|
Amava molto
l'aria aperta e gli esercizi fisici, finché poté farne. Era stato eccellente
nelle danze, nella pallamaglio e nella pallacorda, era ancora ammirevole a
cavallo, alla sua età. Amava veder fare tutte queste cose con grazia e abilità:
farle bene o farle male, in sua presenza, diventava un merito o un demerito.
Diceva che non bisognava immischiarsi in cose non necessarie, se non per farle
bene. Gli piaceva molto sparare, non c'era un tiratore bravo quanto lui, né con
altrettanto garbo. Voleva delle cagne da punta eccellenti, ne aveva sempre sette
o otto nei suoi gabinetti e si compiaceva di dargli lui stesso da mangiare, per
farsi riconoscere. Gli piaceva anche molto la caccia al cervo, ma in calesse, da
quando si era rotto il braccio cacciando a Fontainebleau, subito dopo la morte
della Regina. Stava da solo in una specie di soufflet tirato da quattro
cavallini, con cinque o sei ricambi, e guidava lui in persona a briglia sciolta,
con un'abilità e una precisione che i cocchieri migliori non avevano, e sempre
con la stessa grazia con cui faceva ogni cosa. I suoi postiglioni erano dei
ragazzi dai nove ai quindici anni, e egli stesso li dirigeva. Amò in ogni
cosa lo splendore, la magnificenza, la profusione. Per politica fece di questo
suo gusto una massima di vita imponendola dappertutto a corte; fare sfoggio di
lusso nell'abbigliamento, nei pranzi, negli equipaggi, nelle costruzioni e al
gioco significava piacergli, ed erano occasioni perché rivolgesse la parola ai
cortigiani. La verità era che il Re tendeva, e riuscì con questi mezzi, a
impoverire tutti, mettendo il lusso in onore, rendendolo necessario per alcune
cose, e riducendo così a poco a poco le persone a dipendere, per sopravvivere,
dai suoi benefici. Questo soddisfaceva inoltre il suo orgoglio di una corte
superba in ogni occasione e di una grande confusione che annullava sempre di più
le distinzioni di nascita. È una piaga che, una volta aperta, è divenuta il
cancro che corrode tutti i privati cittadini - perché dalla corte si è
rapidamente comunicato a Parigi, alle province e agli eserciti, dove le persone,
qualunque fosse l'incarico ricoperto, erano tenute in considerazione, dopo
questa innovazione infelice, in ragione della loro tavola e della loro
magnificenza - che forza quanti sono in condizione di poter rubare a non
sottrarsene quasi mai, per la necessità di alimentare le loro spese; cancro che
viene alimentato dalla confusione delle condizioni sociali, dall'orgoglio e
dalle stesse convenienze, che per la follia della maggioranza va sempre
aumentando, e le conseguenze di tutto ciò sono infinite e conducono addirittura
alla rovina e a generali rivolgimenti. Nessuno, fino
a lui, ha mai avuto un così gran numero di splendidi equipaggi da caccia e di
ogni altro genere. Chi potrebbe contare le costruzioni da lui realizzate? E
contemporaneamente chi non ne deplorerà l'orgoglio, il capriccio, il cattivo
gusto? Abbandonò Saint-Germain, e non fece mai a Parigi alcuna opera di
ornamento e comodità, fuorché il Pont Royal, e per stretta necessità, per cui
la città, benché tanto estesa, è molto inferiore a tante città europee.
Place Vendôme, quando fu costruita, era quadrata. Louvois ne vide le prime
quattro facciate. Era sua intenzione sistemarvi la Biblioteca reale, le
Medaglie, la Zecca, tutte le accademie e il gran Consiglio, che ancora oggi
tiene le sue sedute in una casa d'affitto. La prima preoccupazione del Re, il
giorno della morte di Louvois, fu far sospendere i lavori, dando ordine di
smussare gli angoli della piazza, di conseguenza restringendola, non mettendovi
niente di quanto vi era destinato e di costruirci unicamente delle case, proprio
come la si vede oggi.
|