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Quaderni di Quartucciu
Anno III - Numero 14 - Dicembre 1999
 

 

Batuffoli di cotone morbidi al tatto, sensibili e (pare!) terapeutici.

Compagni di viaggio
di Rita Cannas

Ogni volta mi dico:" È l’ultimo!" Invece. So di mentire a me stessa. Ma è più forte di me. Guardo quel musetto, gli occhioni che implorano aiuto. Non può parlare ma quante cose ci direbbe, se potesse! O forse solo una parola, dolorosa. "Perché ? Perché dopo avermi coccolato, nutrito, dopo aver giocato con me, dopo averti fatto sorridere, alla fine … un calcio e via! Fuori di casa, lontano dalla mia cuccia calda, dalla mia ciotola di buon cibo". Questo nelle migliori delle ipotesi. Perché ci sono anche le botte, le sevizie, i maltrattamenti, la denutrizione il non amore. "Perché?" mi chiedo spesso anch’io con il cuore gonfio e triste per l’amarezza di fronte a tanta crudeltà. Eppure, può sembrare strano, siamo noi che spesso abbiamo bisogno di loro, della loro presenza, del loro affetto incondizionato, delle loro "moine", della loro felicità ogni qual volta ci vedono rientrare a casa stanchi, affamati, stressati da una vita che è diventata sempre più "non a misura d’uomo". Non so perché ho questo magone ogni qual volta vedo quegli occhioni disperati, quell’aria smarrita, la disperazione dell’essere stato abbandonato, la speranza (forse) di ritrovare chi non lo ha più voluto.

Tutto cominciò quando, bambina di 7-8 anni, vivace ma sensibile mi trovavo a casa dei miei nonni. Lei, la nonna, non sopportava più il miagolio disperato e insistente di una gattina bianca di pochi. Innervosita e stanca non trovo di meglio che sbarazzarsene e la butto giù dal primo piano. Io corsi disperata giù per le scale (la casa dei nonni era enorme) nella speranza di ritrovarla ancora viva. E , miracolo!, la gattina era caduta sopra un mucchio di sabbia che il nonno utilizzava per fare le piastrelle (aveva la fabbrica). Be’, io a quel punto io decisi che Bianchina (la chiamai così) doveva venire con me a casa e, determinata, mi avviai. Durante il percorso a piedi, la micina mi si aggrappò disperata perché non era abituata al rumore del traffico e mi lasciò sulle spalle e sulle braccia i segni della sua disperazione. Mia madre dovette disinfettarmi tutti quei graffi e dovette anche rassegnarsi al nuovo ospite che, appena giunta a casa, stette buono e zitto. In sette anni sfornò cuccioli 2 volte l’anno e ci fu una dinastia di "Bubu", finché mio padre si decise a darla via perché lei non sopportava i cani e in modo particolare il suo. Per me fu un trauma, ma allora le decisioni dei genitori erano fuori discussione.

Poi c’è stato "Micio" morto a 22 anni di vecchiaia, piovuto chissà da dove, Bianchino un altro persiano bianco trovato vicino alle immondizie con una ferita sul fianco. Dopo 8 anni, memore della sua vita randagia, non ha ancora smesso di frugare nelle buste della immondizia. E poi ancora "Piccolino" di 9 anni dagli occhi blu cielo. Quando lo trovai in mezzo al fango con il nasino tappato e gli occhi socchiusi, aveva una brutta rino-laringite perché quel giorno di febbraio pioveva. Ricordo che per scaldarlo avevo escogitato il sistema del "mattone riscaldato" e lui, che aveva sangue freddo, non se ne staccava mai. "Niña" invece è una bella gattina striata di 2 anni trovata anch’essa in mezzo alla strada come i Niños delle favelas brasiliane. Infine "Nerina", priva della zampa posteriore, che qualcuno voleva avvelenare, chissà tra quali atroci sofferenze, se non l’avessi sottratta a quel triste destino. E potrei ancora continuare, ma ci sono anche i cani abbandonati o persi chissà come. Per esempio i 3 cuccioli trovati sul sagrato della chiesa di Bonaria che ancora non avavano gli occhi aperti, "Maggiolino" (lo avrei chiamato così se fosse sopravvissuto), trovato sul ciglio della 554 il 1° maggio di due anni fa mentre facevo una passeggiata in bicicletta. L’avevano impallinato e riempito di botte tanto da spezzargli la schiena. La corsa verso l’ospedale "San Giuseppe" non servì a salvarlo. Non emetteva neppure un piccolo lamento, povera bestiola! Si limitava a leccarmi la mano. La cosa che più mi sconcerta e mi ferisce profondamente è proprio questa. Non emettono un solo grido di dolore, la loro sofferenza è muta. Ti guardano e basta. Il loro sguardo ti buca il cuore e lo stomaco! E tu sei impotente davanti a tanta sofferenza. Qualcuno, a ragione, dice: "Ma chi sono le Bestie? Loro o noi?" Perché non c’è più posto per questi nostri "Compagni di viaggio"? li abbiamo costretti ad adattarsi a noi e poi? Dapprima sono batuffoli di cotone, morbidi al tatto; ci fanno divertire, sorridere, ci inteneriscono. Quando poi ci si accorge che hanno bisogno di cibo, di coccole, di attenzioni, del veterinario, della lettiera e della cuccia pulita, allora un calcio e via! Qualche alunno, alla mia proposta di adozione ha risposto: " Mia madre dice che se porto a casa qualche bestiola esco io, fuori di casa!

Ora, da qualche giorno c’è "Shu-Shu". Non so perché l’ho chiamato così, forse perché mi da l’idea di un cagnolino cinese. Musetto nero, occhioni neri grandi da pechinese, la coda arruffata e girata all’insù, il manto bianco e nero a tratti corto, a tratti lungo. Andava da un marciapiede all’altro, sotto casa, sempre con quell’aria smarrita, in cerca forse del suo padrone. Sporco, affamato, spaventato. Ora, Shu-Shu sembra (?) felice. Mangia, gioca, si è già affezionato alla nuova padrona. Ma quando finirà questa storia infinita di abbandoni, di sevizie, di maltrattamenti? Eppure si dice (ed io ci credo) che le bestiole abbiano un effetto terapeutico sulla psiche umana. Perché allora non scaricare le nostre tensioni quotidiane accarezzando il nostro amico domestico o giocando con lui? Pare che possano essere d’aiuto anche ai bambini con problemi vario genere (solitudine, depressione, malattie psichiche) e alle persone sole e anziane. Gli animali adorano i bambini e loro adorano gli animali in una sorta di reciproca complicità che solo loro conoscono. Talvolta i bambini sono crudeli con gli animali, ma forse sono solo disperati perché a loro volta poco amati dagli adulti; ma sono felici quando possono occuparsi di essi. Talvolta, a scuola, qualche cucciolo di cane accompagna gli scolari; è felice, forse spera di essere adottato; si lascia accarezzare e magari ritorna il giorno dopo alla stessa ora finché qualcuno lo scaccia insensibile e sordo ai suoi richiami. Spera di farsi capire ma inutilmente!

Può sembrare strano ma sono loro a capire noi e non viceversa. Qualcuno ha pensato di introdurli persino negli ospedali perché pare accelerino la guarigione degli ammalati. Ma allora perché tanta insensibilità in un paese così ricco di animi sensibili, di pittori, di artisti, di scrittori, di poeti, come il nostro?


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