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Quaderni di Quartucciu
Anno III - Numero 12 - Luglio 1999
 

 

I diseredati
di Gesuino Murru

Mi accingo a raccontarvi qualcosa su cui potrete anche non essere d'accordo con me. Non pretendo di avere il monopolio dei vostri cervelli. Libero pensiero in libero cervello. Ma questo non rientra in quello che sto per dirvi.

Era inverno ma non faceva freddo. Da noi l'inverno è mite, veramente mite qualche volta. E poi il vecchio brontolone stava per andarsene.

Il disco del sole si stagliava in tutta la sua rotondità nel cielo terso, facendo penetrare i suoi raggi nell'acqua del mare, entro le gemme sempre più turgide delle piante, dentro la terra che, già arida a sufficienza per la lunga siccità, li respingeva, come una donna stanca dell'amante ne respinge le carezze.

Un noioso passerotto faceva l'altalena su un filo della linea elettrica messo in moto da un venticello fresco ma sopportabile. Tutt'intorno nelle terrazze, panni stesi ad asciugare e bambini che giocavano a rimpiattino tra i panni. Il vento sussurrava alle canne di un vicino giardino qualcosa che esse si ripetevano l'un l'altra instancabilmente, ritmicamente. Sempre allo stesso modo. Buona memoria le canne. In fede mia, buona memoria.

Nella terrazza di fronte, la signora guidava i primi titubanti passi del suo unico bambino. Una bella signora, in gamba però. Voleva molto bene a suo marito, ma era caparbiamente decisa a non volere altri figli. "Voglio dedicarmi tutta al nostro Giannino" -aveva detto al marito scoraggiato.

Ed io me ne stavo seduto nella mia solita sedia a sdraio e il sole mi batteva sul viso, mentre tutto assorto riflettevo tra me e me, senza però fermare il mio pensiero su un soggetto fisso.

Mi sollevai per prendere gli occhiali scuri dal taschino. Fu allora che notai la presenza di Robin. Mi guardava fisso con quei suoi occhi rotondi, le pupille ridotte a fessura. S'era accomodato su una sedia vicina e mi guardava, senza parlare.

Non è un tipo loquace il mio amico Robin. Non apre quasi mai la bocca se non per mangiare o per emettere strani suoni indicanti che il suo stomaco digerisce ottimamente. Ed è anche molto originale. Se a tavola non vede prima la frutta, non mangia. Ma non protesta. È un amico molto rispettoso e riservato, Robin.

"Eh Robin" -dissi io- "sarebbe tremendamente bello poter salire su un albero di banane, coglierne un casco e mangiarne, stando seduti, a sazietà, senza sentirci urlare, con aria arrogante da qualcuno: "Non toccate! Sono io il padrone!"
Oppure poter costruire una piccola capanna su in cima a quei monti laggiù o una piccola casetta in riva al mare, in qualche angolo dove ancora l'uomo non ha calpestato la fresca erbetta, o la rena.
Ma son sicuro che quasi per incanto quelle cime e quella riva avrebbero un padrone, più che mai invidioso della nostra piccola gioia e presto saremmo scacciati con le odiose parole piene di astio negli orecchi: "Sono io il padrone; andate via di qui!"
"

"Possibile che tutto ciò che sta sulla terra sia stato diviso tra i suoi abitanti e a noi non sia toccato proprio nulla? Neppure un casco di banane? Certamente chi ha fatto le parti ha diviso molto molto male.""

Robin rimuginò fra sé qualcosa di incomprensibile, forse ripensando alla torta di mele mangiata a pranzo e di cui m'ero presa la parte più abbondante. "Ma questo è diverso" -spiegai- "Qui non si tratta di torte di mele. Qui è la terra. Di quelle se ne può ottenere un'altra da dividere. Di questa no. E noi siamo stati diseredati. Perché Robin? Parla, spiegamelo."

Robin s'accomodo meglio sulla sedia e per tutta risposta chiuse gli occhi. Ma li riaprì subito, e sbadigliò. Un lungo sbadiglio. Avreste potuto contargli i denti della bocca. Belli perbacco, belli e sani. Molto taglienti, anche.

"Ma pensaci, Robin" -ripresi- "è la seconda volta che siamo diseredati per colpe che non abbiamo commesso. La prima volta fu per una mela. E non ci toccò il Paradiso. Eppure non assaggiammo manco il torsolo. E adesso eslcusi anche dalla divisione della Terra. Robin, hai commesso qualche delitto tu, forse?"

Robin mi guardò spaventato. Ma si ricompose subito. Segno che non ne aveva commesso mai. Provai a risalire il mio albero genealogico alla ricerca di un parente che avesse infranto le buone regole della legge, quella con la L maiuscola, per intenderci. Ma per quanto salissi, prima di Adamo non ne trovavo altri. E.... neppure dopo.

A intervalli regolari, giungeva dalla vicina segheria, distraendomi, l'acuto stridio degli aggressivi denti di una sega elettrica che penetravano, per dividere, in qualche indifeso trave di legno. E allora dovevo ricominciare, per convincermi meglio di non aver sbagliato. Alla fine fui convinto. Nessun parente diretto aveva mai vegetato all'ombra delle prigioni patrie, tranne Adamo che aveva avuto una estesissima prigione tutta per sé. La Terra, intendo. Ma a me non era toccata neppure una minuscola particina di questa comoda galera, nemmeno una palude.

Anzi, sono sicurissimo che, se mi recassi in un luogo disabitato derelitto e dimenticato e mi costruissi una piccola dimora, magari su palafitte, di li a poco vedrei un probabile padrone, deciso, intimarmi lo sfratto, dopo avermi fatto gentile dono di una querela per appropriazione indebita di terreno. O, nella migliore delle ipotesi, mi comparirebbe davanti l'onnipresente agente delle imposte, reclamando la tassa immobiliare, con una tenacia veramente encomiabile. Per Giove, se sarebbe stata encomiabile.

Lo stridente suono metallico della sega elettrica s'era fatto più insistente e penetrante. Ossessivo. È utile la sega elettrica, e diligente; quasi come l'agente delle imposte. Sembra voler dividere tutto ciò che capita a presa dei suoi avidi denti acuminati. Dividerebbe anche l'aria se potesse. E in parti uguali. Metà, metà della metà, e così via. E ne spetterebbe a tutti, nessuno escluso; e a tutti nella stessa misura. Proprio nella stessa misura. Oh, perché non hanno usato la sega elettrica per dividere la terra?

"Neh, Robin! Anche noi avremmo il nostro fazzolettino di terreno con un bell'albero al centro e frutta da cogliere senza sentire la voce odiosa esclamare: "Fermo. Stai rubando. Sono io il padrone!" Oh, Robin, sarebbe molto piacevole. Veramente. E molto giusto anche!"

Robin mi guardò attentamente. Si alzò, inarcò la colonna vertebrale per stirarsi le ossa e si appisolò pacificamente sotto il sole, pancia all'aria.

"Certo Robin, avremmo fatto proprio in questo modo, se avessimo avuto un pezzo di terra tutta nostra. Pancia all'aria, verso il sole, cocente o no, con soddisfazione. E l'anima piena di serenità, quella sincera. Ottima vita sarebbe stata."

Robin aprì un occhio, ammiccò e lo rinchiuse definitivamente. Mi aveva capito alla perfezione.

Per voi dirò che il mio amico Robin è un gatto. Ed è veramente intelligente, il mio gatto.

Ma voi potete anche non crederlo.

Gesuino Murru


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