ALBIANO – 18.Gennaio 1945

 

 

          Scrivere della realtà è molto più facile che farlo per episodi fittizi. Non devi studiare per proporti una trama, sulla quale poggiare tutta la narrazione.

               La trama l'hai già vissuta e se la memoria, anche a distanza di molti anni, ti sorregge, nulla di quanto accaduto va perso. Si dice che invecchiando è più facile ricordare quanto accaduto nella giovinezza. Non tutto, però, perche in una vita ci sono periodi di calma piatta, ma gli episodi di un certo rilievo, rimangono indelebilmente fissati in quella parte del cervello preposta al “ricordo”.

              Questo è uno di quegli episodi che sono incisi nella memoria come se lo fossero nel marmo di una lapide.

               Dobbiamo risalire nel tempo; al gennaio del 1945 e più precisamente al 16 di quel mese.

          Fui comandato all'osservatorio avanzato che si trovava in un avamposto, in un casolare isolato poco sopra l'abitato di Albiano, in pieno territorio controllato dai “Buffalo”, soldati di colore della 92a Divisione di fanteria degli Stati Uniti.

           Questi avamposti erano stati disposti dal Comando di Divisione e dovevano fungere da “campanelli d'allarme”, in caso di attacco nemico.Praticamente, così isolati e ad una certa distanza dalla prima linea, erano piuttosto come delle trappole per topi, ma, come poi si dimostrarono, con i topi già all'interno.

            L'avamposto era costituito da una squadra di fanteria tedesca del 1° Btg. del 286 Rgt.   Granatieri, al comando di un anziano sottufficiale e da una pattuglia O.C., con un ufficiale, un sottoufficiale e un graduato della mia batteria, la 6a del Gruppo Bergamo.

              Il nostro compito era l'osservazione del territorio antistante, della piana da Barga sino a Gallicano. Ci si poteva muovere solo con il buio e di giorno evitare ogni movimento che avrebbe potuto tradire la nostra presenza.Dalla nostra posizione non si poteva, però, vedere la strada che sotto di noi, dal ponte di Campia, passando sotto Castelvecchio Pascoli arriva al ponte di Catagnana per poi salire a Barga.

                 La mia batteria era l'unico reparto della Divisione Monterosa, sulla sinistra orografica del Fiume Serchio ed era in appoggio a quel battaglione tedesco.

                Quella sera del 16 gennaio, con il buio, che a gennaio viene presto, mi recai alla postazione di fanteria da dove si poteva uscire con la traccia nel campo minato, e con due giovani soldati tedeschi, forse quanto lo ero io, iniziai a scendere il pendio che portava  al casolare.    

                    Ogni tanto ci si doveva fermare e rimanere immobili sino a quando non cessava l'illuminazione a giorno, provocata da bengala che scendevano lentamente attaccati al loro piccolo paracadute.

                      Nel casolare trovai il Ten. Flores con la sua squadra, alla quale davamo il cambio, il Ten Bonatti e il Cap.Uccello che erano scesi già la notte precedente e che avrebbero, con me, fatto il prossimo turno.

                        Quella stessa notte, facemmo un'uscita esplorativa, scendendo per una mulattiera, ricordo ben incassata nel terreno tra due muretti di pietra, sino ad incontrare un piccolo rustico, di quelli che servivano per tenere gli attrezzi da lavoro dei contadini, per ripararsi dalla pioggia o per la sosta pomeridiana.

                          Entrammo e trovammo, all'interno, dei civili, uomini e donne che seduti, chiaccheravano alla luce di un lume a petrolio.Ricordo che ci fu un piccolo battibecco con un uomo, niente di più facile che fosse uno di quei partigiani che aiutavano gli americani guidandoli nelle loro pattuglie.

                              Ci diedero un'utile informazione che però noi non potemmo o non sapemmo sfruttare.. Nel pomeriggio era transitato, su quella mulattiera, un reparto di soldati di colore,della 92a Divisione di fanteria della 5a Armata USA,  a sentir loro circa una sessantina, diretti verso Albiano, il piccolo abitato un centinaio di metri sotto il nostro casolare.

                                 Rientrati dall' esplorazione, la squadra  del Ten.Flores, nella notte, rientrò alla

 base nelle nostre linee.

                                 Il giorno 17 gennaio, trascorse tranquillo. L'osservazione non rivelò alcuna

presenza o movimento di truppe americane. Eravamo collegati, sia il reparto tedesco, sia noi, via telefono con i relativi comandi. Noi disponevamo di filo telefonico americano di preda bellica,   leggero, anima in trecciola di rame, due fili e il nostro Comandante di batteria, Cap.Giacomelli, con buon senso ed esperienza, qualche notte prima aveva fatto rettificare il percorso della linea telefonica di modo che non seguisse quello della linea tedesca, filo unico, grosso come una matita, inequivocabilmente riconoscibile come non americano. Questa rettifica fu in gran parte artefice della salvezza di tutti noi.

                              La mattina del 18 gennaio alle prime luci dell'alba , in quell'assoluto silenzio che ci circondava, irruppe lo straziante rumore di una prolungata raffica di MG e contemporaneamente un grido: Amerikaner!!

                               Quel pattuglione di cui ci avevano dato notizia quei civili, provenendo da nord, si era dispiegato per accerchiare il casolare che su tre lati era circondato da castagni secolari, che offrivano una magnifica copertura. Dalle finestre che, essendo state aperte le persiane per permettere il tiro di difesa, arrivarono senza sosta raffiche di colpi. Loro disponevano di armi automatiche e semiautomatiche e potevano produrre un alto volume di fuoco. I proiettili si infrangevano sui muri delle stanze.

                             Passato il primo momento che per la sorpresa mi aveva fatto scendere al piano 

 inferiore , ritornai al piano superiore per ricuperare il telefono. I tedeschi, avevano già tentato, senza esito, di prendere contatto con il loro comando. Il telefono era muto! Molto probabilmente la loro linea era stata tagliata dal nemico.

                             Cercai, subito, di collegarmi con la batteria, ma anche il nostro telefono era muto. Eravamo completamente isolati, circondati da truppe almeno quattro volte superiori. Unica possibilità di richiedere aiuto, era rimasta la pistola lancia razzi. Sparai due razzi rossi, che però, lo seppimo dopo, non furono avvistati                 

                         Nel frattempo, un giovane soldato tedesco,nel tentativo di una sortita era stato ucciso sul ciglio della porta. Senza dubbio molti dei fucili erano puntati sull'unica possibilità di uscita.

                             Salii al piano superiore per avere una visione più ampia della situazione.L'angolo sinistro del tetto era in fiamme, in terra pezzi di tegole. Ancora adesso non mi rendo conto di come questo sia potuto avvenire.

                             Tra opposte sparatorie, senza la possibilità da parte nostra di risolvere la situazione, il tempo passava. Non posso quantificarlo, ma si trattò senz'altro di ore. In situazioni come questa, perdi la cognizione del tempo e quant'altro esuli dal fatto che ti devi difendere per salvare la pelle. Il nostro telefono giaceva inutile in un angolo della stanza. Ruppi con il calcio della carabina Winchester di p.b. i vetri di un finestrino e mi misi a sparare. Più che altro per fare rumore. Non so cosa mi portò a chinarmi, prendere il telefono, chissà con quale speranza, e mi accorsi che un filo non era inserito nel morsetto. Forse nel trasporto dal piano superiore si era staccato o nelle concitazione del momento non lo avevo inserito in maniera corretta. Lo riattaccai e girando la manovella chiamai. Mi rispose subito il mio Comandante al quale spiegai la situazione. Mi chiese di passargli il Tenente Bonatti che da quel momento lo gestì per tutto il tempo che rimanemmo nel casolare. Per una combinazione, per un impulso involontario si possono salvare delle vite oltre la propria. Così è il mondo!!

                            Fu deciso di chiedere di sparare su di noi e i nostri dirimpettai con i mortai americani da 60mm. di preda bellica, forse ritenendoli meno pericolosi per noi. Fu eseguito il tiro, sentimmo le esplosioni di arrivo ma non potemmo individuare il punto dell'impatto Nell'attacco di Natale ne avevamo trovati due completi di alzo e munizioni ma senza le tavole di tiro.Le modalità di uso non sono quelle dell'artiglieria e  avevano sparato un po' a occhio e quindi con risultato poco lusinghiero.

Nell'impossibilità di dirigere il tiro fu, quindi, optato di farci sparare addosso con i  nostri fedeli 75/13. I dati di tiro erano già stati predisposti per ogni evenienza. La musica cambiò perchè tutto intorno al casolare iniziarono le esplosioni. Fummo anche fortunati, poichè il casolare ne uscì indenne e noi con lui. I soldati americani che si trovarono in mezzo a quella buriana cominciarono a ritirarsi, a gruppi, di gran carriera e in disordine. Fu facile, per me, passare al Ten Bonatti le correzioni di tiro per seguirli nella loro ritirata. Il ten.Bonatti , a sua volta le passava in batteria. Dal lato sud del casolare il terreno era a fasce. Contemporaneamente a un gruppo di soldati che saltava da una fascia a quella sottostante vidi esplodere tra di loro una granata. Con correzioni, ora in alzo ora in direzione, li seguimmo sino all'abitato di Albiano, sul quale venne effettuato un concentramento di fuoco, con l'intervento delle altre batterie del Gruppo.

                    Finalmente fuori dalla trappola, mi portai con l'amico Paolo Uccello sull'aia antistante il casolare ma ormai non c'era più traccia di soldati nemici. Rientrai nel casolare, staccai il telefono e lo ricuperai. Ero rimasto solo, per ultimo. Imboccai il sentiero che, qualche metro dietro la casa, entrava nel bosco fornendo una buona copertura.

                     Sotto la collina sulla quale c'erano tre pini a ombrello, che per noi erano un buon punto di riferimento, mi fermai, mi collegai alla linea e chiamai. Mi rispose il Cap.Giacomelli. Gli dissi dove mi trovavo chiedendogli se mi vedeva. Mi disse di no. In quel momento non pensai che era effettivamente impossibile che mi vedesse.

                      Stavo per staccare il telefono, quando l'artiglieria americana cominciò a sparare sul casolare dal quale ero uscito che non era molto.Vidi esplodere le granate, anche al fosforo. forse per coprire alla vista i loro soldati. In terra c'erano alcuni elmetti sia tedeschi sia americani. Quello era terreno di scorrerie di pattuglie. Ne agguantai uno, misi il cappello piegato sotto la giacca a vento e mi misi l'elmetto. Quando tutto ritornò relativamente tranquillo, mi rimisi il cappello e seguendo il sentiero arrivai ai Piani di Ceragna, che è, tuttora, un gruppo di poche case in una piccola conca nel complesso del “Ciocco” ben defilata all'osservazione nemica.

                          Ritrovai tutti i compagni di avventura. Non posso dire di sventura perchè in effetti ci era andata abbastanza bene. Mancavano quattro tedeschi. Uno era quello caduto sulla porta di casa, gli altri tre che erano in un piccolo casotto esterno non si sa che fine abbiano fatto.Uccisi? Prigionieri? Il sottufficiale tedesco aveva già  predisposto i suoi, in sicurezza. In compenso c'erano due soldati americani prigionieri, uno dei quali gravemente ferito ad una gamba all'altezza del ginocchio. Senz'altro una scheggia di granata.

                             Presi contatto a mezzo telefono con il nostro ufficiale medico. Ma cosa potevamo fare? Con il pacchetto di medicazione fornitomi dai prigionieri, dopo aver tagliato i pantaloni del ferito, feci una fasciatura. Il loro pacchetto di medicazione era già trattato ai sulfamidici ma non posso garantire che quel povero soldato sia riuscito a scampare alla cancrena. Ogni tanto arrivava un colpo d'artiglieria a caso, non troppo distante. Ma non sapevano dove fossimo.

                               Come poco tempo prima, cercavamo di ucciderci a vicenda, così, subito dopo,  era subentrato quello spirito di solidarietà per aiutare uno come noi, in difficoltà. Dal che si deduce che in guerra dovrebbe andarci chi la guerra l'ha provocata per i propri interessi e non i poveracci che da qualsiasi parte stiano non sanno nemmeno perchè devono sparare ad altri poveracci come loro.Unica giustificazione era : “ Mors tua, vita mea”. Mi è capitato di leggere una definizione della guerra che più pertinente non può essere: “Migliaia di individui che si ammazzano senza conoscersi , per poche persone che si conoscono bene”.

                              Dopo aver quasi litigato con il sottufficiale tedesco che voleva abbandonare il ferito, a morte sicura, poichè in quei posti di notte era facile arrivare a -20°, fu costruita una barella di fortuna e con il favore delle tenebre si risalì sino alla nostra linea. Nel frattempo una pattuglia tedesca in tuta bianca ci era venuta incontro in soccorso. 

                                Al soldato americano illeso che aveva coperto l'amico ferito con la sua giacca a vento e anche al ferito vennero da noi date le nostre giacche a vento, purtroppo solo per il tragitto sino al rientro nelle nostre linee.Noi ci fermavamo e loro proseguivano per le retrovie. Le avventure sarebbero continuate e purtroppo anche molto presto!   

 

 

                                                                                                                                      Gian Ugo Taggiasco

 

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