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        Il " dilemma del prigioniero " di Axelrod

Il lavoro compiuto da Robert Axelrod sul "dilemma del prigioniero " ci offre una base di partenza per l'edificazione di una società più cooperativa. Il "dilemma del prigioniero" rappresenta una situazione che vede in campo due persone: ognuno dei due può decidere se cooperare o meno con l'altro. Il punto è che, se uno solo decide di non collaborare, se la cava meglio dell'altro; ma se entrambi rifiutano di collaborare, stanno assai peggio di come starebbero se tutti e due avessero fatto la scelta opposta. In altre parole, l'esito di scelte razionali e interessate da parte di due o più individui può rendere tutti un po' più poveri di quanto sarebbero se non avessero perseguito esclusivamente il loro interesse. La ricerca individuale del proprio interesse può risultare deludente per la collettività.

Sono situazioni familiari a chiunque. Chi si reca ogni giorno al lavoro in auto se ne rende conto tutte le mattine. Starebbero tutti molto meglio se, invece di infilarsi nel traffico caotico, tutti abbandonassero la macchina e prendessero l'autobus, perché questi viaggerebbero rapidissimi lungo le strade sgombre. Ma non è nell'interesse di ciascuno, singolarmente inteso, mettersi a viaggiare in autobus, perché fino a quando la maggioranza delle persone continua a spostarsi in macchina, i mezzi pubblici saranno sempre più lenti delle auto. Le corse agli armamenti seguono la medesima logica del dilemma del prigioniero: non è nell'interesse di nessuno scegliere la via del disarmo unilaterale, ma tutti starebbero meglio se non dovessero spendere cifre astronomiche per armarsi.                         

Cooperare: i vantaggi della sinistra darwiniana

L'obiettivo di creare una società fondata su una cooperazione che comporta un mutuo giovamento, aggiunge tra le tante un'ulteriore, e potentissima, ragione: tenere un gruppo di persone ai margini della ricchezza comune a una società, tanto che siano impedite dal contribuirvi perché non hanno più nulla di valore, significa alienarle dalle pratiche e dalle istituzioni sociali: e ciò vorrebbe dire quasi sicuramente fare di costoro degli avversari che finirebbero per mettere in pericolo le istituzioni stesse. La lezione politica del pensiero darwiniano del ventesimo secolo è dunque  differente da quella impartita dal darwinismo sociale del diciannovesimo. Il darwinismo sociale considerava il ritiro dei "meno adatti" ai margini della vita come il modo con cui la natura si sbarazza dei più deboli, l'esito inevitabile della lotta per la sopravvivenza. Cercare di eliminare, o almeno di ridurre, questo stato di cose era inutile, se non addirittura dannoso. Una sinistra darwiniana che comprendesse i prerequisiti della mutua collaborazione, nonché i suoi benefici, farebbe di tutto per evitare quelle condizioni economiche che generano emarginazione.

Una società che favorisca la cooperazione può portare la sinistra ad avvicinarsi di molto ai suoi obiettivi. Ma la sinistra darwiniana dovrebbe davvero accettare la "Legge Cardine" di Hardin, secondo cui non bisogna mai chiedere a qualcuno di agire contro i propri interessi?

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Il pensiero darwiniano suggerisce l'improbabilità che possiamo diventare tutti naturalmente altruisti, specie quando entrano in gioco i nostri interessi personali. Come può l'altruismo evolversi nella nostra specie, se ognuno di noi deve assicurare alle future generazioni tanti discendenti quanti ne generano i nostri simili, e se i loro geni - e i tratti comportamentali a cui danno origine - non possono essere eliminati dal patrimonio genetico? Una popolare spiegazione dell'esistenza dell'altruismo affermava che alcuni individui potrebbero avere la tendenza genetica a sacrificare la loro vita, o la loro possibilità riproduttiva, "per il bene del gruppo", e che questo avrebbe aumentato le prospettive di riuscita del gruppo, quando questo si fosse trovato in competizione con altri gruppi. Così il gruppo con gli individui altruisti sarebbe sopravvissuto, e il gruppo che ne era sprovvisto si sarebbe estinto. Ma questo tipo di selezione, nota come "altruismo di gruppo" si è dimostrata inverosimile. Tranne forse in piccoli gruppi, in cui la maggior parte dei membri sia legata da rapporti di parentela, la tendenza al sacrificio di sé finirebbe per essere eliminata dal patrimonio genetico, per quanto gli altruisti possano aver aiutato il loro gruppo contro gli altri gruppi. 

In ogni caso, l'aver ricusato la tesi della selezione di gruppo non esclude la possibilità di meccanismi selettivi tali da incoraggiare un comportamento che appaia simile all'altruismo, o possa essere altruistico nelle motivazioni, benché porti benefici anche allo stesso individuo. Non si tratta più di selezione di gruppo nel senso stretto del termine, ma può aiutare un gruppo a riuscire meglio di altri, privi di tali meccanismi. inizio pagina.gif (751 byte)

Quando conviene essere altruisti

La cultura può giocare qui un ruolo fondamentale, mettendo a disposizione premi e punizioni per i comportamenti che giovano o nuocciono agli altri, o al gruppo nel suo insieme. Talvolta queste ricompense possono essere un modo trasparente di compensare quelle che altrimenti risulterebbero sconfitte nel processo riproduttivo. Tra alcune tribù native americane delle Grandi Pianure, capita che un guerriero possa pronunciare il voto di combattere fino alla morte nella prossima battaglia. Gli viene allora consentito, nei giorni che precedono il combattimento, di fare l'amore con tutte le donne che desidera, purché consenzienti. Quando, durante la Prima guerra mondiale, le ragazze consegnavano delle piume bianche ai militari in licenza, sottolineavano sicuramente lo stesso concetto, anche se la ricompensa riproduttiva non era così diretta. Per contro, quando un comportamento che danneggia il gruppo viene punito con la segregazione o con la morte, è evidente l'impatto drasticamente negativo sul successo riproduttivo. Più comunemente, tuttavia, il comportamento che favorisce il gruppo nel suo complesso viene compensato in termini di accresciuta popolarità e prestigio sociale, mentre il comportamento che danneggia il gruppo viene punito con la disapprovazione, la perdita di popolarità e talvolta l'ostracismo.

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Breviario per una sinistra darwiniana

Desidero avviarmi alla conclusione elencando, in modo schematico, alcuni degli elementi che a mio parere distinguono una sinistra darwiniana da altre versioni della sinistra, vecchie e nuove.

Primo, una sinistra darwiniana non nega l'esistenza di una natura umana, né insiste nel dire che l'umana natura è intrinsecamente buona, né infinitamente malleabile. Non si illude di porre fine a tutti i conflitti e le rivalità tra esseri umani, né tramite una rivoluzione politica, né grazie a cambiamenti sociali o a una migliore educazione. Non afferma che tutte le ineguaglianze siano causate da discriminazione, pregiudizio, oppressione o condizionamento sociale. Alcune possono esserlo, ma non si può accettare a priori questa spiegazione sempre e comunque.  Per esempio, che nelle grandi imprese multinazionali le donne al vertice siano meno degli uomini, si potrebbe spiegare con il fatto che gli uomini sono più inclini a subordinare le loro vite private, i loro interessi personali e familiari, all'obiettivo della carriera; e le differenze biologiche tra uomini e donne potrebbero essere un fattore che genera maggiore disponibilità a sacrificare tutto il resto all'ambizione di arrivare in cima.

Una sinistra darwiniana prende atto che esiste una cosa chiamata natura umana, e cerca di saperne il più possibile, così da disporre del maggior numero di elementi per comprendere al meglio gli esseri umani. Rifiuta in qualunque modo di dedurre, da ciò che è "naturale", ciò che è "giusto". E' convinta che, in molti sistemi economici e sociali, molte persone agiscano in modo competitivo al fine di migliorare la propria condizione, di acquisire una posizione di potere e/o di incrementare i loro beni e quelli della loro famiglia. Ritiene che, indipendentemente dal sistema sociale ed economico in cui vive, la maggior parte delle persone risponderà in modo positivo agli inviti a partecipare a forme reciprocamente convenienti di cooperazione, a patto di poter ragionevolmente ritenere un tale invito sincero e disinteressato. Promuove strutture che favoriscono la collaborazione sulla competizione, e tenta di incanalare la competizione verso obiettivi socialmente desiderabili. Riconosce che il modo in cui sfruttiamo gli animali non umani è il retaggio di un passato pre-darwiniano che esagerava il divario tra umani e animali diversi dall'uomo, e quindi si adopera per il rispetto degli animali non umani e per una concezione meno antropocentrica del nostro dominio sulla natura. Assume i valori tradizionali della sinistra, schierandosi al fianco dei deboli, dei poveri e degli oppressi, ma riflette con grande attenzione prima di stabilire da quali cambiamenti, sociali ed economici, costoro trarrebbero reali benefici.

In qualche modo, si tratta di una versione della sinistra drasticamente ridimensionata, in cui gli ideali utopici sono sostituiti da una visione freddamente realista delle mete effettivamente raggiungibili. E a mio parere questo è il massimo che possiamo fare oggi.

                                    ( 15 Marzo 1999 )

                                      

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