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Principe fortunato se mai altri ve ne
furono, unico per l'aspetto, il vigore, la salute ottima e costante quasi senza
interruzioni, in un secolo così fecondo e liberale, nei suoi confronti, in ogni
cosa, al punto da poter sotto quest'aspetto, essere paragonato al secolo di
Augusto; fortunato per i sudditi che lo adoravano, che prodigavano i loro beni,
il loro sangue, i loro ingegni, molti anche la loro reputazione, qualcuno
addirittura il proprio onore, e troppi la loro coscienza e la loro religione per
servirlo, e spesso anche solo per piacergli. Fortunato soprattutto in famiglia,
se avesse avuto soltanto quella legittima; una madre, contenta del rispetto e di
un certo credito; un fratello, la cui vita, prostrata da deplorevoli
inclinazioni, e del resto futile in sé, si perdeva in inezie, si contentava di
denaro, si tratteneva per il timore suo e per quello dei suoi favoriti, e non
era meno bassamente cortigiano di quanti volevano fare fortuna; una moglie
virtuosa, innamorata di lui, paziente oltre ogni limite, divenuta sinceramente
francese, e per il resto completamente incapace; un figlio unico, tutta la vita
in fasce, che ancora a cinquanta anni non sapeva far altro che gemere sotto il
peso della soggezione e del discredito, e che, circondato e consigliato da ogni
parte, osava unicamente quello che gli era concesso e, sempre immerso nella
materialità, non poteva causargli la più leggera inquietudine; dei nipoti che
per l'età, per l'esempio del padre e per i legami che li stringevano, non gli
facevano temere lo straordinario ingegno del maggiore, né la grandezza del
secondo che accettò sempre dal suo trono la legge dell'avo con tale
sottomissione, né la foga infantile del terzo che non mantenne niente di quanto
aveva potuto destare preoccupazione; un nipote che, con alcune punte di
dissolutezza, tremava alla sua presenza, e il cui ingegno, spirito e velleità
superficiali, insieme ai propositi folli di qualche disperato che lo seguiva,
sparivano alla prima parola, spesso al primo sguardo del Re. E scendendo più in
basso, principi del sangue della stessa tempra, a cominciare dal Gran Condé,
divenuto la paura e la bassezza personificata, persino davanti ai ministri, dopo
il suo ritorno dalla pace dei Pirenei; il principe di Condé, suo figlio, il più
vile e il più prostituito di tutti i cortigiani; il duca di Condé, suo nipote,
con un coraggio più ardito, ma scontroso, feroce, e proprio per questo
nell'impossibilità di farsi temere, nonostante tale carattere fu il più timido
di tutti i suoi nei confronti del Re e del governo; dei due Principi di Conti
così affabili, il maggiore morì giovanissimo, l'altro nonostante l'ingegno, il
valore, i modi, il sapere, apprezzato in pubblico e anche a corte, pauroso di
ogni cosa, rimase schiacciato dall'odio del Re, la cui avversione gli costò,
alla fine, la vita. I più grandi signori stanchi e rovinati dalla lunga
discordia civile, assoggettati per necessità; i loro successori separati,
disuniti, abbandonati all'ignoranza, alla frivolezza, ai piaceri, alle spese
folli, mentre i migliori si dedicarono alla fortuna e quindi alla servitù e
all'unica ambizione della vita di corte; i parlamenti soggiogati da colpi
continui, impoveriti, a poco a poco la vecchia magistratura estinta con la
dottrina e la severità dei costumi, infarcita in loro sostituzione di figli di
uomini di affari e di sciocchi dal bell'aspetto, o di incolti pedanti, avari,
usurai, amanti del denaro, spesso mercanti di giustizia, e di qualche capo
tracotante fino all'insolenza, ma per il resto senza alcuna virtù; nessun corpo
sociale compatto, e per un lasso di tempo, quasi nessuno che osasse anche per
conto suo avere qualche progetto, e ancor meno aprirsene a chicchessia; per
finire, si arrivò alla divisione delle famiglie più unite, tra quelle degne di
considerazione, al più completo disconoscimento dei genitori e della parentela,
se non per portare il lutto dei più lontani; poco a poco tutti i doveri vennero
assorbiti da uno solo creato dalla necessità: quello di aver paura e di
sforzarsi di piacere. Da ciò nacque quella tranquillità all'interno del Paese,
mai turbata se non dalla momentanea follia del cavaliere di Rohan, fratello del
padre del signore di Soubise, che pagò immediatamente con la testa, e dal
movimento dei fanatici delle Cévennes, che inquietò più di quanto non
meritasse, durò poco e non ebbe alcun seguito, quantunque capitato in piena
guerra contro l'intera Europa. |