La posta ....
Lettere
al giornale
La voglia di scrivere la presente è nata dal voler
esternare delle riflessioni personali, in seguito all'intervista all'Assessore
della Pubblica Istruzione di Quartucciu Sig. Caredda (n.d.r. pubblicata
sul n° 6 del luglio 98 di Quaderni di Quartucciu, pag.7).
L'intervistato
esprime il suo desiderio di attivare dei corsi di lingua sarda per riappropriarci
delle radici culturali e vede in questo un'opportunità di lavoro per
i giovani.
Comprendo che il
sognare è una libertà dell'uomo; nel politico il sognare è vitale, ma
deve essere abbinato all'ideale ad alla conoscenza della realtà sociale.
Il politico può,
sognando, immaginare come sarà la società di domani, con l'ideale, come
svilupparla e, con la conoscenza della realtà sociale, rendere fattibili
le sue idee, per il bene della comunità in cui opera. Tutto questo rende
il politico lungimirante e buon amministratore.
Visto che il politico
deve abbinare il sogno, l'ideale e la realtà, mi chiedo: l'Assessore
in che realtà sociale vive quando vede una prospettiva di lavoro dei
giovani corsisti?
Tutti sanno che
in Sardegna manca il lavoro, per la mancanza di industrie, per il fatto
che l'edilizia, elemento trainante dell'economia locale, è in crisi,
etc.. L'unica possibilità reale per dare lavoro è lo sviluppo del turismo,
visto che le bellezze naturali non mancano.
I politici (e non
solo loro) dovrebbero far decollare il turismo, questo porterebbe un'affluenza
di capitali e conseguentemente si creerebbero posti di lavoro.
Mi chiedo, in quale
realtà i corsisti dovrebbero svolgere il loro lavoro: difficilmente
in una realtà industriale, frutto di un ipotetico sviluppo che non vedo
possibile, perché in Sardegna ne mancano i presupposti; presumo invece
che sarà possibile lo sviluppo del turismo e quindi si potranno creare
posti di lavoro.
Ma resta sempre
il problema dei giovani corsisti di lingua sarda; che lavoro potrebbero
svolgere in una realtà di sviluppo turistico? I turisti arrivano e arriveranno
da altre parti del mondo e quindi non parlano e non parleranno il sardo.
Forse l'Assessore,
nella sua idea di sviluppo, intende chiudere le frontiere della Nazione
Sarda, per dare la possibilità ai corsisti di trovare lavoro facendo
l'interprete fra il turista Campidanese ed il turista Logudorese.
Ben vengano queste
idee, così vedremo un'implosione anziché un'esplosione turistica. L'unica
realtà è che in un eventuale istituzione di un corso per la lingua sarda,
ci sarà lavoro per uno o due insegnanti ed i giovani con quel corso
non troveranno mai lavoro (dopo aver speso i soldi della comunità cioè
le nostre tasse).
La cultura di un
popolo è una cosa seria, non deve essere svalutata da nessuno tanto
meno dai politici. I politici devono tener sempre presente che governano
una comunità. Se la governano bene, la stessa comunità sarà orgogliosa
di se stessa e gli verrà naturale scoprire la sua origine e riappropriarsi
delle sue radici culturali. Una comunità scontenta del luogo in cui
vive, invece, rifiuta e rinnega il suo passato.
Sta quindi al politico
rendere vivibile la comunità. I sogni dei politici devono essere inseriti
nella realtà della società in cui vive, altrimenti sono e saranno solamente
dei sogni.
Il politico che
disunisce il sogno dalla conoscenza sociale in cui vive, non sarà mai
lungimirante nelle decisioni di amministratore della comunità e quindi
arrecherà danno alla stessa comunità.
Questo è il mio
punto di vista, puramente personale, che può essere condivisibile o
meno e che deriva dalla mia conoscenza della realtà locale.
Naturalmente l'assessore
ha una conoscenza diversa e più radicata della realtà locale.
Sarei grato se
il progetto-desiderio del corso di lingua sarda venisse a noi esposto
nelle sue implicazioni occupazionali nella realtà sociale odierna o
futura.
Domenico
Rizzi