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I socialisti del
Duemila
alla ricerca della "terza via "
di
WOLFGANG MERKEL ( 23 Luglio 1999 )
QUASI tre
decenni fa, il sociologo anglo-tedesco Ralf Dahrendorf annunciò, niente più, niente meno
che la "fine del secolo della socialdemocrazia". Ma, 25 anni più tardi, quando
il secolo volge alla fine, una reazione a catena di vittorie elettorali mostra la
rinnovata vitalità delle socialdemocrazie europee. Dodici dei quindici paesi dell'Unione
Europea sono governati prevalentemente o esclusivamente da partiti socialdemocratici. Tra
questi i quattro maggiori Stati membri: Regno Unito, Germania, Francia, e Italia. Solo in
Irlanda e Spagna i socialdemocratici sono all'opposizione. Contro ogni pronostico, la
socialdemocrazia governa nell'Europa di fine secolo. Ma, governa davvero? Quali politiche
vogliono perseguire i partiti socialdemocratici e quali possono portare a termine? Si
distinguono in qualcosa da quelle dei loro rivali conservatori e liberali?
Finisce il secolo
XX e i governi socialdemocratici e socialisti si trovano ad affrontare importanti
cambiamenti economici, politici e sociali che rappresentano una sfida per le loro
politiche stataliste, keynesiane e di stato del welfare, nonché per i loro stili di
governo. La globalizzazione dei mercati finanziari e l'europeizzazione dei mercati dei
beni e dei servizi limitano le politiche dei governi in materia monetaria, fiscale e
commerciale. I cambiamenti demografici e l'invecchiamento delle società europee obbligano
i loro governi a riformare i loro ben protetti sistemi di welfare, progettati com'erano
per le società industriali d'inizio secolo e non per le società postindustriali della
sua fine. E in più, il cospicuo (e variabile) indebitamento degli Stati restringe il
margine di manovra dei loro governi, specialmente nella politica sociale. Molti dei
modernizzatori tra i socialdemocratici europei considerano che il welfare state è troppo
oneroso per competere nella sfida con le economie più sviluppate. L'eterogeneizzazione
del tessuto individuale, l'individualizzazione della società, la pluralizzazione dei
valori, i cambiamenti individualistici di atteggiamento e di abitudini obbligano i
riformisti socialdemocratici a diversificare i loro programmi, politiche e stili di
governo.
Dinanzi a
queste stesse sfide, i governi socialdemocratici avevano già reagito negli anni ottanta
con cambiamenti pragmatici: avevano abbandonato la tradizionale gestione della domanda
anticiclica, intrapreso la strada del conservatorismo fiscale e accettato i criteri di
Maastricht; alcuni di essi avevano cominciato a liberalizzare con cautela il mercato del
lavoro (Olanda, Spagna e Danimarca) e altri fermato l'espansione dello stato del welfare
(Svezia e Austria). Ciononostante, non è stata intrapresa allora una chiara revisione
programmatica e ideologica, che tentasse di mettere in relazione queste tornate pragmatiche e d'integrarle in un concetto politico
coerente, in grado di dare alla socialdemocrazia europea una nuova visione per il secolo
venturo.
La situazione è
cominciata a cambiare verso la metà degli anni novanta. Con la vittoria del nuovo
laburismo nel Regno Unito, Tony Blair e il suo consigliere intellettuale, Anthony Giddens,
hanno introdotto una metafora nel discorso politico della socialdemocrazia moderna: la
Terza Via. Da allora, questa metafora va diffondendosi in Europa e minaccia i vecchi
partiti socialdemocratici del continente.
La metafora non è assolutamente nuova. È stata inventata dai
marxisti austriaci negli anni venti, poi è stata utilizzata nella fondazione
dell'Internazionale Socialista nel 1951 e successivamente è stata il titolo del programma
economico della Primavera di Praga del 1968. Ma mentre allora la terza via avrebbe
condotto lungo il largo, anche se non ben definito, viale che scorreva tra il socialismo e
il capitalismo, oggigiorno, la terza via del Nuovo Laburismo ci porterebbe lungo un
sentiero assai più stretto che si snoderebbe tra il neoliberismo radicale e la vecchia
socialdemocrazia statale-neocorporativista del dopoguerra.
A differenza dei
membri del Vecchio Laburismo, più tradizionalisti dei socialisti francesi e dei
socialdemocratici tedeschi, Tony Blair e Tony Giddens non considerano più la
globalizzazione una limitazione così sfavorevole per i governi socialdemocratici.
Piuttosto la vedono come un utile "stimolo per la modernizzazione" e
un'opportunità per fare delle riforme strutturali. Sostengono che con la globalizzazione
si è messo il punto finale alla tradizionale gestione della domanda keynesiana. Non c'è
più spazio per le politiche fiscali anticicliche. E si rallegrano del fatto che il lavoro
sporco di liberalizzare il mercato del lavoro sia già stato portato a termine dai
conservatori Thatcher e Major. Non hanno in serbo altri progetti di liberalizzazione del
mercato del lavoro.
Al fine di
rafforzare la responsabilità individuale che dovrebbe a sua volta favorire l'integrazione
nel mercato del lavoro e l' occupabilità dei cittadini, lo Stato del welfare passivo
tradizionale deve ristrutturarsi in uno "Stato d'investimento sociale"
(Giddens). I mercati del lavoro liberalizzati, "educazione, educazione,
educazione" (Blair) e il benessere sul posto di lavoro dovrebbero essere
complementari. Questo segna il cambiamento dei nuovi laburisti da una distribuzione ex
post socialdemocratica tradizionale del benessere sociale a una distribuzione ex ante
liberale delle opportunità della vita. Lo Stato del welfare deve rivolgersi a coloro che
si trovano effettivamente in situazione di bisogno e smettere di essere allargato a tutta
la classe media. Raymond Plant, parlamentare laburista della Camera dei Lord, colpisce nel
segno quando chiama questo nuovo concetto del welfare la "cittadinanza della
domanda".
Tuttavia,
ora che il concetto innovatore dei nuovi laburisti si trova ad affrontare le sfide del
secolo che arriva, restano da risolvere tre questioni. In primo luogo, il concetto dei
laburisti non risolve il problema di come evitare la "malattia americana" dei
"poveri che lavorano", vale a dire, persone che hanno un lavoro, ma che
nonostante un salario vivono al di sotto della soglia di povertà. Nel Regno Unito, il
numero delle persone che vivono al di sotto di questa soglia è due volte più alto che in
Germania, per non parlare della Svezia o della Danimarca.
In secondo
luogo, gli accordi istituzionali del modello britannico Westminster sono unici: concedono
al primo ministro britannico un potere discrezionale negli affari interni molto superiore
a quello di qualsiasi altro capo di Governo del mondo occidentale. Dunque, il concetto del
Nuovo laburismo non può essere trasferito in maniera indolore ad altri sistemi politici,
società o culture, come suggerisce il cosiddetto documento Blair-Schrder. Negli scenari
istituzionali e culturali di Francia, Germania, Italia o Spagna non funzionerebbe.
In terzo
luogo, continua ad esserci una mancanza di concetti e una scarsa volontà di utilizzare
l'Unione Europea come importante spazio strategico per le politiche socialdemocratiche. I
tentativi, nella maggior parte dichiarati, di mettere in pratica una politica
dell'occupazione più attiva all'interno dell'UE fanno risaltare questo fatto, invece di
negarlo. Non ci sono piani né si verifica alcun tentativo convincente di coordinare le
politiche fiscali, monetarie e sociali per stimolare la crescita economica, l'occupazione
e la giustizia sociale.
Quello che
possiamo ricavare da queste obiezioni è che non c'è soltanto una terza via che porta
alla socialdemocrazia del secolo XXI, ma ce ne sono varie. Il modello Polder olandese che
ha raccolto tanti consensi e il risultato del welfare riformato del Governo danese, hanno
registrato entrambi successo per quanto riguarda il mercato del lavoro e, allo stesso
tempo garantendo un livello di welfare molto alto, dimostrano che contesti differenti
richiedono risposte differenti. Ma anche così, tutte le terze vie della socialdemocrazia
verso il prossimo millennio devono passare dall'Europa. È, soprattutto, l'Unione Europea
quella che apre, alla fine del secolo XX, nuove opportunità per riconquistare parte dello
spazio ceduto dalla politica ai mercati nell'era della globalizzazione. Almeno finora, la
socialdemocrazia non dimostra di essere sufficientemente cosciente, né teoricamente, né
praticamente, delle opportunità che le sono offerte al volgere del secolo.
(
Wolfgang Merkel è
professore di Scienze Politiche presso l'Università di Heidelberg. )
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