In riferimento alla lettera delle
"Due ragazze di Quartucciu C.&R.", datata 19.08.’99, pervenuta in
redazione, condividendo il fastidio ampiamente espresso da Gianni Manis,
per l’anonimato mantenuto dalle autrici, (come se volessero parlare
da dietro una maschera) intendo, qui di seguito, apportare un contributo
ed un ideale sostegno alle due giovani, probabilmente mie coetanee.
Al di la’ del fatto che trovi l’anonimato uno "stratagemma"
inutile, specie per un testo come questo che, a mio parere, è
una richiesta d’aiuto - trovare un lavoro, o, quantomeno, avere un consiglio
su come poterselo procurare - penso che siano altrettanto meritorie
di risposta, non foss’altro per lo slancio che hanno avuto di scrivere
delle righe che poco si allontanano dalla verità…
Confidando nel giornale del paese come unico luogo in
cui poter esprimere liberamente delle idee - condivisibili, o meno -
affermano di "approfittare… di questo spazio per esporre un problema":
la disoccupazione. Ed è, di fatto, un problema che tutti sentiamo,
non solo a Quartucciu, ma, purtroppo, a livello nazionale; piaga dolorosissima
sia fra i giovani, ma anche fra i meno giovani, talvolta, padri e madri
di famiglia. Ma sulla disoccupazione tanto si è scritto, tanto
si è detto e si dirà.… La retorica si spreca, ed io non
intendo unirmi ai cori inutili, o che raramente hanno portato a delle
soluzioni concrete.
Certo, un fatto di cui poco si parla come un tabù,
o quasi come il "segreto di Pulcinella", sono le "spinte", così
chiamate, spesso celate o dissimulate da ipocrisia. Tacerle o persino
affermare che non ci siano sarebbe falso e ingannevole. Esistono. E’
risaputo. Qui a Quartucciu, oggi, come ovunque, sempre. Anche su questo
argomento rischieremmo, una volta riconosciuta e deprecata la poco edificante
pratica, di scivolare in vane retoriche, che ci porterebbero solo a
roderci il fegato. Con ciò non voglio dire che bisogna lasciare
che sia, ma sollecito voi giovani, e, naturalmente me, a rimboccarci
le maniche e darci da fare in ogni campo. Dobbiamo dare fondo alle nostre
energie nella preparazione scolastica, frequentare corsi di specializzazione
professionale; leggere giornali, documentarci su leggi nuove, sui nostri
diritti (ma anche sui nostri doveri); capire che cosa sia giusto che
facciano i politici e capire sin dove possa arrivare la loro capacità
decisionale; dobbiamo sradicare la politica degli interessi personali,
fare in modo che gli amministratori coltivino una cultura della legalità,
del rispetto delle regole, dell’uguaglianza. Dobbiamo, insomma, munirci
di una "corazza" che ci permetta di affrontare in modo equo il duro
mondo del lavoro.
Prima ancora di contare sulla famigerata "spintarella"
è bene credere in noi stessi e cercare di occupare il nostro
(anche se modesto) posto di lavoro con onestà, e, soprattutto,
ottenuto da soli, grazie alle nostre capacità, alla nostra fatica
e alla nostra pazienza.
Io credo che lo stesso datore di lavoro, prima di assumere
un individuo "raccomandato", dia un’occhiata al suo "curriculum vitae
et studiorum" e, se si accorgesse che il "figlio di nessuno" è
ben più preparato, potenzialmente produttivo, allora avrà
tutto l’interesse di dargli la precedenza, vedendo che è comunque
una persona valida.
Ritenere che spetti al Comune - quasi perché
previsto istituzionalmente - scodellarci un’occupazione, come minestra
già pronta, è irreale ed utopico. Gli amministratori non
sono obbligati ad offrire, a ciascun cittadino, un mestiere o un impiego.
Si deve entrare nell’ordine di idee che i vari "Assessori" devono fare
(e su ciò non si può transigere!) tutto ciò che
è nelle loro possibilità, economiche ed organizzative,
messe a disposizione dallo Stato, affinché si abbia una discreta
informazione dal punto di vista occupazionale: sia per entrare a conoscenza
delle nuove leggi per creare presupposti di lavoro, sia per sapere in
tempo date e modalità relative agli impieghi .
Per quanto riguarda la situazione dei disoccupati di
Quartucciu, un’altra questione rimasta in sospeso è la sede dell’ufficio
di collocamento, trasferita provvisoriamente (ma si sa che qui in Italia
l’avverbio "provvisoriamente" è di solito sinonimo di "eternamente")
a Cagliari.
Quanto si sta facendo per cercare di accelerare i tempi
di allestimento di una sede "in loco", per evitare che i Quartuccesi
siano costretti ad affrontare il viaggio verso una zona del Capoluogo
fuori mano e scarsamente servita da mezzi pubblici? Un altro modo con
cui un’Amministrazione Comunale si potrebbe far sentire, e non passare
per lavativa, sarebbe anche quella di sfruttare più proficuamente
del danaro stanziato dalla Regione, per l’organizzazione di corsi di
formazione professionale. Questa esigenza è, e diventerà,
più forte se si pensa che a partire dal 2000 tutti i concorsi
statali richiederanno, come conoscenze imprescindibili, l’inglese e
l’informatica.
Cosa si aspetta ad organizzare dei corsi d’informatica,
considerando anche il fatto che la stessa scuola italiana, rispetto
al resto d’Europa, presenta delle serie lacune?
E’ naturale, poi, che i giovani non vedano altra soluzione
che partire, aggiungendosi al già alto numero di emigrati. Non
sempre lasciare la propria terra è il modo giusto per affrontare
il problema. Dobbiamo, infatti, tener presente che alle soglie del Duemila,
solo in Europa, sono oltre 11 milioni le persone senza lavoro.
Perciò io penso che "noi giovani" dobbiamo "armarci
per lottare", superando le ipocrisie, le ingiustizie, non crogiolandoci
in esse, ma dandoci da fare insieme, ognuno in base alle proprie capacità,
cercando di correggere ciò che di sbagliato c’è, nella
nostra società, migliorando, prima di tutto, noi stessi.
Consentitemi di fare un appunto: in una lettera così
formulata è facile cadere nel vittimismo. Trovo, però,
riprovevole ed offensivo nei confronti di chi sta realmente peggio di
noi, il paragone fra i Quartuccesi ed i "Kosovari". Anche se la volessimo
considerare un’iperbole, sarebbe, comunque, eccessiva.
Come scriveva Cesare Marchi "Non siamo più povera
gente". Da cinquant’anni a questa parte il nostro Paese non ha conosciuto
gli orrori della guerra, con i suoi lutti e le sue distruzioni devastanti
moralmente ed economicamente. L’Italia ha saputo risollevarsi dopo il
conflitto mondiale, riuscendo a diventare sesta potenza industriale
dell’Occidente. In questo modo, non intendo minimizzare i seri disagi
di chi non lavora, tantopiù che si assiste, ormai, alla caduta
del mito dello sviluppo duraturo e permanente ed esiste, ancora, un
profondo squilibrio tra chi ha molto e chi quasi niente. La nostra condizione,
anche se precaria, è ben lontana dal "nulla" che appartiene alle
popolazioni vittime di insensate lotte armate.
Sarebbe saggio, dunque, non tirare in ballo delle realtà
che fortunatamente non ci appartengono.