Com'è cambiata la televisione... ...E come lei ha cambiato il linguaggio
degli italiani in sessant'anni di vita
"ZAPPANDO"...
DA UNA RETE ALL'ALTRA
di Viviana Ricci
Quando
qualcuno ci dice che è stato tutto il giorno a "zappare", se ci venisse
da pensare al faticoso lavoro del dissodare la terra sotto il sole cocente,
sarebbe comunque bene chiedere all'interlocutore sotto quale accezione
abbia usato il termine…
Rimarremo infatti
stupiti nel sapere che con la parola "zappare" volesse intendere quel
"continuo cambiare delle reti televisive, stando comodamente seduto
nella poltrona di casa, con un telecomando in mano".
Il termine "ambiguo"
non è altro che uno dei tanti neologismi che s'introducono nel nostro
parlare quotidiano, nati con la televisione, per la televisione e di
cui sembra che non si possa ormai fare a meno. "Zepping" è il termine
da cui prende origine il verbo italiano, e designa il "premere freneticamente
i tasti del telecomando per avere una visione d'insieme dei programmi
trasmessi".
La
televisione, in Italia, ha compiuto sessant'anni da quando un trasmettitore
sperimentale dell'Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche)
entra in funzione a Monte Mario, Roma, il 22 Luglio del 1939, con la
definizione tedesca a 441 linee.
Si producono i primi programmi e, a parte la parentesi della guerra,
in cui tutto viene momentaneamente bloccato, la sua esistenza continuativa
ha inciso in maniera straordinaria nella società, nelle abitudini di
vita, nelle abitudini linguistiche.
La televisione rappresenta
il mezzo di comunicazione di massa che ha contribuito, in maggior misura,
a quel processo che ha portato l'italiano da lingua conosciuta da una
bassa minoranza, a lingua usata, almeno in qualche dominio, dalla stragrande
maggioranza della popolazione.
È
indubbio che essa, nel secondo dopo guerra, abbia permesso ai non italofoni
di familiarizzare con l'italiano, molto di più di quanto non abbia potuto
fare la stampa, i cui lettori, per il fatto stesso di essere alfabetizzati,
possedevano già una conoscenza almeno scolastica dell'italiano.
Contemporaneamente
ad un generale sviluppo delle condizioni economiche e sociali, soprattutto
per effetto della progressiva capillare diffusione della televisione,
i "mass-media" hanno rafforzato la conoscenza dell'italiano, hanno accelerato
il rinnovamento linguistico in chi già si trovava predisposto, hanno
svolto un ruolo di "scuole di lingua".
Non hanno fatto acquisire una competenza, ma hanno fatto nascere in
molti dialettofoni il bisogno di conoscenza dell'italiano.
Per quanto abbia
avuto il merito di divulgare la lingua nazionale in passato, attualmente
il suo contributo linguistico è andato via via degenerando, diventando
"specchio linguistico" della società, limitandosi a riprodurre il linguaggio
moderno, esacerbandolo in un "italiano selvaggio".
Essa mostra una
eterogeneità linguistica, correlata alla eterogeneità tipologica dei
programmi.
Alcune trasmissioni
non fanno che riproporre, linguisticamente inalterate, forme di spettacolo
già sviluppate fuori e indipendentemente dalla televisione: cinema,
teatro, opere liriche.
L'ampia cittadinanza data ai più diversi tipi di parlato (dialettale,
colloquiale, con inserzione di linguaggio giovanile e citazioni di lingue
straniere, specialmente inglese), rispecchia il plurilinguismo della
società italiana.
L'accavallarsi di
fatti, eventi da illustrare ha sempre favorito una certa libertà linguistica,
sia pure incanalata entro moduli preconfezionati.
Il telegiornale
si attiene, più di ogni altro programma, ad un uso dell'italiano standardizzato
poiché si basa su testi scritti; i servizi trasmessi generalmente in
diretta e spesso durante lo svolgimento dei fatti di cui si da notizia,
offrono un parlato formale, ma solo parzialmente pianificato in anticipo.
In linea di massima
il linguaggio televisivo mostra una diffusa presenza di forme medio
basse.
Un esempio è dato
dalle comunicazioni pubblicitarie, nelle quali sono fondamentali, oltre
al codice verbale in senso stretto, quello iconico.
Accade perciò che
la lingua ricopra un ruolo marginale, di subalternità rispetto all'immagine.
Il messaggio si limita a restringere il vasto campo di interpretazione
delle immagini. Deve perciò avere come caratteristica primaria un periodare
breve, che sia nel contempo persuasivo, anche con l'impiego di miti
e valori universali che si adattano a qualunque tipo di prodotto.
Ricorrono
spesso forme ellittiche di argomentazione: "Se hai una casa, hai
un Blak & Decker", in cui è sottinteso che l'avere una casa implica
dedicarsi al bricolage; strutture iterative: "Chi vuole Parmacotto,
vuole solo Parmacotto"; allitterazioni, paronomasie, rime: "Il
metano ti da una mano"; fonosimbolismi: "Ace, smacchia a fondo,
senza ssstrapp"; tropi, che coinvolgono il merceonimo (nome del
prodotto): "Diamoci un mondo di baci".
Sul piano più strettamente
linguistico gli studi sulla pubblicità hanno rilevato particolarmente
la trasgressività della sua lingua, che per colpire il ricevente viola
le regole dalla lingua naturale, creandosene una autonoma. Sul piano
sintattico si usano frasi prive di copula, pur essendo normalmente necessaria;
su quello della formazione delle parole, si creano a partire da sostantivi
(anche merceonimi), verbi denominali in -izzare, -izzarsi, si abbonda
con superlativi, si impiegano "parole-macedonia": "Intellighiotto",
"Parmacotto"; si utilizzano gli aggettivi in senso avverbiale:
"Chi corre giovane, corre Vespa".
Nel ricorso ad un
livello medio di lingua non compaiono quasi mai le occorrenze di dialetto
e di varietà non standard di italiano; alla rinuncia di queste varietà
ritenute basse si contrappone l'attrazione verso altri livelli linguistici
ritenuti di prestigio, quali le lingue speciali o lingue straniere.
La televisione risulta
essere il principale tramite dei forestierismi e una potente cassa di
risonanza per tecnicismi; anche voci di tipo gergale e locuzioni idiomatiche
hanno raggiunto, grazie al "medium", estensione nazionale.
L'influenza del
parlare televisivo è talmente forte e prorompente che nei dialoghi quotidiani
si ricorre spesso a versi di opere, slogan, canzoni, che assumono sempre
più l'aspetto di locuzioni o modi proverbiali.
De Mauro, ha definito questi nuovi apporti linguistici come "nuovo
folklore"; taluni sostengono che siano espressioni effimere, che
siano semplicemente mode e che i puristi della lingua non abbiano da
preoccuparsi...
... Staremo a vedere.
Viviana
Ricci
sogabri@tiscalinet.it