Strategie occupazione/3
Emergenza occupazione: punti di vista
di Alberto Ragatzu
Alberto Ragatzu è un dirigente sindacalista della FIOM-CGIL Sardegna.
Gli abbiamo chiesto un parere sul problema della disoccupazione nella
nostra Regione e gentilmente ci ha fatto pervenire una risposta scritta
che con piacere pubblichiamo.
Ringraziandolo per la disponibilità, ci auguriamo che in un prossimo
futuro vi possano essere altre collaborazioni di questo tipo.
Il problema lavoro non è una questione solo regionale
o nazionale, ma va oltre questi confini. Oltretutto la situazione è
tale che si può capire come a livello planetario la questione non riguardi
solo i paesi del terzo mondo, ma anche le grandi potenze economiche,
dove il fenomeno rischia di intaccare gli equilibri di un delicato sistema
sociale che si è venuto a creare dopo la II guerra mondiale.
Negli USA, solo ultimamente una seria politica sui tassi di sconto
ha creato nuovi posti di lavoro; la "grande" Germania ha dovuto subire
un forte calo del numero degli occupati dopo la riunificazione; lo stesso
incontaminato "paradiso" giapponese comincia a sentire le prime difficoltà.
In Italia, dall'ultimo dato rilevato da uno studio della CONFINDUSTRIA,
la disoccupazione si è attestata al 12% della popolazione lavorativa
nazionale, che diventa il doppio nelle aree depresse del Mezzogiorno.
Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere il problema, ma è chiaro
che tale risoluzione non dipende solo dai fattori interni di un'economia
nazionale ma anche da fattori esterni.
L'elemento fondamentale esterno è quello di una normalizzazione dei
sistemi produttivi internazionali al fine di evitare che periodi di
recessione in alcune parti del mondo, come ad esempio le ultime gravi
oscillazioni dei mercati asiatici, provochino effetti devastanti sulle
economie nazionali di chi sta dall'altra parte del globo terrestre.
Per contro, ritengo che il fattore fondamentale interno sia la creazione
a livello nazionale di una economia più stabile e duratura capace di
competere con i mercati più avanzati. E a tal fine occorre una volontà
politica capace di riformare lo Stato, le regole della politica, la
sicurezza sociale.
Nel programma del governo Prodi, la ripresa produttiva ed il riequilibrio
occupazionale tra le aree forti e quelle deboli erano i punti fondamentali
voluti dalla coalizione dell'Ulivo. Ma, nonostante l'incalzare dei sindacati,
l'azione del governo ha prodotto solo alcuni provvedimenti che hanno
tamponato alla meno peggio l'emergenza creando aspettative illusorie
(vedi i lavori socialmente utili).
E' chiaro che la disoccupazione del nostro sistema produttivo ha un
carattere strutturale, cioè legato alla natura e alle forme che questo
sistema ha in se, e che necessita di interventi "eccezionali" che spazino
dagli investimenti produttivi finalmente privi di carattere assistenziale
ai corsi professionali mirati nella scuola. Ed è soprattutto su quest'ultimo
aspetto che bisogna puntare. Infatti, ritengo che la scuola sia una
componente essenziale per "inventare" lavoro, dato che da essa devono
uscire le "teste" capaci di ideare nuove opportunità di lavoro in un
sistema produttivo nel quale la tecnologia ha portato a modificare le
tipologie di lavoro ed a far si che i lavori manuali siano diventati
sempre meno utili. In poche parole, bisognerebbe investire sulla ricerca
scientifica, su di un numero maggiore di giovani occupati in corsi universitari
che abbiano, a differenza di quelli attuali, maggiore attinenza alle
innovazioni tecnologiche.
In Sardegna la questione si complica per la presenza di ulteriori elementi
sfavorevoli.
La nostra isola ha vissuto fino agli albori degli anni '60 di un'economia
povera basata sull'agricoltura e la pastorizia per poi in seguito arrivare
all'illusione della grande industria petrolchimica che diede effimere
speranze alla nostra gente. La fine dell'impero Rovelli, l'odissea dei
lavoratori cassintegrati in legge 501, l'aggravio dovuto alla fine delle
partecipazioni statali, hanno desertificato la Sardegna in termini industriali.
SCHEDA
La nostra Sardegna ha:
Territorio: 24.088 kmq.
Comuni: 377
Popolazione: 1.662.955
Popolazione attiva: 1.189614
Disoccupati: 338.334 28,44%
(Fonte Sardegna
che Lavora N. 185 1-15 ottobre 1998) |
La generazione dei "sessantottini", con i suoi grandi valori, ha lasciato
in eredità alle nuove generazioni anche disperazione e nuova povertà.
Al punto che negli anni postindustriali si è vissuta la continua crescita
del numero dei disoccupati, che ad oggi raggiunge quota 24%, ovvero
più del 50% se si considerano solo i giovani e le donne in cerca di
prima occupazione.
Che fare?
Bisogna modificare la convinzione radicata del "posto fisso" nei grandi
enti di Stato e nella Pubblica Amministrazione, puntare alla creazione
di nuove realtà produttive capaci di inserirsi in settori del mercato
poco sfruttati od in espansione e favorire la creazione di una mentalità
e di una classe imprenditoriale attraverso quelle incentivazioni regionali,
statali ed europee (vedi legge 28, legge 44, finanziamenti CEE) che
per mancanza di informazione e di volontà politiche sono ancora allo
stadio di potenzialità inespresse.
Ma è anche evidente che per fare impresa e creare nuovi posti di lavoro
occorre che il mercato sardo sia capace di estendersi in campo nazionale
ed internazionale, e per creare i giusti presupposti c'è bisogno di
una grande trasformazione delle infrastrutture della nostra Regione.
Per competere sui mercati ed incentivare la venuta di nuovi investitori,
deve essere costruita una rete telematica, rinnovato un sistema viario
indecente, riformato un sistema creditizio che possa applicare dei tassi
almeno pari a quelli del Centro-Nord (il denaro in Sardegna costa quasi
3 punti percentuali in più dell'Emilia Romagna) e, cosa importante,
riformare la burocrazia regionale fonte di sperpero di denaro pubblico
e maggiore causa di rallentamento degli iter procedurali nell'ottenimento
dei finanziamenti a disposizione.
E per rendere operativo tutto ciò, è necessaria una brusca inversione
di tendenza capace in campo politico di esprimere una rinnovata classe
dirigente dotata di maggiore creatività e volontà d'agire nell'interesse
della collettività.
Alberto Ragatzu