Radio Kalaritana:
intervista al direttore.
di Giorgio Ledda
I lettori che ci hanno seguito in questi primi
anni di vita del giornale si saranno certamente potuti rendere conto
che il nostro lavoro si è sviluppato su due piani paralleli.
Il
primo, e più immediatamente riconoscibile, è quello specificamente giornalistico
del riportare ed approfondire gli eventi che interessano la nostra comunità.
Il
secondo, appena sotto il primo, è l'attenzione al rapporto tra mezzi
di comunicazione e società.
Già
dal primo numero infatti io stesso davo un'indicazione di questo tipo
quando rilevavo l'inadeguatezza dei mezzi d'informazione a carattere
regionale a raccontare senza stereotipare la realtà di una piccola comunità
come la nostra. Tutto il lavoro sinora svolto dalla redazione può essere
letto come uno sforzo teso alla costruzione di uno strumento d'informazione
a misura di una piccola comunità.
Risulta
quindi normale per noi indirizzare la nostra attenzione verso quei fenomeni
del mondo della comunicazione che, benché in modo diverso da noi, perseguono
gli stessi fini. Per questo motivo sono andato a far visita a Don Antonio
Serra, Direttore dell'emittente cattolica Radio Kalaritana, che rappresenta
una delle proposte più originali ed innovative della radiofonia locale.
Dopo
una breve ma interessantissima visita degli studi abbiamo realizzato
l'intervista che segue.
D.
Cominciamo con identificare i soggetti in gioco secondo lo schema classico
della comunicazione: chi comunica?
R.
Il soggetto primo che ha questa esigenza di comunicare, di rivolgersi
a un pubblico è la Diocesi di Cagliari, che lo fa attraverso delle persone,
in particolare servendosi di un responsabile che sono io, attraverso
la collaborazione di parecchi giovani che per ora sono volontari, anche
se il nostro intento è quello di creare un'impresa con una precisa veste
giuridica e di dare occupazione.
D.
In questo contesto, qual è il ruolo dell'Associazione Famiglia Radio
di cui si fa espressa menzione nelle trasmissioni?
R.
Lei sa che le radio hanno bisogno di una concessione; la concessione
relativa a Radio Kalaritana è detenuta da questa associazione, che è
formata da un gruppo di persone di area cattolica che appartengono alla
realtà diocesana; io sono il Presidente di questa associazione.
Sebbene
dal punto di vista giuridico l'associazione e la Diocesi sono due soggetti
separati, tra le due realtà c'è una profonda condivisione di ideali
ed una intensa comunicazione.
D.
Da quanto tempo trasmettete?
R.
Con la testata attuale trasmettiamo dal marzo 1996. Tuttavia
bisogna dire che al momento del mio arrivo ho trovato già una radio
a livello parrocchiale che abbiamo poi ampliato con l'acquisizione di
altre frequenze.
Sono
partito da li, dato che allora ero solo, ed ora siamo sessanta collaboratori,
che non sono ragazzini che non sanno cosa fare; sono persone molto motivate,
in maggioranza laureati, professionisti, attori, attrici, e una buona
presenza di universitari, che traggono la loro motivazione dal vedere
questo un momento di crescita.
La
radio in questo momento, basandosi sul volontariato, non può retribuire
nessuno ma può dare qualcosa che nessuno può togliere, cioè la formazione.
La frase che io ripeto spesso ai ragazzi è questa: "il mio sogno
è che un giorno, chiudendovi alle spalle la porta della radio, possiate
dire: non ho perso tempo".
Io
non mi sento sfruttatore di giovani, semmai mi sento formatore, educatore.
Per noi è importante lavorare sulle persone, dare loro una competenza.
La
nostra emittente ha già realizzato diversi corsi di dizione, corsi di
giornalismo, corsi di informatica.
D.
Quale ruolo recita attualmente la radio all'interno delle attività dell'associazione?
R.
Devo dire innanzitutto che io sono subentrato ad un presidente precedente,
portando quelle che sono le mie esperienze e la mia formazione. Avendo
una specializzazione in Scienza della Comunicazione chiaramente ho degli
stimoli molto forti in questa direzione.
La
radio è a mio avviso uno strumento che associa ad una elevata potenza
ad un caratteristico modo di comunicare che rifugge la violenza delle
immagini e utilizza la voce, seguendo gli ascoltatori ovunque nei loro
spostamenti.
Oggi
viviamo nelle automobili, tra un ingorgo e una coda, e la radio diventa
davvero compagna di viaggio; ma ci sono anche tanti giovani che con
al radio studiano, disegnano, lavorano. La radio è un mezzo con una
forte presenza nella vita delle persone e se ne sono accorte anche le
aziende che sempre più stanno investendo su di essa piuttosto che sulla
televisione (in parte anche per demerito della televisione che ormai
sta abbassando il livello fino ad arrivare ad una comunicazione urlata,
che spettacolarizza e banalizza tutto).
E
allora si sente il bisogno di ritornare alla parola come portatrice
di contenuto. L'esigenza diventa quindi farsi promotori della cultura.
Non
so quanti tra i lettori di QdQ abbiano confidenza con la realtà ecclesiale
di oggi; la sfida della chiesa di oggi è l'inculturazione, cioè entrare
nella cultura, valorizzarla, scoprire i valori di cui è portatrice e
valorizzarne gli aspetti positivi. Allora la sfida per noi è diventata
guardarci intorno e capire come poter fare crescere la realtà, come
possiamo servirla ma come possiamo anche provocarla.
La
realtà che sta attorno a noi significa anche la realtà ecclesiale; il
fatto che siamo una radio diocesana non significa che dobbiamo essere
un amplificatore del vescovo, sarebbe banale ed irrispettoso nei confronti
dello stesso vescovo e della realtà ecclesiale. Vogliamo anche punzecchiare,
provocare e mettere anche il dito nella piaga se ci sembra che qualcosa
non va bene e si può migliorare.
È
una sfida e tutto campo, la radio in questo contesto è un aspetto, ma
esiste anche la realtà culturale che è fatta anche di formazione, oggi
si fa tanta comunicazione ma quanti tra i nostri concittadini sono formati
alla comunicazione?
Noi
siamo impegnati anche nella formazione alla comunicazione.
Poi
c'è l'aspetto dei mass media a tutto campo, la televisione, la stampa,
le discipline informatiche. La comunicazione si sta complessificando.
Noi
vogliamo entrare nel mondo della comunicazione in modo che i mezzi di
comunicazione non schiaccino l'uomo ma siano messi al suo servizio.
Certamente portare avanti oggi un progetto comunicativo è un lavoro
molto impegnativo, soprattutto per la novità della strada seguita.
D.
A questo proposito, a quale modello, se ne avete uno, vi ispirate?
R.
La prima ispirazione deriva prima di tutto e principalmente dai miei
studi specifici.
Ho
studiato presso la Scuola Paolina della Comunicazione Sociale.
D.
Non ci sono dei modelli veri e propri a cui vi siete ispirati?
R.
no, è proprio una sfida del tutto nuova; non abbiamo voluto scimmiottare
nessuna altra realtà.
La
domanda che ci siamo posti è cosa vogliamo comunicare ma soprattutto
a chi…
D.
Passiamo ad analizzare il "cosa". Quale è il messaggio di fondo della
vostra comunicazione?
R.
Mi permetto di inserire in questo schema, prima ancora che il "cosa"
il "come" vogliamo comunicare.
Intanto
quello che noi vogliamo adottare e che stiamo adottando è uno stile
diverso, una comunicazione che non vogliamo che sia urlata, ma che privilegi
il rispetto della persona, e quindi, anche in riferimento alla programmazione
musicale, implica la creazione di un sound che non sia aggressivo.
D.
Mi ha parlato di una commissione. Quali sono le linee guida a cui la
commissione si ispira nella scelta e nella successiva programmazione.
Sentendo la vostra radio si ha l'impressione che si siano voluti recuperare
dei brani messi da parte dalle altre radio e rivalutarle per il loro
alto valore artistico.
R.
Questo è verissimo, anche e in questa fase di avvio, il recupero di
un repertorio come questo è stato dettato da esigenze economiche; concentrati
sull'allestimento della struttura, le risorse per l'acquisto dei dischi
non erano disponibili.
È
nostro intento cominciare a rinfrescare il nostro palinsesto con l'acquisto
di dischi nuovi e tenerlo costantemente aggiornato.
Anche
nell'acquisto di nuove edizioni manterremo la nostra specificità: a
noi non interessa se un disco è nuovo, piuttosto ci interessa il tipo
di brani che esso contiene. Se esce un CD di grido verrà ascoltato dalla
nostra commissione musica che effettuerà al cernita dei brani che meritano
di essere mandati in onda in base alla loro capacità di suscitare sensazioni
positive in chi lo ascolta.
La
radio è fatta molto di sensazioni, di ambiente. A volte recuperare dal
dimenticatoio un brano degli anni passati fa piacere perché la musica
fa parte del nostro patrimonio culturale di cui non dobbiamo cestinare
nulla.
Non
vedo perché se un brano è degli anni '60 non debba avere al dignità
di essere accostato alle ultime produzioni.
D.
La selezione dei brani è basata solo sul loro suono o anche sul messaggio
in essi contenuto?
R.
Entriamo anche nel merito del messaggio. È
un classico che essendo una emittente cattolica si pensi che dobbiamo
essere bacchettoni; il nostro obiettivo, in coerenza con la filosofia
che ci anima, consiste nel rispetto dell'altro, in questo caso dell'ascoltatore.
Ci
sono per esempio delle canzoni di diversi cantautori che contengono
parolacce; noi facciamo la scelta di non metterle, non perché, come
si potrebbe pensare, siamo una radio cattolica, ma per rispetto dell'ascoltatore
che può essere un bambino, un giovane, un anziano, un sacerdote, una
religiosa; allora quel bellissimo brano magari possiamo ascoltarlo noi
in privato, ma essendo al radio un fatto di comunicazione ampio che
raggiunge un target indifferenziato, credo sia giusto privilegiare il
rispetto dell'ascoltatore più che il gusto di chi trasmette, e non si
sbaglia mai.
D.
Quali sono gli ingredienti che concorrono a formare la vostra offerta
radiofonica?
Ci
sono dei sogni che non si realizzano mai ma a cui si cerca sempre di
tendere.
I
Suk arabi sono dei mercatini affollatissimi, pieni di gente, di colori
e di odori. Camminarci dentro provoca una sensazione particolare, rapiti
dall'insieme degli stimoli fortissimi che trasmette, si perde la cognizione
del tempo e si entra in una nuova dimensione. All'uscita ci si rende
conto di aver fatto un'esperienza straordinaria tanto da sentirsi cambiati.
Un'immagine
apparentemente strana ma che rappresenta quello che per me dovrebbe
essere la comunicazione, non banale, non monolitica, ma data da un'insieme
di elementi ben dosati che affascinano, che intrigano e che danno delle
sensazioni positive. L'elemento di fondo della nostra comunicazione
potrebbe essere individuato nella positività.
Oggi
accendendo al televisione, radio e giornali insistono molto sui fatti
negativi. È una scelta di campo quella che fanno i mass-media, sembra
che il mondo venga condotto dagli eventi negativi, le stragi, le morti,
le violenze.
Il
vostro è un giornale di una piccola comunità; a Quartucciu c'è solo
delinquenza? Direi proprio di no! Ci sono centinaia di famiglie che
ogni giorno lottano per vivere, ci sono migliaia di persone che ogni
giorno al mattino si alzano e amano i loro figli, li educano, fanno
di tutto per farli crescere bene, ci sono associazioni di volontariato,
ma di questa realtà si parla solo occasionalmente sui grossi media.
Io
credo che si debba fare questa scelta di campo, cercare il filo conduttore
del bene che cresce, valorizzare gli aspetti positivi della nostra realtà.
E questo alla fine concretamente significa che cosa?
Parecchi
mesi fa viaggiavo in macchina e sentivo il nostro radiogiornale; il
nostro speaker diceva: "un giovane di Sant'Elia, Tal Dei Tali, è stato
arrestato". A parte il fatto che essendo stato li Viceparroco amo in
modo particolare quella realtà, mi sono adirato tantissimo. Perché quel
giovane "di Sant'Elia"? dire così significa trascinare nella delinquenza,
nella violenza, le migliaia di persone che ogni giorno in quel quartiere
fanno il bene.
Un'altra
notizia riguardava un tale di Iglesias, di cui si faceva cognome e nome,
"presunto pedofilo". Allora se è presunto, fino a prova contraria non
lo è ancora, però tu intanto hai detto il nome, hai detto il cognome,
hai detto dove abita. Quello è bollato per sempre. Se domani la legge
dovesse dimostrare che quella era un'accusa fasulla, e capita, quante
volte capita di essere accusati ingiustamente, tu hai distrutto quella
persona per sempre, perché, soprattutto i giornali, mettono la foto
della persona, intervistano i familiari.
Questa
secondo me è informazione distorta, è sciacallaggio informativo.
Se
vogliamo parlare dei fatti di cronaca io credo anche se le regole del
giornalismo che prevedono di raccontare il "chi", noi possiamo anche
rispettare quel "chi" di una persona che comunque già paga con il carcere,
che non essendo un carcere a vita e quindi correttivo, quella persona
dovrebbe avere il diritto di rifarsi una vita. Ma se io ho fatto una
grande pubblicità in tutti i giornali…
Di
recente su "L'Unione Sarda" c'è stata la notizia di quel giovane che
è stato ammazzato, definito "travestito", già facendo prevalere la categoria
sulla persona, di cui è stata pubblicata quella foto del cadavere seminudo.
Chi
si sta informando in questo modo?
Chi
ha deciso di pubblicare quella foto si è reso conto che quella persona,
intanto era morta, e poi comunque aveva una famiglia che viveva un dramma?
L'informazione
è ormai sfuggita di mano e va per i fatti suoi, deve raccontare ma deve
anche spettacolarizzare tutto e non esiste più il rispetto della persona
umana.
Io
raccolgo questa sfida e mi costa soprattutto quando sei piccolo e devi
nuotare contro corrente in una realtà fatta di grosse concentrazioni
di media, però io ci credo, e il "che cosa" di Radio Kalaritana è: non
esiste solo il male, esiste anche il bene.
Questo
deve diventare fenomeno culturale: rinunciare a qualcosa per essere
propositivi.
D.
Quale è il pubblico al quale RK intende rivolgersi?
R.
è scontato pensare che una radio cattolica si rivolga a dei cattolici;
per noi non è cosi. Non è neppure vero il contrario, non vogliamo escludere
dalla nostra comunicazione i cattolici. Ma la nostra comunicazione è
una comunicazione ampia, proprio perché la cultura non è un fatto cattolico,
la cultura è dell'umanità.
La
radio stessa non può essere limitata, non posso dire ai mie ponti: raggiungi
solo determinate famiglie a seconda del loro credo o della loro ideologia.
La
radio è un mezzo libero e va a lambire persone impensate, ci chiamano
persone che non avremmo mai sospettato di avere tra i nostri ascoltatori.
A
chi ci rivolgiamo?
Ci
rivolgiamo all'uomo di oggi, il nostro target è indifferenziato. È chiaro
che poi la scelta di fare molta informazione nei diversi segmenti, quelle
ecclesiale, il radiogiornale, le rubriche informative sul lavoro, sugli
appuntamenti settimanali, sull'università, e le scelte musicali danno
alla radio un target che non è di giovanissimi, ma dai 25 anni in su.
Un
comunicatore, quando confeziona il suo messaggio fa delle scelte. Certo
a noi piacerebbe non trascurate quel target, ma il rischio sarebbe una
comunicazione scomposta, che prevede il rock al pomeriggio, la dance
alla sera e un po' di intrattenimento sul banale spinto, non perché
i ragazzi siano banali ma perché è difficile bombardare d'informazione
dei ragazzi che sono stati a scuola mattina e pomeriggio.
Dovremmo
segmentare le nostre trasmissioni per fasce orarie e questo ci ha portato
per ora a dover fare questa scelta. Noi siamo una radio giovanissima
e stiamo confezionando la nostra comunicazione in questo modo; è chiaro
che cammin facendo, anche grazie alle persone che ci chiamano per trasferirci
le loro impressioni calibreremo meglio la nostra proposta radiofonica.
D.
Per chiudere due cose: la difficoltà principale riscontrata sino ad
oggi?
R.
La difficoltà principale è la sensazione di essere un pesciolino in
una vasca di pescecani. Nel mondo della radiofonia, vuoi per la legislazione,
vuoi per le grosse concentrazioni di media, appena si tenta di inserirsi
e fare qualcosa di diverso, già si è considerati elemento di disturbo.
Di conseguenza abbiamo trovato e stiamo trovando notevoli difficoltà
che puntualmente fronteggiamo, perché non abbiamo niente da vendere
ma abbiamo delle forti motivazioni.
D.
Domani cosa farà rispetto in più ad oggi la radio?
R.
abbiamo parecchie cose in cantiere, anche immediate, che possono essere
ricondotte alla determinazione e fare radio seriamente. Questo è il
nostro obiettivo quotidiano, che mi porta a stare in radio sino a tarda
notte quasi tutti giorni ormai da tre anni.
La
radio non è fatta da me, ma è frutto del lavoro di diverse équipe che
si incontrano settimanalmente per verificare il lavoro svolto e ogni
mese abbiamo un'assemblea generale, perché la radio è fatta di un'insieme
di persone che comunicano, ed è importante che ciascuno calibri la sua
comunicazione in modo da produrre un lavoro stilisticamente unitario.
Giorgio
Ledda