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Quaderni di Quartucciu
Anno II - Numero 7 - Ottobre 1998
 

 

Strategie occupazione/1

Disoccupazione, un male sanabile
di Giovanni Secci

Dopo il positivo ingresso nell'Unione Monetaria, gli sforzi dell'Italia devono essere concentrati verso un'altra priorità: l'occupazione.

Il primo dato che viene alla luce è l'elevato livello del tasso di disoccupazione che secondo le rilevazioni ISTAT è pari al 12,25% (media annuale del 1997) della forza lavoro. Se da un lato tale dato pare sovrastimato di 2-3 punti percentuali a causa dei criteri di rilevazione utilizzati dall'istituto di ricerca, dall'altro è indubbio che un sistema economico che non riesce ad assorbire quote così ampie di forza lavoro necessita di un'analisi approfondita.

L'incremento della disoccupazione registrato negli ultimi anni è dovuto a molteplici cause:

1. L'emersione di nuovi concorrenti che hanno saputo integrare i progressi tecnici più avanzati.

2. L'invecchiamento della popolazione e il parallelo mutamento della struttura della famiglia.

3. Il trasferimento all'estero delle attività produttive accompagnato dal cambiamento delle tecniche e dei profili professionali.

4. Il libero movimento dei capitali che ha prodotto una sempre maggiore interrelazione tra i mercati.

Alla luce delle cause che hanno prodotto una disoccupazione talmente elevata e del fallimento delle soluzioni più volte proposte è necessario ripensare ad una politica del lavoro che tenga conto da un lato dei problemi dovuti alla globalizzazione dell'economia e dall'altro delle peculiarità del sistema Italia.

La disoccupazione, quindi, deve essere combattuta a due livelli diversi: quello COMUNITARIO e quello prettamente NAZIONALE.

A livello Comunitario la sempre maggiore integrazione tra i Paesi aderenti alla U.E. deve produrre una comune POLITICA del LAVORO volta a tre scopi:

  1. Favorire la creazione di un corpus normativo comune. Questo per metter fine alle disomogeneità esistenti tra i Paesi della U.E., e tra questi e i partner commerciali extracomunitari (USA, Giappone e Paesi in via di sviluppo).
    Infatti uno degli handicap del mercato globale è di postulare la libera circolazione delle merci e dei capitali senza che esistano delle regole comuni che rendano tale mercato realmente concorrenziale nel significato più completo del termine.
    Tali regole dovrebbero individuare il numero massimo di ore lavorative, i salari minimi di sussistenza, i livelli minimi di sicurezza sul lavoro, ed infine tutelare il lavoro delle donne e dei minori. Il mancato raggiungimento di un tale risultato causerà da un lato l'incremento del gap tra i paesi del terzo mondo e i paesi industrializzati e dall'altro una fuga da questi ultimi delle attività produttive a basso livello tecnologico con forti ripercussioni sulla occupazione.
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  2. Coordinare la realizzazione di reti europee di infrastrutture.
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  3. Mettere in atto politiche che tendano a ridurre la disomogeneità tra le aree geografiche. Infatti all'interno della U.E. i divari tra le regioni ricche e le regioni povere sono sempre più evidenti.

A livello nazionale l'intervento del governo dovrà tenere conto del fatto che l'occupazione aumenta poco anche quando l'economia cresce.
Secondo molti analisti economici la crescita occupazionale è legata all'incremento del P.I.L.. Nella realtà tale meccanismo non è automatico perché subentrano in gioco degli altri fattori. Tra questi ricordiamo la flessibilità del sistema economico, la dislocazione disomogenea delle aree produttive e l'innovazione tecnologica che risparmia lavoro.

Detto ciò bisogna analizzare quali strumenti di politica economica attivare e verso quali aree del territorio intervenire:

  1. Attivare una politica espansiva dal lato della spesa compatibilmente ai vincoli posti dal risanamento del debito pubblico al fine di dotare di infrastrutture le regioni che ne sono carenti, nonché adeguare quelle esistenti alle necessità odierne.
    Il raggiungimento di tale risultato verrebbe facilitato da un uso coordinato e dinamico dei fondi comunitari.
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  2. Aumentare gli investimenti per la scuola e la ricerca scientifica. Riguardo il sistema scolastico è necessario un maggior collegamento con il mondo delle imprese al fine di favorire la creazione di personale con qualifiche adatte alle esigenze del mercato.
    Inoltre è necessario consentire uno sviluppo del capitale umano elevando a 18 anni l'obbligo scolastico al fine di aumentare il numero dei lavoratori con titolo di istruzione superiore.
    Il problema della ricerca scientifica è confermato dal fatto che l'Italia è uno dei Paesi industrializzati che destina meno risorse verso tale settore, causando la fuga dei migliori cervelli verso l'estero e ricorrendo con continuità all'acquisto di brevett.
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  3. Aumentare la flessibilità del mercato del lavoro. Questa può essere ottenuta attraverso l'estensione dell'uso dei contratti atipici quali il part-time e i contratti a tempo determinato. Non pare realistica, invece, la richiesta più volte avanzata dalla Confindustria di aumentare la flessibilità in uscita dei lavoratori.
    Questa proposta pare diretta più a costituire uno strumento di ricatto che a rispondere a una reale esigenza economica.
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  4. Una variabile importante, infine, è il salario. Più volte abbiamo assistito alla richiesta di riduzioni salariali sia da parte della Confindustria, sia da parte di forze politiche di presunta fede neoliberista.
    In realtà una riduzione generalizzata dei salari, oltre ad essere socialmente insostenibile causerebbe un forte calo della domanda interna perché tenderebbe a colpire una fetta della popolazione avente una propensione marginale al consumo molto elevata. Tale calo della domanda farebbe sorgere delle aspettative negative da parte delle imprese che tenderebbero a ridurre la produzione e gli investimenti con gravi ripercussioni sulla occupazione.
    Comunque non si può escludere la necessità di ridurre almeno parzialmente i salari del personale poco qualificato. In generale la strada più facilmente percorribile è quella di legare la dinamica salariale agli aumenti della produttività e dei profitti.

È necessario accennare al cosiddetto "dramma" delle 35 ore. La scelta di imporre attraverso la legge la riduzione dell'orario lavorativo è visto dalla categoria imprenditoriale e dalla gran parte degli economisti come un evento nefasto per il nostro sistema economico a tal punto da presagire la fuga verso l'estero di gran parte delle attività produttive e la conseguente perdita di occupazione. Nella realtà questo non dovrebbe verificarsi, infatti, negli ultimi anni molte imprese, pur in assenza di una tale legge, hanno ridotto il numero di ore lavorative dei propri dipendenti ottenendo da questi in cambio la possibilità di distribuirle in modo flessibile durante tutto l'arco della settimana, week-end compresi. Questo ha permesso un miglior sfruttamento degli impianti accompagnato da un forte aumento della produttività ed inoltre un incremento del numero degli occupati.

La riduzione dell'orario di lavoro inoltre non solo è necessaria in virtù delle nuove tipologie di lavoro che stanno nascendo ma è storicamente inevitabile. Ciò è dimostrato dal fatto che dalle 14-16 ore al giorno per 7 giorni dell'origine del capitalismo si è passati alle odierne 8 ore per 5 giorni.

Due paiono gli effetti rilevanti di una tale scelta da un lato di ridistribuire parte dei profitti delle imprese che le ultime statistiche danno in forte crescita e dall'altro di stimolare fortemente la domanda dell'industria del tempo libero.

Da ciò che abbiamo detto si evince che la strada da percorrere per ridurre il numero dei disoccupati esiste.

L'ottimismo è d'obbligo perché necessario per creare un terreno fertile per gli investimenti portatori di nuova occupazione.

Contemporaneamente è necessario essere realisti riguardo due inefficienze del sistema economico occidentale: la prima che una percentuale non piccola di disoccupati è ineliminabile perché strutturale, la seconda che la forbice tra i più ricchi e i più poveri è destinata ad allargarsi.

Giovanni Secci

 

 

Strategie occupazione/2

Quale lavoro: prime risposte
a cura di Gesuino Murru

Prosegue, pur tra critiche ed incertezze varie, l'iter del DDL elaborato dalla Giunta Regionale teso a favorire una ripresa dell'occupazione in Sardegna, regione dove è grande il malessere sociale ed il disagio tra i giovani.

Come si può evincere dalla sintesi più sotto riportata, l'approvazione del DDL da parte del Consiglio Regionale metterà a disposizione dei Comuni, Provincie, imprenditori privati e lavoratori autonomi un'ingente quantità di risorse finanziarie ripartita negli anni dal 1998 al 2000, in grado di ridurre e contenere (non certo di eliminare) la grave crisi occupazionale che vede maggiormente penalizzate le giovani generazioni.

L'augurio è che le speciose divisioni verificatesi nella maggioranza che sostiene il Governo regionale vengano superate, così come ci auguriamo che vengano a cessare le sterili polemiche sollevate dalle molte, troppe, associazioni rappresentative delle diverse realtà produttive che pretendono di rappresentare ciascuna una fetta più o meno grande del mondo del lavoro.

I disoccupati non possono, e NON DEVONO, più attendere oltre.

Gesuino Murru


DDL DELLA GIUNTA REGIONALE SULL'OCCUPAZIONE

L'entità delle risorse

Uno degli elementi caratterizzanti la straordinarietà degli interventi presenti all'interno del Programma è dato dall'ammontare delle risorse disponibili: infatti, la concentrazione in un tempo relativamente breve di un ammontare notevole di finanziamenti conferisce al Programma una forza di impatto notevole.

Le risorse regionali impiegate per il sostegno del Programma ammontano a 2.083,95 miliardi di lire. Tale somma è in grado di attivare altri 878 miliardi di lire circa tra altre risorse pubbliche e private, per un totale di 2.961,95 miliardi di lire da impiegare tra il 1998 ed il 2001.


Ripartizione delle risorse

Questa somma disponibile all'interno del bilancio regionale viene ripartita fra diversi ambiti di intervento, che possono essere sintetizzati in:

All'interno del contenitore "infrastrutture" abbiamo i contributi ai comuni per il reperimento e l'attrezzatura di aree da destinare all'insediamento di aziende artigiane in attuazione di Piani di insediamento produttivo già formalmente approvati; la realizzazione di infrastrutture negli agglomerati industriali della Sardegna (art.4 e 4 Co.3 DL.447/98); le risorse per il completamento di opere atte a valorizzare località di interesse turistico, per consentire ulteriori interventi di sistemazione idraulica forestale e di rimboschimento.

I "servizi" previsti dal Programma sono diretti principalmente al sistema delle imprese e consistono in interventi per il miglioramento dei servizi nei distretti industriali, per l'attivazione dello sportello unico per le attività produttive, per la promozione dello sviluppo industriale e per la realizzazione di reti di partenariato imprenditoriale. (artt.3, 5, 6, e 7 DL. 447)
Sono compresi fra i servizi anche i progetti obiettivo (art.29 dello stesso DL.), che mirando alla verifica e monitoraggio della spesa ed alla accelerazione delle procedure connesse, avranno evidenti ricadute sul sistema delle imprese.

Una buona quota di finanziamenti è stata disposta per l'incentivazione all'impresa. L'incentivazione segue tre grandi linee: l'agevolazione degli investimenti, l'abbattimento del costo del lavoro e le misure a favore dell'imprenditorialità e del lavoro autonomo.

Sono presenti interventi di questo tipo in entrambi i disegni di legge che compongono l'articolato del Programma straordinario: le agevolazioni agli investimenti sono tutte comprese nel DL. 447, mentre gli interventi per l'abbattimento del costo del lavoro riguardano in maniera esclusiva il DL. 387/97.

Infine, le misure volte a favorire l'imprenditorialità ed il lavoro autonomo sono presenti in ambedue i decreti legge, sia con interventi con qualche elemento di novità per la Sardegna (botteghe di transizione, successione d'impresa), sia con il rifinanziamento di leggi d'incentivazione (rifinanziamento LR 28/84)

 

Agevolazioni agli investimenti
232 mld £
447/98
Finanziamento integrativo LR 15/94
Interventi a favore delle nuove imprese
Contributo in conto interessi per ristrutturazioni edilizie e manutenzioni straordinarie
Abbattimento del costo del lavoro
26 mld £
387/97
447/98
Contributi per assunzioni a tempo indeterminato
Incentivi per congedi formativi incentivi all'assunzione a tempo determinato
Successione d'impresa
Nuova occupazione, diffusione e valorizzazione dell'imprenditorialità in agricoltura
Botteghe di transizione
Imprenditorialità e lavoro autonomo
123 mld £
387/97
Finanziamento integrativo LR 28/84 per cooperative e società giovanili nel settore turistico
Finanziamento integrativo LR 28/84 per cooperative e società giovanili nel settore della produzione di beni e servizi
Misure straordinarie per la promozione del lavoro autonomo per soggetti disoccupati ed inoccupati

 

Un'altra importante linea d'intervento è quella che ha per obiettivo la stabilizzazione delle attività di lavoro sostenuto. La sfida è quella di trasformare il lavoro sostenuto, assistito e precario in vero e proprio lavoro d'impresa, capace cioè di autosostentarsi.

A questa linea sono stati destinati 142 miliardi di lire, i quali consistono in contributi agli Enti locali ed altri enti o amministrazioni regionali promotori di progetti di LSU sottoposti al regime transitorio (art.12 D.lgs. 468/97) e di progetti di lavori di pubblica utilità (art.2 D.lgs. 468/97) per la costituzione di società miste (15 miliardi) e per l'affidamento a terzi di servizi (40 miliardi).

Inoltre, sono diretti ai lavoratori impegnati nei progetti sopra citati, contributi a favore della micro-imprenditorialità (12 miliardi) e contributi finalizzati alla contribuzione previdenziale volontaria (5 miliardi).

Chiude questa linea d'intervento il finanziamento di progetti speciali per l'occupazione (artt.92 e 93 LR 11/88) che per le loro caratteristiche sono suscettibili di trasformarsi in attività stabili nel tempo uguali, analoghe o connesse a quelle oggetto dei progetti (70 miliardi).

L'ultima linea d'intervento considerata è quella riguardante lo sviluppo locale, che potrà disporre di una quota di finanziamenti pari a 1.299,67 miliardi di lire.

 

Gli interventi a favore dello sviluppo locale, a cui è dedicato l'intero capo III del DL. 447/98, comprende l'incremento del Fondo destinato al finanziamento dei Programmi integrati d'area e l'aumento delle risorse anche per i Programmi integrati d'area di interesse regionale.

Si sono previsti anche Programmi di intervento contro l'abbandono e la dispersione scolastica miranti a contrastare e ridurre l'abbandono scolastico e l'interruzione dei percorsi di studio e di favorire il recupero di un adeguato livello di istruzione di base per gli adulti.

La misura principale di questa linea d'intervento è quella relativa alle Iniziative locali per lo sviluppo e l'occupazione che dispone di una quota di risorse pari a 1.100 miliardi di lire.

Questa somma comprende 100 miliardi aggiuntivi per il 1998 previsti dal comma 3 dell'art.19 ed il mutuo di 1.000 miliardi stipulato con la Cassa depositi e prestiti.

(Fonte R.A.S.)

 


 

Strategie occupazione/3

Emergenza occupazione: punti di vista
di Alberto Ragatzu

Alberto Ragatzu è un dirigente sindacalista della FIOM-CGIL Sardegna.
Gli abbiamo chiesto un parere sul problema della disoccupazione nella nostra Regione e gentilmente ci ha fatto pervenire una risposta scritta che con piacere pubblichiamo.
Ringraziandolo per la disponibilità, ci auguriamo che in un prossimo futuro vi possano essere altre collaborazioni di questo tipo.

Il problema lavoro non è una questione solo regionale o nazionale, ma va oltre questi confini. Oltretutto la situazione è tale che si può capire come a livello planetario la questione non riguardi solo i paesi del terzo mondo, ma anche le grandi potenze economiche, dove il fenomeno rischia di intaccare gli equilibri di un delicato sistema sociale che si è venuto a creare dopo la II guerra mondiale.

Negli USA, solo ultimamente una seria politica sui tassi di sconto ha creato nuovi posti di lavoro; la "grande" Germania ha dovuto subire un forte calo del numero degli occupati dopo la riunificazione; lo stesso incontaminato "paradiso" giapponese comincia a sentire le prime difficoltà.

In Italia, dall'ultimo dato rilevato da uno studio della CONFINDUSTRIA, la disoccupazione si è attestata al 12% della popolazione lavorativa nazionale, che diventa il doppio nelle aree depresse del Mezzogiorno. Nessuno ha la bacchetta magica per risolvere il problema, ma è chiaro che tale risoluzione non dipende solo dai fattori interni di un'economia nazionale ma anche da fattori esterni.

L'elemento fondamentale esterno è quello di una normalizzazione dei sistemi produttivi internazionali al fine di evitare che periodi di recessione in alcune parti del mondo, come ad esempio le ultime gravi oscillazioni dei mercati asiatici, provochino effetti devastanti sulle economie nazionali di chi sta dall'altra parte del globo terrestre. Per contro, ritengo che il fattore fondamentale interno sia la creazione a livello nazionale di una economia più stabile e duratura capace di competere con i mercati più avanzati. E a tal fine occorre una volontà politica capace di riformare lo Stato, le regole della politica, la sicurezza sociale.

Nel programma del governo Prodi, la ripresa produttiva ed il riequilibrio occupazionale tra le aree forti e quelle deboli erano i punti fondamentali voluti dalla coalizione dell'Ulivo. Ma, nonostante l'incalzare dei sindacati, l'azione del governo ha prodotto solo alcuni provvedimenti che hanno tamponato alla meno peggio l'emergenza creando aspettative illusorie (vedi i lavori socialmente utili).

E' chiaro che la disoccupazione del nostro sistema produttivo ha un carattere strutturale, cioè legato alla natura e alle forme che questo sistema ha in se, e che necessita di interventi "eccezionali" che spazino dagli investimenti produttivi finalmente privi di carattere assistenziale ai corsi professionali mirati nella scuola. Ed è soprattutto su quest'ultimo aspetto che bisogna puntare. Infatti, ritengo che la scuola sia una componente essenziale per "inventare" lavoro, dato che da essa devono uscire le "teste" capaci di ideare nuove opportunità di lavoro in un sistema produttivo nel quale la tecnologia ha portato a modificare le tipologie di lavoro ed a far si che i lavori manuali siano diventati sempre meno utili. In poche parole, bisognerebbe investire sulla ricerca scientifica, su di un numero maggiore di giovani occupati in corsi universitari che abbiano, a differenza di quelli attuali, maggiore attinenza alle innovazioni tecnologiche.

In Sardegna la questione si complica per la presenza di ulteriori elementi sfavorevoli.

La nostra isola ha vissuto fino agli albori degli anni '60 di un'economia povera basata sull'agricoltura e la pastorizia per poi in seguito arrivare all'illusione della grande industria petrolchimica che diede effimere speranze alla nostra gente. La fine dell'impero Rovelli, l'odissea dei lavoratori cassintegrati in legge 501, l'aggravio dovuto alla fine delle partecipazioni statali, hanno desertificato la Sardegna in termini industriali.

SCHEDA
La nostra Sardegna ha:
Territorio: 24.088 kmq.
Comuni: 377
Popolazione: 1.662.955
Popolazione attiva: 1.189614
Disoccupati: 338.334 28,44%
(Fonte Sardegna che Lavora N. 185 1-15 ottobre 1998)

La generazione dei "sessantottini", con i suoi grandi valori, ha lasciato in eredità alle nuove generazioni anche disperazione e nuova povertà. Al punto che negli anni postindustriali si è vissuta la continua crescita del numero dei disoccupati, che ad oggi raggiunge quota 24%, ovvero più del 50% se si considerano solo i giovani e le donne in cerca di prima occupazione.

Che fare?

Bisogna modificare la convinzione radicata del "posto fisso" nei grandi enti di Stato e nella Pubblica Amministrazione, puntare alla creazione di nuove realtà produttive capaci di inserirsi in settori del mercato poco sfruttati od in espansione e favorire la creazione di una mentalità e di una classe imprenditoriale attraverso quelle incentivazioni regionali, statali ed europee (vedi legge 28, legge 44, finanziamenti CEE) che per mancanza di informazione e di volontà politiche sono ancora allo stadio di potenzialità inespresse.

Ma è anche evidente che per fare impresa e creare nuovi posti di lavoro occorre che il mercato sardo sia capace di estendersi in campo nazionale ed internazionale, e per creare i giusti presupposti c'è bisogno di una grande trasformazione delle infrastrutture della nostra Regione.

Per competere sui mercati ed incentivare la venuta di nuovi investitori, deve essere costruita una rete telematica, rinnovato un sistema viario indecente, riformato un sistema creditizio che possa applicare dei tassi almeno pari a quelli del Centro-Nord (il denaro in Sardegna costa quasi 3 punti percentuali in più dell'Emilia Romagna) e, cosa importante, riformare la burocrazia regionale fonte di sperpero di denaro pubblico e maggiore causa di rallentamento degli iter procedurali nell'ottenimento dei finanziamenti a disposizione.

E per rendere operativo tutto ciò, è necessaria una brusca inversione di tendenza capace in campo politico di esprimere una rinnovata classe dirigente dotata di maggiore creatività e volontà d'agire nell'interesse della collettività.

Alberto Ragatzu


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