Il processo descritto così
rapidamente e introduttoriamente con queste proposizioni, fu in realtà ineguale, doloroso
e pieno di sfasature cronologiche che confondono. Anche in Gran Bretagna, dove seguì un
decorso logico, esso richiese un prezzo. La connessione, tipicamente britannica, di
diritti generali e disuguaglianze sociali poggianti su premoderne scale di valori,
potrebbe spiegare la miscela inglese di libertà civili e debolezza economica. Negli Stati
Uniti il processo dell' allargamento dei diritti civili in campo sociale rimase tiepido e
discusso. Intanto il New Deal del presidente Roosevelt e la Great
Society del presidente Johnson furono presentati come domini dei liberals, e
furono liquidati da molti come quasi non americani. Là dove le nuove chances economiche
si collegarono con la persistente interdizione posta da dipendenze feudali, come in
Germania, sì formò un miscuglio esplosivo in cui potettero prendere vigore movimenti
terribili. In realtà anche questo abbozzo schematico dei due secoli di rivoluzioni
liberali sarebbe assolutamente incompleto se non menzionassimo il flagello del XX secolo,
il totalitarismo. Il comunismo, ma soprattutto il nazionalsocialismo tedesco e le sue
varianti più tenui in altri paesi, hanno sollevato di nuovo le domande fondamentali dell'
ordine liberale. Autori come Raymond Aron (1905-1983), Hannah Arendt
(1906-1975), Friedrich von Hayek (n. 1899), Karl Popper (n. 1902), con
la loro reazione al totalitarismo hanno dato una nuova, potente spinta al pensiero
liberale. Diritti civili e chances di vita presuppongono entrambi la società
aperta in cui nessuno può presumere di avere tutte le risposte o di poter dare
risposte una volta per tutte. Alla fine del primo volume del suo " La
società aperta ", Popper esprime caratteristicamente l'esigenza di una
connessione fra " libertà e sicurezza ". Fino agli anni Settanta del nostro
secolo non si vedeva alcuna contraddizione fra diritti civili sviluppati, crescita
economica e libertà civili. Poi però sono cominciati i dubbi. Un nuovo vocabolario si è
diffuso nella discussione pubblica. " Meno Stato " è diventato uno slogan
corrente. Anche dove non rimane una semplice frase, esso non significa a volte più che la
riduzione delle spese pubbliche. Il che ha certo delle conseguenze, ma di regola meno che
non una politica ben ponderata.
Anche se i buchi amministrativi che si
creano vengono bloccati in parte dalla vendita di imprese finora pubbliche, quel che
diviene in ogni caso chiaro è un disegno politico non una concezione di fondo. In alcuni
paesi le riforme fiscali sono state fatte con lo scopo di ridurre l'onere delle imposte e
delle tasse. Anche qui il guadagno di simpatia sul breve termine presso gruppi critici di
elettori gioca sicuramente un ruolo altrettanto grande che un nuovo modo di raffigurarsi
diritti e doveri del singolo nella comunità; tuttavia, le questioni connesse con la
composizione delle tasse toccano il contratto sociale. Lo stesso vale anche nei casi in
cui per motivi strutturali l'efficacia dello Stato sembra essere arrivata ai suoi limiti.
Da destra e da sinistra si muovono quindi gli spregiatori di Keynes e Beveridge.
Vecchi liberali quasi dimenticati, come Friedrich von Hayek, vedono una loro
rinascita. Nuovi autori si aggiungono, come Milton Friedman e James Buchanan,
Robert Nozick e Mancur Olson, neoliberali con diversi punti focali di
interesse. Allo stesso tempo, accanto a questa linea principale del nuovo pensiero ce n'è
una secondaria più esile, più timida; molti la chiamano " ecolibertaria ".
Entrambe pongono la medesima domanda: quanto Stato è giustificato? Quali strade portano
allo Stato ridotto, magari minimale? Come appare la società, come deve apparire la
società, che compare dietro lo Stato che si ritira? Almeno a questo punto diventa chiaro
un fatto che non meraviglierà più i lettori di questo capitolo, anzi di tutto questo
libro. Il liberalismo non è propriamente affare di un partito politico. Ha perlomeno
altrettanto senso parlare di una " società liberale ", e anche di uno "
Stato liberale ", quanto di un " partito liberale ". Il liberalismo è
infatti, in sostanza, sempre questione di politica costituzionale. Ciò non va inteso in
senso restrittivo. Non si tratta solo di un diritto costituzionale, bensì di
determinazioni formali della convivenza statale. Si tratta piuttosto, cioè, di quelle
regole che fondano le libere comunità in quanto tali. Per designarle è diventato
nuovamente attuale il vecchio termine di contratto sociale. Il contratto sociale contiene
quelle norme dell' ordine sociale che in un determinato momento garantiscono la misura
massima di libertà. Questa garanzia richiede a volte l'eliminazione di regolamenti e
istanze, a volte la loro creazione. Legando il contratto sociale alle condizioni di un
determinato tempo, noi distinguiamo il suo concetto dinamico dalla comprensione normale
secondo la quale tale contratto contiene regole che rimangono uguali nel corso della
storia. Un rigido contratto del genere, un contratto valido una volta per sempre, è
antistorico, e ha conseguenze pratiche. Esso può significare che la libertà viene
limitata nel nome di un' idea dogmatica, e non allargata. Di contro, noi qui
rappresentiamo una posizione diversa. Anche il contratto sociale è sempre solo abbozzo
umano, una rete di regole che noi stabiliamo in determinate circostanze sulla società.
Certo gli scopi rimangono sempre gli stessi. Il contratto sociale non potrà mai essere
né totalitario né autoritario, e le sue forme sono soggette a mutamento.
I liberali dunque hanno a che fare con l'abbozzo del contratto sociale. Nel periodo delle
rivoluzioni questo significò la fondazione della società borghese attraverso la
determinazione chiara e tendenzialmente stretta dei confini dell'azione dello Stato. Alla
fine del XIX secolo la problematica era cambiata. Non si trattava più solo del cittadino,
ma del cittadino di Stato, non più solo della società borghese, ma dello Stato borghese,
del Cittadino-Stato. Il contratto sociale doveva includere, accanto ai diritti
fondamentali, chances di partecipazione politica e poi elementi sociali di appartenenza.
Alla fine del XX secolo l'abbozzo del contratto sociale è di nuovo in questione.
Il liberale, che vuole conservare e sviluppare la civil society,
si domanderà soprattutto dove stiano i nuovi compiti del contratto sociale e quali
risposte in questo periodo promettano la misura massima di libertà. I neoliberali
cercatori del Graal raccomandano lo Stato minimale, e, per il resto, mercato. Essi hanno
probabilmente un giusto senso della direzione e una sbagliata preferenza contenutistica,
che documenta la loro carente comprensione della storia. Che il contratto sociale di
domani debba sottolineare ancora più fortemente la società borghese e meno lo Stato
burocratizzato, è probabile. Che nella struttura di sudditanza della moderna
organizzazione, iniziativa e fantasia ci rimettano, è una conclusione ovvia. Ma lo Stato
sentinella e la invisibile mano di Adam Smith, già solo per motivi pratici non
sono una risposta appropriata alle nuove domande.
La domanda critica è, dunque, in che modo dobbiamo formulare la problematica del
contratto sociale - la problematica liberale - alla fine del XX secolo. La prima questione
possiamo chiamarla questione dell' appartenenza. La società borghese, in
quanto società di cittadini di Stato dovrebbe garantire a tutti gli uomini (entro gli
spazi territoriali che continuano intanto ad avere importanza in rapporto ai diritti
civili) una necessaria misura di chances di partecipazione uguali. In ripetute occasioni
abbiamo rilevato come la società dei cittadini di Stato dei paesi ricchi del mondo è sul
punto di tradire il proprio principio fondamentale e di far diventare privilegio i pieni
diritti di partecipazione. E nel far questo, abbiamo messo l'accento sulle questioni della
nuova disoccupazione e della nuova povertà. Entrambe stanno a significare che molti
uomini vengono estromessi dalla società borghese di uno Stato. E' quindi necessario un
grande rinnovato sforzo per ricompattare la cittadinanza di Stato. E' uno sforzo sociale (
per dirla nella corrente terminologia della politica ), che i partiti liberali fanno oggi
malvolentieri. Qui si tratta di ridefinire lo Stato sociale, non di smontarlo, e di
procedere a una nuova ripartizione del lavoro. Il tema del reddito minimo garantito
potrebbe in questo contesto acquistare importanza strategica. Le questioni dell'
appartenenza non sono però limitate alle questioni sociali in senso stretto. I rapporti
dei tedeschi con i lavoratori stranieri e i rifugiati, quelli degli inglesi o degli
americani con la problematica razziale, sono tutte questioni che rientrano nello
stesso capitolo. Lo si può indicare come la ricerca dell'omogeneità o, meno
delicatamente, come l'incapacità delle società moderne di vivere con quella
molteplicità, per utilizzare la quale sono state create. Qui abbiamo un grande potenziale
di violenza, e insieme un grande compito per i liberali. I cittadini di seconda classe
sono sempre una testimonianza di esplosive imperfezioni della libertà.
La seconda questione del contratto sociale, alla fine del XX secolo, è connessa con la
prima; è la questione dell'ordine. E' un argomento che i liberali non
ascoltano volentieri. Tuttavia, bisogna proprio serrare gli occhi davanti alla realtà per
non vedere la problematica. I nuovi disoccupati, così come i nuovi poveri, non ordiranno
una rivoluzione. Chi è svantaggiato in maniera così forte, è più incline alla letargia
o alla protesta individuale. Ma questi gruppi sono un'accusa alle moderne società, e
quelli che ne fanno parte lo notificano pure. Una società che si permette di estromettere
il dieci per cento o più dei suoi membri deve pagare un prezzo per questo. E un prezzo in
termini di validità delle sue norme. E questo prezzo viene pagato concretamente sotto
forma di un aumento dei delitti, ma anche, più astrattamente, come minaccia dell'anomia.
E qui la disillusione attiva degli esclusi dalla cittadinanza si incontra con un'altra
tendenza. La modernità, e insieme anche la moderna liberalità, è stata in più
occasioni equivocata come tolleranza senza limiti, tanto che la tolleranza stessa ha perso
il suo senso. Quelli che non si sentono legati a regole valide non incontrano quindi molta
resistenza. Un rapporto spugnoso con le norme sociali da parte della maggioranza si unisce
con l'occasionale, e per lo più individuale, aggressione della minoranza in un miscuglio
estremamente inquietante.
Per il contratto sociale questo ha un'importante conseguenza. Il liberalismo di domani
deve essere un liberalismo accentuatamente istituzionale. Uno dei compiti principali dei
liberali alla fine del XX secolo sta nel dover creare istituzioni che diano alla libertà
il suo senso. Non istituzioni purchessia, ma tali che il loro senso sia evidente, o almeno
possa essere reso evidente. Non dovremmo dimenticare che costruire istituzioni e un'
attività nobilmente umana.
La terza questione attuale del
contratto sociale ha a che fare con l'universalità della società borghese.
La " società borghese che amministra il diritto per tutti " (così Kant),
che include tutti gli uomini di questo mondo, non è affatto soltanto un'esigenza morale,
cioè un'esigenza che soddisfa solo la coscienza. Fin tanto che la società borghese
rimane limitata agli Stati nazionali, è in sé incompiuta. Essa crea cittadini di Stato
nazionale e non cittadini del mondo. E in questo modo limita i diritti e le chances di
tutti i cittadini. Essa rende privilegio uno status, che per sua natura non può essere
tale. Non esiste tema più importante dell'agire internazionale, a raggio mondiale, che la
creazione di una società di cittadini del mondo.
Solo nel contesto dei tre temi della questione dell'appartenenza, della
questione dell'ordine e della questione dell'universalità
acquista significato un quarto tema: lo possiamo chiamare la questione dell'innovazione.
Anch'essa tocca il contratto sociale, e precisamente tanto nella sua versione politica
quanto nella sua versione economica. Che le democrazie si irrigidiscano è cosa su cui non
si era pensato all'epoca della loro costituzione; ma esse sono ordinamenti che devono
permettere il cambiamento senza rivoluzione. E ben vero che esiste il fenomeno, analizzato
in maniera impressionante da Mancur Olson, dei cartelli di gruppi di interessi
particolari. A questo fenomeno americano corrisponde in Europa il tema ripetutamente
sottolineato da Max Weber in maniera quasi profetica - cioè molto prima che si
manifestasse pienamente - della immobilità burocratica. L'imbarazzo dei due autori nella
ricerca di soluzioni è eloquente. Né il carisma preferito da Weber né le
catastrofi accennate occasionalmente da Olson (guerre, rivoluzioni) possono
essere presentati come soluzioni costituzionali, anzi anche solo tollerabili, del dilemma.
Essi attestano solo che sono necessarie considerevoli scosse per smuovere strutture
irrigidite. Al di là di soluzioni catastrofiche, appare interessante soprattutto
intraprendere un confronto di regole costituzionali (in senso stretto), per verificare
quali corrispondono al meglio al bisogno di un cambiamento regolato.
Anche gli ordinamenti economico-mercantili sono costruiti su una costante innovazione, e
su quello che oggi viene chiamato adattamento; essi pure hanno mostrato in tempi recenti
una tendenza all'irrigidimento.
Da quanto detto , vediamo che
esistono dunque temi a sufficienza per un programma di rinnovamento liberale. Sono tutti
temi che rinnovano l'abbozzo del contratto sociale. Sono inoltre temi che si pongono di
traverso rispetto alle strutture stabilizzate della disputa politica. Non c'è
assolutamente da aspettare chi abbia interesse a prendere a cuore il rinnovamento
liberale. Forse, in fin dei conti, questo è il tempo della teoria politica. In ogni caso,
non può far male spingere la civetta di Minerva al volo.
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