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Quaderni di Quartucciu
Anno III - Numero 14 - Dicembre 1999
 

 

La condizione di chi è senza lavoro porta spesso al pessimismo,
alla sensazione di non avere diritti.

Disoccupazione? Parliamone ancora.
Le Autorità competenti hanno davvero fatto quanto è in loro potere?
di Viviana Ricci

In riferimento alla lettera delle "Due ragazze di Quartucciu C.&R.", datata 19.08.’99, pervenuta in redazione, condividendo il fastidio ampiamente espresso da Gianni Manis, per l’anonimato mantenuto dalle autrici, (come se volessero parlare da dietro una maschera) intendo, qui di seguito, apportare un contributo ed un ideale sostegno alle due giovani, probabilmente mie coetanee.

Al di la’ del fatto che trovi l’anonimato uno "stratagemma" inutile, specie per un testo come questo che, a mio parere, è una richiesta d’aiuto - trovare un lavoro, o, quantomeno, avere un consiglio su come poterselo procurare - penso che siano altrettanto meritorie di risposta, non foss’altro per lo slancio che hanno avuto di scrivere delle righe che poco si allontanano dalla verità…

Confidando nel giornale del paese come unico luogo in cui poter esprimere liberamente delle idee - condivisibili, o meno - affermano di "approfittare… di questo spazio per esporre un problema": la disoccupazione. Ed è, di fatto, un problema che tutti sentiamo, non solo a Quartucciu, ma, purtroppo, a livello nazionale; piaga dolorosissima sia fra i giovani, ma anche fra i meno giovani, talvolta, padri e madri di famiglia. Ma sulla disoccupazione tanto si è scritto, tanto si è detto e si dirà.… La retorica si spreca, ed io non intendo unirmi ai cori inutili, o che raramente hanno portato a delle soluzioni concrete.

Certo, un fatto di cui poco si parla come un tabù, o quasi come il "segreto di Pulcinella", sono le "spinte", così chiamate, spesso celate o dissimulate da ipocrisia. Tacerle o persino affermare che non ci siano sarebbe falso e ingannevole. Esistono. E’ risaputo. Qui a Quartucciu, oggi, come ovunque, sempre. Anche su questo argomento rischieremmo, una volta riconosciuta e deprecata la poco edificante pratica, di scivolare in vane retoriche, che ci porterebbero solo a roderci il fegato. Con ciò non voglio dire che bisogna lasciare che sia, ma sollecito voi giovani, e, naturalmente me, a rimboccarci le maniche e darci da fare in ogni campo. Dobbiamo dare fondo alle nostre energie nella preparazione scolastica, frequentare corsi di specializzazione professionale; leggere giornali, documentarci su leggi nuove, sui nostri diritti (ma anche sui nostri doveri); capire che cosa sia giusto che facciano i politici e capire sin dove possa arrivare la loro capacità decisionale; dobbiamo sradicare la politica degli interessi personali, fare in modo che gli amministratori coltivino una cultura della legalità, del rispetto delle regole, dell’uguaglianza. Dobbiamo, insomma, munirci di una "corazza" che ci permetta di affrontare in modo equo il duro mondo del lavoro.

Prima ancora di contare sulla famigerata "spintarella" è bene credere in noi stessi e cercare di occupare il nostro (anche se modesto) posto di lavoro con onestà, e, soprattutto, ottenuto da soli, grazie alle nostre capacità, alla nostra fatica e alla nostra pazienza.

Io credo che lo stesso datore di lavoro, prima di assumere un individuo "raccomandato", dia un’occhiata al suo "curriculum vitae et studiorum" e, se si accorgesse che il "figlio di nessuno" è ben più preparato, potenzialmente produttivo, allora avrà tutto l’interesse di dargli la precedenza, vedendo che è comunque una persona valida.

Ritenere che spetti al Comune - quasi perché previsto istituzionalmente - scodellarci un’occupazione, come minestra già pronta, è irreale ed utopico. Gli amministratori non sono obbligati ad offrire, a ciascun cittadino, un mestiere o un impiego. Si deve entrare nell’ordine di idee che i vari "Assessori" devono fare (e su ciò non si può transigere!) tutto ciò che è nelle loro possibilità, economiche ed organizzative, messe a disposizione dallo Stato, affinché si abbia una discreta informazione dal punto di vista occupazionale: sia per entrare a conoscenza delle nuove leggi per creare presupposti di lavoro, sia per sapere in tempo date e modalità relative agli impieghi .

Per quanto riguarda la situazione dei disoccupati di Quartucciu, un’altra questione rimasta in sospeso è la sede dell’ufficio di collocamento, trasferita provvisoriamente (ma si sa che qui in Italia l’avverbio "provvisoriamente" è di solito sinonimo di "eternamente") a Cagliari.

Quanto si sta facendo per cercare di accelerare i tempi di allestimento di una sede "in loco", per evitare che i Quartuccesi siano costretti ad affrontare il viaggio verso una zona del Capoluogo fuori mano e scarsamente servita da mezzi pubblici? Un altro modo con cui un’Amministrazione Comunale si potrebbe far sentire, e non passare per lavativa, sarebbe anche quella di sfruttare più proficuamente del danaro stanziato dalla Regione, per l’organizzazione di corsi di formazione professionale. Questa esigenza è, e diventerà, più forte se si pensa che a partire dal 2000 tutti i concorsi statali richiederanno, come conoscenze imprescindibili, l’inglese e l’informatica.

Cosa si aspetta ad organizzare dei corsi d’informatica, considerando anche il fatto che la stessa scuola italiana, rispetto al resto d’Europa, presenta delle serie lacune?

E’ naturale, poi, che i giovani non vedano altra soluzione che partire, aggiungendosi al già alto numero di emigrati. Non sempre lasciare la propria terra è il modo giusto per affrontare il problema. Dobbiamo, infatti, tener presente che alle soglie del Duemila, solo in Europa, sono oltre 11 milioni le persone senza lavoro.

Perciò io penso che "noi giovani" dobbiamo "armarci per lottare", superando le ipocrisie, le ingiustizie, non crogiolandoci in esse, ma dandoci da fare insieme, ognuno in base alle proprie capacità, cercando di correggere ciò che di sbagliato c’è, nella nostra società, migliorando, prima di tutto, noi stessi.

Consentitemi di fare un appunto: in una lettera così formulata è facile cadere nel vittimismo. Trovo, però, riprovevole ed offensivo nei confronti di chi sta realmente peggio di noi, il paragone fra i Quartuccesi ed i "Kosovari". Anche se la volessimo considerare un’iperbole, sarebbe, comunque, eccessiva.

Come scriveva Cesare Marchi "Non siamo più povera gente". Da cinquant’anni a questa parte il nostro Paese non ha conosciuto gli orrori della guerra, con i suoi lutti e le sue distruzioni devastanti moralmente ed economicamente. L’Italia ha saputo risollevarsi dopo il conflitto mondiale, riuscendo a diventare sesta potenza industriale dell’Occidente. In questo modo, non intendo minimizzare i seri disagi di chi non lavora, tantopiù che si assiste, ormai, alla caduta del mito dello sviluppo duraturo e permanente ed esiste, ancora, un profondo squilibrio tra chi ha molto e chi quasi niente. La nostra condizione, anche se precaria, è ben lontana dal "nulla" che appartiene alle popolazioni vittime di insensate lotte armate.

Sarebbe saggio, dunque, non tirare in ballo delle realtà che fortunatamente non ci appartengono.

Vi.Ri.

 


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