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Quaderni di Quartucciu
Anno IV - Numero 16/17 - Giugno 2000
 


Com'è cambiata la televisione... ...E come lei ha cambiato il linguaggio degli italiani in sessant'anni di vita

"ZAPPANDO"...
DA UNA RETE ALL'ALTRA

di Viviana Ricci

Quando qualcuno ci dice che è stato tutto il giorno a "zappare", se ci venisse da pensare al faticoso lavoro del dissodare la terra sotto il sole cocente, sarebbe comunque bene chiedere all'interlocutore sotto quale accezione abbia usato il termine…

Rimarremo infatti stupiti nel sapere che con la parola "zappare" volesse intendere quel "continuo cambiare delle reti televisive, stando comodamente seduto nella poltrona di casa, con un telecomando in mano".

Il termine "ambiguo" non è altro che uno dei tanti neologismi che s'introducono nel nostro parlare quotidiano, nati con la televisione, per la televisione e di cui sembra che non si possa ormai fare a meno. "Zepping" è il termine da cui prende origine il verbo italiano, e designa il "premere freneticamente i tasti del telecomando per avere una visione d'insieme dei programmi trasmessi".

La televisione, in Italia, ha compiuto sessant'anni da quando un trasmettitore sperimentale dell'Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) entra in funzione a Monte Mario, Roma, il 22 Luglio del 1939, con la definizione tedesca a 441 linee.
Si producono i primi programmi e, a parte la parentesi della guerra, in cui tutto viene momentaneamente bloccato, la sua esistenza continuativa ha inciso in maniera straordinaria nella società, nelle abitudini di vita, nelle abitudini linguistiche.

La televisione rappresenta il mezzo di comunicazione di massa che ha contribuito, in maggior misura, a quel processo che ha portato l'italiano da lingua conosciuta da una bassa minoranza, a lingua usata, almeno in qualche dominio, dalla stragrande maggioranza della popolazione.
È indubbio che essa, nel secondo dopo guerra, abbia permesso ai non italofoni di familiarizzare con l'italiano, molto di più di quanto non abbia potuto fare la stampa, i cui lettori, per il fatto stesso di essere alfabetizzati, possedevano già una conoscenza almeno scolastica dell'italiano.

Contemporaneamente ad un generale sviluppo delle condizioni economiche e sociali, soprattutto per effetto della progressiva capillare diffusione della televisione, i "mass-media" hanno rafforzato la conoscenza dell'italiano, hanno accelerato il rinnovamento linguistico in chi già si trovava predisposto, hanno svolto un ruolo di "scuole di lingua".
Non hanno fatto acquisire una competenza, ma hanno fatto nascere in molti dialettofoni il bisogno di conoscenza dell'italiano.

Per quanto abbia avuto il merito di divulgare la lingua nazionale in passato, attualmente il suo contributo linguistico è andato via via degenerando, diventando "specchio linguistico" della società, limitandosi a riprodurre il linguaggio moderno, esacerbandolo in un "italiano selvaggio".

Essa mostra una eterogeneità linguistica, correlata alla eterogeneità tipologica dei programmi.

Alcune trasmissioni non fanno che riproporre, linguisticamente inalterate, forme di spettacolo già sviluppate fuori e indipendentemente dalla televisione: cinema, teatro, opere liriche.
L'ampia cittadinanza data ai più diversi tipi di parlato (dialettale, colloquiale, con inserzione di linguaggio giovanile e citazioni di lingue straniere, specialmente inglese), rispecchia il plurilinguismo della società italiana.

L'accavallarsi di fatti, eventi da illustrare ha sempre favorito una certa libertà linguistica, sia pure incanalata entro moduli preconfezionati.

Il telegiornale si attiene, più di ogni altro programma, ad un uso dell'italiano standardizzato poiché si basa su testi scritti; i servizi trasmessi generalmente in diretta e spesso durante lo svolgimento dei fatti di cui si da notizia, offrono un parlato formale, ma solo parzialmente pianificato in anticipo.

In linea di massima il linguaggio televisivo mostra una diffusa presenza di forme medio basse.

Un esempio è dato dalle comunicazioni pubblicitarie, nelle quali sono fondamentali, oltre al codice verbale in senso stretto, quello iconico.

Accade perciò che la lingua ricopra un ruolo marginale, di subalternità rispetto all'immagine. Il messaggio si limita a restringere il vasto campo di interpretazione delle immagini. Deve perciò avere come caratteristica primaria un periodare breve, che sia nel contempo persuasivo, anche con l'impiego di miti e valori universali che si adattano a qualunque tipo di prodotto.
Ricorrono spesso forme ellittiche di argomentazione: "Se hai una casa, hai un Blak & Decker", in cui è sottinteso che l'avere una casa implica dedicarsi al bricolage; strutture iterative: "Chi vuole Parmacotto, vuole solo Parmacotto"; allitterazioni, paronomasie, rime: "Il metano ti da una mano"; fonosimbolismi: "Ace, smacchia a fondo, senza ssstrapp"; tropi, che coinvolgono il merceonimo (nome del prodotto): "Diamoci un mondo di baci".

Sul piano più strettamente linguistico gli studi sulla pubblicità hanno rilevato particolarmente la trasgressività della sua lingua, che per colpire il ricevente viola le regole dalla lingua naturale, creandosene una autonoma. Sul piano sintattico si usano frasi prive di copula, pur essendo normalmente necessaria; su quello della formazione delle parole, si creano a partire da sostantivi (anche merceonimi), verbi denominali in -izzare, -izzarsi, si abbonda con superlativi, si impiegano "parole-macedonia": "Intellighiotto", "Parmacotto"; si utilizzano gli aggettivi in senso avverbiale: "Chi corre giovane, corre Vespa".

Nel ricorso ad un livello medio di lingua non compaiono quasi mai le occorrenze di dialetto e di varietà non standard di italiano; alla rinuncia di queste varietà ritenute basse si contrappone l'attrazione verso altri livelli linguistici ritenuti di prestigio, quali le lingue speciali o lingue straniere.

La televisione risulta essere il principale tramite dei forestierismi e una potente cassa di risonanza per tecnicismi; anche voci di tipo gergale e locuzioni idiomatiche hanno raggiunto, grazie al "medium", estensione nazionale.

L'influenza del parlare televisivo è talmente forte e prorompente che nei dialoghi quotidiani si ricorre spesso a versi di opere, slogan, canzoni, che assumono sempre più l'aspetto di locuzioni o modi proverbiali.
De Mauro, ha definito questi nuovi apporti linguistici come "nuovo folklore"; taluni sostengono che siano espressioni effimere, che siano semplicemente mode e che i puristi della lingua non abbiano da preoccuparsi...

... Staremo a vedere.

Viviana Ricci
sogabri@tiscalinet.it


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