Viaggio nel tempo di Pasqua
La festa della Primavera
di Marco Melis
Mi piace riscoprire in una bella
giornata di primavera un ponte tra il presente e la nostra storia, tra
noi e i protagonisti del nostro passato.
Mi piace immaginare quali emozioni, in tempi molto lontani,
quella stessa primavera, con il suo germinare dei grani e il rifiorire
degli alberi, potesse suscitare nell'animo del contadino "impaurito"
dalla morte apparente e transitoria dell'inverno. Emozioni che, nella
lunga catena degli eventi, anello dopo anello, giungono fino a noi permeando
il nostro pensare e il nostro agire.
È fino all'epoca precristiana, infatti, che dobbiamo volare
col pensiero per scoprire quelle storie che influenzarono, direttamente
o indirettamente, i riti della settimana santa. Quei riti -così come
oggi li conosciamo- che nei secoli si sono tramandati fino a noi acquisendo
nuovi significati e nuove funzioni.
Il ciclo pasquale, infatti, coincide con la grande festa
d'inizio dell'annata agraria che, in tempi remoti, aveva una forte valenza
sociale e una rilevante funzione integrativa dell'individuo.
Con l'avvento del cristianesimo -come sottolineato da
Maria Margherita Satta in "Riso e pianto nella cultura popolare"-
"gli elementi della religiosità precristiana assunsero una nuova
funzione, fondendosi con quelli della nuova religione e mantenendo una
certa vitalità soprattutto nel settore riservato al magico religioso".
La stessa rinascita annuale della natura veniva rifunzionalizzata
nella concezione di risurrezione dello "spirito". Ancora oggi, girando
per le varie località della nostra Isola, è possibile scorgere riti
e usanze che ci riconducono a quel lontano passato. E se ciò è possibile
lo dobbiamo principalmente alle confraternite che fin dai primi secoli
del millennio ebbero un ruolo preminente nell'organizzare molte cerimonie
religiose e, in particolare, quelle relative alla settimana santa. Associazioni
laiche che, soprattutto a Cagliari, rappresentarono -e rappresentano
ancora oggi- l'elemento portante dell'intera struttura organizzativa
del ciclo pasquale e la cui storia -a differenza di altre località,
quali la Francia, in cui esse furono soppresse- non presenta soluzioni
di continuità fino ai nostri giorni.
Si conservano solo nel ricordo dei più anziani tutte le
cerimonie che, anche a Quartucciu, le varie confraternite organizzavano
annualmente con profonda devozione e senso religioso. La confraternita
della Vergine Addolorata aveva sede nell'antico oratorio omonimo, al
posto del quale, nel 1926, venne eretta la nuova Casa Canonica.
La confraternita di S.Croce, invece, secondo il "libro
storico -cronologico della parrocchia di Quartucciu", operava nella
chiesa di San Biagio, e il 18 agosto 1620 venne aggregata all'Arciconfraternita
del SS.Crocifisso, istituita nella chiesa di S.Marcello in Roma.
La confraternita di S.Luigi, infine, aveva sede nella
chiesetta omonima di fronte al campanile.
Poche sono, ormai, le testimonianze nel nostro paese dei
vecchi riti e delle antiche usanze del ciclo pasquale. Alcuni di questi
sono simili ai riti della vicina Cagliari che ancora oggi rivivono,
con forti elementi di suggestione, nel quartiere di Villanova. Altri
si vanno perdendo per sempre nel vuoto tra due generazioni. Frammenti
di storia che, ormai, sopravvivono solo nel ricordo di pochi anziani
e che, talvolta, fugacemente, riemergono nei discorsi familiari tra
un colpo di tosse e il crepitio del caminetto.
Suggestioni antiche intrise di passione popolare, in cui
era possibile rappresentare tutta la precarietà della propria esistenza,
identificando nella passione del Cristo, le proprie pene e le proprie
sofferenze. Ancora oggi, il giovedì santo, la chiesa viene addobbata
con "su nenniri".
Questo fiore, fiore dei poveri, veniva fatto germogliare
al buio -spesso sotto le tinozze- così da preservarne con cura il colore
giallo-bianco. Le prioresse delle confraternite disponevano della bambagia
umidificata in un grande piatto bianco e, venti giorni prima della pasqua,
vi seminavano del grano o altri legumi.
Il giovedì le piantine, ornate con nastri di carta traforata
e "indoru" erano pronte per adornare il Sepolcro: la cappella
del Sacro Cuore di Gesù; cappella che era orgoglio del popolo di Quartucciu
in quanto abbellita con un altare in marmo realizzato grazie alle offerte
pubbliche dei fedeli, nel 1902. All'interno del sepolcro, l'immagine
della primavera che rinasce dal buio dell'inverno, riviveva nei germogli
di "nenniri".
Ad essi, secondo una lunga serie di studiosi dal Frazer
al Baumgarten, è ricollegabile il culto pagano di Adone. Così come,
secondo l'Alziator, è possibile ritrovare avanzi di antichi riti purificatori
connessi al risveglio vegetativo, anche nei cosiddetti "allichirongius
de Pasca". In un contesto popolare i "nenniris" servivano
per preparare "is affumentos" ritenuti efficaci contro il raffreddore
e il mal di testa.
Ma, il momento di massima tensione, quello in cui la devozione
religiosa si esprimeva con tutta la sua carica drammatica, lo si viveva
nel Venerdì di Passione. Il più anziano tra i confratelli, ma anche
il più robusto, veniva prescelto per rappresentare il Cristo che porta
sulle spalle la pesante croce in legno. Col volto nascosto da un bianco
cappuccio e, a piedi scalzi, egli si dirigeva verso il Calvario, seguito
dalle confraternite e dai fedeli che intonavano i salmi quaresimali,
nella commozione generale.
Espressioni popolari derivanti da vere e proprie rappresentazioni
sacre, la cui origine deve essere ricercata nella tradizione catalano-barcellonese.
Drammatica religiosa che, attraverso una rielaborazione provinciale,
si inserisce nei modelli originali della cultura spagnola per la quale
le manifestazioni della settimana santa rappresentano un momento sociale
importante anche oltre l'aspetto puramente religioso.
Una importante testimonianza delle processioni del venerdì
santo e delle sacre rappresentazioni che, a Cagliari, si svolgevano
all'inizio del secolo scorso, la si trova nel "Dizionario geografico
storico statistico commerciale degli Stati di S.M. Re di Sardegna",
compilato da Goffredo Casalis, diviso in 31 volumi, e pubblicato a Torino
tra il 1883 e il 1856.
La stesura degli articoli inerenti la nostra Isola fu
affidata a benemerito cagliaritano Padre Vittorio Angius. Tra l'altro
si trova scritto: "Nel pomeriggio, è nei quartieri un concorso prodigioso
alle chiese, dove si rappresenta la deposizione del Cristo" quello che
i più anziani ricordano come il rito de "su scravamentu".
"Una grossa croce è inalberata su un palco presso il
pulpito, sotto, un simulacro della Vergine e, presso la Maddalena e
il Giovanni, molti bimbi in funzione di angioletti. Il predicatore,
nell'istante in cui spiega il desiderio di riavere il corpo del Figlio,
vede tosto appressarsi due uomini mascherati da ebrei -il Nicodemo e
il Giuseppe- che metton giù il Cristo dalla croce e, postolo in una
bara, lo portano in processione per la città".
Vi si registra anche un esempio di veglia sacra nel quale,
ancora una volta, domina il sincretismo tra religiosità ufficiale e
religiosità popolare: "In Cabras è in uso che gli organizzatori delle
feste religiose siano obbligati a vegliare nella notte dal giovedì al
venerdì santo per curare i lumi che, in numero notevolissimo, ardono
nel sepolcro. All'alba le famiglie offerenti le lampade riprendono le
medesime e considerano l'olio o la cera residuati come sacri e, pertanto,
dotati di particolari virtù".
Espressioni di una religiosità popolare di cui ancora
oggi si conserva memoria.
A Quartucciu, nei giorni di lutto per la morte del Redentore
-tra il giovedì e il sabato- si legavano le campane. Il silenzio del
paese veniva trafitto dal solo canto del Miserere e dallo strepitio
rauco e continuo delle "matraccas" (is zaccarreddas): strumenti costituiti
da tabelle lignee sulle quali venivano incernierati degli anelli di
ferro. In tutto il periodo di "vuoto divino" -forse anche per
esorcizzare la situazione di abbandono di cui, il "maligno" avrebbe
potuto approfittare- un ragazzo girava per le vie polverose del paese
e suonava ripetutamente questo semplice strumento.
La paura dei demoni dominava la scena: la messa del venerdì
veniva interrotta prima della Comunione perché, secondo la credenza
popolare, in quel giorno "sa Comunioni da faidi su dimoniu".
Paure recondite che venivano fugate solo al momento della Resurrezione,
il sabato mattina, quando le campane ricominciavano a suonare a festa,
dopo la benedizione del fuoco e dell'acqua, e la gente picchiettava
negli angoli e nelle porte delle case con un ramo di vite (una "pettia
de sramentu") pronunciando frasi liberatorie: "Bessi, bessi,
cani malvagiu, da Gesusu arresuscitau".
In occasione della riconsacrazione del fuoco, dell'acqua,
dell'olio e del sale, all'interno della chiesa i fedeli attingevano
l'acqua benedetta da una vasca in marmo, appositamente preparata, che
poteva essere, poi, impiegata per riti propiziatori: versata all'interno
di una canna inserita nel terreno, al centro del campo, assicurava un
buon raccolto; versata nei pozzi e nelle fonti serviva a scongiurare
i rischi della siccità nella stagione estiva.
Il giorno di Pasqua, l'ultimo rito popolare: "s'incontru".
La mamma passava da via Raffaele Piras mentre il corteo con il Cristo
Redentore proveniva dalla via Quartu, per incontrarsi con la Vergine
nei pressi di via Michele Valle.
Il sabato sera, durante la benedizione delle case, si
pronunciava una strofetta che ancora per poco resterà impressa nella
memoria della gente di Quartucciu, se non attraverso quella catena culturale
che ci rende, nel presente, attori del nostro passato e che ci lega
ad esso attraverso un filo impercettibile, nascosto com'è nel profondo
della nostra anima: "cancarrò, cancarrò, chini tenid'ou, chini teni
pudda, chini teni dinai po mindi donai".
Marco Melis