sopra da Giuseppe di Barletta; a Sant'Antonio Abate che sita era alla parte sinistra della porta anche oggi detta di SantAntuono; alla Concezione vecchia sita prima del trasferimento, come già dissi, avanti la Chiesa del detto S.Antuono, ora casamenti appartenenti alla famiglia Coppa, ed alla Madonna della Nunziata.
Eretta era quest'ultima all'ingresso della così detta Porticella, come si dirà, formando il fianco dell'angusta strada che menava nella Città.
Officiava in essa la Congrega del Purgatorio prima di trasferirsi nella Chiesa degli ex Minori Osservanti, come si è fatto parola, ma uopo era demolirla per dare un adito più convenevole al vecchio abitato, ed insieme un'aria più libera.
L'opportunità di ciò eseguire, come si eseguì, si ebbe nell'anno 1811 per opera dell'allora Sindaco Sig. D. Michelangelo Troysi contro il voto di taluni cittadini che mal comprendevano i vantaggi che se ne ritraevano.


Note:
(1)Cerenzola:L'attuale isola croata di Curzola sull'altra sponda dell'Adriatico.
(2)Statua d'argento di S. Michele: Tale statua fu custodita provvisoriamente nella chiesa del Conservatorio, in attesa della costruzione della cappella definitiva all'interno della chiesa della Cattedrale dove la si ritrova attualmente in fondo alla navata destra a fianco dell'altare maggiore. Oltre alle disposizioni riguardo alle chiavi di custodia nel decreto vescovile, conservato presso la Curia Vescovile di Andria, vengono concessi altri diritti come quello di portare a spalla la statua durante la processione annuale e reggere il palliotto durante tale cerimonia.
(3)Transmundus: Il re Roberto a cui si riferisce l'iscrizione non è il normanno Roberto il Guiscardo, che peraltro non fu mai re, ma il re Roberto D'Angiò e tale vescovo fu inviato nel 1310 dal papa Clemente V, perciò nell'ordine di successione è posteriore a Pietro di Cidoniglia.
(4)Sancius: Il vescovado di provenienza è incerto: non può essere Civitate nella quale non è mai esistito un vescovo con tale nome e neanche Civita Castellana nella quale esisteva sì un vescovo di nome Sancies a quei tempi ma non si spostò mai dalla sua città.
(5)Roberto De Noja: Fu inviato nella diocesi di Acerra, non di Canne.
(6)Franciscus de Falconibus: In realtà il nome di tale vescovo era Marino de Falconibus.
(7)Bernardino Fumarelli: Secondo l'Archivio Vaticano proveniente da S. Germano.
(8)Donatus Mauritius: Secondo l'Archivio Capitolare di Minervino il cognome del vescovo era Martutius: "Ego Donatus Martutius de Cupersano.
(9)Santissimo Crocifisso:Narra per esteso tale tradizione che un giorno un gruppo di contadini minervinesi, arrivati nei campi e deposti gli arnesi, dopo aver salutato i confinanti andriesi, presero concordemente a scavare un solco, per meglio delineare i confini tra i campi, quando ad un tratto intravidero qualcosa nel terreno; scavarono ancora, sin quando apparve una superba croce con un Cristo Nero. Allo stupore generale seguì la lotta per il possesso dello stesso; nacque una disputa tra i minervinesi e gli andriesi che, non riuscendo a mettersi d'accordo, decisero di affidare alla sorte l'assegnazione del Crocifisso. Presero un carro trainato da due buoi, legarono sopra il Crocifisso e concordarono che questo sarebbe stato di coloro sul cui suolo si sarebbero fermati i buoi. I buoi presero a correre all'impazzata, cambiarono più volte direzione sin quando giunsero sul colle che fronteggiava Minervino; qui si riposarono e tutto sembrava risolto quando si alzarono e presero a correre verso il paese. Giuntivi lo attraversarono e, arrivati al punto di congiunzione dei due colli, salirono per il fianco del colle sinistro fermandosi alla metà, si inginocchiarono e non si alzarono più. Pertanto fu deciso che il Crocifisso sarebbe rimasto a Minervino, mentre agli andriesi fu data una spina della corona dello stesso. In quel posto i minervinesi decisero di costruire una chiesa, che in seguito diventò la Cattedrale del paese. Da allora il Crocifisso Nero viene custodito gelosamente in questa chiesa.


ARTICOLO III
Delle mura da cui circondato era Minervino, dei suoi edifici più notabili, del Sedile e delle principali strade sì interne che esterne.


Circondato da salde mura era tutto all'interno l'antico abitato in cui l'ingresso non si avea che per una sola porta, detta di "SantAntuono", sul gusto gotico costruita.
Non si sa il tempo in cui gettate furono le fondamenta di siffatte mura e non è credibile essere state dai Baroni costruite per un oggetto finanziere, per impedire cioè i contrabbandi dei cittadini e che da essi vivevano angariati.
L'altezza e la solidità delle medesime di cui se ne veggono pochi avanzi; le varie torri e baluardi di cui fornite erano a piccola distanza tra di loro, che in parte anche oggi si ravvisano e l'essere stato stimato a Minervino un castello atto a sostenere e resistere ai violenti assalti dei nemici nei tempi antichi mentre castello nomare non poteasi, se da mura cinto non era, tutto ciò fa rilevare tutt'altro essere stato lo scopo della costruzione di tali mura, a meno che, quello di servire per fortificazione, e quindi montare bisogna a tempi più remoti.
Fu nell'anno 1745, epoca in cui era sindaco D. Tommaso Marchese seniore che i cittadini facendo istanza presso lo stesso di aver più libertà nel sortire ed entrare in Città, progettarono di aprirsi una nuova porta d'ingresso.
Inerendo costui alle giuste domande, aprì, squarciando le mura, un'altra porta di mediocre grandezza, anche fu chiamata Porticella per rispetto all'antica prima, e quindi è rimasto il nome di Largo fuori la Porta, ove oggi si è formata una gran piazza, dopo la demolizione della stessa, come si è accennato parlando della demolizione della Chiesa della Nunziata, e poco più appresso si dirà.
Fece ricavare nel muro della porta il detto Sindaco una nicchia ove fece mettere una statua di pietra leccese del Protettore San Michele, e di quella che posteriormente venne situata sopra il pilastro donde attualmente si vede, e vi fece apporre un'iscrizione dell'epoca di una tale innovazione, e che, dietro la detta demolizione la lapide iscritta si smarrì e distrusse.
Fiancheggiata a sinistra siffatta Porticella della menzionata Nunziata e a destra delle case appartenenti al Capitolo ed al fu Felice D'Avenia come oggi esistono, la strada che immetteva nella Città a malappena dava il passaggio ai traini e le persone che per caso si trovavano in essa pericolavano di essere offese, onde fu uopo demolirla.
Tutto ciò che poi fuori delle mura e siffatta porta esisteva, quantunque ad un piccolissimo numero di abitazioni si riduceva, si chiamava Borgo.
Quello che più rifulgeva in questo vi era il palagio dei signori Cristiani, che fu costruito non da tempo lontano e che per l'aumentato numero delle abitazioni a questi tempi nel centro dell'abitato si ritrova.
Lo più notabile degli edifizii e lo più antico, a quel che pare, vi è il Castello situato egli all'estremità settentrionale dell'abitato, è un edificio magnifico ed ha tutti i caratteri di una fortezza specialmente dalla parte boreale dalla quale è inaccessibile per ragion che tiene al di sotto una profondissima valle onde volendo salir rampicando il nemico può, dalla fortezza a colpi di sassolini esser disfatto.
Dalla parte di mezzogiorno che riguarda la Città la fabbrica non è tanto antica per essere stata dai Baroni adattata per semplice loro abitazione in tempo di pace.
Dovette ciò succedere o prima, oppure regnando Ferdinando I re di Napoli, sotto il quale, come si è fatto parola, Maria Donata moglie di Pirro del Balzo Signore di Minervino per difendersi dalle armi del Principe di Taranto, si ricoverò nella Torre, altra fortezza fatta edificare dal marito di fresco.
Lo è fuori di dubbio però un tempo il detto Castello essere stato una fortezza che poco temette gli assalti dei nemici, come rapporta Matteo Villani (Libro 8°, Capitolo 53) il quale lo chiama inespugnabile, onde più volte sostenne gli esposti energici assalti.
Reso egli finalmente palagio di dimora dei Baroni è degno di ammirazione oltre per un'amena villa ad esso adiacente per aver un gran portone di entrata in un molto ampio cortile, e quindi un secondo portone di antica struttura che per via di una magnifica gradinata mena a sale e gallerie sì spaziose ed ampie che possono dare idea dei gran saloni d'Italia.
Degna anche di osservazione è la più volte menzionata Torre esistente prima fuori la Città ed ora rinchiusa tra le abitazioni.
Ella è di buona architettura e di guardia serviva alla stessa.
Fu fatta costruire da Pirro del Balzo, come più volte si è detto e tiene in cima una stella di marmo che era l'arma gentilizia di quella famiglia.
Edificata venne su di una vetta per osservare da lontano i movimenti e gli andamenti dei nemici come rilevasi da un'iscrizione incisa in marmo sulla sua porta, in cui si leggono le seguenti parole: "Construixit in Specula Dux de Baucia Pyrrhus".
Soffrì del gran danno dall'Orsino, che la vinse con le sue squadre quando vi si chiuse Maria Donata con i suoi figli sotto il regno di Ferdinando I d' Aragona come si disse.
La muraglia di parapetto all'atrio però restò superstite fino alla ricordanza dei nostri vecchi, e non si conosce per qual punibile fine i Cittadini l'avessero fatta demolire facendo perdere alla replicata Torre il pregio che aveva.
Si veggono inoltre per Minervino molti palagi di galantuomini esistenti lungo la strada maestra detta della Piazza e molti altri con gusto costruiti e che tuttavia si costruiscono sul prima così detto Borgo, di cui uopo non è farne il dettaglio.
In quanto alle strade interne la principale e strada maestra è quella che divide per lunghezza la Città, onde questa a metà resta ad oriente e metà ad occidente.
Denominasi ella Strada della Piazza sino al Largo della Porta e Strada della Torre, perchè passa da vicino a questa, sino al suo termine.
Tiene di lunghezza circa un terzo di miglio a contare dal Largo del castello sino alla sua fine, tale e tanta essendo la quantità delle abitazioni costruite dall'uno e dall'altro fianco per l'aumentata popolazione di cui la statistica redatta nell'anno 1834 assicura il numero degli abitanti ammontare a più di diecimila e quindi dichiarato Circondario presieduto da un Giudice di seconda classe.
Siffatta strada si incominciò a basolare con buoni quadrelli sin dall'anno 1815 e tratto tratto si è portata al suo compimento.
Le strade a questa laterale del vecchio abitato denominato quartiere Scesciola ad oriente e di SantAndrea ad occidente sono dirupose irregolari e malconce perchè come si imponeva la circostanza di essere ristretta la Città da mura, onde si veggono anche anguste, e con abitazioni generalmente quasi mal formate, ed appena atte ad abitarci.
Forna l'ornamento della Città un'altra strada detta dell'Incoronata, perchè mena a questa chiesa ed attualmente forma ancora l'ingresso principale nella Città istessa.
Essa ricoverta venne di ottimi quadrelli di pietra nell'anno 1832 epoca del Prosindacato di D. Luigi Carbone, che per l'avvenuta morte del Sindaco Sig. D. Antonio Ambrosio, ne assunse le funzioni ed ebbe tutta la cura di rendere questo bene al pubblico di unità ad altri galantuomini di genio, ed il costo della stessa essere a 1550 ducati.
Vi esistono altre strade parallele a quella della Torre regolari e di conveniente latitude e si spera che cittadini di genio e di gusto per l'avvenenza e comodità degli abitanti le vogliano col tempo mettere nello stato delle già descritte, potendosi rendere egualmente rotabili.
Evvi di più una strada esterna a mezza costa che rade la Città alla parte di occidente. La necessità per il commercio indusse i Cittadini a formare una siffatta strada, non potendo le vetture rampicarsi per quella sola detta dei Cappuccini che esisteva ed esiste.
A spese pubbliche dunque si cominciò ella a fare nell'anno 1823 e man mano si portò alla fine e avea principio dalla Casina del fu D. Francesco Tedeschi e terminava al di sopra della Casina dei Signori Insabato.
Ascese il costo di essa a circa 8000 ducati, tale e tanto tagliamento e riempimento avendosi dovuto eseguire, a modo che doveronsi ergere artificiali monti di terra per metterla al livello in cui si ravvisa, e tagliare macigni di smisurata mole.
Dichiarata poscia strada provinciale traversa per decreto sovrano nell'anno 1821, desistè il Comune di proseguirla sino al ponte secondo il progetto, ponte i di cui pilastri elevati all'altezza di 15 palmi al di sopra della terra oltre altri 11 di fondamenti si erano ben anche a spese comunali costruiti.
Volle il Signor Logerot allora Intendente della Provincia, che dovendosi costruire una strada traversa provinciale che da Spinazzola per Minervino congiunger si dovesse colla strada mediterranea di Canosa, volle disse, che la spesa erogata dal Comune per la strada a mezzacosta e ponte principiato, si intendesse donata alla Provincia, e di ciò contenti furono i Cittadini per vedersi abilitati a trafficare con i luoghi della stessa, di cui ne erano restati per l'inaccessibilità quasi del tutto privi.
Fu nell'anno 1832 perciò che con un tracciolino di 6 palmi di latitudine si segnò il cammino che percorrer dovea la traversa da Spinazzola per Minervino sulla mediterranea per Canosa, la quale è protratta sino a Taranto e solo in questo corrente anno 1836 tale strada a costruire si è incominciata.
Prima di parlare del Sedile che formava il centro della Piazza sino a nostri tempi, uopo è sapere dell'antica piazza non essere stato questo il sito.
Ella si trovava, entratasi appena la porta di santAntuono ascendendo a pochi passi di distanza e si riduceva ad un piccolo spiazzo detto Tocco, dall'etimologia greca che vuol dire Sedile, luogo cioè dove si congregava il popolo per deliberare sugli pubblici affari e oggi porta il nome di Strada del Tocco.
Si trovava ivi anche la Casa del Governadore, detto poi Giudice, quale casa nell'occupazione militare, e propriamente nel 1807 censita dal Comune al fu notaio Sig. D. Vincenzo Uva e che è quella dove i suoi eredi attualmente abitano.
Porzione dell'enunciato spiazzo si trasferì al Sedile di cui si parlerà, e che non si conosce il tempo di quando ciò avvenne, occupato fu dagli edifici di alcuni particolari cittadini, non da gran tempo fatti, come dei Signori Rinaldi, della famiglia Nalli, per cui angustatosi lo spazio figura d esso come una semplice strada.
Il Sedile con piazza poco fu accennato di passare poteva per uno dei mediocri, si trovava situato, a formarsene un'idea, tirando una linea dall'angolo della casa del sig. Laviola poco al di sopra sino alla casa dei Signori Matera, lasciando una viottola che conduceva al Conservatorio a destra e la strada maestra non molto larga a sinistra. Si ascendevano per entrare in esso cinque gradini, e quindi si trovava un'ampia porta rimpetto a mezzogiorno.
Collocati vi erano nel di dentro tutt'all'intorno dei sedili di pietra per assidersi e le due facciate laterali, quella corrispondente a oriente cioè e l'altra a ponente erano aperte per rendere luminoso il locale, ma difese erano da balaustrate di legno.
Aveva una volta molto alta dove dipinti vi erano trofei militari, corpi di cavalleria, fanteria ma tali pitture di recente erano state fatte e propriamente dopo la caduta della sedicente Repubblica Napolitana nel 1799, la quale non durò più che nove mesi.
Ora a siffatto Sedile essendo adiacenti alcuni casamenti appartenenti alli Signori di Minervino, Signori Terzulli, al Monte dei morti amministrato dal Regio Capitolo e di signori Del Giudice, il di cui palazzo crollato essendo nel 1810, nè essendo stato per più anni restaurato i Cittadini ridotto avevano il sito in letamaio ed anche in una fogna, da cui perennemente esalando dei gas micidiali, oltre all'indecenza, se ne contraevano annualmente dai vicini abitanti delle perniciose malattie.
Per ovviare a un siffatto disordine vi bisognava lo spirito di zelante cittadino, e questo si ritrovò nel fu Sig. D. Antonio D'Ambrosio, che essendo sindaco nel 1822 in considerazione ed avendo l'avvenenza del Comune e vieppiù la salubrità dell'aria, progettò all'allora Intendente della Provincia Sig. D. Gennaro de Tocco, Conte di Monte Aperto la demolizione del Sedile reso ozioso con gli adiacenti semidiruti casamenti.
Dietro le replicate istanze del detto Sig. D'Ambrosio, appoggiate alle deliberazioni decurionali, il Sig. Intendente inerì per tale demolizione previo l'indennizzamento ed il consenso dei rispettivi proprietari, per cui dal Comune, dietro apprezzo, fu liberata in favore di essi la somma di 1300 ducati.
Eseguitosi la detta demolizione nel suddetto anno 1822, in memoria del beneficio ricevuto dal Sig. Intendente, fu denominato il largo Piazza di Monte Aperto, che si è selciato in quest'anno 1836.


ARTICOLO IV
Digressione sugli usi del Sedile di Minervino e del Regno, non che di quei della città di Napoli


La destinazione del Sedile di Minervino, come pure degli altri del Regno era quella di convocarvi i Comizii, ossia Parlamenti, dai Governanti della Città per deliberare sugli affari che riguardavano i pubblici interessi, come si dirà parlando dell'antica amministrazione municipale.
Rimonta l'origine di siffatti Sedili, o Seggi che dir si vogliano, alla più alta antichità. Allorchè democraticamente governate erano le Città della Grecia e delle sue Colonie, vi erano ordinariamente vicino e fuori delle loro porte dei luoghi riservati, dove si riunivano i Magistrati ed i principali cittadini per tener consiglio sugl'interessi pubblici, o sui loro privati affari.
Intorno di queste piccole piazze o luoghi di riunione vi erano delle sedie di marmo, e si veggono ancora dei gran sedili circolari di tal fatta presso alla porta della Città di Pompei che si sta disseppellendo.
Ecco come dunque osservati si sono ad imitazione dei sedili per convocarvi dei Parlamenti in molti paesi del nostro Regno sino al principio del corrente secolo; come si anderà a dire.
In quanto ai Sedili poi della Città di Napoli, se non dispiace quest'altro episodio, avevano essi più ampie facoltà.
Come Città greca e come Repubblica aveva Napoli alle sue porte siffatti luoghi di riunione ossia siffatti portici, che conservò quando passò sotto il dominio dei Romani, ed anche molto tempo dopo, allorchè perdè tutta la libertà sotto i Re Normanni, per esempio, gli Svevi, e gli Angioini.
Se ne contavano 29 ai tempi di Carlo I nel decimo terzo secolo.
I Nobili soli si riunivano in quei seggi, e deliberavano essi sulle domande d'imposte, sugli donativi a farsi, e finalmente sui loro proprii interessi.
Vi erano ancora i Parlamenti della Nazione che convocati erano dai Re, ed i sedili ci riunivano i Deputati.
Molto facile era in sulle prime l'ammissione nei sedili, ed i plebei distinti non erano esclusi.
Si divenne rigorosissimo in prosieguo verso le nuove famiglie che si presentavano per essere iscritte sui registri dei Seggi, ed in taluni non si volevano ammettere, se non se i Nobili di quattro quarti almeno.
A poco a poco tutti i siffatti sedili, sia che le famiglie che iscritte vi erano estinte si fossero, sia che, per qualche altra cagione, si fusero gli uni negli altri, non ve ne rimasero perciò altri che cinque, le cui prerogative di più in più limitate addivennero.
Nulladimeno conservato aveano essi il diritto di cooperarsi per via di Commissarii alla nomina degli Eletti che formavano una specie di corpo municipale.
Tali eletti erano al numero di sette, un solo dei quali era chiamato dal popolo, perchè il popolo aveva anche un sedile, in dove erano rappresentate 29 Ottine ossiano Quartieri, e questo è tutto quello che loro restava delle loro antiche facoltà.
Ben si comprende che il Governo Reale gran cura aveva di non dirigersi mai a tutti quei Seggi e di lasciarli nella più perfetta inazione.
Così non avevano più essi influenza alcuna nell'amministrazione generale; e siccome i Re non convocavano più i parlamenti, così quella specie di Corpi Elettorali divenivano di più in più inutili, sino a che nel 1800 dal Re Ferdinando Primo di Borbone furono soppressi, i Nobili ad essi iscritti registrati furono nel così chiamato Gran libro d'oro e nell'occupazione militare l'amministrazione di Napoli si eguagliò a quella degli altri Comuni del Regno.
Desiderandosi più estese notizie su tal Sedili, Seggi o Piazze, nomi che valgono lo stesso, consultarsi potranno le opere seguenti, cioè dell'Origine e fondazione dei Seggi di Napoli, Discorsi di D.Camillo Tutini napolitano,Napoli 1644 in quarto.Breve descrizione di Napoli di Giuseppe Galanti. Napoli 1792 in ottavo.L'Istoria delle due Sicilie ossia Istoria Civile del Regno di Napoli di Giannone.


ARTICOLO V
Dell'amministrazione municipale, e giudiziaria antica


Si convocavano, come si è detto, nel descritto Sedile i pubblici parlamenti ne quali cadauno del popolo, nemine excepto, dava libero il suo voto negli affari che si trattavano, e che decisi restavano secondo la maggioranza de' voti; ma tali atti ricever non potevano l'esecuzione, fra l'altro quando trattavasi d'imposte o di cose rilevanti, se non dopo essersi ottenuto l'assenso della Regia Camera sedente in Napoli.
Presiedeva a tali comizi il Sindaco ed il cancelliere coll'assistenza del Governatore ossia Giudice per mantenere il buon ordine, così si portava avanti l'amministrazione degli esiti ed introiti dell'Università detta per Comune, e di tutto ciò che riguardava il Governo della Città.
Segnati venivano tutti gli atti col suggello dell'Università, che rappresentava la Dea Minerva coll'asta, collo scudo, e coll'elmo nella guisa istessa che dipingerla soleano gli antichi; ed in ogni anno si eleggevano sei persone consistenti nel Sindaco, Prosindaco e quattro eletti destinati per il governo economico ed amministrativo insieme.
Nello spirare dell'anno si nominavano anche in parlamento due Razionali per prendere conto della gestione buona, o cattiva degli Amministratori e l'atto si inviava alla detta Regia Camera per riceverne l'acclaratoria di regolare gestione, o la significatoria di profitto che il Sindaco fatto avesse del pubblico denaro.
Vi era di più un Erario oggi detto Cassiere che introitava le rendite pubbliche, e le rendite fiscali, le quali si chiamavano once e ripartite venivano annualmente sopra i Cittadini a norma del loro possidibile tanto in benifondi, quanto in tutt'altro ("N.B. le once distribuite venivano sui benifondi soltanto, e dei pesi fiscali, oggi fondiaria, erano fissi in ogni anno, ascendente a Minervino a circa millecinquecento").
A siffatto stato di cose fu surrogato il Corpo Decurionale, ed in luogo di sei amministratori, fu ordinato di eleggersi il decurionato in ogni tre anni; tre sole abili ed oneste persone per funzionare una da Sindaco, un'altra da Prosindaco ossia da secondo eletto, ed infine la terza da primo eletto per esercitare la polizia urbana e rurale.
Avvenne ciò nell'occupazione militare fatta dai Francesi nel febbraio dell'anno 1806, e che terminò nel mese di giugno del 1815, epoca in cui riacquistato il regno dai Tedeschi per Ferdinando Primo di Borbone contro di Gioacchino Murat, lo stesso Ferdinando nulla innovò su di una tale organizzazione.
Fu nella stessa militare occupazione che cambiò il Comune l'antico suo suggello col suggello generale del regno egualmente che tutti gli altri Comuni colla leggenda intorno Comune di Minervino, e ciò in virtù di una legge emanata dal Governo nel 1811.
Prima di entrare nella succinta definizione della amministrazione della Giustizia di Minervino, uopo è premettere in primo luogo che, per le nostre antiche leggi si distinguevano i Baroni ossia Feudatarii per alcune prerogative ammesse a questa qualità comprese nella concessione del feudo, dai cittadini delle città e luoghi demaniali, e dagli abitanti de' feudi.
In secondo luogo che tra gli altri diritti per concessione data dal Sovrano a taluni Feudatarii, si concedeva loro la giurisdizione, ch'era la facoltà di giudicare le controversie, e di far eseguire il giudicato; e l'imperio, ch'era la potestà di punire gli uomini facinorosi.
Una tale concezione ingiuriosa all'umanità però poteva esprimere la sola giurisdizione, od il solo imperio, od entrambi onde il Barone esercitar potesse o l'una, o l'altro, od ambedue.
Nulladimeno vi erano alcune cause riserbate al Principe, alla Gran Corte, ed alle Regie udienze come quelle delle vedove, dei pupilli e di altre persone miserabili, non men che quello de' rei di fellonia, de' falsi monetieri, ed altri simili.
Ciò premesso essendo stato Minervino una Città Baronale come la maggior parte degli altri paesi del regno a tenore di ciò che più sopra si è detto, così il Barone per giudicare le cause creava un Magistrato, che si chiamava Governatore, oggi Regio Giudice, ed in assenza del Governatore un Luogotenente, ma si l'uno che l'altro non potevano essere cittadini.
Costui dunque al mero e misto imperio giudicava sulle cause civili, penali, e sulle oggi dette correzionali.
I reati criminali o correzionali però consistenti in ferite, percosse cruenti, dopo essersi istruito il processo poteva il Barone commutare la pena corporale , o rimetterla ai delinquenti, ma non aveva poi la facoltà ciò fare dopo emessa la sentenza del Governatore.
Talora si avvalevano di tale facoltà detta di aggraziare rimettendo la pena, o commutandola per le così dette lettere arbitrarie e dal Re Roberto concedute, per cui i rei condannati venivano ad una pena pecuniaria nelle ferite, detta pena del sangue che non avea limiti esigendo ad arbitrio del Barone, e di più i diritti dell'istruzione del processo che andar doveano in beneficio del Governatore, e Mastrodatti, oggi chiamato Cancelliere del Regio Giudicato.
Il Barone presso di cui era la giurisdizione, e l'imperio era quello che muniva di patente il Governatore, riscuotendone un prezzo a norma della qualità e grandezza del paese, e tendendosi sino a ducati cento e più.
La durata del governo non oltrepassava un anno; chiuso il quale il governatore si metteva in sindacato, dovea egli cioè dar di conto di sè a quei che erano eletti dagli amministratori dell'Università.
Dovevano questi Deputati eletti mettere in disamina la condotta tenuta dal Governatore nell'amministrazione della giustizia, condotta che trovandosi irregolare, se ne faceva apporto alla Regia Udienza ora Tribunale Civile e Tribunale criminale, e ne veniva punito se non si giustificava, come al contrario trovandosi soddisfacente, se egli rilasciava un'acclaratoria di buona Condotta, e così poteva aspirare ad altri governi, oppure essere confermato per un altro anno all'istesso dal detto Barone, pagandogli i diritti di un'altra nuova Patente.
In caso di omicidio avvenuto, il Governatore assodava il corpo del reato, ossia l'ingenere, e prese le prime indagini, ne rapportava alla Regia Udienza, la quale spediva sopra luogo uno scrivano che istruiva il processo, e su di questo processo scritto a talento del medesimo, senza pubblica discussione, il reo, o prevenuto veniva condannato, ordinariamente alla sua insaputa.
Si praticava lo stesso contro i prevenuti di furti di strada pubblica, di assassinii, e di furti qualificati detti dalle leggi vigenti.
Siffatto provvedimento nella punizione dei reati era veramente degno dei tempi barbari! La vita del cittadino era sempre mal sicura come quella che dipendeva da un capriccioso ed oppressivo dispotismo di un Barone, e dell'avidità del denaro di uno scrivano, che prendendo un secreto informo, e su di questo emettendo la sentenza la Regia Udienza, dandosi perciò campo agli intrighi civili, ordinariamente il colpevole restava tranquillo in sua casa, e non mancavano de' casi che cittadini pacifici e tranquilli erano le vittime alla cabala immolata.
Circa gli appelli nelle cause civili, poteano anche i Baroni diriggerli ad altri Governatori da essi patentati per giudicare le seconde e terze cause, purchè gli fossero state espressamente dal Sovrano concedute.
Il progresso della civilizzazione dovea portare una riforma alle leggi non più compatibili collo stato della stessa, e ciò si effettuò nel principio del corrente secolo decimo nono.
Fu, come si è detto, nel 1806 che una tale amministrazione giudiziaria venne riformata dietro le conquiste del regno dai Francesi, i quali le diedero la forma ora vigente, avendo abolito interamente il potere feudale, rendendo tutto monarchico.
E per onor del vero bisogna sapersi che il provvido Sovrano Ferdinando IV di Borbone dichiarato poi Primo molte facoltà tolto avea ai Baroni prima dell'occupazione militare, e fra le altre quella di tener essi prigioni per la punizione dei rei e tutto per sottrarre dall'oppressione baronale i suoi sempre cari ed amati sudditi.


ARTICOLO VI
Estensione e qualità del territorio di Minervino


Ben esteso è l'agro minervinese, di cui ogni Cittadino ne possiede una certa quantità od in proprietà assoluta, o ne ha il solo diritto colonico sulle terre demaniali comunali pagandone il vigesimo del prodotto, qualora semina, al Comune, siano grano oppure biade, o ne paga il terratico al Capitolo per simile diritto colonico che vanta sulle terre di portata dello stesso, e tale prestazione è fissa, di un tommolo e quarto del prodotto del seminato cioè per cadauna versura.
Oltre tali proprietà, o diritti che si posseggono da ciascuno cittadino, tutti i Cittadini poi godono del vantaggio delle rendite comunali che cadono nell'erario comunale che si ritraggono dalle fide delle erbe statoniche del Demanio che della Difesa, dalle erbe vernotiche di questa, e di quella parte del Demanio che è incolta o si resta tale da' cittadini per dar riposo alle terre, rendite le quali in unione del profitto del cennato vigesimo, formano, se non l'opulenza, una comodità generale almeno.
Ed ad oggetto di aver sotto l'occhio la reale estensione del detto agro ascendente a carri 1115 e circa versure 6, espongo la qui sottosegnata tavola e tratta delle piante degli Agrimensori:
Demanio inferiore
1°) Bosco da Capo a Piedi, saldo negli Iacci nella Portata; e terreno saldo della Regia Corte del Tavoliere, carri e versure 286,08
2°) Difesa del Comune, carri 131,00
3°) Parco del Sig. Duca di Calabritto, carri 41,00
4°) Portata del Rito Capitolo, carri 219,05
Demanio superiore delle Murge carri 305,13
Acquatetta appartenente all'Ordine Equestre Costantiniano, carri 115,00
Bosco dei Guadagnati attenente all'istesso Ordine, carri 17,00

Totale carri 1115,06
Molto fertile è poi il detto territorio producendo buona quantità e qualità di grano, vino anche di ottima qualità, olio, verdure ed ogni specie di frutta.
Apriche, ridenti ed amene sono le campagne formate da vaghe colline e spaziose pianure, in cui vi sono varii vasi di acque sorgive, ossiano pozzi che danno il bisognevole ai Cittadini anche nelle stagioni le più ardenti e secche.
I pascoli sono molto atti ad ingrassare il bestiame, per cui molti forestieri si ci portano per fittarsi le erbe estive e fernali onde alimentare le loro industrie di pecore, vacche, muli, giumente; e quindi non mancano le buone carni, latticini e tutt'altro.
Si trova da per ogni dove della cacciagione di ogni sorta, secondo le stagioni, e tra gli altri, una quantità di beccafichi nell'estate, e moltissime lodole nell'autunno di unita a varii altri uccelli, che ben solleticano il palato di golosi.
E finalmente il suolo, secondo le stagioni dà dei prodotti spontanei, come de funghi nell'autunno e primavera, degli asparagi e nella primavera istessa le così dette cime amarette e dolci, le cicorie e le loro cime; e non bisogna preferire la prodigiosa quantità di lumache di ogni specie, e più di lumachini che si generano sulle Murge di cui i forestieri vengono a provvedersi a dovizia, oltre di quelli che per uso degli abitanti bisognano.
Oggetti tutti sono questi che nel mentre danno mezzi di fatica e sussistenza all'indigente offrono nel tempo istesso ogni comodità di vita all'agiato cittadino.