Il legno storto
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" Da un legno storto come quello di cui e' fatto l' uomo , non si puo' costruire niente di perfettamente dritto "

             Immanuel Kant

 

" Chi detiene tutti i mezzi , stabilisce tutti i fini "

           Fredrich A. von Hayek

 

" Liberta' totale per i lupi significa morte certa per gli agnelli "

            Isaiah Berlin


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Libertà e uguaglianza sono tra gli scopi primari perseguiti dagli esseri umani per secoli. Ma libertà totale per i lupi significa morte certa per gli agnelli; una totale libertà dei potenti, dei capaci, non è compatibile col diritto che anche i deboli e i meno capaci hanno a una vita decente.

L'uguaglianza può esigere la limitazione della libertà di coloro che vorrebbero dominare. Senza un minimo di libertà ogni scelta è esclusa e perciò non c'è possibilità di restare umani nel senso che attribuiamo a questa parola ; ma può essere necessario mettere limiti alla libertà per fare spazio al benessere sociale, per sfamare gli affamati, per vestire gli ignudi, per dare un alloggio ai senza-tetto, per consentire agli altri di essere liberi, per non ostacolare la giustizia e l'equità.

La spontaneità è una meravigliosa qualità umana, ma non è compatibile con quella volontà di organizzare, di pianificare, di calcolare esattamente (che cosa , come e dove) dalla quale può dipendere in larga misura il benessere della società. Tutti sappiamo quali tremende alternative abbia posto il recente passato. Questi conflitti di valori fanno parte dell' essenza di ciò che sono i valori e di ciò che siamo noi stessi. Se qualcuno ci dice che queste contraddizioni saranno risolte in un mondo perfetto in cui tutte le cose buone possono ricomporsi in un'armonia ideale, a questo qualcuno dobbiamo rispondere che i significati che lui attribuisce ai nomi che per noi denotano i valori in contrasto, non sono i nostri significati. Dobbiamo dirgli che un mondo in cui quelli che per noi sono valori incompatibili, cessano di essere in conflitto fra loro, è un mondo assolutamente al di là delle nostre possibilità di comprensione; che i princìpi coesistenti armoniosamente in "quell'altro mondo" non sono i principi che noi conosciamo nella nostra vita quotidiana e diventano concezioni ignote a noi qui sulla terra. Ed è sulla terra che noi viviamo, ed è qui che dobbiamo credere e agire.

La nozione di un tutto perfetto, la soluzione ultima in cui tutte le cose buone coesistano mi sembra non solo irraggiungibile - è lapalissiano - ma anche un' incoerenza concettuale; io non so che cosa s'intenda per un' armonia di questo genere. Alcuni dei Grandi Beni non possono vivere insieme. Noi siamo condannati a scegliere, e ogni scelta può comportare una perdita irreparabile. Beati coloro che accettano senza discutere la disciplina in cui vivono, che obbediscono liberamente agli ordini dei capi, spirituali o temporali, e ne rispettano appieno la parola come legge inviolabile; o coloro che sono pervenuti, per vie proprie, a convinzioni chiare e incrollabili su ciò che devono fare e ciò che devono essere, senza nutrire il minimo dubbio. Io posso dire soltanto che coloro che riposano su questi comodi letti dogmatici sono vittime di forme di miopia autoindotta e portano paraocchi che possono anche dare l'appagamento, ma non certo la comprensione di ciò che significa essere uomo.

E' vero che alcuni problemi possono essere risolti e alcuni mali curati, nella vita individuale come in quella sociale. Possiamo salvare uomini dalla fame o dalla miseria o dall'ingiustizia, possiamo liberare uomini dalla schiavitù o dalla prigionia, ed è bene che sia così. Tutti gli uomini hanno un senso innato del bene e del male, a qualunque cultura appartengano; ma qualsiasi studio della società mostra che ogni soluzione crea una situazione nuova che a sua volta genera nuovi bisogni e problemi, ossia nuove richieste. I figli hanno ottenuto ciò cui aspiravano i loro genitori e i loro nonni: maggiore libertà, maggiore benessere materiale, una società più giusta; ma i mali vecchi sono dimenticati, e i figli si trovano di fronte a problemi nuovi, generati appunto dalla soluzione di quelli vecchi, e i problemi nuovi, anche se a loro volta possono essere risolti, generano situazioni nuove, e con esse nuove esigenze e così via, per sempre e imprevedibilmente.

I marxisti ci dicono che quando la lotta sia vinta e la storia vera sia cominciata, i nuovi eventuali problemi genereranno le proprie soluzioni, cui si potrà pervenire pacificamente con le forze unite di un'armoniosa società senza classi. A me questo sembra un bell'esempio di ottimismo metafisico che non trova alcun conforto nell'esperienza storica. In una società in cui i medesimi fini sono universalmente accettati, i problemi sono soltanto problemi di mezzi, tutti risolvibili con metodi tecnologici. Questa è una società in cui la vita interiore dell'uomo, l'immaginazione morale, spirituale ed estetica sono ridotte al silenzio. E per questo si dovrebbero distruggere uomini e donne o ridurre in schiavitù intere società?            

Le utopie hanno il loro valore, non c'è nulla che allarghi così meravigliosamente gli orizzonti immaginativi delle potenzialità umane , ma come guide al comportamento possono rivelarsi letteralmente fatali. Eraclito aveva ragione, le cose non possono star ferme.La mia conclusione è che l'idea stessa di una soluzione finale non è soltanto impraticabile, ma - se vedo bene, e se tra alcuni valori il conflitto è inevitabile - è anche incoerente. La possibilità di una soluzione finale - anche a voler scordare il senso terribile che questa espressione assunse al tempo di Hitler - si dimostra un' illusione; e assai pericolosa, per giunta. Infatti, se veramente si crede che una tale soluzione sia possibile, è chiaro che nessun prezzo sarebbe troppo alto, pur di ottenerla: arrivare a un'umanità giusta, felice, creativa e armoniosa, arrivarvi una volta per tutte, per sempre , quale costo potrebbe essere troppo alto di fronte a questo traguardo ?

Se questa è l'omelette, non c'è limite al numero di uova che si devono rompere. Era questa la fede di Lenin, di Trockij, di Mao e, per quel che ne so, di Poi Pot. Se io so qual è l'unica strada vera per arrivare alla soluzione ultima dei problemi della società, so anche da che parte devo spingere la carovana umana; e poiché voi ignorate quello che io so, a voi non può essere concessa libertà di scelta, nemmeno la minima libertà, se la meta dev'essere raggiunta .

Ma condannare tutti gli uomini del presente alla triste sorte ... di sventurati galeotti che, immersi fino alle ginocchia nel fango, trascinano un barcone che sulla bandiera porta scritto " Il progresso è nel futuro " non è una meta. Una meta infinitamente lontana non è una meta, è soltanto... un inganno; una meta dev'essere più vicina , dev ' essere, quanto meno, il salario del bracciante o il piacere del lavoro compiuto. L'unica cosa della quale possiamo essere certi è la realtà del sacrificio, con i morituri e i morti.

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Ma l'ideale per cui essi muoiono rimane irrealizzato. Le uova sono rotte, e si diffonde l'abitudine di romperle, ma l'omelette rimane invisibile.inizio_pagina.gif (1503 byte)

E' chiaro che la nozione di una soluzione armoniosa dei problemi dell'umanità (sia pure in linea di principio), e di conseguenza il concetto stesso di utopia, è incompatibile con l'interpretazione del mondo umano come un terreno di scontro fra volontà, individuali o collettive, perennemente nuove e incessantemente in conflitto. Si tentò da più parti di arginare questa pericolosa corrente. Hegel, e dopo di lui Marx, cercarono di tornare a uno schema storico razionale. Entrambi pensano a una marcia della storia, a un processo unitario che fa ascendere l'umanità dalla barbarie all'organizzazione razionale. Ammettono che la storia è una vicenda di lotte e collisioni, ma alla fine queste saranno risolte e superate. Esse sono dovute alla particolare dialettica propria dell' autosviluppo dello spirito del mondo, o del progresso tecnico, che crea la divisione del lavoro e la guerra di classe; ma queste " contraddizioni " sono in realtà fattori indispensabili al movimento in avanti destinato a culminare in un tutto armonioso, nella risoluzione ultima delle differenze, nell'unità; e non importa se tale movimento sia concepito come un progresso infinito verso una meta trascendente, come in Hegel, o verso una società razionale, concretamente raggiungibile, come in Marx. Per questi pensatori la storia è un dramma in cui i personaggi si affrontano in violente contese. Si susseguono tribolazioni spaventose, collisioni, battaglie, distruzioni, orribili sofferenze; ma la vicenda ha, non può non avere un lieto fine. Per gli utopisti allineati con questa tradizione , il lieto fine è una serenità fuori del tempo.

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Da qui le proteste - e le antiutopie - contro il quadro spaventevole di una società priva di attriti in cui le differenze tra gli esseri umani vengono per quanto possibile eliminate, o almeno ridotte, e la multicolore varietà dei temperamenti, delle inclinazioni e degli ideali umani - in una parola, il flusso della vita - è brutalmente costretta all'uniformità, compressa in una camicia di forza sociale e politica che ferisce e mutila e che alla fine stritola gli uomini in nome di una teoria monistica, in omaggio al sogno di un ordine statico, perfetto. E' questo il nocciolo della protesta, contro il dispotismo livellatore, di cui Tocqueville e J.S. Mill sentivano avvicinarsi la minaccia.                  I nostri tempi, hanno visto lo scontro di due concezioni inconciliabili. Una è quella di coloro che credono nell'esistenza di valori eterni, vincolanti per tutti gli uomini, e sono persuasi che se non tutti gli uomini li hanno riconosciuti o realizzati finora, ciò si debba a una mancanza delle necessarie capacità morali, intellettuali o materiali. E' possibile che questa conoscenza ci sia stata sottratta dalle leggi stesse della storia: secondo un'interpretazione di queste leggi, è stata la guerra di classe a distorcere così gravemente i nostri rapporti reciproci da rendere gli uomini ciechi dinanzi alla verità, col risultato di impedire un'organizzazione razionale della vita umana. Ma i progressi compiuti, hanno già permesso ad alcune persone di scorgere la verità; col maturare dei tempi la soluzione universale apparirà ben chiara alla maggioranza degli uomini; e quel giorno avrà termine la preistoria e comincerà la vera storia dell'umanità. È questa la tesi dei marxisti, e forse di altri profeti, socialisti o comunque ottimisti. Ma essa non è accettata da quanti dichiarano che gli uomini differiscono l'uno dall'altro, e in maniera permanente, quanto a temperamento, doti naturali, mentalità e aspirazioni; che l'uniformità uccide; che gli uomini possono vivere una vita piena solo entro una società dalla struttura aperta, in cui la varietà non sia semplicemente tollerata, bensì approvata e incoraggiata; che il massimo sviluppo delle potenzialità umane può aversi soltanto in società caratterizzate da un ampio spettro di opinioni (ovvero dalla libertà di compiere quelli che J.S. Mill chiamava " esperimenti di vita " ), in cui vi sia libertà di pensiero e di espressione, e in cui le idee e le opinioni cozzino le une contro le altre. Società insomma che ammettano l'attrito, e persino il conflitto, sia pure con regole che li controllino e impediscano la distruzione e la violenza. Per chi abbraccia questo individualismo dai colori romantici, ciò che conta non è la base comune ma le differenze; L'anelito all'unità - alla rigenerazione dell'umanità mediante il ricupero di un'innocenza e di un'armonia perdute, col ritorno da un'esistenza frammentata alla totalità onnicomprensiva - è un' illusione infantile e pericolosa: soffocare ogni diversità, e persino ogni conflitto, nell' interesse dell' uniformità, significa soffocare la vita stessa.

Queste due dottrine non sono compatibili fra loro. Le divide un antagonismo di vecchia data. Nella loro veste moderna esse dominano l'umanità di oggi e suscitano entrambe resistenze e conflitti: l'organizzazione industriale contro i diritti umani; le regole burocratiche contro il " farsi i fatti propri "; il buon governo contro l'autogoverno; la sicurezza contro la libertà. Accade talvolta che una rivendicazione si trasformi nel suo opposto: istanze volte a una democrazia partecipativa si risolvono nell'oppressione delle minoranze; provvedimenti destinati a introdurre l'uguaglianza sociale schiacciano l'autodeterminazione e soffocano il genio individuale. Accanto a queste collisioni di valori permane un sogno pericoloso e antichissimo: esiste, deve esistere - ed è possibile trovarla - la soluzione definitiva per tutti i mali umani; vi si può arrivare; sicuramente verrà, o attraverso una rivoluzione o con mezzi pacifici; e allora tutti gli uomini, o almeno la stragrande maggioranza, saranno virtuosi e felici, saggi, buoni e liberi.. E se è dato realizzare una condizione del genere, una condizione che, una volta instaurata, durerà in eterno, quale uomo sano di mente potrebbe voler ritornare alle miserie dell' umanità vagante nel deserto? Se questo è possibile, allora sicuramente nessun prezzo è troppo alto; nessun ammontare di oppressione e crudeltà, di repressione e coercizione è troppo grande se costituisce il tributo indispensabile, insostituibile, per arrivare alla salvezza finale di tutti gli uomini. Questa convinzione si traduce in un' ampia licenza di infliggere sofferenze ai propri simili.  

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Ma se uno è convinto che questa dottrina è illusoria, non foss' altro perché alcuni valori ultimi possono essere incompatibili tra loro, e che la nozione stessa di un mondo ideale in cui essi si trovino riconciliati è un' impossibilità concettuale (e non meramente pratica), allora, forse, il meglio che si possa fare, è tentare di promuovere una qualche specie di equilibrio, fatalmente instabile, tra le diverse aspirazioni di gruppi differenti di esseri umani. Ciò servirà quanto meno a impedire che cerchino di sterminarsi, ma anche, nella misura del possibile, a evitare che si facciano reciprocamente del male; e si potrà poi tentare di promuovere fra loro il massimo di solidarietà e di comprensione, sia pure con poche probabilità di arrivare mai a una comprensione totale.

Ma questo non è certo un " programma esaltante ", ma un semplice sermone liberale che raccomanda un apparato inteso a impedire agli esseri umani di farsi troppo danno l' un l' altro, concedendo a ciascun gruppo uno spazio sufficiente alla realizzazione dei suoi specifici, particolari fini, senza interferire eccessivamente con i fini altrui ; non è un appassionato grido di battaglia capace di muovere gli uomini al sacrificio, al martirio e a imprese eroiche. Eppure, se fosse adottato, questo programma potrebbe ancora impedire la reciproca distruzione e, alla fine, salvare il mondo. Immanuel Kant, un uomo lontanissimo dall'irrazionalismo, osservò una volta che " dal legno storto dell'umanità, non si è mai cavata una cosa dritta " .

E' questo il motivo per cui nessuna soluzione perfetta è possibile nelle cose umane - non già soltanto in pratica, ma in linea di principio - e ogni serio tentativo di metterla in atto è destinato con ogni probabilità a produrre sofferenza, delusione e fallimento.

 

      da "La ricerca dell ' ideale "

          Isaiah Berlin (1988)

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