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Parità scolastica
di Antonello Sabiu
Fra i numerosi equivoci che inquinano
la discussione sulla scuola pubblica e privata c'è anche il frequente
uso improprio del termine "LAICO" parola così ricca di significato e
valore. LAICO non significa affatto, come spesso ignorantemente si presuppone,
l'opposto di "CATTOLICO" e non indica, di per sé, né un credente né
un agnostico o un ateo.
LAICITÀ non è un contenuto filosofico, bensì un abito
mentale, la capacità di distinguere ciò che invece è oggetto di fede
a prescindere dall'adesione o meno a tale credo e di distinguere le
sfere di ambiti delle diverse competenze, ad esempio: quelle della CHIESA
e quelle dello STATO. E come si suol dire diamo a CESARE ciò che è di
CESARE, e a DIO ciò che è di DIO.
La laicità non si identifica a priori con alcun credo preciso, in un
torbido pasticcio sempre oscurantista. In tal senso la cultura, anche
se cattolica, se è tale è sempre laica, così come la logica di un pensatore
cattolico o di un pensatore ateo non può non affidarsi a criteri di
razionalità anche nella dimostrazione di un teorema, quantunque fatta
da un SANTO della CHIESA, non può che obbedire alle leggi della matematica.
I grandi pensatori religiosi hanno spesso dato esempi
altissimi di questa chiarezza, di questa esigenza di rispettare la ragione
e le sue frontiere. Molti laici sono cattolici ferventi ed affermano
che il Vangelo può ispirare una visione del mondo e dunque muovere l'animo
a creare una società più giusta, ma non può tradursi direttamente in
termini di legge.
Laico è chi sa aderire ad un'idea, senza restarne succube,
impegnandosi politicamente, conservando l'indipendenza critica, rimanendo
libero dal culto di sé. Il rispetto laico della ragione non è garantito
né dalla fede né dal suo rifiuto, molti di coloro che dileggiano la
religione credono irragionevolmente alle superstizioni.
E' dunque già un progresso che gli oppositori siano stati
accusati - anche se a torto - di essere dei "LAICISTI " ossia è un bene
che si cominci a distinguere fra "laico" e "laicista", termine usato
per designare un'arroganza aggressiva e intollerante, opposta in modo
speculare a quella del clericalismo.
Ma questo laicismo deteriore non si combatte, come si
illudono e pretendono molti esponenti della gerarchia ecclesiastica,
con la scuola privata. La preoccupazione della Chiesa di vedere non
considerati o deformati i valori del cattolicesimo è giustificata, perché
è sempre più diffusa una visione distorta e falsa di esso per faziosità,
per ignoranza da parte dei più e spesso per l'incapacità della stessa
Chiesa di presentare il messaggio in tutto il suo spessore, in tutta
la sua forza e attualità.
Ma è possibile ritenere veramente che quel senso così
forte della vita, di cui è pervasa la religione, possa essere appreso
o difeso nel timoroso autoisolamento di una scuola confessionale?
E' ingiusto accusare di deteriore laicismo chi si oppone
al finanziamento della scuola privata; è ingiusto per molte ragioni,
ma anche perché essa non giova affatto ad una formazione religiosa.
Anzitutto, cosa ovvia, ma non sempre detta, non esistono
solo scuole cattoliche e tutte le scuole private, secondo la Costituzione,
dovrebbero godere di eguali diritti e di egual sostegno in proporzione
ai loro iscritti. Fra queste scuole ci sono anche quelle religiose di
altri grandi chiese e confessioni che, piaccia o non piaccia a qualche
importante prelato, non hanno minore dignità di quella Cattolica nonostante
il numero minore di fedeli, nell'annuncio e nel messaggio della salvezza.
E' di questi giorni la notizia che entro qualche mese
la comunità musulmana residente in Italia, oggi composta da un milione
di persone, ma prossimamente più consistente, presenterà allo Stato
italiano una serie di richieste, alcune delle quali avranno a che fare
con la scuola. Sarà quindi inevitabile che i musulmani chiedano, e con
tutti i diritti, l'insegnamento della loro religione nelle scuole, impartita
possibilmente da docenti da loro autorizzati a spese dello STATO ITALIANO.
Dunque per affrontare in maniera corretta la contraddizione
tra scuola statale e scuola privata è necessario distinguere tra istruzione
di massa e selezione (specializzazione) di elementi eccellenti e quadri
dirigenziali. Non per cadere nel vecchio e reazionario luogo comune
per cui l'istruzione di massa non può che essere scadente e che l'eccellenza
scaturisce solo da istituti d'élite ed esclusivi, bensì, per capire
la vera natura della dialettica tra pubblico e privato, tra garanzie
del pluralismo d'impresa e l'interesse generale della formazione.
L'istruzione pubblica è un coacervo di servizi formativi
in cui si è sviluppata l'iniziativa privata la quale ha portato una
varietà di scuole e di corsi disseminati in tutto il paese. Ora questo
tipo d'impresa non va certamente penalizzata, anzi andrebbe incoraggiata
(nella misura in cui contribuisca a creare nuova occupazione oltre che
soddisfare una domanda crescente di formazione e addestramento) in tutti
i modi possibili e compatibili con la Costituzione. Ovviamente sono
necessarie delle regole, come avviene in altri Stati europei che garantiscono
il diritto dei lavoratori e gli standard qualitativi corrispondenti
ai titoli rilasciati.
Sul piano strettamente finanziario possono essere previste
misure incentivanti di natura fiscale (defiscalizzazione delle spese
degli utenti, credito d'imposta o riduzioni per investimenti o altro)
purché coerenti con le prerogative del governo e del parlamento, con
la Costituzione o con eventuali provvedimenti adottati nei confronti
di altre aziende private operanti nel settore dei servizi.
E' necessario sgombrare il dibattito in corso da un pregiudizio
secondo cui li nome del servizio, e non della sua qualità reale, che
da diritto a dei finanziamenti, magari sottobanco. NON E' COSI'. Solamente
la qualità del servizio erogato, la creazione di posti di lavoro, la
numerosità dell'utenza possono giustificare interventi statali d'incentivazione
e sostegno. Altrimenti che senso avrebbe cercare di inserire anche nella
scuola pubblica elementi di efficienza aziendale per migliorarne la
qualità, se fosse solo la funzione a giustificare la spesa?
Sul piano poi della formazione e della selezione dei
migliori convergono i due aspetti della qualità della formazione scolastica
e del diritto allo studio generalizzato e garantito solo da una selezione
assolutamente democratica e non discriminante all'origine dei vari percorsi
scolastici, e dalla creazione di centri di ricerca gratuiti per i più
"meritevoli e capaci" che ospitino e specializzino gli elementi eccellenti,
può scaturire una vera politica manageriale, dirigenziale e scientifica.
Non importa che la gestione di questi centri e strutture
sia pubblica o privata, purché le istituzioni si facciano garanti di
due principi
1. ACCESSO DEMOCRATICO
2. QUALIFICAZIONE AI PIÙ ALTI LIVELLI
Questa deve essere selettiva sulla base dei risultati
conseguiti. Questi principi sono basilari e già adottati in tutti i
paesi tecnologicamente avanzati (Francia, Gran Breta-gna, USA) interessati
a salvaguardare un valore primario per il paese: · LA PRODUZIONE DI
IDEE · LA CONOSCENZA PRATICA
In quest'ottica andrebbero valutati gli obbiettivi della
riforma della scuola secondaria e universitaria, ma soprattutto l'organizzazione
attuale della scuola privata, di quella cattolica in particolare, finalizzata
alla educazione e formazione di quadri dirigenziali.
Molti di questi istituti, per motivi ideologici, si sottraggono
di fatto al requisito dell'accesso libero democratico e tendono a creare
corsie preferenziali di formazione. Infatti, sempre meno il loro valore
di mercato è rappresentato dalla qualità oggettiva dei loro allievi
e sempre più dalla rete di rapporti sociali, economici e politici allacciati
dall'istruzione scolastica, veicolo importantissimo per l'immissione
nel mondo del lavoro e della politica.
Nell'ambito delle scuole private vorrei soffermare la
mia e la vostra attenzione su quelle secondarie superiori. Tra queste
esistono infatti numerosi istituti, nati per il profitto, che consentono
a studenti dallo scarso impegno, respinti nelle scuole pubbliche, di
arrivare alla maturità senza alcuna preparazione oppure di recuperare
gli anni perduti a fronte di rette molto costose. Questi numerosi istituti
privati, qualora venisse approvata la legge per il finanziamento della
scuola privata, riceverebbero anche contributi da parte dello STATO.
Bhè a mio parere sarebbe una grossa ingiustizia verso
gli studenti delle scuole pubbliche e verso le famiglie di questi ultimi
che fanno parecchi sacrifici per garantire loro un'istruzione. Sarebbe
difficile fare distinzioni fra l'una e l'altra in termini di legge,
anche quando la differenza apparisse evidente al senso comune, poiché
in democrazia, si sa, le teste si contano tutte, anche quelle vuote
e disoneste, e d'altronde questo sistema rimane il migliore, visto che,
come diceva Einaudi, l'unica alternativa al contare le teste è quella
di romperle.
Una società sempre più eterogenea e multiculturale vedrebbe
pullulare di scuole imprevedibili. Non credo quindi, che si tratti di
una guerra ideologica fra Guelfi e Ghibellini, fra cattolici che chiedono
la parità scolastica e i difensori del monopolio di stato, come afferma
nei giorni scorsi un giornalista sul Corriere della Sera, quello che
bisogna accertare è lo stato d'istruzione statale e non statale del
nostro paese.
La scuola, è ovvio, deve essere efficiente e ci sono esempi
di disastrosa inefficienza dell'insegnamento sia pubblico sia privato.
A scuola in primo luogo si deve studiare e imparare, mentre negli ultimi
anni o decenni si è purtroppo blaterato in assemblee e organi collegiali,
a spese della preparazione dei docenti e degli studenti.
Ciò premesso, mai come in questo momento è necessaria
una scuola pubblica veramente seria, laica e non laicista, che non forma
figli dello Stato e della Lupa (come infelicemente ha constatato l'osservatore
Romano), perché non inculca fedi e ideologie, bensì insegna nozioni
e discipline, sul fondamento di quei valori comuni che sono la base
e la premessa della vita democratica e ai quali si richiamano, in democrazia,
tutti i cittadini, credenti e non credenti.
Inoltre solo la scuola pubblica permette il pluralismo,
che non consiste in un cumulo di ghetti reciprocamente isolati, in cui
si ascolta una sola campana, bensì nel dialogo e nel confronto di opinioni,
fedi e valori diversi.
Ho avuto la fortuna di frequentare una scuola pubblica,
il glorioso Pietro Martini, pluralistica e non faziosa, né anticlericale
né clericale, in cui insegnanti e compagni professavano ed esprimevano
idee diverse, senza che ciò diventasse l'alibi per trascurare le materie
di studio.
L'esperienza di quel confronto è stato essenziale per
la mia maturazione e mi ha insegnato pure a rispettare chi testimonia
la sua fede senza quei pusillanimi riguardi sociali che spesso ci rendono
titubanti.
La vera fede non si rintana in una serra protetta, ma
scende nelle strade, come fecero Cristo e gli Apostoli, questo lo si
deve imparare da ragazzi, perché altrimenti non lo si impara mai più.
Quei laici, fra i quali ci sono molti cattolici, che tutelano
la scuola, difendono forse la religione meglio dei suoi ZELANTI AVVOCATI.
Antonello Sabiu