18 aprile 2000 - Articolo del
Corriere della Sera
- In migliaia alla
contro-celebrazione a Porto Seguro dove approdarono i
conquistatori portoghesi di Cabral
Indios
del Brasile, 500 anni di rancore
Gli indigeni contestano le feste per la scoperta:
«Rendeteci le terre e la nostra identità»
- Prima della colonizzazione la popolazione india era di
cinque milioni. Ora sono ridotti a 330 mila
- PORTO SEGURO (Bahia) La spiaggia di Coroa
Vermelha, arrivando dal mare, è ancora la paradisiaca
visione che apparve agli occhi di Pedro Alvares Cabral,
il 22 aprile del 1500.
Un arco di sabbia fine e bianchissima, contornato da
palme, sempre piegate dal vento. Stona soltanto una
gigantesca croce di acciaio inossidabile, alta una
dozzina di metri, che il governo ha commissionato a un
artista contemporaneo. Non ce n'era bisogno, perché una
croce in legno, molto più sobria, a ricordare la prima
messa che i navigatori portoghesi celebrarono arrivati in
Brasile, c'era già da molti decenni sulla spiaggia.
Gli indios pataxos, che vivono in questa regione, avevano
iniziato tre settimane fa a costruire il loro
contro-simbolo: una base di cemento a forma di America
Latina, sulla quale ergere la statuetta di un indio che
dà le spalle alla grande croce. Il «monumento alla
resistenza» non è stato mai finito, perché il 4 aprile
scorso 200 poliziotti e un trattore, spediti qui dal
governatore dello Stato di Bahia, Cesar Borges, lhanno
spianato.
Poco edificante, l'episodio dei due monumenti è servito
comunque a dare il via alle celebrazioni non ufficiali
per i 500 anni del Brasile, ricorrenza alla quale il
grande Paese sudamericano si prepara scrupolosamente da
tempo. Un mega-evento in mezzo a discussioni e polemiche,
giochi politici e interessi camuffati, che troveranno
culmine nelle cerimonie di sabato prossimo, giorno in cui
cadrà esattamente mezzo millennio dall'arrivo delle
caravelle portoghesi su queste spiagge, nel sud dello
Stato di Bahia. La parte realmente interessante della
festa, e che ha riempito Coroa Vermelha di poliziotti
armati fino ai denti, inizia oggi. Si chiama «Conferenza
dei 500 anni dei popoli indigeni» e vuole sfidare la
retorica ufficiale sulla nascita armoniosa e
multirazziale di un Paese sorto su sangue bianco, indio e
nero. La parola d'ordine del convegno è «outros 500
anos», almeno un altro mezzo millennio di esistenza per
gli indios, possibilmente in condizioni migliori.
Sono già arrivati in duemila con autobus e trattori da
tutto lo sterminato Paese, portando con sé gli ornamenti
tradizionali e un'amaca a testa per dormire. Le donne si
dipingono il volto e le braccia, gli uomini sistemano i
loro cocares, copricapi tradizionali fatti di cortecce
d'albero, sopra il vestito tradizionale di tutti i
brasiliani poveri, una maglietta qualunque, meglio se
della propria squadra di calcio, i pantaloni corti, gli
infradito ai piedi. Ci sono i pataxos bahiani, impegnati
in dure battaglie per la terra, ma anche i guaranì del
Sud e gli yanomanos del Roraima, che stanno soccombendo
alle malattie e al mercurio portati dai garimpeiros, i
cercatori d'oro della selva. Quando Cabral arrivò a
Porto Seguro, sembra che gli indios brasiliani fossero
cinque milioni. Le ultime statistiche li indicano in
330.000, divisi in 215 etnie. La buona notizia è che la
popolazione india sta crescendo nuovamente da alcuni
anni, la cattiva è che la maggioranza di loro si trova
in zone del Paese dove la legge esiste solo sulla carta.
Dona Maura, pasionaria dei pataxos della riserva
Caramurù, ricorda i fratelli morti ancora di recente per
mano dei fazendeiros, i proprietari terrieri che negli
anni '50 ottennero titoli di proprietà illegali su terre
sterminate, grazie al potente ras di Bahia, l'attuale
presidente del Senato Antonio Carlos Magalhaes. «Siano
riusciti a recuperare 1.600 ettari della terra dei nostri
padri racconta Maura . Ne mancano 54.000, ma
ce la faremo». Commuove tutti la storia di Miriam, 19
anni, unica rappresentante qui dei maranhas, che vivono
in Amazzonia. «Siamo rimasti in 60, perché i
fazendeiros si sono comprati la polizia e ci stanno
terrorizzando per farci andare via. Ma non hanno ancora
vinto». E tutti ricordano che i portoghesi non hanno
scoperto un bel niente, perché la «terra dei
pappagalli», come la chiamarono all'inizio, esisteva
già da millenni e i suoi abitanti se la passavano anche
bene prima di finire decimati nelle piantagioni di caffè
e canna da zucchero.
Ma la saudade storica è davvero poca cosa, qui a Coroa
Vermelha, rispetto all'azione e alla discussione. Gli
indios brasiliani sono fieri e combattivi, ma non
nascondono punti di vista diversi. Un cacique, cioè
capotribù, spiega che esistono gli «integrati» e gli
«autonomi». «C'è chi vuole continuare a sfruttare
l'assistenzialismo pubblico e chi invece lo rifiuta,
preferendo lottare per l'autonomia economica e culturale.
E c'è chi sta in mezzo», racconta. Domenica pomeriggio
c'è chi è arrivato a piangere durante una riunione dei
caciques. Si era scoperto che quaranta capi, una
minoranza, avevano invitato alla conferenza il presidente
Fernando Henrique Cardoso. L'idea è stata ripudiata,
dopo una votazione. «La verità racconta uno
della linea dura è che questi 500 anni stanno
facendo piovere molti soldi sugli indios bahiani. Ma c'è
anche chi crede sinceramente alla perdita didentità
come sistema migliore per ottenere lavoro, scuole,
ambulatori». Il simbolo della commercializzazione è il
Patashopping, una costruzione che verrà inaugurata in
settimana e ospiterà un mercato permanente. Ma anche le
opere del governo in questa zona per la festa e le
potenti telecamere della rete Globo non sono quello che
gli indios otterranno nel Sertao o in Amazzonia.
La linea dura, invece, flirta con il Pt, il grande
partito di opposizione che manderà qui il presidente
José Dirceu e forse il suo leader di sempre, Lula, l'ex
sindacalista, eterno sconfitto alle presidenziali. E
soprattutto mantiene legami stretti con il movimento dei
Sem Terra. Duemila contadini sono alle porte di Porto
Seguro, per appoggiare la manifestazione indigena. Un
ruolo decisivo, infine, sta svolgendo la Chiesa
cattolica, nella sua anima progressista, legata alla
teologia della Liberazione.
L'organizzazione del convegno è di fatto totalmente a
cura del Cimi, organismo delle missioni indigene, vicino
all'ala sinistra della conferenza episcopale brasiliana.
Il suo presidente è un padre comboniano italiano, don
Franco Maserdotti, ora naturalizzato brasiliano e vescovo
di una cittadina del Maranhao.
Rocco Cotroneo