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Razionalismo critico

La scelta di Popper per il razionalismo nasce dalla fiducia nel fatto che la ragione permetta di limitare e di controllare la violenza. " Un razionalista, nel senso in cui uso il termine, è una persona che cerca di giungere alle soluzioni mediante la discussione e, magari, in determinati casi, ricorrendo al compromesso, piuttosto che mediante la violenza. Egli, cioè, preferirebbe fallire nel convincere l'altro attraverso la discussione piuttosto che riuscirvi ricorrendo alla forza, all'intimidazione, alle minacce, o anche alla propaganda persuasiva. Confesso francamente che ho optato per il razionalismo perché odio la violenza e non mi illudo inutilmente che tale odio abbia un qualsiasi fondamento razionale. O, in altri termini, il mio razionalismo non è autosufficiente, ma poggia su una fede irrazionale nell'atteggiamento di ragionevolezza. Non vedo come si possa andare oltre questo.

Si può forse dire che la mia fede irrazionale nei diritti uguali e reciproci di convincere gli altri e di essere da loro persuasi è una forma di fiducia nella ragione umana; o che, semplicemente, credo nell'uomo ".

La scelta del razionalismo è quindi la scelta di una fede piuttosto di un'altra, è dichiarare la propria preferenza per un insieme di regole formali e, allo stesso tempo, procedurali, che sono legate ad altri valori.

A causa del fatto che non possiamo, per motivi logici, determinare in modo scientifico i valori ai quali ispirare la nostra azione nella vita sociale, Popper si schiera a favore della società " aperta ", che è democratica in quanto sceglie e privilegia un insieme di regole formali che favoriscono il " politeismo dei valori ". Essa è, insieme, qualcosa di reale e di ideale, e ancora oggi, a cinquant' anni dalla sua formulazione, costituisce una stimolante proposta per quanti sono impegnati nel miglioramento e nella difesa delle istituzioni democratiche. In essa l'azione politica e l'attività di organizzazione istituzionale della società diventano " scientifiche " perché si servono dello stesso " metodo " della scienza. Quest'ultima consente molto di più di una semplice prescrizione dei mezzi utili a un determinato disegno politico: la scienza indica come l'azione politica debba essere condotta e quale sia la forma organizzativa migliore della società.

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La proposta metodologica di Popper è improntata al fallibilismo, e l'immagine complessiva che se ne trae è quella di una " scienza su palafitte ": scienza fallibile e sempre precaria che progredisce per approssimazioni sempre crescenti alla verità. L'applicazione alla società e alla politica del razionalismo critico ( cioè della prospettiva filosofica entro la quale si iscrive il metodo delle congetture e delle confutazioni ) mostra come dalla " scienza su palafitte " si passi alla " società aperta ". Assumendo che il metodo delle congetture e delle confutazioni sia quello opportuno per la scienza, la società aperta risulta essere, entro un margine di oscillazione non troppo ampio, la conseguenza dell'applicazione del metodo scientifico alla società e alla politica.

Dall' applicazione alla società del " metodo scientifico " derivano conseguenze che riguardano l'assetto istituzionale e conseguenze che interessano più propriamente l'azione politica.

Le prime, che meglio delineano il tipo di regime sociale, sono essenzialmente due: visto che non esiste una teoria assolutamente vera, non esisterà neppure una società perfetta; come la scienza progredisce verso teorie migliori ma mai definitive, così la società può evolvere verso forme e assetti migliori, ma mai definitivi. Se, inoltre, il vero problema della scienza è controllare le teorie e correggerne gli errori, non giustificando le teorie con stabili fondamenti di autorità, allora il problema della società diventa principalmente quello degli istituti di controllo delle scelte politiche. Sul piano costituzionale ciò implica una rigorosa distinzione dei poteri e soprattutto un'accentuazione del ruolo del parlamento (come organo di controllo) rispetto a quello del governo (come organo di direzione e di esecuzione politica), come anche il fatto che ogni carica pubblica sia sottoposta al vaglio di elezioni periodiche.

Alle conseguenze istituzionali sono legate quelle politiche in senso stretto. Come non esiste una società perfetta, così non esiste neppure un intervento politico risolutore di tutti i problemi sociali. Ogni intervento politico è un' ipotesi, un tentativo di soluzione di questa o di quella situazione indesiderata. Restano così esclusi gli interventi olistici, ed in primo luogo ogni palingenesi rivoluzionaria. Nella società aperta la critica è condotta per via istituzionale e i programmi sono sempre di ingegneria gradualistica, mai disegni di rigenerazione totale. Questa, infatti, postula lo stato perfetto, ed essendo questo negato, anche la rivoluzione, che è l'atto più idoneo per raggiungerlo, è negata. E ciò non è tanto frutto di un giudizio negativo di valore sulla violenza, quanto piuttosto risultato della negazione della possibilità di conseguimento del fine.

Seconda conseguenza politica (essendo primario il controllo rispetto al fondamento dell'autorità) è che nella società aperta è favorito e istituzionalizzato il pluralismo politico, ed è privilegiato il momento del dissenso rispetto a quello del consenso.

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Il processo di acquisizione della conoscenza come selezione naturale darwiniana

Le tesi di Popper si muovono sullo sfondo di un approccio biologico che considera la conoscenza come il prodotto di un lungo processo evolutivo che ha portato l'uomo non solo ad adattarsi al suo ambiente, ma anche a tentare di adattare l'ambiente alle proprie esigenze.

In particolare Popper dichiara che " la teoria della selezione naturale fornisce un argomento convincente a favore della dottrina dell' interazione reciproca tra mente e corpo, o, forse meglio, fra stati mentali e stati fisici ". La teoria evoluzionistica proposta da Darwin viene così inglobata nella visione popperiana con qualche ritocco e aggiustamento che la rendono fertile nel contesto epistemologico.

Jean-Baptiste Lamarck, nella sua Philosophie zoologique (1809), sosteneva che le specie animali si sono sviluppate l'una dall'altra secondo un ordine crescente di complessità, mutando i propri organi in modo da adattarsi all' ambiente e trasmettendo ereditariamente le mutazioni favorevoli.

Cinquant' anni più tardi Charles Darwin ( L'origine delle specie, 1859 ), in opposizione alle teorie lamarckiane, fondate su presupposti privi di credibilità scientifica (come l'idea di un incessante perfezionamento della natura), propose una teoria in cui l'evoluzione avviene grazie alla lotta per la sopravvivenza. Da questa deriva non soltanto l'estinzione dì alcune specie, ma anche la comparsa di specie nuove, che vengono selezionate dall' ambiente in virtù della loro migliore adattabilità. A differenza di Lamarck, Darwin riteneva che l'influenza dell'ambiente sull'evoluzione non fosse rigidamente deterministica, ma che avessero un certo peso anche quelle variazioni fortuite che risultavano favorevoli per l'animale nel particolare contesto in cui era inserito.

E' opportuna, a giudizio di Popper, una riformulazione, in base alla quale le mutazioni non siano più interpretate come variazioni fortuite o, al contrario, come frutto dell' azione deterministica dell' ambiente sull'animale, bensì come il prodotto di un procedimento per tentativi ed errori. L'evoluzione viene quindi interpretata non più come il frutto del caso, ma come il risultato dei tentativi compiuti in pratica dagli esseri viventi per risolvere i problemi che l'ambiente ha presentato e continua a presentare. Una seconda modifica riguarda la direzione dell'azione. Non è solo l'ambiente a influenzare lo sviluppo dell'individuo, ma anche l'individuo prova ad adattare l'ambiente alle proprie esigenze.

                                        

 

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