|
Luigi XIV si
dava gran cura per essere bene informato su quanto avveniva ovunque, nei luoghi
pubblici, nelle case private, nelle occasioni mondane e perfino nel segreto
delle famiglie e delle amicizie. Spie e delatori erano infiniti. Ve n'erano di
tutti i tipi: molti ignoravano che le loro delazioni arrivavano fino a lui,
altri lo sapevano, alcuni gli scrivevano direttamente, facendogli giungere le
loro lettere per le vie prescritte dallo stesso Re, lettere che erano viste solo
da lui e sempre prima di ogni altra cosa, altri, infine, talvolta gli parlavano
in segreto nei suoi gabinetti entrando dalle parti posteriori. Queste vie
sconosciute ruppero il collo a una quantità di persone di ogni ceto, spesso
molto ingiustamente, senza averne mai potuto scoprirne la causa, e il Re, una
volta prevenuto, non tornava mai indietro, o così raramente che niente era più
difficile. Il Re aveva un
altro difetto molto pericoloso per gli altri, e spesso per se stesso perché lo
privava di buoni soggetti. Infatti, per quanto avesse una memoria eccellente per
riconoscere una persona qualsiasi che aveva visto una sola volta, anche dopo
vent'anni, o per le cose che aveva saputo, senza fare confusione, non era in
grado di ricordare tutto, data la quantità infinita di cose che ogni giorno
veniva a sapere. Se era giunta a lui qualcosa su qualcuno, che avesse poi
dimenticato, gli restava unicamente impresso di avere qualcosa contro di lui, e
ciò bastava per escluderlo. Non cedeva alle osservazioni di un ministro, di un
generale, del suo stesso confessore, a seconda del genere di persona o fatto di
cui si trattava. Rispondeva di non ricordare più cosa aveva saputo, ma che era
più sicuro servirsi di un altro, del quale non avesse saputo assolutamente
nulla. Furono dovute
alla sua curiosità le pericolose funzioni del luogotenente di polizia, che poi
crebbero continuamente d'importanza. Sotto il suo regno, questi ufficiali sono
stati sempre più temuti e più rispettati, considerati quanto i ministri anche
dagli stessi ministri, e non c'era nessuno in Francia, compresi i principi del
sangue, che non avesse interesse a trattarli con riguardi e che non l'abbia
fatto. Oltre ai rapporti seri che gli giungevano da loro, si divertiva
nell'apprendere tutte le galanterie e tutte le scemenze di Parigi. Il figlio di
Pontchartrain, che aveva Parigi e la corte nel suo dipartimento, lo lusingava in
modo così sfacciato con questo mezzo indegno, di cui suo padre era disgustato,
che sempre lo sostenne nei confronti del Re, per confessione del medesimo,
contro i duri attacchi ai quali, senza questo appoggio, non avrebbe resistito,
cosa che si è saputa più di una volta dalla Maintenon, dalla duchessa di
Bourgogne, dal conte di Toulouse e dai valletti personali. Ma la più
spietata di tutte le strade, attraverso la quale il Re fu informato per molti
anni e senza che nessuno se ne accorgesse, grazie anche all'ignoranza e
all'imprudenza di quanti seguitarono a informarlo, fu l'apertura della
corrispondenza. Ciò dette
tanto credito ai Pajots e ai Rouillés, che ne avevano l'appalto, per cui non
poté mai essere loro levato, né fu possibile farli aumentare di numero per
quel motivo così a lungo sconosciuto; e così vi si arricchirono tutti
enormemente a spese del pubblico e dello stesso Re. È quasi impossibile capire
la prontezza e l'abilità di quel procedimento. Il Re vedeva l'estratto di tutte
le lettere dove c'erano brani che i capi delle poste, e poi il ministro, da cui
dipendevano, ritenevano di fargli pervenire; vedeva anche delle lettere
complete, quando ne valeva la pena per il contenuto, o per la considerazione di
coloro che vi venivano nominati. Con tale mezzo i principali funzionari delle
poste, capi e commessi, furono in condizione di insinuare tutto ciò che piacque
loro, e a chi loro piacque, e, siccome un nonnulla faceva cadere in disgrazia
senza rimedio, non avevano nemmeno bisogno di inventare né di seguire un
intrigo. Una parola dispregiativa nei confronti del Re o sul Governo, uno
scherzo, insomma un brano di lettera specioso e avulso dal contesto, perdeva
inesorabilmente, anche senza alcuna perquisizione, e quest'arma era sempre nelle
loro mani. Così, a torto o a ragione, è incredibile quanta gente di ogni sorta
fu più o meno perduta. Il segreto era impenetrabile, e mai niente costò meno
al Re quanto il tacere e il dissimulare profondamente. Il Re spinse
questa qualità spesso fino alla falsità, senza però mai mentire
spudoratamente, egli si piccava di mantenere la parola, perciò non la dava
quasi mai. I segreti degli altri, li conservava con altrettanta religione dei
propri. Era anche lusingato da certe confessioni, da certe confidenze e dalla
fiducia; e non c'era amante, ministro o favorito che potesse venirne a
conoscenza, quand'anche il segreto li avesse riguardati direttamente. Tra molte
altre, si è poi saputa la famosa avventura di una dama di gran lignaggio che è
rimasta sempre sconosciuta e addirittura neppure sospettata. Separata da più di
un anno dal marito, trovandosi incinta e sul punto di vederlo tornare
dall'esercito, alla fine di ogni risorsa, fece domandare come favore al Re
un'udienza segreta, della quale nessuno potesse accorgersi, per una questione
importantissima. La ottenne. Si confidò al Re in quella estrema necessità,
dicendogli che si rivolgeva a lui come al più onesto gentiluomo del suo regno.
Il Re le consigliò di approfittare di quella grande difficoltà per vivere più
saggiamente in futuro e le promise di far trattenere immediatamente il marito
alla frontiera, col pretesto del suo servizio, tanto a lungo che egli non
potesse avere alcun sospetto e di non lasciarvelo ritornare per nessuna ragione.
Diede infatti, lo stesso giorno, l'ordine a Louvois e gli proibì non solamente
qualsiasi congedo, ma di consentire che si allontanasse neppure per un solo
giorno dal posto di comando assegnatogli per tutto l'inverno. L'illustre
ufficiale, che non aveva affatto desiderato e tanto meno domandato di essere
collocato d'inverno alle frontiere, e Louvois, che non vi aveva pensato affatto,
furono ugualmente sorpresi e seccati. Si dovette ugualmente obbedire alla
lettera e senza chiedere spiegazioni, e il Re raccontò questo fatto solo molti
anni dopo e solo quando fu ben sicuro che le persone implicate non potevano più
essere identificate, come effettivamente non poterono mai esserlo, e nemmeno
sfiorate dal più vago e indefinibile sospetto. Mai nessuno
donò con maggior grazia del Re, aumentando così il pregio dei propri benefici,
mai nessuno vendette meglio le proprie parole, i sorrisi, perfino gli sguardi.
Rese tutto prezioso con la scelta e la maestà, alle quali molto aggiungevano la
rarità e la brevità delle sue parole. Se le rivolgeva a qualcuno su questioni
importanti o su cose indifferenti, tutti gli astanti guardavano il fortunato;
era una distinzione della quale si parlava e che creava sempre una specie di
considerazione. Succedeva lo stesso con tutte le attenzioni e distinzioni, e con
le preferenze che il Re concedeva nelle loro proposte. Mai gli sfuggì di dire
qualcosa di scortese a qualcuno, e se doveva riprenderlo, rimproverare o
correggere, cosa del resto molto rara, lo faceva sempre con un'aria più o meno
accentuata di bontà, quasi mai con durezza, mai con collera; (eccettuata la
sola avventura di Courtenvaux, che ho narrato a suo luogo), quantunque fosse
collerico, solo qualche volta adoperò un tono severo.
|