Seminario permanente di Pedagogia teorica

 

Verbale  Interventi

 

 

 

Venerdì 22 marzo 2002 , per l’intera giornata, presso la suggestiva Biblioteca del Liceo Classico Galileo di Firenze, si è svolto il Seminario Permanente di Pedagogia teorica. La presenza di innumerevoli docenti  provenienti dalle Università di Bologna, Genova, Siena, Roma, Firenze, Cosenza, Messina ha qualificato l’incontro rendendolo vivo laboratorio di riflessione critica sullo stato e la funzione della Pedagogia teorica, oggi,  in Italia. Sono state presentate due relazione, la prima da  Enza Colicchi sul  Razionalismo critico, la seconda da Piero Bertolini, dal titolo Sulla pedagogia fenomenologica;  Franco Cambi ha coordinato i lavori durante l’arco dell’intera giornata. Le due relazioni hanno occupato lo spazio della mattina e hanno riproposto il testo già presentato sul sito-SIPED e che gli intervenuti avevano già letto. Subito in margine alle presentazioni è stato aperto  un vivace dibattito, proseguito poi,  sino a pomeriggio inoltrato, attraverso l’intensa e partecipata presenza di numerosi pedagogisti.

Dopo le ampie e approfondite relazioni,  Cambi ha aperto il dialogo-confronto con una ricognizione in risposta e in margine all’intervento di Bertolini.  Cambi ha individuato due aree di riflessione all’interno di quanto detto sulla Pedagogia fenomenologica. 1) E’ necessario svolgere una vera e propria rivisitazione analitica dell’universo articolato e complesso della Fenomenologia. 2) E’ importante porsi un interrogativo inquietante. La grande stagione della fenomenologia si è forse  già conclusa? Chi studia, oggi, la fenomenologia, escludendo l’enclave dell’Università di Lovanio, dove sono conservati i manoscritti e l’intero patrimonio librario lasciato da  Husserl? Cambi afferma che anche gli allievi di Enzo Paci, come ad esempio Sini, hanno imboccato strade diverse, pur essendo stata, quella di Paci, una fra le figure più critiche e rappresentative delle inquietudini che serpeggiavano nella scuola banfiana, approdando al modello della filosofia relazionale negli anni ’50 e a quello fenomenologico negli anni ‘60. E allora, dice Cambi, quanto è attuale la fenomenologia? E’ stata, sì, una filosofia rappresentativa di una grande stagione fra gli anni '30 e gli anni '50 in Europa. Si pensi ai maggiori filosofi che si sono succeduti in quel periodo, tutti  fortemente segnati da questa corrente di pensiero. Un esempio fra tutti  è dato da Giulio Preti. Egli già in Idealismo e Positivismo ( Milano, Bompiani, 1943) indica quanta parte abbia l’idealismo nel connotare la fenomenologia, e come questa nei suoi risvolti più concreti ed esperienziali si ponga come un esito attuale dell’idealismo. Così come, poi, Preti stesso abbia messo a nudo, di nuovo, la presenza dell’ idealismo nella Fenomenologia, indicandolo come un limite.

E ancora: T. W. Adorno mette a fuoco la criptometafisica che si trova dentro la Fenomenologia, fornendo un’opera di decostruzione e smascheramento proprio degli aspetti appunto metafisici insiti in quest’ultima. La fenomenologia è stata un modello che ha fatto discutere ed ha nutrito la filosofia  contemporanea. Sì, ma oggi qual è il “peso” filosofico della fenomenologia?

Inoltre la fenomenologia è stata anche un metodo che si è articolato in molte forme. Quale fenomenologia ci presenta  Merleau-Ponty e come legge l’esperienza vissuta, l’Erlebnis, che si ritrova già al centro del pensiero di  Husserl? Infine Cambi riassume e prospetta le piste pedagogiche che giacciono dentro questo pluralismo fenomenologico. Esse vanno dalla centralità dell’esperienza vissuta al richiamo alla coscienza, alla “scienza rigorosa” (qui pedagogica), sino a giungere al ricorso all’intenzionalità, che aiuta a stabilire quale possa essere un probabile congegno teorico-pratico opportuno proprio per la riflessione pedagogica. E ancora: che cosa è l’intenzionalità pedagogica? E’ un’intenzionalità che si connota per la formazione? E ancora: quanto della tradizione della Bildung è stato trattenuto dalla fenomenologia? Sono tutti quesiti aperti.

Sarà per questo importante affrontare da una parte una ricognizione storico-critica del movimento fenomenologico, dall’altra sondare l’attualità della fenomenologia oggi. Queste due direzioni devono condurci e farci inquietare dentro l’universo complesso della fenomenologia attraverso la sua variegata struttura topologica. L’intenzionalità, categoria cardine e centro del suddetto modello di pensiero, ma anche categoria-ponte per altri modelli filosofici (basti pensare a  quelli analitici) ci traghetterà proprio in questa ricerca-risistemazione.  Sarebbe interessante e importante, infatti, lavorare attorno a temi che assumono significato e forniscono orizzonti di senso per la pedagogia dell’oggi. Evitando così, la consueta abitudine della pedagogia di intercettare aspetti della filosofia pregnanti per la propria argomentazione, ma lasciandone, così facendo,  in ombra altri non meno rilevanti.

Pino Spadafora è intervenuto prendendo le mosse dalla chiara esposizione dei due modelli fenomenologico e razionalista e ponendo all’attenzione un problema di metodo. Come ha lavorato, infatti, fino ad oggi la ricerca pedagogico-teorica? Spesso è stata condotta un’accurata e attenta analisi filosofica, dalla quale poi si è cercato di desumere il pedagogico. Ma questo metodo ha impedito la possibilità stessa di costruzione di una scienza. Come si può elaborare una scienza pedagogica, e dunque sostenere uno specifico educativo? Provando a costruire dall’interno della categoria-formazione la dimensione più rigorosa della pedagogia. Sarà necessario sì incrociare la filosofia, senza necessariamente partire da essa, affinchè possa dare il proprio contributo per la costruzione di una pedagogia generale. Ma come è possibile incrociare la filosofia? Questo è l’interrogativo centrale dal quale ripartire per raccogliere la potenza del dialogo fra i modelli filosofici, senza tuttavia fissare la subalternità del pedagogico alla dimensione più speculativa della filosofia.

Gli interventi sono ripresi nel primissimo pomeriggio, dopo una breve pausa, e si sono susseguiti con intensa partecipazione e ricchezza di contributi, pur nella naturale divergenza dialettica.

Piero Bertolini ha risposto alle osservazioni apportate da  Cambi e altri in margine alla sua esposizione dell’intervento della mattina. Ha affermato che lui non è interessato a conoscere gli sviluppi della ricerca su Husserl, in quanto è  pedagogista, non  filosofo o  psicologo. Non ha inteso separare, nella sua ricerca, i problemi educativi dalla riflessione teorica. E attraverso tale ricerca la fenomenologia viene confermata in maniera forte. Questa corrente filosofica, infatti, è ancora attuale, e proprio nel presente periodo storico, che permette di far emergere le istanze del pensiero/pensare fenomenologico. La stessa ermeneutica ha un’origine fenomenologica e tale matrice può essere recuperata nell’ambito della  ricerca-azione o in quello della riflessione sui modelli e le pratiche psichiatriche. Anzi è possibile notare una nuova, particolare vivacità  attorno al modello fenomenologico. Per esempio, negli Stati Uniti, è in atto una riscoperta della fenomenologia. La narrazione, insieme con i rinnovati studi che intorno a questa originale metodologia di indagine pedagogica si sono venuti organizzando,  può essere considerata un ponte esplicito proprio fra teoresi fenomenologica e pratica pedagogica.

Gli interventi, che si sono poi succeduti, hanno evidenziato l’importanza di una discussione a viva voce e riaffermato la pregnanza del dialogo che costruisce le reciproche posizioni teoriche. Erbetta ribadisce la presenza di un trapasso epocale evidente nella mediazione fenomenologica di Paci. Questo filosofo ci ha messo di fronte alla costituzione di un nuovo modello antropologico di comprensione della vicenda umana.  Ma centrale, in tale riflessione, solo apparentemente teorica, è il legarsi della filosofia dell’educazione ad un sapere pratico, così come  indica anche Giuseppe Serafini nel  suo intervento rivolto a sottolineare la centralità dell’aspetto della prassi, anche  nella stessa pedagogia teorica. Giuditta Alessandrini sottolinea i versanti più significativi che sono emersi dalla presentazione dei due modelli pedagogici. 1) La centralità del soggetto, pur tenendo conto della indissolubile presenza della categoria del Relazionale. 2) La centralità dell’Esperienza, proprio attraverso il dialogo e l’ascolto reciproco, che può intercorrere fra i due modelli. 3) La centralità della dimensione della Problematicità che certo sbalza da una lettura congiunta dei due modelli e da un dialogo possibile fra i due approcci, che si esprime attraverso il prevalere di una dimensione olistica  e pedagogicamente rilevante. La fenomenologia può ben essere posta come porto di approdo per ogni educatore, se si assume la Relazione come luogo centrale della costruzione del soggetto. Ma se da una parte la fenomenologia mette al centro il soggetto/persona, dall’altra il Razionalismo critico si occupa della società. Se apparentemente una fenomenologia è funzionale a una teoria pedagogica, meno funzionale sembra essere invece un Razionalismo critico. Ma il problema non è quello della scelta fra un approccio di tipo personalistico e fenomenologico e un altro di tipo razionalistico. La prospettiva da affermare è quella di cogliere ciò che tali approcci possono offrire – tutti –  alla riflessione pedagogico-educativa.

In risposta agli interventi precedenti, Enza Colicchi riafferma che il Razionalismo critico non è una pedagogia. La rilevanza del discorso pedagogico va colta proprio da coloro che sono impegnati in campo pratico-concettuale. Una pedagogia e una teoria dell’educazione non possono non essere condotte dal punto di vista dell’educatore. Viene sottolineata da Colicchi la matrice “soggettuale” e la prospettiva pratico-progettuale di una teoria pedagogica. Il Razionalismo critico fonda una teoria dell’educazione dove la pedagogia fa riferimento  a una società aperta e liberale, dove è possibile trovare uguale rispetto per tutte le culture. Tuttavia la lettura che è stata data di questo Razionalismo critico è stata essenzialmente popperiana. Altri razionalismi critici è possibile chiamare in causa: si pensi a Banfi, ad esempio. E anche le critiche rivolte a Popper (da Adorno, per esempio), delineano quanto pesano in pedagogia (per il depotenziamento della dialettica e della sua tensione utopica).

Ma, tutte queste, sono state considerazioni per sviluppare quel modello e aggiornarlo.

Alla conclusione dei lavori ha fornito un apporto assai interessante  l’intervento di Mario Gennari che ha richiamato l’uditorio alla centralità della «formazione umana dell’uomo» per qualsiasi discorso  pedagogicamente declinato.  Il soggetto di cui si parla in pedagogia è  la sua  stessa formazione. La pedagogia è scienza, soprattutto, della soggettività. Questo soggetto/essere/persona si può chiamare uomo, con una sua natura e una sua vita interiore profonda e palpitante. La pedagogia si configura, allora, come scienza  che studia quest’uomo nella sua formazione. Quest’uomo autentico è capace di libertà nell’affermare la sua negazione decisa e netta  agli “dei”, di tutti, Denaro e Potere compresi. La pedagogia può rispondere così al desiderio forte di autenticità, scendendo nelle pieghe più riposte della profondità dell’uomo. Anche là dove, forse,  sprofonda nel “mistero” di sé stesso.  Spadafora, da parte sua, ha integrato: il problema della formazione a cui gli interventi , in conclusione, alludono è problema della ricerca di una teoria pedagogica che, senza perdersi in vuoti “-ismi” , inglobi la ricerca di una dimensione ontologica, di una dimensione relazionale, di una dimensione dell’accadere e dell’evento, per riaffermare la centralità di una teoria elaborata per l’uomo e non solo sull’uomo.

La giornata di seminario – per concludere – è stata fruttuosa, e non solo e non tanto per lo studio più analitico dei due modelli – fenomenologia e razionalismo critico – quanto per i problemi di metodo, i quesiti ricorrenti e di base, l’articolazione di tali quesiti che è venuta a rilanciare nella forma viva di un “pensare insieme”, dando così rilievo allo statuto apertamente critico che deve assumere sempre ogni ricerca di pedagogia teorica. Che non è però una ”fatica di Sisifo”, bensì l’esercizio di una riflessività al limite che del pedagogico fa costantemente un problema e un problema “da pensare e ripensare”.