Esistenzialismo pedagogico

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Gaetano Mollo

 

L'esigenza di una nuova paideia, nel ripensare la condizione umana della postmodernità, può motivare e giustificare la ricerca di un nesso creativo tra quell'ampia corrente di pensiero, che è compreso col termine esistenzialismo, e l'attuale domanda sul senso e sulla funzione della pedagogia.

Il tale ottica, l'esistenzialismo può essere preso in considerazione ed inteso non solo come un determinato movimento filosofico, storicamente identificabile, ma anche come una concezione ampia dell'esistenza che - come per il personalismo - può presentarsi di là dal suo pur variegato svolgersi: si tratta di un'ampia prospettiva filosofica e di una riscontrabile esigenza etica.

 

1. Una prospettiva ed un'esigenza.

 

La prospettiva filosofica dell'esistenzialismo è quella di porre l'esistenza al centro della riflessione, in maniera tale da non dimenticare mai che il soggetto pensante è sempre innanzi tutto un soggetto esistente. Su questa linea Kierkegaard si è opposto a Hegel, nel considerare il valore della soggettività e con essa l'importanza delle categorie del divenire esistenziale, iscritte nel personale processo di sviluppo spirituale.  Così pure Feuerbach - da non considerare chiaramente esistenzialista in senso stretto - ha evidenziato il valore in sé dell'individualità e dell'essere sensibile[1].

Alla base della rivendicazione dell'esistenzialismo c'è la priorità della considerazione dell'esistenza rispetto a ciò che si è sempre ricercato com'essenza. Lo stesso Suchodolski n'evidenzia il principio basilare, per cui la caratteristica della filosofia dell'esistenza sarebbe quella di non consentire conclusioni necessarie sull'essenza dell'uomo[2].

L'esigenza etica dell'esistenzialismo è quella d'intendere le istanze della soggettività non più com'elemento da considerarsi all'interno di un sistema di pensiero, ma come dimensioni esistenziali in quanto tali: l'esistenza può essere compresa solo attraverso le categorie esistenziali. In tale ottica la ragione non è negata, bensì inclusa nella richiesta di comprensione dell'esistenza stessa e pertanto del suo necessario trascendimento[3].

Kierkegaard è stato per questo considerato il padre dell'esistenzialismo, in quanto interprete di quella rivolta contro la pretesa di voler fare dell'esistenza stessa un sistema. Nel suo contrapporsi alla filosofia hegeliana, infatti, la sua critica di fondo è nei confronti dell'astrazione[4]: l'opposizione è alla pretesa d'oggettività della speculazione, che in tal modo avrebbe finito col dimenticare ciò che rappresenta l'esistere e l'interiorità[5]. Il "conoscere essenziale", infatti, riguarda l'esistenza, in maniera tale che il "pensatore soggettivo" risulti diverso dal "pensatore oggettivo": il pensatore soggettivo è contemporaneamente un pensante ed un esistente, dato che « il compito del pensiero soggettivo è di comprendere se stesso nell'esistenza» [6]. Per questo si deve essere come gli artisti, per il fatto che la stessa esistenza è un'arte.

Se l'esigenza di fondo della soggettività è rivendicata da Kierkegaard, sino al sostenere che la verità è la soggettività - nel senso della necessità dell'appropriazione e dell'interiorizzazione di un conoscere che sia essenziale per la propria vita -, con Heidegger al centro della riflessione esistenziale è posto l'essere dell'Esserci, quale condizione umana dell'esistenza, caratterizzata dalle modalità della situazione emotiva e della comprensione.

Tuttavia, non si tratta della semplice constatazione dell'individualità in sé. Infatti, quando si riferisce alla soggettività, Kierkegaard intende innanzi tutto la realtà etica d'ogni singolo individuo, cui spetta lo sviluppo dello spirito come autoattività. In tal senso l'essere umano è "spirito in potenza". E' in tale processo che ci si può rapportare alla verità attraverso la passione, che rappresenta il "vertice" della soggettività stessa, al cui culmine si pone la passione per l'infinitezza, e quindi la dimensione della fede[7]. Da parte sua, Heidegger, considerando la condizione umana nel trovarsi gettato nel suo "Ci" - come Esserci già da sempre assegnato ad un determinato mondo - individua nella decisione la possibilità di comprendere e d'autoprogettarsi, quale determinazione delle possibilità di volta in volta effettive[8].

Pertanto - pur nella differenza delle due prospettive - sia per Kierkegaard sia per Heidegger c'è una netta distinzione tra il puro esistere dell'individualità e la consapevolezza dell'essere al mondo[9].

Caratteristica dell'esistenzialismo è, pertanto, quella del porre al centro della considerazione filosofica le categorie esistenziali, quale forme dell'essere al mondo in relazione alla condizione umana ed alle situazioni dell'esistenza. Così l'angoscia, la libertà, la disperazione, la fede, l'impegno, la disponibilità assumono il ruolo di caratterizzanti essenziali, in una dialettica che da quantitativa si fa qualitativa. La categoria della qualità, in tale prospettiva, attesta la centralità del soggetto esistente[10]. Su questa linea Luigi Stefanini evidenzia il fatto che l'esigenza fondamentale dell'esistenzialismo sia appunto quella che la filosofia si personalizzi, avendo il singolo alla base ed al vertice, risultando quindi "filosofia del singolo e sul singolo"[11].

La centralità del soggetto esistente pone l'accento sulla crisi di ogni filosofia che voglia presentarsi come onnicomprensiva, e quindi svela - come rileva Luigi Pareyson - "l'inanità della superbia della ragione", in maniera tale che l'esistenzialismo rappresenti lo specchio della coscienza contemporanea, con la consapevolezza della problematicità ed instabilità del pensiero, per il suo stesso carattere storico e personale[12].  E' in tal senso che n'è rivendicata l'attualità e l'istanza personalista, in particolare con riferimento all'esigenza di uno spiritualismo rinnovato, nel rapportarsi creaturale a Dio, attraverso la libertà e la responsabilità della persona stessa, pur storicamente situata e condizionata[13].

Così, al di là di ciò che ha rappresentato anche in Italia - specie rispetto all'idealismo ed allo spiritualismo - al fine di poterne rilevare l'attualità, ciò che ne va considerata è la significatività. E' in tale prospettiva che il riferimento e la contestualizzazione pedagogica ne possono delineare il fermento e la produttività. Ciò che, infatti, deve poter essere considerata è la centralità del soggetto esistente, quale artefice della propria storia e corresponsabile della condizione umana.

Ogni visione esistenzialista diventa, pertanto, contraddittoria qualora assolutizzata, mentre la sua validità è nel rappresentare una prospettiva, o meglio una fra le prospettive, tale che le diverse concezioni e le possibili catalogazioni (positivo/negativo, ateo/teistico) vadano considerate dialetticamente, non come pura contrapposizione logica. E', infatti, sul piano esistenziale che assumono il loro valore, tale che la loro stessa scelta non dipenda da pure considerazioni razionali, bensì dall'esperienza di vita, dalla riflessione personale e pertanto dall'espandersi della libertà del soggetto nel suo appassionarsi all'esistenza.

 

2. La centralità del soggetto.

 

Il conferimento di significatività alle categorie esistenziali pone il soggetto esistente come singolo individuo al centro della considerazione filosofica, pur nelle diversità di prospettive. Così Kierkegaard rileva l'esigenza di una correlazione esistenziale fra l'adesione ideale e la pratica di vita. Sartre afferma che l'esistenza precede l'essenza. Heidegger fa consistere l'essenza dell'esserci nella sua stessa esistenza.  Marcel si riferisce al vincolo nuziale che c'è fra ogni soggetto umano e la vita stessa, delineando una metafisica del "noi siamo", in opposizione alla metafisica dell'io penso. Jaspers rileva la consapevolezza della finitezza, non solo come deficienza radicale, ma anche come esigenza di altro, d'infinito.

Le diverse prospettive si presentano come tante sfaccettature della centralità del soggetto esistente, tale che la ricerca di senso assuma il valore di motivazione riflessiva e d'impegno realizzativo. In questo quadro diventa centrale lo stesso costituirsi dell'essere soggetti esistenti, non più il puro sapere in quanto tale, nella sua presunzione conoscitiva, od il mero fare, nella sua riscontrabilità dimostrativa. Il porre l'attenzione sulla dimensione dell'esistenza riporta al centro il soggetto, non soltanto nell'atto della conoscenza, ma essenzialmente come centro di sensazioni, sentimenti ed immaginazione. E' dal far riferimento sia al pensiero sia al sentimento ed all'immaginazione che discende la possibilità di considerare il soggetto esistente nella sua reale capacità d'autoformazione, quale vera e propria via d'autenticazione [14].

Ci sembra questa la pista privilegiata da seguire, al fine di correlare ad una prospettiva pedagogica il movimento di pensiero che si riconosce nella filosofia dell'esistenza. Diversamente, ci troveremmo a dover ripercorrere la lunga strada analitica delle tre principali correnti dell'esistenzialismo: la tedesca, la francese e la russa, per poi far seguire quell'italiana, come quarta. Questo richiederebbe non solo uno studio di ben altre proporzioni, ma anche l'introduzione di tante e tali distinzioni da nuocere all'intento stesso di questo lavoro, tali e tante si presentano le differenziazioni e le sfumature di quelli che possono essere, a ragione, presentati come diversi e variegati esistenzialismi.

Questo cercare la matrice di convergenza dell'esistenzialismo ci porta a considerare, con Heidegger, che l'essere non è una creazione del pensiero, bensì il pensiero essenziale è un avvenimento dell'essere, dato che l'essere non è mai senza l'ente, né l'ente senza l'essere[15]. In tal modo "l'Esserci esiste effettivamente"[16] nel suo essere gettato nel modo di essere del progettare, tale che la comprensione del proprio divenire sia costituita dall'apertura, da intendersi come la stessa costituzione dell'essere-nel-mondo. Questo rappresenta ciò che per Heidegger è il "progetto", come costituzione ontologico-esistenzale dell'ambito di un poter-esser effettivo, che in quanto tale è sempre "aperto al mondo" e continuo frutto di un'interpretazione, quale risultante di una pre-visione sui possibili modi di essere. Per questo « solo l'Esser-ci può essere fornito di senso o sfornito di senso » [17]. E' in tale attribuzione di senso che acquista valore l'esistenza, in una proiezione di possibilità. Su questo si apre la dimensione del divenire progettuale, quale prospettiva di tensione accrescitiva [18].

La prospettiva dell'esistenzialismo pone l'essere come divenire, in quanto la centralità della libertà è attestata dal sentimento dell'angoscia: la possibilità di divenire come rischio, salto, condanna o scelta, in ogni caso come opportunità. 

Così, Kierkegaard rileva che « un io, in ogni momento della sua esistenza, è in divenire; perché l'io è soltanto ciò che deve sorgere» [19]. Heidegger afferma che «esistenza significa poter essere, e quindi anche poter-essere autentico»[20]. A sua volta, Sartre sostiene che « l'uomo è libertà. Siamo soli senza scuse: l'uomo è condannato ad essere libero »[21]. Dal suo versante, Jaspers evidenzia la centralità dell'uomo nella stessa dinamica della libertà, attraverso la quale poter compiere il salto da un'esistenza puramente vitale ad un'apertura al mondo ed a Dio, così che « l'uomo può nella sua condotta vivere di Dio »[22].

Certamente, diversi sono gli esiti di tali prospettive, ed è questo il problema del senso del divenire, ossia ciò che risulta dalla riflessione sull'autenticità dell'essere dell'esistente. Per questo la "possibilità" si presenta come la categoria fondamentale, in quanto paradigma di configurazione dell'esistenza stessa. La categoria della possibilità rappresenta la considerazione della soggettività come centro di libertà e conseguentemente la ricerca della dimensione del divenire, come processo di autenticazione. Così, Abbagnano evidenzia la "possibilità trascendentale", quale potere specifico dell'uomo, nella sua caratteristica di criterio e norma di ogni possibilità[23].

In ogni caso, comune a tutte queste differenti caratterizzazioni dell'uomo, è il rifiuto d'una concezione dell'esistenza inglobata in un pensiero dove tutto sia logicamente identificabile e spiegabile. La presa di coscienza è quella della problematicità dell'esistenza stessa, considerando con Pareyson che «a tutti gli esistenzialismi è comune la centralità dell'esistenza umana, quale coincidenza di autorelazione e relazione con l'essere »[24].

Sull'autenticità, infatti, si misura il modello esistenzialista. Questo ha portato a delineare una pur sommaria distinzione tra esistenzialismo positivo ed esistenzialismo negativo, individuando nel primo la possibilità di riferimento della libertà all'Assoluto, a Dio, nel secondo l'irriferibilità del finito all'Infinito. In termini più analitici la prospettiva negativa è stata identificata nell'esistenzialismo ateo - in cui l'esistenza si risolve senza residui nella temporalità e nella storicità - ed in quello teistico - quale possibilità per l'uomo di partecipare all'eterno [25].

Queste due prospettive possono essere considerate, a ragione, nei loro due contrapposti esiti. Infatti, di fronte alla domanda sul senso dell'esistenza la via positiva può essere intrapresa con l'atto della scelta di relazionarsi col Dio-Amore, così come ce la presenta Kierkegaard, o con il primato dell'Essere, quale dimensione del mistero, partecipabile attraverso il suo prospettarsi come un appello, come ci è proposto da Marcel. Diversamente, la via negativa può individuarsi nell'abbandono stesso della domanda sul senso dell'essere, per riferirsi solo al significato del se-stesso - così come lo prospetta Heidegger - tale da risolverne la comprensione nel precorrimento della morte, conseguenza della stessa struttura nullificante dell'esser-gettato, o dal riconoscimento dell'uomo come passione inutile - così come giunge ad asserire Sartre.

Ciò non di meno, possiamo più proficuamente risalire alla comune istanza esistenzialista: la configurazione dell'esistenza attraverso le categorie dell'esistere, con al centro la libertà del soggetto esistente[26].

In tale attuarsi può configurarsi lo stesso processo formativo, quale educazione alla libertà, da intendersi e proporsi come offerta ed opportunità per ogni singolo individuo di potersi autodeterminare. In tale prospettiva il primato dell'esistenza evidenzia un'identità del differente, non solo quale tensione fra l'originario e l'intersoggettivo[27], ma anche come condizione stessa delle diverse possibilità del divenire di ogni singolo esistente.

Su tale linea di pensiero l'istanza emerge come il termine di riferimento di una riflessione pedagogica rivolta alla valenza centrale dell'esistenzialismo. Diversamente dalla natura, che non ha storia, l'essere umano è storia attraverso la libertà, che ne rappresenta la costitutività stessa. Se, pertanto, la libertà non risulta una semplice proprietà dell'essere umano, ma sua stessa condizione di potenzialità, allora l'angoscia, come intrinseca possibilità di divenire, viene ad assumere la caratteristica dell'originaria connotazione dell'esistenza stessa.

Da qui, imprescindibilmente, la preoccupazione e l'intenzionalità educativa si presentano come basilari strutture portanti dello stesso processo formativo della persona[28].

 

 

3. La condizione dell'angoscia.

 

La categoria dell'angoscia si presenta nell'esistenzialismo come la condizione stessa dell'essere al mondo. In tal senso, per Kierkegaard è "possibilità per la possibilità", ed in questa accezione è la realtà della libertà, quale dinamica dello spirito, che può farsi "possibilità per la libertà"[29]. In tale visione solo attraverso di essa ci si può "formare assolutamente", in quanto ogni singolo individuo esistente può scegliere il suo stesso modo d'esistere attraverso l'assunzione d'un compito di vita etico.

Per Jaspers l'angoscia è uno stato d'animo originario, costituito dalla stessa "deficienza radicale umana" e dal dover oltrepassare la finitezza, tale che l'angoscia dell'esistenza s'imponga come "dimensione trascendentale dell'essere umano"[30]. Solo attraverso una comprensione affettiva non soltanto può esser colto tale "sentimento senza oggetto", ma si può avvertire l'esigenza di dover oltrepassare la finitezza - oltre la consapevolezza del naufragio della pura razionalità - in forza di una fede cha abbia sempre bisogno di comprovarsi [31].

Per Heidegger l'angoscia è indotta dallo stesso spaesamento di fronte al reale, così da presentarsi come "disposizione fondamentale", rivelatrice del niente come "velo dell'Essere" [32]. Per questo può sempre destarsi, in ogni situazione, data la stretta connessione tra Esserci, angoscia e niente, «poiché l'essere stesso è limitato essenzialmente, e si rivela soltanto nella trascendenza dell'essere esistenziale che si trova tenuto dentro al niente »[33].

Per Sartre l'angoscia è lo stesso modo d'essere della libertà, come "coscienza d'essere", tale che « nell'angoscia mi percepisco come totalmente libero ed insieme impotente a far derivare da me il senso del mondo » [34]. Da qui il disorientamento caratterizzante la condizione umana, nella drammatica consapevolezza della libertà come "passione inutile", considerando che « l'uomo è legislatore che sceglie per sé e per l'intera umanità» [35].

Per Marcel l'angoscia è nascosta nell'indigenza essenziale, tale che l'essere umano si connoti per il bisogno, partendo dal quale, tuttavia, può svelarsi l'implicazione profonda con l'esistenza attraverso un appello, che interpella l'uomo a farsi disponibile alla dimensione dell'essere[36].

Ciò che, pertanto, risulta accomunante - dato che la dimensione dell'angoscia è da assumersi come riferimento della condizione del singolo individuo esistente - è la rilevazione della soggettività presa come fondante rispetto all'oggettività, tale che l'esperienza della finitezza ne risulti il punto di partenza[37].

La riflessione pedagogica di fronte al modello esistenzialista si pone, in definitiva, come processo d'autoformazione. Il senso del formarsi è nella stessa condizione dell'angoscia, richiedente un atto di scelta ed un'anticipazione: la progettualità significante come apertura verso l'esistenza e comprensione del proprio situarsi nel mondo, tale da doversi assumere un compito rispetto alla propria vita. Su questa linea di pensiero Kierkegaard ci richiamo al dovere di concepire e di esprimere in concreto il personale "compito essenziale"; Jaspers rivendica la necessità d'assumersi il rischio dell'"apertura radicale", intraducibile in enunciati, ma esperibile attraverso l'esperienza stessa dell'essere; Marcel delinea la produttività dello "stato d'inquietudine", quale condizione per orientarsi e prendere decisioni, diversamente dall'effetto annichilente dell'angoscia paralizzante. E' in tal senso che l'io diventa autentico principio di creazione[38].

Su tale linea s'innesta la necessità del processo formativo come processo spirituale - nel senso in cui l'intende Abbagnano - in quanto sia la spiritualità sia la ragionevolezza sono per l'uomo "una possibilità che egli deve realizzare", richiedendo in tal modo "uno sforzo continuo"[39].

 La ricerca dell'autenticità, allora, può essere individuata alla confluenza di tutte le rilevazioni e le diverse piste degli esistenzialisti, quale intrinseca esigenza di ogni singolo essere umano in quanto esistente.

 

 

4. La dimensione dell'autenticità.

 

La dimensione dell'autenticità rappresenta il poter essere più proprio per ogni esistente. Con Kierkegaard tale autenticazione è effetto del principio di realtà, per cui il singolo individuo si autentica nell'unità di possibilità e di necessità, così che sia l'essere fatalisti sia l'essere possibilisti rappresentino due approcci riduttivi e fuorvianti per l'attuazione dell'esistenza[40].

L'autenticità si presenta come la risultante di un processo d'attuazione, attraverso il quale l'angoscia è tolta col porre l'attenzione sul proprio sviluppo spirituale, senza perdersi nelle possibilità del poter essere e senza rassegnarsi alla necessità dell'essere. E' questa per Kierkegaard la dimensione del divenire, che si presenta come intrinsecamente etica, in quanto "aspirazione continua" ed "ipertensione dell'infinità"[41].

In tale processo si configura l'autoattività - come processo interiore intenzionale - che viene a svelarsi come la stessa dimensione del divenire. Da qui l'opportunità dell'autoformazione come processo spirituale, offrendo ad ogni singolo soggetto la possibilità di percorrere tutte le tappe della propria evoluzione.

In questa caratterizzazione dell'etica in termini essenzialmente esistenziali si svela la centralità dell'esistenza, non come ambito di pura riflessione, ma come determinazione dell'appassionante impegno a divenire se stessi.  Per questo, per Kierkegaard la libertà deve passare all'atto, attuando la tensione di possibilità e necessità, dato che « la verità della libertà, il suo "essere", è nel suo divenire e non nella possibilità[42].

In questa prospettiva kiekegaardiana l'esistenzialismo può svolgere la sua produttività pedagogica: da un pensare che si sviluppa in una ambito concreto non può che discendere un continuo rimando all'emergere delle virtù dell'essere.  Così, il compito essenziale è con se stessi, quello d'interiorizzare ciò che diventa motivo di vita, in quanto principio etico di riferimento, e di ricercarne la coerenza nella continuità, dato che « in quanto l'esistenza è movimento vale il principio che c'è una continuità la quale unifica il movimento, altrimenti non c'è effettivamente nessun movimento» [43].

In tale processo d'interiorizzazione possiamo riscontrare la fertilità dell'esistenzialismo in proiezione pedagogica: la "cultura di carattere" di Kierkegaard - tale che si tratti del mettere in pratica ciò che si comprende[44] - ed il "pensiero impegnato" di Marcel - per cui il riferimento agli altri e la conseguente disponibilità sono indispensabili per la stessa comprensione di se stessi [45] -, si delineano come punti nodali di tale prospettiva.

Questo divenire se stessi, tuttavia, non rappresenta una disattenzione agli altri. L'interpretazione dell'esistenzialismo, come centratura del mondo su se stessi e sulla propria situazione esistenziale, è riduttiva[46]. C'è una tensione fra il proprio mondo e ciò che sta oltre il proprio orizzonte. Da qui la possibilità dello scacco - come per Jaspers - ma anche della fede - come per Kierkegaard, dello smarrimento, per Heidegger, o della condanna alla libertà, per Sartre, ma anche del senso del mistero - come per Marcel - o del ricominciamento continuo - come per Abbagnano.

Anche in questo caso se è affermabile che, seguendo le riflessioni dei vari esistenzialismi, diverse devono poter essere le considerazioni e differenti gli esiti, è pur lecito sostenere che il rimando al soggetto esistente consente il dispiegarsi di tutta una serie di possibilità, con al centro la libertà dell'essere.

E' nella dimensione dell'esistenziale che i diversi esistenzialismi trovano la loro caratterizzazione, pur non ritrovandosi in una comune risoluzione: si tratta del riferimento ai possibili modi d'essere del soggetto esistente, ossia all'autodeterminarsi della singolarità dell'essere uomini. In questo interessarsi di ogni soggetto esistente a se stesso - tale che ogni singolo uomo sia intenzionalmente volto alla sua possibilità di essere [47] - si rivela la dimensione del divenire quale autenticazione.

La rivendicazione dell'autenticità  rimanda in tal senso da un lato alla necessità dell'estrinsecazione dell'essere umano, da un altro lato alla considerazione di una dimensione di perfettibilità, caratteristica dell'umanità in quanto situata nella cultura e costituita da essa[48].

Si tratta, tuttavia, di un divenire che deve fare i conti con l'intrinseca possibilità di essere e quindi con la stessa presa di posizione rispetto all'esistenza. In questo resta la perplessità della mancanza del riconoscimento di una comune umanità, se si considera la critica sempre di Pfeil, secondo cui «l'esistenzialismo nega ogni essenza umana, in cui convergono tutti e sempre i singoli uomini » [49].

La riflessione pedagogica, pertanto, è chiamata su questo a porsi il problema della formazione come percorso riflessivo ed attivo di autodeterminazione, attraverso lo strutturarsi ed il configurarsi della coscienza stessa, non più da intendersi come costruzione o creazione della realtà, piuttosto come un "aprirsi al mondo", un "esporsi" heideggerianamente a ciò che è ed un "farsi disponibili" - come indica Marcel - allo svelarsi infinito dell'essere.

Pertanto, il diverso risolversi del processo d'autenticazione rimanda a ciò che accomuna i vari esistenzialismi: il loro configurarsi sul comune orizzonte della possibilità della libertà. Diversamente, invece, si prospettano gli esiti di tale percorso esistenziale. Basti, a titolo di esempio, considerare la prospettiva kierkegaardiana e quella heideggeriana.

L'autenticità si risolve in Kierkegaard nel rapportarsi alla potenza creatrice e nel divenire come scelta rispetto al paradosso del Dio nel tempo. In Heidegger si svolge nella temporalità, quale anticipazione dell'essere-per-la-fine, tale che il poter essere autentico risulti essere intrinsecamente l'anticipazione consapevole della morte, come "imminenza che sovrasta" e pertanto quale potersi fare liberi nella "possibilizzazione anticipatrice", che diventa "chiamata" come scelta [50].

Ed è sulla scelta che i due modelli si diversificano: il modello kierkegaardiano è dialettica tra disperazione e fede, tempo ed eternità il modello heideggeriano è dialettica fra apertura e progetto.

In ogni caso, ciò che può accomunarli è la ricerca d'autenticità, all'interno di una dimensione più ampia di trascendenza, come lo è l'essere rispetto al progetto stesso.

Così, Heidegger evidenzia la centralità della libertà nel permettere ad ogni uomo di costruirsi il proprio mondo sia rispetto a se stesso che agli altri, attraverso appunto il proporre e contrapporre a se stessa l'"in-vista-di", dato che "l'essenza di se-Stesso (Ipseità) consiste nella trascendenza". Quest'ultima è da intendersi come uno "slancio in avanti" del possibile, ed in quanto tale si fa disvelamento della stessa essenza del fondamento, come progetto e coinvolgimento nel mondo, tale da giustificare ontologicamente l'ente stesso[51].

Con Jaspers si può affermare che sia proprio il senso del limite a far percepire all'essere umano il sentimento del naufragio, da intendersi come situazione ambigua, nella quale si possa anche cogliere la prospettiva dell'eternare, considerando che «l'autentico se stesso non può avere in sé il proprio fondamento ultimo»[52].

Questa cifra può ben rappresentare una comune valenza esistenzialista: il non poter prestabilire esiti e configurare prospettive. Al soggetto esistente è lasciato il compito di aprirsi al mondo delle possibilità, sondandole e rispondendo ad esse attraverso l'esistenza stessa. Per questo - sempre secondo Jaspers - l'autenticità si svela nel concreto, storico atto della decisionalità, tale che « solo quando l'uomo dalla decisione passa ad una risoluzione che riempie il suo essere, egli è autenticamente - esistenzialmente -uomo »[53].

Con Marcel è evidenziata la metafisica del "noi siamo" rispetto all'io penso, tale che dalla proficuità dell'inquietudine possa scaturire l'elevarsi dalla pura esperienza. E' dalla contemporanea percezione della presenza e della distanza che per il pensatore francese scaturisce la necessità del procedere esistenziale, sul piano dell'impegno e della continua conquista della libertà. Nel coinvolgimento, infatti, si può scoprire l'annuncio di un autentico "coesse", quale intimità autentica, effetto di "disponibilità spirituale totale" e di "pura carità" [54].

In tutte queste prospettive è presente l'istanza dell'autenticazione come esigenza del soggetto esistente di divenire e di farsi attraverso le modalità dell'esistenza stessa. In questo, l'istanza dell'autenticità si manifesta come atto di trascendimento, come rinascita o ritorno ad un'esistenza autenticamente scelta, assimilabile - come rileva Paci [55] - all'esperienza della creazione artistica od a quella religiosa.

Per tutto ciò l'autenticità dell'essere non può essere colta solo attraverso il pensiero, bensì in forza di un definirsi esistenziale, dove l'apertura, la scelta, il progettarsi e l'assunzione della responsabilità di tali atti risultino fondanti per il configurarsi dello stesso soggetto esistente. In tal senso le considerazioni del divenire esistenziale rappresentano almeno un'indicazione in negativo di tutto ciò che risulta insufficiente e limitato, rispetto all'istanza etica di tensione spirituale e di attuazione esistenziale.

Da qui il forte richiamo all'esigenza di una pedagogia centrata sul soggetto nel suo autoformarsi, attraverso la consapevolezza degli atti decisionali e l'assunzione di compiti di vita. In questo, appropriatamente, Abbagnano evidenzia l'urgenza di una pedagogia collegata alla psicologia ed alla sociologia, tale da produrre un "accordo critico", volto a preoccuparsi dell'area esistenziale delle scelte, dei progetti e dell'impegno[56].

Per questo diventa un vantaggio, per il processo di autenticazione umana, il fatto che, pur potendo far riferimento ad un esistenzialismo pedagogico, non esistano trattazioni pedagogiche che si possano fregiare dell'etichetta esistenzialista. Ed è in tal senso che Bertin ne connota la sua peculiare caratteristica nel suo rimando ad un'educazione etico-religiosa, che risulta essere più allusiva che orientativa, volta all'interiorità come un appello ed una sollecitazione[57].

 

 

5. Per una pedagogia della concretizzazione.

 

La dimensione dell'autenticità s'impone, pertanto, come termine di riferimento per tutto il pensiero esistenzialista. In tale ottica si chiarisce la distinzione tra "esistenziale" - come singolarità anonima, che è condizione dell'esistenza - ed "esistensivo" - in quanto concreto rapporto con la particolare situazione di vita[58]. Per questo l'autenticità è principio di sviluppo spirituale e di caratterizzazione esistenziale, non mero giudizio morale. E' in tal senso che la comprensione esistenziale si attesta come percorso di autenticazione. Senza la comprensione di se stessi nell'esistenza - e quindi senza l'attribuire un significato al proprio vivere - ciò che si viene a perdere è lo stesso senso dell'esistenza.

Così, il fare filosofia con l'esistenzialismo significa cercare di comprendere la propria esistenza, è questo è avvenuto non solo dopo Heidegger - come sostiene la Arendt [59]- ma già dopo Kierkegaard. Il pensatore danese sostiene, infatti, che il fine della vita è la comprensione di se stessi nell'esistenza, dimensione questa inattuabile senza un duplice dialettica: quella con se stessi - quale riconoscimento dell'impossibile coincidenza fra pensare ed esistere, dato che si pensa in modo intermittente e quindi il pensiero dell'esistente non può raggiungere una continuità assoluta[60] - e quella di cercare di essere soggettivi con gli altri - quale necessità di farsi obiettivi con se stessi, al fine di poter comprendere, tramite il decentrarsi, la diversità d'atteggiamenti e posizioni esistenziali.

Per tutto ciò, per Kierkegaard, rispetto al cristianesimo, la difficoltà non del l'attuazione, dato che si tratta del vivere in ciò che si crede, appunto perché la fede abita nell'esistenziale ed esprime un rapporto di personalità a personalità con l'Uomo-Dio. Non a caso per Kierkegaard il cristianesimo non è reputato una dottrina, bensì una comunicazione d'esistenza. In quanto comunicazione d'esistenza, pertanto, risulta fondata sulla reduplicazione, quale espressione della tensione etica. Per questo la forma della comunicazione indiretta è privilegiata - quando si tratta di trasmettere un messaggio etico o religioso - appunto perché veicolabile solo dall'esemplarità, in riferimento ad una ricerca di coerenza esistenziale.

Così per Jaspers l'uomo nella sua totalità non può divenire mai oggetto della conoscenza: non esiste alcun sistema dell'essere umano[61]. L'uomo non può essere compreso come un oggetto d'indagine, data la sua trascendenza rispetto al definirsi e determinarsi, in quanto « l'uomo come esistenza è più dell'insieme delle relazioni comprensibili e più dell'insieme delle sue disposizioni biologicamente afferrabili» [62]. Per questo Jaspers sostiene  che si può divenire autenticamente uomini, solo nel passaggio dalla decisione ad una risoluzione di vita totale, che avvolga tutto l'essere. E' l'esistenza come esperienza pratica a costituirsi come determinante: « il cammino della decisione è la storicità concreta» [63].

La stessa esigenza di concretizzazione era stata evidenziata da Kierkegaard, con l'evidenziare nell'esistenza il valore della tenzione realizzativa, dato che « l'esistenza non è un astratto prodotto della fretta, ma un'aspirazione ed un'attesa perseverante»[64].

Così pure, la stessa riflessione filosofica trova la sua possibile elaborazione e configurazione - sempre in termini esistenziali - solo in riferimento ad un'esperienza autenticamente vissuta. E' in questo che Marcel individua la percezione dell'esistenza nell'opportunità di farsi conoscere e riconoscere dagli altri, tale da reputare come vera filosofia solo ciò che derivi da un'elevazione dell'esperienza stessa. E' in questo che l'esperienza autenticante diventa quella del "coesse " - ossia dell'intimità fra l'io, il tu e gli altri - concretizzata attraverso la disponibilità spirituale totale [65].

Parimenti, Abbagnano rileva l'essenzialità della coesistenza per l'esistenza, il che significa « riconoscere la dignità e l'importanza degli altri rispetto alla mia stessa esistenza» [66].

Su questa linea una pedagogia che tenga presente le prospettive dell'esistenzialismo deve percorrere la via del recupero dell'integrazione fra sensazioni, sentimenti e pensieri, in un rimando creativo e produttivo. Liberazione delle sensazioni, autoconoscenza ed espansione della coscienza ne dovrebbero delineare il percorso. In questa prospettiva la riflessione pedagogica deve riprendere la sua focalizzazione sull'educativo, per non astrarsi in una dimensione burocratica, "staticamente scientifica e socialmente uniforme" - come rivendica anche Remo Fornaca [67] - ma centrata ed attenta alle problematiche esistenziali.

Questa la via della comprensione autentica, edificata sull'interiorità e sulla reciprocità e quindi richiedente due condizioni: il tempo e la disponibiltà. In tale ambito si può accogliere l'invito di Max Scheler a considerare il valore di un'etica emozionale, ponendo al centro le dimensioni delle sensazioni e dei sentimenti, attraverso i quali poter individuare e perseguire personali orientamenti di vita, non dedotti dalle azioni, bensì percepiti in esse[68]. E' in questo svincolamento tanto dall'esperienza induttiva quanto dal pensiero puro, che è riconosciuta la primarietà del vissuto, quale stessa precedenza gnoseologica dell'amare sul conoscere in sé.

Su queste basi si deve attribuire - sulla scia di quanto sostiene anche la Arendt [69] - alla questione della comunicazione un ruolo centrale per la filosofia dell'esistenza.  S'innestano in tale discorso l'invito di  Kierkegaard a non ridursi a "macchine parlanti", imparando a mente tutto, come una filastrocca, ma senza comprendere ciò che in ogni discorso ci riguarda personalmente[70], ed il richiamo di Heidegger a considerare il linguaggio come la stessa "casa dell'Essere"[71], non scadendo nella "chiacchiera", quale  « possibilità di comprendere tutto senza alcuna appropriazione preliminare della cosa da comprendere»[72].

L'attenzione alla comunicazione da parte degli esistenzialisti indica la necessità di considerarla pedagogicamente rilevante, al fine di permettere la configurazione stessa della personalità morale, quale modalità privilegiata di portare a consapevolezza l'intenzionalità  comunicativa, e la stessa disponibilità ad scoltare, dialogare e riesaminare idee e posizioni.

La produttività pedagogica dell'esistenzialismo è, pertanto, nel suo rimandare non tanto al problema dell'esistenza in quanto tale, ma all'esigenza della fecondità dell'esistenza[73]. Tale tesi può essere suffragata dalla centralità del divenire del soggetto esistente e dal suo interessarsi al proprio autosviluppo. Questo non nella chiusura solipsistica, bensì nell'apertura agli altri, basata sul senso della "comune unità" - come ce lo presenta Marcel [74] - tale che dalla comprensione concreta della propria esperienza possa discendere autentica disponibilità spirituale verso gli altri. Tale unità, tuttavia, rischia di scadere in un processo d'uniformizzazione, qualora non ci si possa riferire - come delinea Martin Buber[75] - ad un originario spirito comunitario, capace d'ispirare e pervadere la comunità del genere umano.

 

7. La progettualità esistenziale.

 

La conseguenza della focalizzazione sull'autoformazione è quella di richiedere un'educazione alla riflessione ed alla scelta, come centralità della soggettività in divenire ed in situazione: il processo educativo in tale ottica s'incentra sempre sull'individualità e mai sulla massa. Ci sembra che in tale prospettiva vada configurandosi un'ipotesi di pedagogia dell'autoriflessione e della comprensione soggettiva, quale atto del soggetto che può autenticarsi attraverso la progettualità esistenziale, al di là della complessità dei sistemi e dei condizionamenti ambientali, anzi nonostante tali condizioni. D'altronde, la stessa dimensione della sofferenza ed il senso del limite rappresentano condizioni d'attuazione.

E' in questo che la prospettiva pedagogica congruente con l'istanza esistenzialista si concentra sull'individuo e non sulla massa - come rileva Bertin -, dato che « l'etica non conosce la massa, ma l'individuo; per l'etica è dovere di ogni individuo diventare un uomo completo »[76]. Infatti, va sempre considerato che l'esistenza non è oggetto di sapere, bensì una continua risultante di atti etici, determinati da un'aspirazione e richiedenti un'attesa perseverante. Senza aspirazioni l'esistenza resterebbe priva di significati e senza attese risulterebbe vita senza prospettive.

La rilevanza attribuita alla soggettività ed alla progettualità si prestano a considerare l'angolazione pedagogica quale snodo formativo privilegiato, atto a mettere in moto, attraverso le motivazioni etico-sociali, i meccanismi dell'intenzionalità. Infatti, la soggettività è essenzialmente tensione etica, ossia esigenza d'azione, tale che il suo oggetto sia la stessa personalità, quale continua conquista di essere[77]. In tale conquista il divenire si svela come la dinamica interiore fatta di passione, riflessione, decisione ed azione, quale "processo interiore" quest'ultima - per dirla con Kierkegaard - « in cui l'individuo toglie via la possibilità e s'identifica col pensiero per esistere in esso»[78]. 

E' in tal senso che il messaggio dell'esistenzialismo è quello di una tensione salutare dell'esistenza verso l'essere. Tale tensione lascia all'essere umano il compito di scegliere e di costruire il proprio destino, in quello che Abbagnano ha delineato come "l'orizzonte della virtualità inesauribile dell'Essere". In tal senso il ricominciamento si prospetta come possibilità di riprogettarsi continuo. Anche a questo può attingere propulsività un'autentica educazione permanente, che intenda e voglia interpretare l'esistenza come una reale messa alla prova e continua rigenerazione.

Il tema della responsabilità diventa in tal modo centrale nella proiezione pedagogica dell'esistenzialismo: la responsabilità di porsi consapevolmente di fronte alla propria esistenza ed a quella degli altri, d'assumersi un impegno etico di fronte alle diverse situazioni dell'esistenza, di sentirsi coinvolti nelle situazioni  esistenziali e di poter prendere posizione [79].

Conseguentemente a tutto ciò un'autenticità formazione esistenziale rimanda all'entusiasmarsi per qualcosa, mettendo poi in atto un processo di rilevazione riflessiva, al fine di poter operare una scelta, in base alla quale prendersi impegni esistenziali ed assumersi compiti di vita.

In questo la lezione esistenzialista può diventare propulsiva e fermentante, quale centratura sul soggetto esistente. Da tale angolazione si aprono le prospettive dell'impegno etico-sociale in forza dell'apertura e dell'appassionarsi progettuale.

 

8. Per una pedagogia responsabilizzante.

 

Quella che è delineata è, pertanto, una pedagogia della libertà, da intendersi come apertura e progettualità. Contemporaneamente viene prospetta una pedagogia della responsabilità, quale considerazione dei compiti e degli impegni da assumersi in conseguenza della scelta e del progetto. Non a caso lo Stefanini individua nella situazione e nell'impegno i due argini tra cui dovrebbe scorrere la libertà esistenziale[80].

Nel focalizzare l'attenzione sulla pedagogia della libertà si possono evidenziare due presupposti, quali condizioni pedagogiche e due applicazioni, quali modalità educative.

I due presupposti sono rappresentati dall'abbandono del sapere oggettivo, quale pretesa della ragione di dedurre tutto e tener sotto controllo l'esistenza stessa con parametri esclusivamente logico-deduttivi, e dall'assunzione di un sano atteggiamento antidogmatico, criticamente vigile e creativamente aperto. E' dal rapporto del soggetto esistente col mondo che scaturisce la correlazione tra pensiero e vita. Così, l'autoriflessione esistenziale può passare indenne fra il razionalismo e l'intimismo, in quanto relazionalità esperienzialmente riflessiva.

Le due applicazioni sono nel processo di formazione interiore e di soggettivazione. La formazione interiore rappresenta la risultante della sollecitazione ad assumere atteggiamenti autoriflessivi, attraverso i quali poter assumere compiti i vita e pertanto il soggettivizzarsi nella scelta esistenziale. In tal senso l'accezione esistenzialista della formazione è tale da focalizzarsi sul compito pedagogico dell'educazione alla libertà.

L'educazione alla libertà richiede il riferirsi ad essa quale facoltà fondante lo stesso soggetto esistente e pertanto quale soggettività da riconoscere e da rispettare. In tale considerazione la consapevolezza dell'eccedenza dell'esistenza rispetto al pensiero può diventare garanzia di riconoscimento e di rispetto della diversità[81].

Conseguentemente, si deve poter facilitare l'uso stesso della libertà, quale caratteristica precipua di ogni essere umano e comune a tutti gli esseri. Da tale facilitazione discente l'educazione alla responsabilità, quale sollecitazione di atti di coscienza riferiti all'esistenza, nella sua concretezza e nella sua situazionalità. Da qui il senso della progettualità e dell'agire "in-vista-di", quale azione interiore produttrice di realtà.

Tuttavia, è dalla contemporanea presa in considerazione della libertà e della responsabilità che sorgono perplessità e deve poter subentrare una riflessione critica. In questo la rilevazione contestativa della subordinazione della deliberazione alla scelta, così da rimandare solo all'intenzionalità del singolo - come annota fra gli altri Stefanini [82] -, o lo svincolamento da qualsiasi norma vincolante - in forza dell'annullamento dell'essenza umana - come rileva anche Pfeil [83] - non possono venir presi in senso assoluto. Al singolo, in quanto soggetto esistente e conoscente spetta sempre la possibilità di scelta rispetto al mondo ed a tutto ciò che in esso è stato generato.

 In realtà, l'esistenza si specifica attraverso i continui atti di scelta, quali autenticazione rispetto al mondo, e quindi a tutto ciò che anche culturalmente è sempre intriso di valore e di risonanza etica

Considerando, pertanto, con gli esistenzialisti che il soggetto esistente è la stessa libertà in atto, allora la riflessione pedagogica non può esimersi dal misurarsi con tutte quelle situazioni esistenziali dove la relazionalità e la comunicazione implicano atteggiamenti di partecipazione e di condivisione, per far sì che l'umanità possa manifestarsi nell'esistenza e le opportunità di comprendere e di d'orientarsi si offrano al percorso riflessivo di ogni singolo soggetto esistente.


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[1] Ciò che è all'inizio - per Feuerbach - è appunto l'essere sensibile, ossia l'essere reale, con il suo rapportarsi al mondo tramite le proprie percezioni, tale che lo stesso atto di pensiero risulti essere un'autoattività (Cfr. L. FEUERBACH, Per la critica della filosofia hegeliana, tr. it., in Opere, Laterza, Bari 1965, pp. 116-119).

[2] Cfr. B. SUCHODOLSKI, Pedagogia dell'essenza e pedagogia dell'esistenza, tr. it., Armando, Roma 1965, p. 117.

[3] E' in tal senso che l'esistenzialismo pone il pensare dentro una prospettiva concreta, richiedendo l'attivazione delle virtù dell'essere e quindi differenziandosi dal vitalismo, che non può conoscere e riconoscere la necessità della trascendenza (Cfr. P. Prini, Storia dell'esistenzialismo, Ed. Studium, Roma 1989, p. 241).

[4] In tal senso Luigi Pareyson fa derivare l'esistenzialismo dalla dissoluzione dell'hegelismo, ravvisando in questo l'influsso di Schelling, propugnatore di una "metafisica del pensiero reale e non dell'astrazione" (Cfr. L. Pareyson, Esistenza e persona, Il Melangolo, Genova 1985, pp. 259-260).

[5] Cfr. G. MOLLO, Al di là dell'angoscia. L'educazione etico-religiosa in Soeren Kierkegaard, Ed. Porziuncola, Assisi 1988, pp. 34-46.

[6] S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica, tr. it., Sansoni, Firenze 1972, p. 452.

[7] Ivi, pp. 360-372. Sulla passione dell'infinitezza, come energia della soggettività, si veda anche G. Mollo, Al di là dell'angoscia, ed. cit., pp. 102-107.

[8] Cfr. M. HEIDEGGER, Essere e tempo, tr. it., UTET, Torino 1969, pp.436-444.

[9] Su tale distinzione fondamentale fra Dasein - come puro esserci, staticamente situato - ed Existenz - quale irripetibile presenza del singolo individuo - si ritrovano sia Jaspers che Heidegger, ma anche Marcel. Per tale caratteristica Hans Pfeil parla di svalutazione e vanità del Dasein - sprofondato nella finitezza - tale che « ciò che una volta fu festeggiato come un piacere, l'uomo d'oggi è anche propenso a sentirlo, intero, come un peso, e da portarsi soltanto con angoscia e con preoccupazione, non davanti a Dio, ma davanti al Niente» (H. PFEIL, L'uomo esistenziale, tr. it., Angelo Signorelli, Roma 1959, p. 175).

[10] E' in quest'ottica che Luigi Pareyson evidenzia la stretta correlazione tra esistenzialismo e persona, rilevando che "l'assunto dell'esistenzialismo è l'esigenza personalista, intesa come la conferma dell'assolutezza del singolo" (L. Pareyson, Studi sull'esistenzialismo, Sansoni, Firenze 1950, p. 12).

[11] Cfr. L. STEFANINI, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, Cedam, Padova 1952, p. 99.

[12] Cfr. L. PAREYSON, Esistenza e persona, ed. cit., pp. 91-95.

[13] Ivi, pp.276-82.

[14] Cfr. G. MOLLO, La via del senso, La Scuola, Brescia 1996, p. 39 s. E' in tale prospettiva che l'autoformazione acquista valore centrale, quello della presa in atto della propria evoluzione spirituale, attraverso le vie dell'apprendimento e della corresponsabilità.

[15] M. HEIDEGGER, Che cos'è la metafisica, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 47-50.

[16] M. HEIDEGGER, Essere e tempo, ed. cit., p. 283.

[17]Ivi, p. 248.

[18] In tale prospettiva si deve considerare con Buber che « in senso positivo ogni intelligenza progettatrice è utopistica » (M. BUBER, Sentieri in utopia, tr. it., Ed. Comunità, Milano 1967, p. 21).

[19] S. KIERKEGAARD, La malattia mortale, tr. it., Sansoni, Firenze 1972, p. 627.

[20] M. HEIDEGGER, Essere e tempo, ed. cit.,p. 353.

[21] J.P. SARTRE, L'existentialisme est un humanisme, Paris 1946, p. 36.

[22] Cfr. K. JASPERS, Einfuhrung in die Philosophie, Artemis-Verlag, Zurich 1950, p. 61 s.

[23] Cfr. N. ABBAGNANO, Esistenzialismo positivo, Taylor, Torino 1948, p. 37.

[24] L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, ed. cit., p. 382.

[25] Cfr.L. STEFANINI, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, ed. cit., p. 167. Seguendo sempre questa linea di distinzione - all'interno di una interpretazione cristiana dell'esistenzialismo, connotato come "teologico" - Enrico Castelli prospetta , nella linea kierkegaardiana, la differenziazione tra quello di sinistra e quello di destra, identificando in quest'ultimo quello che afferma la necessità di una rivelazione e la conseguente meditazione sul peccato e sulla salvezza (Cfr. E. CASTELLI, Esistenzialismo e cristianesimo, in "Atti del congresso internazionale di filosofia", vol. II, Milano 1948, pp. 177-80).

[26] Per questo, nel rilevare che l'esistenza è libertà in atto, Cornelio Fabro appropriatamente sostiene che « nell'esistenzialismo di Sartre, di Heidegger, in parte, di Jaspers "esistere" è lo stesso che darsi il proprio essere, scegliere, decidersi, è cioè l'attuarsi della coscienza nella sua trascendentalità.  C. FABRO, Essere e libertà, pro muscripto, Perugia 1967, p. 41.

[27] Cfr. V. VERRA, Esistenzialismo, fenomenologia, ermeneutica, nichilismo, in AA.VV., La filosofia italiana dal dopoguerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 390.

[28] E' in tale direzione che Bernard Lonergan - rilevando l'urgenza per il nostro tempo di una filosofia che risulti essere concreta, esistenziale e storica - rivendica al pedagogista il ruolo di vero filosofo, destinato ad influire sulla mentalità, gli ideali e lo spirito del futuro dell'umanità (Cfr. B. LONERGAN, Sull'educazione, tr. it., Città Nuova, Roma 1999, p. 124 e p. 32).

[29] Cfr. S. KIERKEGAARD, Il concetto dell'angoscia, tr. it., Sansoni, Firenze 1972, pp. 168 e 193 s.

[30] Cfr. K. JASPERS, Psicopatologia generale, tr. it., Il pensiero scientifico, Roma 1965, p. 810 s.

[31] Cfr. K. JASPERS, La mia filosofia, tr. it., Einaudi, Torino 1948, p. 139.

[32] Cfr. M. HEIDEGGER, Che cos'è la metafisica, tr. it., la Nuova Italia, Firenze 1974, p. 20 s.

[33] Ivi, p. 31. Per questo il De Waelhens evidenzia il fatto che l'angoscia del Dasein è l'angoscia dell'uomo vis-a-vis della propria solitudine (Cfr. A.De Waelhens, La philosophie de Martin Heidegger, Publications universitaires, Lovanio 1955, p. 127) e Jean Wahl considera che per Heidegger l'angoscia è legata ad un fatto cosmico, al niente assoluto (Cfr. J. Wahl, Etudes kierkegaardiennes, Aubier, Parigi 1938, p.221).

[34] Cfr. J.P. SARTRE, L'essere e il nulla, tr. it., Il Saggiatore, Milano 1964, p. 78.

[35] J.P. SARTRE, L'esistenzialismo è un umanismo, tr. it.,Mursia, Milano 1971, p. 40.

[36] Cfr. G. MARCEL, L'uomo problematico, tr. it., Borla, Roma 1992, p. 118 s.

[37] Cfr. C. FABRO, Dall'essere all'esistente, Morcelliana, Brescia 1965, pp.340-342. Nel rilevare - diversamente dal pensiero kierkegaardiano - nella negatività dell'essere il punto critico dell'esistenzialismo contemporaneo, Fabro sostiene che Sartre ha optato per Cartesio, Jaspers per Kant, Heidegger per Nietzsche.

[38] Cfr. G. MARCEL, La dignità umana, tr. it., Elle Di Ci, Torino, 1983, p. 109.

[39] Cfr. N. ABBAGNANO, Corso di pedagogia, Litografia A. Viretto, Torino 1943-44, pp. 7-9.

[40] S. KIERKEGAARD, La malattia mortale, ed. cit., p. 244 s.

[41] Cfr. G. MOLLO, Al di là dell'angoscia, ed. cit., pp. 102-107. L'aspirare - sempre per il pensatore danese - rappresenta la coscienza di essere un esistente che si struttura attraverso l'apprendimento continuo, mentre l'ipertendere indica lo slancio appassionato del personale rapportarsi alla verità. Per questo la dimensione etica rappresenta il disvelamento dell'esistere, in quanto con essa si esce dal regno delle possibilità attraverso la scelta di vita, che è sempre un agire in forza del fatto che «l'etica è l'interiorità che si riflette in un compito di vita». In questo, la centralità della realtà etica dell'individuo si configura come lo stesso costituirsi del soggetto in quanto "soggettività etica esistente".

[42] Cfr. C. FABRO, Dall'essere all'esistente, ed. cit., p. 253.

[43] S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica, tr. it., p. 429.

[44] Cfr. G. MOLLO, Al di là dell'angoscia, ed. cit., pp. 125-137.

[45] Cfr. G. MARCEL, L'uomo contro l'umano, tr. it., Roma 1963, p. 14 s.

[46] La critica di Aldo Capitini all'esistenzialismo, col reputare la chiusura dell'io nella situazione e nella scelta compiuta, ci sembra per questo indicativa solo di una parte dell'esistenzialismo, quello identificabile come negativo o ateo.  Per pensatori come Kierkegaard, Marcel o Jaspers stesso, resta sempre la possibilità e l'apertura, quale dimensione del futuro e della progettualità.

[47] Cfr. L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, ed. cit., pp. 225-228.

[48] D'altronde, questo rimando alla soggettività è frutto della stessa filosofia moderna, che comincia -come rileva Hannah Arendt - col riconoscimento che il che cosa non è in grado di spiegare il che. Su questo si gioca la possibilità per ogni uomo di divenire, non più in forza di una preesistente essenza umana, cui riferirsi e quindi attenersi, bensì quale continua apertura e ricerca. In tal senso diventa pregiudiziale la critica di Pfeil, secondo cui l'esistenzialismo - pur sollecitando ad una personale decisione e fedeltà ad un modo di vita - non indica i valori ed i fini da realizzare nel perfezionamento personale.

[49]  Ivi, p. 137.

[50] In questo Pietro Prini individua l'inattualità della filosofia dell'esistenza, in un tempo come il nostro "dell'industria del fare e del pensare", in cui la scelta, la decisione e l'impegno sembrano banditi (Cfr. P. PRINI, Storia dell'esistenzialismo, Ed. Studium, Roma 1989, p. 10).

[51] Cfr. M. HEIDEGGER, L'essenza del fondamento, tr. it., U.T.E.T., Torino 1969, pp. 665-674.

[52] K. JASPERS, La mia filosofia, tr. it., Einaudi, Torino 1978, p. 167.

[53]  K. JASPERS, Psicopatologia generale, ed. cit., p. 811.

[54] Cfr. G. MARCEL, Manifesti metodologici di una filosofia concreta, tr. it., Minerva Italica, Bergamo 1972, pp.104-106. Questo anche nelle differenze che possiamo rilevare fra la posizione di un Levinas, per il quale il prossimo nella richiesta di riconoscimento si pone come "altro" (cfr. E. LEVINAS, Altrimenti che essere o al di là dell'essenza, tr. it., Aiello, Milano 1983, p. 108), o di un Buber, per cui invece la consistenza della vita si può cogliere nella reciprocità di presenza, ogni volta avvenga l'incontro dell'uno-con-l'altro (cfr. M. BUBER, Il problema dell'uomo, tr. it., Elle Di Ci, Torino 1983, p. 122). Ciò che ne indica il minimo comune denominatore è l'imprescindibilità del confrontarsi con l'altro in termini esistenziali.

 

[55] Cfr. F. RESTAINO, Abbagnano e la proposta di un esistenzialismo positivo, in N. ABBAGNANO, Storia della filosofia, UTET, Torino 1994, IV, c. XXIV, p. 635.

[56] N. ABBAGNANO, Problemi di sociologia, Taylor, Torino 1959, pp. 76-80.

[57] Cfr. G.M. BERTIN, Esistenzialismo, marxismo, problematicismo, in La Pedagogia, Vallardi 1970-72, vol. VI, pp. 502-506.

[58] Cfr. L. PAREYSON, Studi sull'esistenzialismo, ed. cit., p. 221.

[59] Cfr. H. ARENDT, Che cos'è la filosofia dell'esistenza?, ed. cit., p. 68.

[60] Cfr. S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica, ed. cit., p. 439.

[61] Cfr. K. JASPERS, Psicopatologia generale, ed. cit., p. 816.

[62] Ivi, p. 465.

[63] Ivi, p. 811.E' in tal senso che, per Bernard Lonergan, Jaspers resta nell'immanenza kantiana, dato che la sua filosofia è diretta verso un'illuminazione dell'Existenz, tale che possa emergere una consapevolezza di Transcendenz nell'esercizio della libertà, specie nelle situazioni-limite, che implicano lotta, sofferenza e morte (Cfr. B. LONERGAN, Sull'educazione, ed. cit., p. 275).

[64]  S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica, ed. cit., p. 552. Ecco perché nello stesso momento in cui il compito è assegnato - sempre secondo il pensatore danese - si è già sprecato un certo tempo, perché nel frattempo si esiste e non si è cominciato subito.

[65] Cfr. G. MARCEL, Manifesti metodologici di una filosofia concreta, tr. it., Minerva Italica, Bergamo 1972, p. 105 s. In tale prospettiva Erich Fromm - nel delineare la modalità attiva dell'essere - connota la conoscenza ottimale non tanto nell'avere più conoscenze, bensì nel conoscere più profondamente, tale da rivendicare lo sviluppo e la consapevolezza della vita emozionale, di pari passo con l'attività mentale cerebrale.

[66] N. ABBAGNANO, Esistenzialismo positivo, Taylor, Torino 1948, p. 10.

[67] Cfr. R. FORNACA, La pedagogia italiana contemporanea, Sansoni, Firenze 1982, p. 117.

[68] Cfr. M. SCHELER, Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori, tr. it., Bocca, Milano 1944, pp. 66-68.

[69] Cfr. H. ARENDT, Che cos'è la filosofia dell'esistenza?, ed. cit., p. 72.

[70] Cfr. S. KIERKEGAARD, Il concetto dell'angoscia, ed. cit., p. 117 e 177.

[71] M. HEIDEGGER, Che cos'é la metafisica, ed. cit., p. 130 s.

[72] M. HEIDEGGER, Essere e tempo, ed. cit., p. 271. Così pure per Sartre l'uomo si fa produttore d'immagini, appunto perché "trascendentalmente libero", tale che « l'immaginazione è la coscienza tutta, in quanto realizza la propria libertà » (J.P.SARTRE, Immagine e coscienza, tr. it., p. 287). Per Jaspers la stessa considerazione dello stato di "deficienza radicale" rimanda alla necessità della comunicazione, nel riconoscimento dell'intrinseca apertura del carattere umano, in quanto dimensione che indica l'altro, così da risultare "manifestazione empirica sempre aperta a nuove possibilità"( K. JASPERS, Psicopatologia generale, ed. cit., p. 465.).

 

[73] A tale dimensione confessa di aver pensato Bernard Lonergan, nel mentre che scriveva Insight.

[74] Cfr. G. MARCEL, Il mistero dell'essere, tr. it., Borla, Torino 1971, p. 22 s.

[75] Cfr. M. BUBER, Sentieri in utopia, ed. cit., p. 168 s.

[76] G.M. BERTIN, Esistenzialismo, marxismo, problematicismo, ed. cit., p. 515.

[77] A tale riguardo ci sembra estremamente severo il giudizio di Pfeil, secondo cui "gli esistenzialisti chiudono in sé la personalità umana" (p. 194), in base all'isolamento del soggetto nell'autodecisione che si fa autocreazione, presentandosi così come "una via senza meta" (H. PFEIL, L'uomo esistenziale, ed. cit., p. 138 e p. 194). Considerando, infatti, il Pfeil che per gli esistenzialisti "la libertà umana non è creatrice" (p. 214), questi cadrebbero nella via senza uscita dell'identificare la libertà effettiva con quella normativa, pervenendo in tal modo ad una forma di nichilismo, la cui ricaduta pedagogica consisterebbe nell'improduttività di un'autoeducazione isolante e sempre indefinita.

[78] S. KIERKEGAARD, Postilla conclusiva non scientifica, ed. cit. p. 445.

[79] Su questo va riconosciuto, in verità, un possibile limite, che è quello rilevato da Suchodolski, col sostenere da parte dell'esistenzialismo il non riconoscimento di valori storicamente duraturi, sui quali fondare un'attività educativa. Quando, invece, si richiederebbe una pedagogia associata all'attività sociale, così da « creare per l'uomo condizioni tali da che la sua esistenza possa diventare la sorgente e la materia prima della sua essenza » (Cfr. B. SUCHODOLSKI, Pedagogia dell'essenza e pedagogia dell'esistenza, tr. it., Armando, Roma 1965, pp. 117-119.

[80] Cfr. L. STEFANINI, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, ed. cit., p. 78.

[81] Si pensi soltanto, a tale riguardo, alle prospettive educative che si stanno aprendo con la presa in considerazione delle intelligenze multiple, delineate da H. Gardner, e con la dimensione dell'intelligenza emotiva, prospettata da D. Goleman.

[82] Ivi, p. 110.

[83] H. PFEIL, L'uomo esistenziale, ed. cit., p. 166 s.