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Quaderni di Quartucciu
Anno II - Numero 9 - Dicembre 1998
 

 

La sindrome di Balliccu
di Marco Melis

Il professor Dejana non parlava in sardo, il professor Ballicu l'aveva insegnato anche ai figli, parlandolo. "Ma che sardo e sardo, l'inglese bisogna impararsi" diceva Dejana, accelerando ad ogni affermazione. "Ma quale" diceva Dejana "il mio?" "Il tuo? Il gallurese?" e qui frenava leggermente. "Quello che conosci" tagliava corto Ballicu. All'improvviso un botto, una macchina targata Roma si era fermata di colpo, proprio davanti a loro. "Su cunn'e mamma tua" disse Dejana prontamente. "Cribbio, che stronzo" disse Ballicu, sorpreso.
(Brano tratto da "Le puoi leggere anche in tram", edizioni "l'Effimero Meraviglioso".) ....

E sì! I due mali del secolo: il dejanismo e il ballichismo.

Come? Non conoscete la sindrome di Dejana?

Volete dirmi che non avete visto mai qualche sardo parlare con un "continentale", in uno stato di evidente soggezione?

E spiegatemi come mai dei miei amici milanesi, trapiantati in Terra di Sardegna da ormai tanti anni, si esprimono sempre con il loro tipico accento, mentre molti sardi - Dejana per primo - dopo appena qualche giorno trascorso in Lombardia, li senti dire "Uè pirla" di qua, "Uè pirla" di là!

Non vi pare che sia ora di smetterla! ....Ma per favore!

La nostra "sardità" deve diventare motivo di orgoglio, deve essere curata come una ricchezza culturale, non come un destino da nascondere.

A questo punto già vi immagino.... "ma guarda questo!.... Crede di avere scoperto l'acqua calda!: è da mesi che l'amministrazione, le associazioni e la stessa redazione di "Quaderni di Quartucciu" (basta rileggere, in proposito, quanto affermato dall'amico Davide Paolone in "C'era una volta.... 2") propongono iniziative culturali tendenti al recupero della tradizione".

È vero, ben vengano i corsi di storia sarda nelle scuole, i corsi di lingua, i concorsi letterali e le manifestazioni di carattere popolare. Ben vengano anche le scuole di produzione dolciaria, i corsi di intaglio del legno e quant'altro possa contribuire alla riscoperta e all'approfondimento del grande patrimonio culturale che la peculiarità della nostra tradizione ci ha lasciato in eredità....

E infatti sono convinto che la strada sia quella giusta. Purché, però, non si corra il rischio di contrarre - per troppo zelo - l'altro male: quello di Ballicu.

Mi pare, infatti, che in questi ultimi anni stia assumendo dimensioni epidemiologiche.... Ahi le mode!

Sintomi principali: · lingua arrossata e in costante azione di difesa verbale nei confronti di qualsiasi elemento della nostra cultura con caratterizzazione regionale, anche in contesti non attinenti: tipico atteggiamento è il sostenere a spada tratta che il "panforte" è un tipico dolce Quartese; · irascibilità nei confronti di chi non gli permette di ascoltare il notiziario in lingua sarda: come se per diventare tutti più sardi fosse necessario sentire un Ballicu qualsiasi raccontare il telegiornale in quella lingua strana, meno credibile del francesismo "Noio volevam savuar" usato da Totò in un noto film.

Ben venga, perciò, tutto ciò che ci permette di attingere, con una ritrovata continuità, al nostro patrimonio culturale e riscoprire le radici della tradizione. Il professor Ballicu ne sarebbe felicissimo! Attenzione però che tali iniziative non rimangano la sola espressione folcloristica dell'euforia di un momento. È indispensabile una programmazione coordinata, tesa essenzialmente alla creazione di un processo graduale di sensibilizzazione - fin dalle scuole elementari - capace di trasformare l'indottrinamento in una vocazione profonda; un progetto di sviluppo culturale che coinvolga educatori, insegnanti, artisti, storici, associazioni e amministrazioni.

Il "pressappochismo", invece, non può che contribuire, ancora una volta, alla crescita di quella generazione di piccoli "ballichini" con la "berritta", la barba (posticcia) e il gilet di velluto che, parlando della storia di Quartucciu -tra il legittimo stupore di qualcuno che quelle storie le ha vissute - non conoscono "is carrettonis a burricu" o "is picciocheddus scruzzusu". E, ovviamente, quando durante la premiazione del concorso scoprono di non aver vinto si lasciano andare in esclamazioni del tipo "cribbio, che stronzi!".

E poi, non facciamo confusione!: che c'entrano, in tutto questo discorso, le "cosmesi miliardarie" di Casa Angioni"? Condivido pienamente l'analisi degli articoli di Vargiu e Paolone ma credo che, per evitare un ulteriore approccio semplicistico occorra distinguere nettamente i due aspetti della questione.

Il recupero della nostra "storia architettonica" coinvolge tutta una complessità di temi peculiari di diversa natura: artistica, funzionale, strutturale, che non si presta ad analisi comparate o semplicistici parallelismi con il recupero della tradizione e della cultura popolare.

Marco Melis


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