La sindrome di Balliccu
di Marco Melis
Il professor Dejana non parlava
in sardo, il professor Ballicu l'aveva insegnato anche ai figli, parlandolo.
"Ma che sardo e sardo, l'inglese bisogna impararsi" diceva Dejana, accelerando
ad ogni affermazione. "Ma quale" diceva Dejana "il mio?" "Il tuo? Il
gallurese?" e qui frenava leggermente. "Quello che conosci" tagliava
corto Ballicu. All'improvviso un botto, una macchina targata Roma si
era fermata di colpo, proprio davanti a loro. "Su cunn'e mamma tua"
disse Dejana prontamente. "Cribbio, che stronzo" disse Ballicu, sorpreso.
(Brano tratto da "Le puoi leggere anche in tram", edizioni "l'Effimero
Meraviglioso".) ....
E sì! I due mali del secolo: il dejanismo e il ballichismo.
Come? Non conoscete la sindrome di Dejana?
Volete dirmi che non avete visto mai qualche sardo parlare
con un "continentale", in uno stato di evidente soggezione?
E spiegatemi come mai dei miei amici milanesi, trapiantati
in Terra di Sardegna da ormai tanti anni, si esprimono sempre con il
loro tipico accento, mentre molti sardi - Dejana per primo - dopo appena
qualche giorno trascorso in Lombardia, li senti dire "Uè pirla" di qua,
"Uè pirla" di là!
Non vi pare che sia ora di smetterla! ....Ma per favore!
La nostra "sardità" deve diventare motivo di orgoglio,
deve essere curata come una ricchezza culturale, non come un destino
da nascondere.
A questo punto già vi immagino.... "ma guarda questo!....
Crede di avere scoperto l'acqua calda!: è da mesi che l'amministrazione,
le associazioni e la stessa redazione di "Quaderni di Quartucciu" (basta
rileggere, in proposito, quanto affermato dall'amico Davide Paolone
in "C'era una volta.... 2") propongono iniziative culturali tendenti
al recupero della tradizione".
È vero, ben vengano i corsi di storia sarda nelle scuole,
i corsi di lingua, i concorsi letterali e le manifestazioni di carattere
popolare. Ben vengano anche le scuole di produzione dolciaria, i corsi
di intaglio del legno e quant'altro possa contribuire alla riscoperta
e all'approfondimento del grande patrimonio culturale che la peculiarità
della nostra tradizione ci ha lasciato in eredità....
E infatti sono convinto che la strada sia quella giusta.
Purché, però, non si corra il rischio di contrarre - per troppo zelo
- l'altro male: quello di Ballicu.
Mi pare, infatti, che in questi ultimi anni stia assumendo
dimensioni epidemiologiche.... Ahi le mode!
Sintomi principali: · lingua arrossata e in costante azione
di difesa verbale nei confronti di qualsiasi elemento della nostra cultura
con caratterizzazione regionale, anche in contesti non attinenti: tipico
atteggiamento è il sostenere a spada tratta che il "panforte" è un tipico
dolce Quartese; · irascibilità nei confronti di chi non gli permette
di ascoltare il notiziario in lingua sarda: come se per diventare tutti
più sardi fosse necessario sentire un Ballicu qualsiasi raccontare il
telegiornale in quella lingua strana, meno credibile del francesismo
"Noio volevam savuar" usato da Totò in un noto film.
Ben venga, perciò, tutto ciò che ci permette di attingere,
con una ritrovata continuità, al nostro patrimonio culturale e riscoprire
le radici della tradizione. Il professor Ballicu ne sarebbe felicissimo!
Attenzione però che tali iniziative non rimangano la sola espressione
folcloristica dell'euforia di un momento. È indispensabile una programmazione
coordinata, tesa essenzialmente alla creazione di un processo graduale
di sensibilizzazione - fin dalle scuole elementari - capace di trasformare
l'indottrinamento in una vocazione profonda; un progetto di sviluppo
culturale che coinvolga educatori, insegnanti, artisti, storici, associazioni
e amministrazioni.
Il "pressappochismo", invece, non può che contribuire,
ancora una volta, alla crescita di quella generazione di piccoli "ballichini"
con la "berritta", la barba (posticcia) e il gilet di velluto che, parlando
della storia di Quartucciu -tra il legittimo stupore di qualcuno che
quelle storie le ha vissute - non conoscono "is carrettonis a burricu"
o "is picciocheddus scruzzusu". E, ovviamente, quando durante la premiazione
del concorso scoprono di non aver vinto si lasciano andare in esclamazioni
del tipo "cribbio, che stronzi!".
E poi, non facciamo confusione!: che c'entrano, in tutto
questo discorso, le "cosmesi miliardarie" di Casa Angioni"? Condivido
pienamente l'analisi degli articoli di Vargiu e Paolone ma credo che,
per evitare un ulteriore approccio semplicistico occorra distinguere
nettamente i due aspetti della questione.
Il recupero della nostra "storia architettonica" coinvolge
tutta una complessità di temi peculiari di diversa natura: artistica,
funzionale, strutturale, che non si presta ad analisi comparate o semplicistici
parallelismi con il recupero della tradizione e della cultura popolare.
Marco Melis