Per un nuovo liberalismo
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La Rivoluzione francese segna il momento di cesura almeno fino alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino. Se in Germania quella Rivoluzione, per dirla con Heine, può essere rimasta dapprima limitata alle camere da studio di Kònigsberg e Weimar (e non va dimenticata la scuola di Tubinga) , ebbe tuttavia degli echi anche qui, fino agli inquieti giorni del luglio 1830 e oltre fino al 1848. Jean-Jacques Rousseau pubblicò il Contratto sociale nel 1762. I Limiti dell'azione dello Stato di Wilhelm von Humboldt apparvero nel 1792. Lo Staats-Lexikon di Karl von Rotteck e Karl Welcker mise il mondo intero sotto la lente d'ingrandimento del nuovo movimento (1834). E si trattò sempre di una duplice affermazione, dello Stato di diritto e della libertà del cittadino.Quest'ultima cosa, la libertà del cittadino, fu peraltro, fin dall'inizio, anche fonte di contraddizione fra i liberali. Dove avrebbe portato l' uscita dell' uomo dalla colpevole minorità? All' affermarsi della ragione mossa dagli interessi, ma tuttavia moralmente vincolata di Adam Smith? All' orgoglioso individuo della insocievole socievolezza di Kant ? All' Emilio scomodamente privato di Rousseau, canna oscillante nei venti del tempo? O addirittura al singolo (con la sua proprietà), sottratto a ogni società, di Max Stirner? Lo spirito rivoluzionario attraversò anche l'oceano nei drammatici decenni sul finire del XVIII secolo. Montesquieu e Rousseau erano familiari ai padri degli Stati Uniti d'America altrettanto quanto Locke. La Dichiarazione d'indipendenza americana (1776), la Costituzione (1787) e il Bill of Rights (1791) sono tappe non di minore spicco, nel cammino della libertà, che le rivoluzioni europee. Che anzi, sotto certi aspetti, ugualmente importanti sia per la storia che per la teoria, sono unici. In America non fu necessario strappare allo Stato assoluto la società borghese. Là e solo là il contratto sociale fu davvero concluso in piena regola. " Noi, popolo degli Stati Uniti, allo scopo di ancor più perfezionare la nostra unione, di stabilire la giustizia, di assicurare la tranquillità all' interno, di provvedere alla comune difesa, di promuovere il benessere generale e di salvaguardare per noi stessi e per i nostri posteri il dono della libertà, decretiamo e stabiliamo questa costituzione degli Stati Uniti d'America ". La domanda, in America, era piuttosto se la società con cui tutto cominciò avrebbe dato spazio allo Stato.
Il minimo che si possa dire dei tempi eroici dei liberali è che portarono una grande inquietudine nei paesi del mondo da loro influenzati. Per coloro che sopravvissero a quei tempi, ma soprattutto per quelli che nacquero dopo, si trattò di una inquietudine produttiva. Intanto, il progresso non si muove tanto come una lumaca, lo fa solo nel mondo burocratizzato del XX secolo. Ed è anche, inoltre, del tutto imprevedibile; non procede cioè con regolarità, ma a volte corre in avanti con gli stivali delle sette leghe, un'altra volta frana rovinosamente indietro. Il secolo che seguì agli inizi eroici, fu pieno di ottimismo, ma fu pieno anche di contraccolpi di restaurazione e soprattutto di terrori disumani. Quasi quasi si deve dare ragione a quelli che pensavano che l'ancien régime era meglio di questo secolo di guerre e di sterminio di popoli.Questo primo secolo liberale, come lo possiamo chiamare il secolo cioè che iniziò con la fine dell'età rivoluzionaria del 1848, ha messo in campo anche il contromovimento. Già al suo inizio ci fu l'uomo che parlò del progresso dello Stato borghese di diritto, per mettere il dito nelle sue piaghe, nello sradicamento e nella povertà delle masse, nello sfruttamento e nella lotta di classe. E' nei passaggi dedicati a questi fenomeni che il Manifesto del partito comunista (1848) di Marx e Engels continua a mostrarsi ancora forte e robusto. I socialisti si levarono contro i liberali; ma si è quasi tentati di dire che hanno ottenuto il loro massimo successo proprio grazie ai liberali. E una storia caratteristica. Cominciò molto prima della prima guerra mondiale. Basti pensare alle ambivalenze di John Stuart Mill (" Il nostro ideale andò molto al di là della democrazia e ci avrebbe meritato decisamente la designazione comune di socialisti " ). Il cambiamento del sistema si realizza con successo per lo più non grazie ai trasformatori di sistemi, quanto piuttosto grazie a figure convenzionali, che fanno di punti strategici e nevralgici l'occasione per cambiamenti apparentemente graduali, ma alla fine fondamentali. Non chi sposta le montagne, ma chi fa rotolare le pietre, cambia il mondo. Due nomi vengono alla mente, che più di altri hanno dato l'impronta alla seconda metà del secolo della storia sociale, John Maynard Keynes (1883-1946) e William Beveridge (1879-1963). Per autocomprensione e appartenenza di partito entrambi furono liberali. Entrambi inglesi, hanno operato dapprima sull'isola. Specialmente nel caso di Beveridge, sarebbe sicuramente sbagliato sostenere che la sua azione si sia irraggiata in tutto il mondo. E tuttavia Keynes e Beveridge rappresentano sviluppi che si possono rintracciare dappertutto. Entrambi hanno infatti trovato quel perno, quell'asse del loro tempo, operando sul quale i cambiamenti di strutture di diritto hanno insieme prodotto effetti utili per la crescita economica. Keynes fu, per dirla schematicamente, il politico economico che voleva impedire per sempre il ritorno delle grandi crisi. E raccomandava quindi interventi statali nel processo congiunturale, in particolare il controllo sistematico della domanda. In questo modo, poiché più uomini potevano permettersi più cose, l'economia tornava a mettersi in moto. Beveridge fu il politico sociale, che voleva eliminare una volta per tutte la povertà di massa. E raccomandò quindi un sistema di trasferimento di reddito, amministrato dallo Stato in base ad esigenze generali. Le due cose insieme spiegano molti tratti della società borghese avanzata.A prima vista le due tendenze liberali degli ultimi due secoli sono fra loro contrastanti. Alla liberazione della società dallo Stato è seguita la consegna della società allo Stato, e alla scoperta del mercato la sua limitazione. In seconda battuta la contraddizione non appare affatto così grossolana. L'apparente contraddizione delle due ottiche liberali si scioglie completamente se si segue l'analisi di T. H. Marshall in Cittadinanza e classe sociale (1950) . Un binario principale di sviluppo delle società dominanti del mondo negli ultimi due secoli ha riguardato il livello fondamentale di vita per tutti gli uomini, e le possibilità, su di esso fondate, della realizzazione dei particolari talenti e desideri del singolo. I diritti civili e le chances di vita sono il tema della storia a partire dalla rivoluzione americana e da quella francese. Al di là di ogni terminologia, è facile mostrare come questo livello fondamentale dei diritti civili ha tre colonne che possono essere descritte anche come gradini dello sviluppo. Il primo gradino riguarda proprio quei diritti e doveri di tutti che derivano dallo Stato di diritto e dall'uguaglianza davanti alla legge. I quali tuttavia divengono significativi per la maggioranza solo grazie a un secondo gradino dei diritti civili, il cui nocciolo consiste nelle chances politiche di partecipazione, e nel suffragio universale . Ma anche i diritti politici rimangono formali. Solo il terzo gradino, quello della creazione e assicurazione di uno status sociale ed economico fondamentale dà una sostanza ad essi. Le rivendicazioni minime vanno dunque connesse con sempre più ampi orizzonti dello standard di vita e del benessere.
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