Città
metropolitana di Cagliari tra tutela ambientale e sviluppo economico.
Dimentichiamoci
questa città
di Giorgio Ledda
La recente visita in Italia del premier spagnolo
Aznar è stata l'occasione per un inevitabile confronto tra la politica
economica del suo governo di centro-destra e quella del nostro governo
di centro-sinistra. Per dirla con una battuta, entrambi gli stati hanno
un'economia che tira come un treno, con gli evidenti limiti che questo
comporta per la nostra.
Il turismo spagnolo è uno dei settori in crescita. Aznar, sulla rotta
Spagna-Italia ha sicuramente incontrato alcuni tra le migliaia d'italiani
che ogni anno, almeno da un decennio, vanno a passare le ferie estive
a Barcellona in Costa Brava. Com'era il mare? Stupendo!? - ho chiesto
ad alcuni miei amici di ritorno da li - uno schifo - mi hanno sempre
risposto. Allora cosa vanno a fare tutti a Barcellona? Cos'avrà di tanto
bello quel posto? Possibile che la Sagrada Familia abbia tanti ammiratori,
specialmente tra i giovani maschi, in assoluta maggioranza tra i visitatori
italiani?
Bastano pochi racconti dei reduci per capire che le attrattive offerte
dalla Costa Brava molto poco hanno a che vedere con il mare o i monumenti
e che si basano sulla vecchia ma consolidata formula "sesso, droga e
rock n'roll". La vita in Costa Brava è soprattutto notturna. Al calar
del sole le decine di localini che si affacciano sulla strada cominciano
ad animarsi di luci e musica e popolarsi degli ospiti dei numerosi alberghi
che spesso, dopo aver dormito per tutto il giorno, consumano in quel
momento il primo pasto della giornata, innaffiato abbondantemente di
Sangria. È qui che si fanno anche gli incontri della serata, che continua
in una delle tante discoteche aperte sino all'alba e finisce in spiaggia
a smaltire gli effetti di tutto ciò che si è aggiunto alla Sangria.
La bravura degli spagnoli è stata quella ribaltare al loro favore due
iniziali handicap del loro paese: la debolezza della moneta e lo scarso
valore naturalistico di alcuni tratti di litorale; in questo modo sono
riusciti a concentrare in un'area molto circoscritta una grande quantità
di grandi alberghi che ospitano molta gente, alla quale offrire molti
servizi a basso costo (anche grazie alla debolezza della peseta), dove
tutti con un milione possono permettersi "… una vita spericolata … come
Steve McQueen", almeno per una settimana.
Al di la del giudizio morale su questo fenomeno, diffuso anche in tutta
la Romagna, può essere interessante capire se il modello presenta delle
soluzioni che potrebbero, se adottate, dare un nuovo impulso allo sviluppo
turistico della nostra Isola, che in molti consideriamo a livello ancora
embrionale. Per parte nostra non possiamo contare ne su una particolare
debolezza della moneta, ormai nell'Euro, ne su disponibilità di aree
di scarso valore naturalistico che si prestino a grossolane speculazioni
alberghiere.
Ci troviamo tuttavia a fare i conti con un territorio che rispetto
alle sue potenzialità turistiche continua a raccogliere poco più che
le briciole, fortemente in ritardo su trasporti, capacità ricettiva
e servizi turistici avanzati, incapace di dare occupazione, foss'anche
precaria e stagionale, alle migliaia di giovani disoccupati. La realizzazione
di un distretto turistico sul modello spagnolo, di cui oggi non esiste
neanche il progetto richiede l'individuazione di una vasta area edificabile
in prossimità del mare e di una grande città. La Costa Smeralda, Alghero,
e le altre località turistiche non hanno queste caratteristiche e perseguono
modelli di sviluppo diversi. Cagliari è una città abbastanza grande,
soprattutto comprendendo l'hinterland; con l'aeroporto ed il porto è
forse quella che soffre meno il problema dei trasporti; il mare non
è squallido come quello di Barcellona ma non rappresenta certamente
un limite allo sviluppo. L'unica cosa che mancherebbe a Cagliari è l'area
sulla quale realizzare il comparto.
L'idea, sicuramente impopolare, mi è venuta proprio leggendo ciò che
scrive Gesuino Murru sulle pagine di questo giornale a proposito dell'incerta
sorte delle Saline di Stato, che sono da anni condannata ad un lento
ma costante declino produttivo.
Se così fosse, cosa evidenziata anche dall'autore dell'articolo citato,
si aprirebbe uno scenario completamente nuovo. Le saline occupano una
superficie di diversi ettari, completamente sgombri, in un'area di alto
valore immobiliare adiacente alla città, vicino al Poetto e alla restante
zona umida di Molentargius. C'è lo spazio per costruire un'altra Cagliari,
magari quella che abbiamo sempre sognato, bella, ricca di parcheggi,
di viali illuminati, di piazze verdi, di negozi, di chioschi, di discoteche,
di ristoranti, di alberghi, di parchi dei divertimenti ma soprattutto
piena di turisti. Ciò che mi fa guardare a questa possibilità con fiducioso
ottimismo è il fatto che dovendo essere progettato tutto partendo da
un foglio bianco, senza limiti derivanti da scelte precedenti e da fenomeni
di abusivismo, ci sono le condizioni per la realizzazione di una città
modello, con una giusta dotazione di servizi di qualità, che andrebbe
a migliorare la qualità della vita di tutto l'hinterland.
G.L.
Ma
le saline devono essere chiuse?
(.... datele a chi le fa lavorare!)
di Giorgio Ledda
Le Saline di Stato di Cagliari hanno rappresentato
per lungo tempo una realtà altamente produttiva, determinante per l'economia
della Sardegna meridionale. Erano fonte di lavoro per i numerosi dipendenti
e di ricchezza per gli imprenditori che sul commercio del sale hanno
fondato il loro piccolo impero. L'arresto della produzione, avvenuto
una decina di anni fa, dipese dalla contaminazione delle vasche derivante
dalla tracimazione delle acque reflue del Bellarosa minore, a seguito
dell'arresto dell'idrovora che le riversava nel canale Terra Maini.
Ora la proprietà dovrebbe passare alla Regione, alla quale si è rivolta
una cordata di imprenditori cagliaritani con alla testa Licio Cadelano,
pronta a prendere in gestione l'impianto e rilanciare la produzione
del sale sardo, rinomato per la sua qualità, sollevando l'amministrazione
regionale dalla complicata gestione del bene. Con quali prospettive?
1) È possibile il recupero immediato delle saline a costi irrisori.
2) È possibile creare occasioni di lavoro dell'ordine di circa una
cinquantina di occupati fissi, più un certo numero di stagionali nel
periodo di raccolta, oltre l'indotto.
3) È possibile la costituzione di una società mista privati-Regione
con maggioranza azionaria all'Ente Pubblico ovvero la stipula di un
contratto di concessione rinnovabile.
4) È possibile prevedere l'utilizzodelle strutture in funzioni curativo-termali
e lo sfruttamento dei prodotti "collaterali".
5) Il mercato, oltre quello locale (che predilige il sale sardo), è
sicuramente quello nazionale ed europeo, dove il ricordo del sale di
Cagliari, per fortuna, è ancora vivo.
Di certo c'è che il non utilizzo delle saline si è risolto in una perdita
secca per l'Amministrazione Finanziaria.
Anche per questo alla Regione Ds, Fd e Democratici chiedono azioni
decise contro i Monopoli.
G.L.