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La ri-moralizzazione del dibattito politico è promossa anche dalla presa di coscienza del fatto che la crescita e la ricchezza non risolvono i problemi più gravi e più stratificati della società: criminalità, disoccupazione, violenza, discriminazione, alienazione o "esclusione" dei poveri e dei meno istruiti. Questi problemi non scompaiono con l’arricchimento della società, né rispondono sempre e meccanicamente a livelli più elevati di spesa pubblica stanziati nel tentativo di bloccarli. I politici, spesso con profonda riluttanza, si trovano ad affrontare la necessità di impegnarsi in diatribe su questioni insidiose e appassionatamente dibattute come, per esempio, il modo migliore di educare i bambini per farne cittadini partecipi; come affrontare il problema degli elementi ostinatamente antisociali che risiedono nelle aree più degradate; come educare i bambini a divenire buoni cittadini e ad adottare comportamenti onesti e dignitosi nella vita adulta; e così via: affrontare politicamente i problemi sociali non può voler dire semplicemente adottare misure " non giudicanti " e partecipare a dibattiti sulla corresponsione e la riscossione delle risorse.

Per troppi anni i politici si sono accaniti a discutere sui processi e sui valori procedurali: legge, diritti, meccanismi di mercato e scelta individuale. Ma tutte queste cose non bastano a garantire la qualità della vita, individuale o collettiva. Sono gli individui e le comunità che devono dar forma alle loro idee personali di ciò che è bene, ma lo stato non può semplicemente ignorare questo punto. I nostri valori procedurali devono come minimo essere accompagnati da un senso di responsabilità che deriva dall’esercizio dei nostri diritti e dalla necessità che i governi assicurino ai cittadini risorse materiali ed educative che li mettono in grado di godere dei loro diritti e di affrontare le loro responsabilità. Ciò solleva la questione dell’impegno quasi esclusivo della sinistra sui diritti, e la relativa scarsa attenzione alle responsabilità , un tema chiave questo invece nelle riflessioni inglesi sulla Terza Via.

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La terza via si domanda: è possibile valutare ed esercitare adeguatamente i diritti senza che vi sia il corrispondente riconoscimento delle responsabilità implicate da tale godimento? Come possiamo dar forma politica a tali riflessioni, per esempio nelle riforme dello stato sociale? Come possiamo influenzare la crescita dei valori in una società multiculturale, evitando però di cadere in azioni antidemocratiche o in un eccesso di paternalismo? Quali istituzioni, nella società civile, nel mondo degli affari e nello stato, possono essere preposte a questo obiettivo?

Da ultimo, la nostra concezione sulla qualità della vita per il prossimo futuro, sono profondamente influenzate dalle innovazioni tecnologiche e dalla ristrutturazione degli organismi preposti in questa fase di enorme sviluppo, delle tecnologie legate all’informazione e alla competizione globale. I presunti benefici apportati alla qualità della vita dalle tecnologie informatiche e dall’esplosione della ricerca sulla genetica umana e dalle manipolazioni genetiche in generale, saranno accompagnati da nuovi rischi e nuove minacce per la qualità delle nostre esistenze.

Sviluppi così ingenti nella economia, nell’ambiente e nella società ci costringono a prendere in esame gli urgenti interrogativi sulla qualità della vita sollevati dai filosofi dell’antichità. Com’è giusto vivere? Come trovare un equilibrio tra i desideri individuali e le esigenze più vaste del benessere collettivo? Il nascente dibattito su come dovrebbe essere una " Terza Via " radicale ed efficace inizia a toccare anche questi temi. Per esempio, l’enfasi posta dal governo neolaburista britannico sul legame intrinseco tra diritti e responsabilità sociali, sulla promozione dell’educazione dei cittadini, sulle misure da prendere per arginare i comportamenti antisociali nelle aree più degradate dei centri urbani, rappresentato un tentativo limitato di superare la riluttanza della sinistra a " moralizzare " o a " giudicare ". Ma si tratta di passi incompleti, esitanti e poco dibattuti, che il più delle volte si appuntano sulle " classi inferiori " ignorando la questione delle responsabilità della " superclasse " emergente, quella dei super-ricchi.inizio_pagina.gif (1503 byte)

Il dibattito deve raggiungere maggior diffusione e maggiore profondità, e dare ai propri obiettivi una dimensione europea. La politica si è fermata a una concezione di qualità della vita individualista e corporativa, che persegue la crescita materiale e la promozione dei valori procedurali. Sono condizioni necessarie ma non sufficienti: il nuovo ambiente globalizzato necessita di trasformazioni radicali, che devono essere alimentate da idee più ampie e profonde riguardo alla " Vita Buona " intesa come progetto etico.

 

Estratti per la discussione

1. Dobbiamo, in sintesi, trovare un modo di parlare onestamente e apertamente di qualità della vita , di una vita buona intesa sia come soddisfacente che come eticamente giusta. Ma per far questo dobbiamo prima sfatare alcuni dei miti della "vita buona". Un filosofo famoso si è chiesto una volta come una stessa definizione di vita buona può essere valida per l’intera razza umana, composta com’è di persone radicalmente diverse tra loro come Marilyn Monroe, Einstein, Wittgenstein o Louis Armstrong. Ogni singola definizione di vita buona, sosteneva, risulta inevitabilmente oppressiva. Il massimo che possiamo sperare è una società in cui tutti godano della massima libertà possibile per dare ciascuno la propria definizione di vita buona per sé. È questa una concezione che presenta innegabili attrattive, che si accorda con il senso comune " non giudicante " della maggior parte delle società occidentali contemporanee. Ma è profondamente erronea, come può esserlo qualunque convinzione. Una società che la prendesse sul serio diverrebbe ben presto del tutto anti-funzionale. In primo luogo, è sbagliata perché buona parte di ciò che concerne la qualità della vita non riguarda unicamente la libertà individuale, ma poggia sui pilastri collettivi dell’ordine sociale e di tutte le cose che condividiamo con gli altri : aria pulita, strade sicure, civiltà, educazione.

È sbagliata anche perché gli esseri umani hanno una quantità di cose in comune: condividiamo sostanzialmente la stessa biologia e molte delle stesse pulsioni ed esigenze, per quanto diverse possano apparire ad un’osservazione superficiale. Ed è sbagliata perché ignora l’evidenza dei fatti: vi sono, nella definizione di vita buona data nei luoghi e nelle epoche più diversi, delle caratteristiche comuni costanti. Per quanto effimera l’idea di qualità della vita possa apparire, e per quanto radicalmente diverse siano le nostre esistenze dalle vite brevi, sporche e cattive della maggior parte dei nostri avi, vi sono elementi universali e senza tempo. Mi sembra utile pensare a questi fattori comuni come a " catalizzatori ": elementi che attraggono e motivano persone appartenenti a società che per tutto il resto appaiono radicalmente diverse.

Cinque sono quelli che mi appaiono più evidenti.

Il primo è la famiglia.

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In tutta la storia dell’uomo, la stragrande maggioranza delle persone ha scelto di vivere in famiglia. Può trattarsi di famiglie allargate o nucleari, che prevedono la presenza di tre o quattro generazioni o che accettano la poligamia. Ma l’unità familiare ha garantito il sostegno emotivo e l’appoggio incondizionato ai suoi membri molto più di qualsiasi altra istituzione, e ha mostrato di possedere virtù pratiche come strumento di condivisione delle risorse. Le famiglie, come le comunità, le nazioni e le fedi religiose, possono essere brutali e scarsamente funzionali. Ma la famiglia rimane il luogo più decisivo per la fruizione del benessere e della felicità, il luogo ove la nostra umanità essenziale – cioè la nostra capacità di riprodurci e di far parte integrante del ciclo della vita – trova la sua espressione più pura. Nonostante i cambiamenti radicali apportati al modello familiare nelle ultime generazioni, la famiglia come ideale e come unità sociale della vita quotidiana si è dimostrata incredibilmente capace di resistere e di rimanere, per usare le parole di Christopher Lasch, " un porto sicuro in un mondo senza cuore ".

Il secondo elemento è la comunità. Gli uomini amano vivere in società, a contatto con amici e conoscenti. Al di là della famiglia, la comunità fornisce riconoscimento sociale, significato, opportunità. Come la famiglia, può a volte essere oppressiva e portare divisioni. Ma garantisce non soltanto l’ordine che ci è necessario per avere una ragionevole possibilità di cavarcela nella vita – prevedibilità, abitudini e protezione – ma anche il contesto all’interno del quale possiamo condurre un’esistenza dignitosa.

 

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