Seminario permanente di Pedagogia generale

 

S.I.Ped. Bologna, 19 ottobre 2001

 

       Pedagogie personalistiche: riflessioni in corso

             L. Santelli Beccegato

 

 

&1 - Il senso della pedagogia generale nell'attuale fase di ricerca del discorso pedagogico

 

La pedagogia si configura  come ricerca sulle ragioni, condizioni e finalità dell’educazione, sul senso e sui significati dell'agire educativo, sulle istituzioni educative, sui soggetti e  sui rapporti tra soggetti, tra istituzioni e tra gli uni e le altre, e tutto questo sul piano sia del reale, sia del possibile. Un vastissimo campo d'indagine dai contorni spesso sfrangiati, dalla fondazione scientifica recente e, nel contempo, oggetto di una letteratura particolarmente ricca e di antichissima provenienza. 

Significativi sviluppi del discorso pedagogico sono riconoscibili nella seconda metà del secolo XX quando, da una riflessione sulla propria identità, da una tensione a riconoscersi - e ad essere riconosciuto - nella sua dignità scientifica, avvertita tutta la complessità del suo oggetto d'indagine, esso è approdato ad una articolazione di saperi sempre più chiaramente proposti e definiti. Uno sviluppo, questo, che, tra i tanti aspetti positivi, ha fatto ( e fa ) però correre il rischio di mettere in discussione il senso stesso di una presenza quale la pedagogia generale avvertita, in alcuni contesti, come un semplice, asettico contenitore se non addirittura come un'inutile sopravvivenza.

La ripresa dei lavori di un seminario sulla pedagogia generale, è quindi un'occasione importante per accertare ed evidenziare se e come la pedagogia generale si ponga davvero come 'matrice' dei diversi e particolari saperi pedagogici e come in questo senso ( e solo in questo senso?) si costituisca come  un discorso sistematico ( non parcellizato, di settore) ed emancipatorio in grado, cioè, di stimolare i diversi saperi specifici ad andare costantemente oltre.

In questa prospettiva, la pedagogia generale è chiamata a svolgere il ruolo di riconoscere, comprendere e chiarire i significati educativi, a dare un quadro teorico d'insieme, a elaborare una visione complessiva che consenta di muoversi - senza pericolose ambiguità e confusioni - nelle difficoltà, incertezze, oscurità dell'esperienza affidando a ricerche specifiche i necessari approfondimenti e chiarificazioni.

Discorso altamente complesso, quindi, quello della pedagogia generale, proprio per la multidimensionalità del suo oggetto d'indagine, a forte caratterizzazione interdisciplinare, impegnato a interagire con quanto proviene da ricerche tra loro anche molto diverse - dalla filosofia alla psicologia, dalla sociologia alla politica, dalla tecnica all'arte…-, ricerche  che deve saper utilizzare accortamente in relazione alle sue proprie finalità e, purtroppo, non infrequentemente oscurato da quegli stessi contributi di cui necessita per irrobustire, dare corpo alle proprie argomentazioni.

 Tra i diversi collegamenti interdisciplinari, ritengo, nella fase attuale,  particolarmente significativa una ripresa - che è anche una revisione - dell'antico legame con la filosofia.

I  rapporti tra pedagogia e filosofia sono profondi: la pedagogia ospita sempre in sé una dimensione filosofica nel momento in cui assume in pieno la condizione umana e le sue domande di senso. Da qui anche il riconoscimento di un "debito" dell'elaborazione pedagogica nei confronti della speculazione filosofica che non si costituisce come dipendenza di quella da questa, semmai come 'frequentazione' o, come nell'interessante proposta di M. Manno, come 'governo'.

La filosofia è l'aria che il corpo della  pedagogia respira; senza di essa il corpo muore, ma è chiaramente evidente come il corpo non si esaurisca nell'aria che respira.

Gran parte della ricerca pedagogica nel nostro Paese, particolarmente negli anni '50-'70, è stata dedicata a una strutturazione del discorso pedagogico per riuscire a maturare la sua capacità di distinguersi e di rendersi autonomo da quello filosofico. Ora, quando alcuni risultati sono stati raggiunti attraverso una sempre più raffinata analisi epistemologica, l'interesse del dialogo con la filosofia rimane, con la precisa attenzione e il costante impegno da parte pedagogica di non essere una copia, spesso tra l'altro debole, della filosofia, ma di sviluppare e rafforzare la propria ricerca su e per l'educazione.

Da qui l'importanza di riconoscere le questioni e gli argomenti educativi, distinguendoli da quelli filosofici, e di concentrarsi su questi,  anche con l'eventuale collaborazione degli stessi filosofi (peraltro non banale sembra, oggi, anche una riflessione sulle stesse articolazioni disciplinari per ricercare nuove possibili aggregazioni,  o vere e proprie strutturazioni, al di là di quelle tradizionali e consolidate).

Dal mio punto di vista, ciò che rende riconoscibile e distinguibile un lavoro in ambito filosofico è la robustezza del suo apparato concettuale.

Ciò che rende riconoscibile e distinguibile un lavoro in termini pedagogici è la sua capacità d'incidere su un agire educativo e di sostenerlo. Mentre per la filosofia "la robustezza dell'apparato concettuale" è condizione necessaria e sufficiente, non altrettanto si può dire per la pedagogia alla quale è richiesta una valenza ulteriore.

Certamente un buon impianto concettuale è indispensabile alla pedagogia, l'orientamento di fondo va esplicitato per evidenziare la corrispondenza tra la gamma teorica delle credenze, l'apparato critico di cui si dispone e le risultanze e le prospettive di specifiche ricerche. Regola, questa, che permette a un tempo sia di svolgere il proprio lavoro nell'equilibrio e nell'organica sistemazione di ipotesi, risultanze e prospettive, sia di valorizzare o, al limite, verificare la stessa portata euristica dell'apparato di cui si dispone.

La pedagogia generale, visione complessiva dei diversi aspetti e sfaccettature della ricerca pedagogica, nelle sue pur diverse impostazioni di fondo, trova un motivo ricorrente nel suo configurarsi e qualificarsi come scienza per la pratica; la sua stessa definizione di teoria sulla/della/per l'educazione la conduce ad assumere il fare educazione - e quindi un certo tipo di azione - come suo scopo primario e fondamentale. Il discorso pedagogico contemporaneo ha inoltre maturato una particolare avvertenza per quanto riguarda l'importanza della situazionalità e ha assunto la dimensione spazio-temporale, nella effettiva concretezza del suo porsi, come coordinate indispensabili per la validità di ogni intervento educativo.

La pedagogia assume la dimensione pratica con l'impegno di interpretarla e l'intenzione di migliorarla; entra nella concretezza di fatti, eventi, processi per cercare di apportare sempre ulteriori elementi di chiarificazione e sostenere presenze e attività educative. In questo senso, le diverse articolazioni dei saperi pedagogici, dalla pedagogia sociale alla pedagogia speciale, si configurano come 'capitoli' della pedagogia generale, articolazioni e specializzazioni connesse, come abbiamo precedentemente richiamato, al pari di tutte le altre articolazioni del discorso pedagogico, a un impianto di base riconducibile alla particolare filosofia dell'educazione che si ritiene valido, in termini teorici, e opportuno in termini pratici, adottare.

In fasi recenti del passaggio istituzionale e organizzativo dalla pedagogia alle scienze dell'educazione, alcuni hanno ritenuto che fosse decretata la fine della pedagogia generale. Mi pare di poter osservare, senza cadere in facili ottimismi, che la pedagogia generale, in luogo di dissolversi per l'avanzamento e lo sviluppo di ricerche di settore, sbriciolata dall'incalzare di discorsi specifici, evidenzi l'importanza del suo contributo nel sostenere la costruzione, nel ravvisare l'intreccio e la progressiva integrazione di discorsi che rischierebbero altrimenti di rimanere reciprocamente estranei. Nel far emergere le diverse fasi di sviluppo delle ricerche di settore e i livelli di 'tenuta' complessiva del discorso, aiuta a riconoscerne l'effettiva portata, a distinguere quanto è enfatizzato dalle tendenze di superficie, se non addirittura dalle mode del momento e a riconquistare costantemente il necessario equilibrio fra le diverse componenti.

Proprio l'incremento degli studi di settore richiede peraltro una maggiore accuratezza , una più attenta riflessione delle strutture epistemologiche, metodologiche e linguistiche della pedagogia generale se si vuole giustificare, presentare, reggere  in termini unitari la complessità e la ricchezza dell'esperienza educativa.

 

 

&2 I tratti qualificanti il personalismo

 

Riprendere, nell'ambito del Seminario permanente di pedagogia generale, la questione delle diverse correnti pedagogiche ha la finalità non tanto di rintracciarne le loro 'strutture portanti', sulle quali già molte volte si è discusso, quanto di riconoscere i particolari livelli di vitalità, individuare e proporre questioni che possano essere oggi particolarmente rappresentative e dense di possibili sviluppi futuri, accertare la possibilità di avviare nuovi, congiunti progetti di ricerca.

Per quanto attiene alla pedagogia personalistica, ritengo opportuno avviare questa analisi  richiamando, inizialmente, lo sfondo storico per due basilari motivi. Il primo riguarda l'indubbia rilevanza che ha assunto nelle stesse elaborazioni della pedagogia personalistica contemporanea il lungo e ricco percorso realizzato, la densità delle riflessioni e delle proposte maturate nell'arco di secoli e per rintracciare, così, le premesse di un'articolazione di prospettive e valorizzazioni interpretative, tra dimensioni essenzialistiche ed esistenzialistiche, tra approfondimenti metafisici e interessi etico-politici, a tutt'oggi presenti.

Il secondo motivo attiene all'evidenziazione dell'importanza di un approccio di tipo storico-pedagogico non sempre diffusamente perseguito, a mio parere, nell'attuale panorama delle ricerche.

 Come è noto, il personalismo si precisa sul piano filosofico e pedagogico nel secolo XX. G. H. Howinson introduce il termine 'personalismo', in polemica con J.Royce e più in generale con l'idealismo assoluto, nell'opera "La concezione di Dio", del 1897, dove tratta del concetto 'persona' come entità libera e finita che si richiama a un Dio trascendente e personale. Nel 1919 viene fondata a Los Angeles la rivista "The Personalist", anche se tutto il movimento, in questo Paese,  rimarrà sostanzialmente influenzato dallo spiritualismo.

In Francia - sottolineando i limiti, da un lato,  dell'idealismo e, dall'altro,  del positivismo - C. Renouvier pubblica, nel 1903, "Le personnalisme" e E. Mounier fonda nel 1932 la rivista "Esprit" attorno a cui si verranno, e si vengono tuttora,  realizzando molte e interessanti ricerche.

Ma sappiamo bene come le riflessioni nei confronti del termine 'persona' datino da lunghissimo tempo. Richiamare un 'personalismo perenne' e  un 'personalismo storico' può essere utile per evitare l'errore di un isolamento sulle ricerche di questi ultimi periodi e per vedere invece il personalismo nella grande rete di rapporti e riferimenti culturali sia nel pensiero antico, sia in quello moderno e contemporaneo.

Storia antichissima, quella del termine 'persona': da "prosopon" a "naturae rationalis individua substantia" ( Severino Boezio, "De duabus naturis et una persona Christi") a "support d'une attitude, d'une perspective, d'une aspiration" (E. Mounier).

Ma è possibile risalire ben più indietro di Boezio: Epitteto ( ca 60- ca 138, "Diatribe"), per esempio, osserva: "se fossi un usignolo, eseguirei la mia parte di usignolo; se cigno, quella del cigno. E invece sono persona: devo cantare un inno a Dio".

E' comunque con il messaggio cristiano che si pongono i significati fondamentali della persona nella sua dignità, unicità, singolarità e irrepetibilità. I richiami a s.Agostino - la persona come sostanza ( "De Trinitate" )- e a s. Tommaso che distingue dall'individuo, di per sé indistinto, la persona, in qualsiasi natura,  come "ciò che è distinto in tale natura; come nella natura umana significa queste carni e queste ossa e quest'anima che sono i principi che individuano l'uomo"- ( "Summa Theologica" )- intendono essere rappresentativi di questa interpretazione millenaria che vede nell'amore la più alta espressione della persona: "Amor est nomen personae".

Con il pensiero moderno, fino alla fine del  XIX secolo, si apre una riflessione che lascia sullo sfondo la persona come sostanza per  accentuare, sia pure nelle diverse prospettive dei diversi autori, il significato del rapporto della persona con se stessa. Per citare solo alcuni autori, nel densissimo panorama filosofico: R. Descartes,"ego sum, ego existo"; B Pascal e la sua visione dell'uomo e "delle sue miserie di gran signore", di "re spodestato", "du roi déchu"; J. Locke definisce  l'uomo come creatura razionale, "che può considerare se stesso, cioè la stessa cosa pensante che egli è, in diversi tempi e luoghi" ("Saggio sull'intelletto umano"); I. Kant riconosce come il fatto che l'uomo possa rappresentarsi il proprio io "lo eleva infinitamente al di sopra di tutti gli esseri viventi sulla terra. Per questo egli è una persona e, in forza dell'unità di coscienza persistente attraverso tutte le alterazioni che possono toccarlo, è una sola e medesima persona" ("L'antropologia pragmatica") e, nella "Metafisica dei costumi", "gli esseri ragionevoli sono chiamate persone perché la loro natura li indica già come fini in se stessi vale a dire come qualcosa che non può essere adoperato unicamente come mezzo";  Hegel intende la persona come soggetto autocosciente in quanto "semplice riferimento a sé nella propria individualità" ("Filosofia del diritto"); F. Schleiermacher per cui "ciascun uomo è destinato a rappresentare l'umanità in un modo suo proprio" ("Discorsi sulla religione e monologhi"); A. Rosmini ritiene la persona, "né meramente una sostanza, né meramente una relazione, ma una relazione sostanziale, cioè una relazione che si trova nell'intrinseco ordine dell'essere di una sostanza" ("Antropologia a servizio della scienza morale"), "diritto sussistente", "volontà intelligente"  per cui ognuno è autore delle "proprie operazioni".

E' però nel secolo XX, come abbiamo inizialmente ricordato, che il personalismo si costituisce come specifica, particolare corrente di pensiero presentando, fin dall'inizio, un'articolazione delle proprie proposte.

C. Renouvier, richiamandosi  al pensiero di J. Lequier, pone il concetto di persona, collegata all'affermazione di un principio divino, alla base delle sue riflessioni sviluppando un personalismo d'impostazione metafisica. Anche se, come abbiamo velocemente richiamato, molte sono le premesse, le eredità - per usare un'espressione di Mounier - quali l'idealismo, lo spiritualismo, l'esistenzialismo riprese e rielaborate in termini nuovi finalizzati alla persona vista nella sua sostanzialità e dinamicità, la 'costellazione' culturale e filosofica del personalismo ha come 'stella di prima grandezza' il messaggio cristiano.

E' riconoscibile, nella riflessione personalistica, un altro grande sviluppo del discorso in direzione  etico-politica, avviato e rappresentato soprattutto da E. Mounier. Tutta l'opera di E. Mounier è incentrata sulla persona: soggetto nella sua interezza, che unisce indissolubilmente anima e corpo e si sostanzia, secondo la terminologia dell'autore, nelle tre dimensioni della vocazione (l'unità a cui tende dominando le forze centrifughe e dispersive e superando la loro parzialità), dell'incarnazione che rappresenta il dato situazionale, il radicamento nel tempo e nello spazio, della comunicazione in quanto nesso essenziale fra le persone che, attraverso il vincolo dell'amore, permette il decentramento dell'io nel tu.

Articolazioni di questa prospettiva interpretativa , tra metafisica e dimensione etico-politica,  ritornano costantemente nelle formulazioni pedagogiche personalistiche che si arricchiscono di contributi in particolare della cultura francese, ma non solo di questa: Nedoncelle, G. Marcel, L. Lavelle, J. Lacroix, ma anche N. Berdjaev con il suo personalismo esistenziale cristiano; M. Buber e il suo "principio dialogico" come senso della vita; R. Guardini che pone il "vivente-concreto" nella sua visione della "opposizione polare".

Articolazioni similari si ritrovano, nel nostro Paese, nelle proposte di L. Stefanini, A. Calò, M. Casotti, M. Agosti e, successivamente, G.Corallo,  A. Agazzi, M. Peretti, G. Catalfamo, G. Flores d'Arcais - per citare solo alcuni tra i nomi rappresentativi di questo movimento -  e a tutt'oggi le ricerche continuano sviluppando argomentazioni e presentando itinerari diversi pur su una forte affinità di base.

Ho precisato intenzionalmente 'movimento'. Il personalismo si configura infatti, per esplicita osservazione di E. Mounier, non come teoria, sistema, ma come movimento che, anzi, diffida dei grandi sistemi metafisici e degli ideali complessivi. Scrive E. Mounier in "Che cos'è il personalismo?": "il personalismo può sembrare inafferrabile a chi vi cerchi un sistema, mentre è prospettiva, metodo, esigenza".

            Sforzo per comprendere e superare la crisi dell'uomo del XX secolo, sostenere le attese, sciogliere le paure, il personalismo, senza nessun ottimismo ingenuo e di maniera, apre all'elaborazione di un'impostazione educativa impegnata ad affrontare le lacerazioni della vita del singolo e della società e a cercare di superarle per costruire un'esistenza amica, fraterna, dialogante.

Esso intende collocarsi - a mio avviso - più sul versante dell'esprit de finesse che dell'esprit de géometrie proprio in quanto configurato in termini flessibili, intuitivi e sintetici a un tempo; teso a cogliere la complessità del comportamento umano e a offrire possibili indicazioni di miglioramento personale e sociale.

La diffidenza del personalismo nei confronti dei grandi sistemi metafisici per proporsi come "prospettiva, metodo, esigenza" mi sembra particolarmente interessante per recuperare quelle aperture, quelle disponibilità a interagire a largo raggio con tutte le diverse forze - sempre nel rispetto di una congruenza interna e senza ambiguità epistemologiche - nel tentativo di valorizzare le possibili risorse, comprendere e superare le difficoltà e le crisi che attraversano la vita dei singoli e delle società.

Molti pedagogisti hanno trovato e trovano un punto di convergenza nell'idea di persona, questo però non può bastare per riconoscere un'impostazione pedagogica come personalistica: è necessaria  una 'tenuta' interna del discorso che ci consenta di far emergere con chiarezza come ogni aspetto/dimensione/evento educativo sia contrassegnato/permeato/intriso/qualificato dal valore persona. La teorizzazione della persona, pur tenuta presente da molti ricercatori, è posta con più fermezza e con più coerenza al centro del proprio disegno teorico appunto dai pedagogisti personalisti, non solo cattolici, come avremo modo di considerare.

E' stato giustamente osservato come il termine persona sia diffusamente entrato anche nel linguaggio comune e venga spesso usato senza una rigorosa attenzione ai suoi significati. "Ne consegue la possibilità di ritenere come molto simili discorsi che pure si muovono in contesti culturali assai diversi…. Ciò è riscontrabile anche e soprattutto in ambito pedagogico, dove non esiste oggi dottrina che non ritenga di dover parlare dell'educazione della persona, anche se poi l'indagine critica permette di evidenziare come la persona venga intesa, ora come soggetto ora come oggetto dell'educazione, ora come fine ora come mezzo, e venga riconosciuta talvolta in una sua decisa e chiara autonomia, altre volte come elemento o parte di un tutto (umanità, storia, classe sociale, ecc.)." (v. G. Flores d'Arcais, "Persona", in "Nuovo Dizionario di Pedagogia", p.975).

Da qui la necessità di tenere sempre alti i livelli di attenzione e cura nei confronti di quanto costituisce la centralità di questa prospettiva pedagogica e cioè il soggetto persona quale entità libera, vista nella sua sostanzialità e dinamicità,  intesa come singola, unica irrepetibile, creativa nella sua dignità ontologica e nella sua continuità ontica.

 Tutte le caratteristiche qualificanti la persona non rimangono  a livello di indicazioni molteplici, ma rinviano a un principio unificatore e questo è visto nella identità. Da qui, in questa impostazione  pedagogica che trova nell'identità personale, a un tempo, sia la sua base avviativa, sia la sua dimensione finale, la valorizzare dei temi della scelta, della responsabilità e dell'impegno e del rischio.

Il tema della libertà attraversa tutte queste dimensioni. E' sulla libertà, da distinguere da autonomia e spontaneità, che mi pare particolarmente interessante portare oggi l'attenzione, in un tempo di vecchie e nuove erosioni della libertà, dove continui riduzionismi e presuntuose decifrabilità dell'umano - dalla genetica alle bio-tecnologie - avanzano molto velocemente. Ritengo significativo rilevare come l'educazione personalistica si configuri soprattutto come sostegno della libertà, in quanto tratto qualificante la persona, e come individuazione ed elaborazione di necessari criteri di scelta.("Une personne est un etre spirituel constitué comme tel par une manière de subsistance et d'indépendence dans son etre; elle entretient cette subsistance par son adhésion à une hiérarchie de valeurs librement adoptées, assimilées et vecues par un engagement responsable et une costante conversion; elle unifie ainsi toute son activité dans la liberté et développe par surcroit, à coups d'actes créateurs, la singularité de sa vocation". E. Mounier,"Qu'est-ce que le personnalisme" ).

 Il tema della scelta attraversa tutti i punti su indicati; nella  pedagogia personalistica è costantemente dichiarata la sua importanza, anche se - a mio avviso - non risultano approfondite le sue dinamiche. Come educare alla scelta; quali le condizioni, i livelli di scelta; in base a cosa scegliere e in vista di che cosa sono tutte questioni da approfondire.

La persona, nella sua complessità irriducibile e inviolabile, non è mai compiutamente sondabile e decifrabile. Non problema a se stessa, in quanto il problema tende a possibili soluzioni, la persona - in molte interessanti interpretazioni personalistiche -  si pone come "enigma", "ignoto a se stesso" e pure "proposto a sé quale compito" (R. Guardini); "mistero" ( G. Marcel), "chiffre indéciffrable de ma singularité" (E. Mounier)  che nemmeno l'introspezione più accurata può riuscire a tradurre in compiuta conoscenza;"lavoro interminabile…che noi svolgiamo su noi stessi" (P.Ricoeur).

Questa insondabilità della persona, questa continua ricerca di sé nei confronti di se stessa, si ritrova anche nei confronti del rapporto con l'altro e ci porta ad avvertire come l'altro sia "in-disponibile" nella totalità del suo esistere (R. Guardini). "Un uomo, che riuscissimo ad abbracciare interamente con il nostro sguardo e a prevenire in tutti i suoi moti, proprio per tale motivo cesserebbe di essere persona e, quando si considerano e si trattano gli uomini alla stregua di datità presenti si offende la loro stessa personalità" (W. Pannenberg, "Questioni fondamentali di teologia sistematica", Brescia 1975, p. 478) .

L'apertura all'altro qualifica la stessa persona: "il procedere essenziale in un mondo di persone non è la percezione isolata di sé ( cogito), né la cura egocentrica di sé, ma la comunicazione delle coscienze o meglio la comunicazione delle esistenze, esistenza insieme con gli altri" ( E. Mounier).

La persona non appartiene alla sfera dell'io, ma appartiene alla sfera del noi ."Non esiste per principio la persona che per principio sia solitaria" (R. Guardini, "Mondo e persona", p.172). Uno dei punti fermi della pedagogia personalistica è l'interpretazione della persona nella sua relazionalità, anche se mai è riducibile alla dimensione relazionale e risolvibile nella dinamica relazionale.

Sia pure irraggiungibile nella sua misteriosa intimità ( secondo Rosmini la persona "è trasparente solo per Dio") la persona sussiste e si realizza nella forma del dialogo, nella dimensione dell'incontro, nel movimento della sollecitudine. Su queste tematiche i contributi sono numerosissimi. A me piace richiamare, in questo contesto, e consente anche di annunciare le articolazioni interne nelle attuali prospettive pedagogiche personalistiche - che verranno prese in considerazione successivamente - i significati positivi del contatto, considerato solitamente come modalità di rapporto superficiale e strumentale,  e non solo dell'incontro. E questo per segnare di una costruttività di fondo le dinamiche della quotidianità, le difficoltà diffuse e profonde di una relazione con l'altro, non sempre adeguatamente presenti nelle teorizzazioni e proposte della pedagogia personalistica 'tradizionale'.

Il riconoscimento di me nell'altro, la dimensione/il senso della 'prossimità' sono ampiamente valorizzati nella pedagogia personalistica; non analoga attenzione è stata - a mio avviso - prestata alle difficoltà di questo rapporto che evidenzia tutte le sue fragilità o, addirittura, le sue smentite, tradito dalla menzogna e dall'inautenticità, nella quotidianità del vissuto, negli atti reali delle umanissime esperienze  dove il calcolo si mischia al sentimento, la rivalità all'amore, la competizione e il conflitto alla disponibilità, dove l'altro si pone come possibile punto di resistenza e di rifiuto se non di ostilità e di attacco.

Nei suoi momenti più alti e autentici, il dialogo è riconoscimento di libertà (J.Lacroix ) e conferma dell'altro "nella sua identità di persona" ( M. Buber ) sempre che la relazione, secondo la ben nota distinzione di M. Buber, sia Io-Tu e non si riduca nella relazione Io-Esso. Come mantenere la prima e non scivolare nell'altra è questione di grande rilevanza pedagogica ed educativa: il non aver avvertito e affrontato adeguatamente il problema di tutte le possibili distorsioni della relazionalità e la tragedia delle sue patologie è uno dei limiti in cui la ricerca pedagogica personalistica di questi decenni mi sembra purtroppo incorsa.

E' pertanto prioritario - a mio avviso - riprendere e ulteriormente approfondire questo capitolo interessantissimo e rappresentativo della pedagogia personalistica alla luce degli studi e riflessioni attuali dedicati all'esplorazione di sé e dell'altro, alle possibilità e modalità di comunicazione , ai suoi sensi e ai suoi significati per evidenziare e sostenere gli sviluppi nelle direzioni dell'educazione alla pace e alla solidarietà e per riconoscerne tutta l'incidenza a proposito dell'educazione interculturale dove centrale è l'assunto che il dialogo è fatto " non di soluzioni, ma della loro ricerca in modo congiunto" (Raimon Panikkar, "La torre di Babele", 1990).

Contro tutti gli individualismi e contro tutti i totalitarismi si vengono così delineando le interpretazioni personalistiche della società, delle società vitali, della comunità nella valorizzazione della partecipazione e della solidarietà dove l'altro si fa 'prossimo'.

Distinguendo, sulla scorta delle proposte di P. Ricoeur, tra "relazione corta" e "relazione lunga", le interpretazioni personalistiche risultano maggiormente centrate sulla prima rispetto alla seconda. Anche le analisi portate sulla società e sulle sue istituzioni rielaborano - a mio avviso - prevalentemente significati, dinamiche, valutazioni  messe a fuoco nella considerazione dei rapporti interpersonali ( fino ad arrivare alla discutibile definizione di Mounier della comunità personalista come "personne de personnes" ("Manifeste au service…"). Particolarmente interessanti e utili sono in proposito le riflessioni di P.Ricoeur e le sue differenziazioni tra "relazioni interpersonali il cui emblema è l'amicizia…e relazioni istituzionali aventi per ideale la giustizia" ( "La persona", p.46) portando il discorso in "quelle regioni delle relazioni umane dove l'altro resta senza volto, ( io preferisco dire 'senza intimità' ) senza per questo rimanere senza diritti" ("La persona",p.47).

E' qui anche lo spazio di sviluppo più interessante delle ricerche pedagogiche personalistiche ( e, come successivamente sarà possibile considerare, neo-personalistiche ) contemporanee che non si accontentano del "facile gioco dell'io-tu" (A. Negri, Simposio rosminiano, Stresa agosto 2001), ma cercano di approfondire e comprendere le dinamiche relazionali nella loro drammatica complessità e di superare "gli orrendi fossati" (G. Lorizio, Simposio rosminiano….) che quotidianamente e tragicamente continuano ad aprirsi tra l'io e il tu, tra i singoli, i gruppi, le società, le culture.

L'alternativa radicale cui pone costantemente di fronte, nelle diverse contestualizzazioni spaziali e temporali, la pedagogia personalistica è quella tra l'essere e l'avere, che è anche tra l'essere e l'apparire: "la scelta dell'essere è scelta di essere persona; la scelta dell'avere è divenire cosa, oggetto permutabile con qualsiasi altro" (G. Flores d'Arcais, "Teorie pedagogiche", in "Nuovo Dizionario di Pedagogia" p.1257). In rapporto con le teorie essenzialistiche, lo sforzo della pedagogia personalistica è giustamente visto da Flores d'Arcais nell' "eliminare quel tanto di astrattezza, quando anche non si tratti di utopia, che vi è nelle teorie essenzialistiche: certamente significative per quel che riguarda l'indicazione di un dover essere, sempre trascendente e perciò chiaramente ideale, ma non altrettanto giustificabili - per lo meno dal punto di vista pedagogico - ove si tenga conto che in educazione  al tu devi è essenziale corrisponda comunque un tu puoi , cioè un'attenta considerazione delle condizioni onde l'educare riesca a farsi 'evento esistenziale' e quindi momento dell'esperienza umana". ( v. G. Flores d'Arcais, "Teorie pedagogiche", p.1257).

In questa prospettiva, nell'impegno di non perdere di vista il concreto dell'esperienza umana, i lavori sono ancora in corso.

 

 

&3 Punti di forza e di debolezza della pedagogia personalistica

 

            Se i tratti prima sinteticamente richiamati sono rappresentativi del nucleo portante, del nocciolo duro della pedagogia personalistica, il passaggio successivo è cercare di entrare nel merito delle diverse indicazioni per rilevare quali siano gli effettivi 'punti di forza' che consentano di promuovere e sostenere lo sviluppo delle ricerche, quale la loro consistenza , il loro spessore, la vitalità e la ricchezza di significati e quali invece si configurino come elementi di fragilità.

            All'interno di questioni che attengono, ovviamente, al discorso pedagogico in quanto tale, ho cercato pertanto di individuare quelli che mi  sembrano essere aspetti eminentemente rappresentativi, nel bene, pericolosamente diffusi, nel male, della pedagogia personalistica anche se certamente non di essa esclusivi.

Nei confronti dei punti di forza  mi sembra opportuno immediatamente richiamare l'unicità e l'irrepetibilità dell'educatore e dell'educando e delle dinamiche fra loro intercorrenti per evidenziare appunto come, nell'impostazione personalistica, essi siano visti non come 'oggetti' di educazione, ma come persone uniche e irrepetibili, come unico e irrepetibile è il rapporto che tra loro viene a realizzarsi.

Tale rapporto, che implica non soltanto la compresenza storicamente rilevabile di due soggetti,  ma la particolare intenzionalità , sia pure più o meno esplicita e consapevole, di "collegarsi per raggiungere ciò che da soli non sarebbe possibile ottenere" ( S. De Giacinto, p.95), riconosciuto nella sua strutturale asimmetria e complementarietà, nella sua impossibilità a essere chiuso entro schemi astratti e formali, viene interpretato in termini di incontro ( R. Guardini), di relazione di comprensione ( M. Buber), di reciprocità, di rispetto.

            Su questo versante, a mio parere, emergono i contributi più significativi; particolarmente importanti e validi proprio oggi, in un tempo di tecnicismi sempre più esasperati ( ed è, credo, per e su questa base, che è stato ed è possibile, nella prassi educativa personalistica,  evitare riduzioni precettistiche e derive siano esse  magistrocentriche o puerocentriche, autoritaristiche, come nel passato, o permissive, come nel presente).

 Forte del valore persona, la pedagogia personalistica imposta e sviluppa disegni progettuali, interpretazioni e prospettive attinenti alle diverse istituzioni educative, dalla famiglia alla scuola,  alle istituzioni culturali e sociali: finalità, metodologie, gli stessi aspetti organizzativi sono visti e sviluppati all'insegna del primato della persona, del suo rispetto e della sua promozione.

Grande spazio occupano, in questo contesto, i temi della comunicazione e dell'azione, dove sono riconoscibili gli apporti provenienti da ricerche linguistiche, psicologiche e filosofiche.

Le connessioni tra linguaggio e azione, le analisi portate sulle dimensioni in particolare illocutorie e interlocutorie, consentono di riprendere e riconsiderare, anche alla luce di queste ulteriori ricerche, temi cari alla tradizione della pedagogia personalistica quali quelli dell'impegno e della responsabilità. La rilevanza dell'agire, "la categoria più importante della dimensione personale" ( Ricoeur, 48), si coniuga con la dimensione linguistica e comunicazionale fino a poter riconoscere, nella prospettiva pedagogica personalistica, che è la nostra vita che parla.

Un'altra rilevante serie di contributi riguarda la dimensione teleologica, comune anch'essa certamente a tutte le pedagogie: la pedagogia, infatti, "è prospettiva che impone la tematica teleologica… sempre perseguita anche se non sempre intenzionalmente" (G. Flores d'Arcais, "Itinerario pedagogico", Pisa 2000, p. 17).

Ma mi pare di poter riconoscere alla pedagogia personalistica la capacità e l'impegno ( e, in alcune fasi della storia recente, il 'coraggio scientifico') di elaborare, nella sua autonomia, le finalità da perseguire nella loro completezza e ricchezza, senza dipendenze e 'mutuazioni' dal sociale, dal politico, dall'economico… puntando sempre  in direzione del valore persona "nella integralità del suo essere-esistere" (Ibidem, p.18), del soggetto persona che è anche impegnato a farsi persona.

Esemplificative possono essere, in proposito, le pagine di M. Buber nei confronti del fine ultimo dell'educazione, mai compiutamente conseguibile, ravvisato nella formazione del "grande carattere", espressione della propria originale presenza, testimonianza delle proprie scelte e decisioni ("Il problema dell'uomo" , 1943) nella prospettiva che ciò che è giusto e vero "germini e cresca nella sostanza dell'altro e nella forma conseguente alla sua esistenza".

Un impegno, questo dell'elaborazione teleologica, perseguito dalla pedagogia personalistica, sia pure nelle sue diverse articolazioni, senza però ritenere importante solo la considerazione del fine a scapito di tutte le altre dimensioni dell'agire educativo, senza cadere nei limiti del teleologismo (anche se bisogna riconoscere come le tentazioni in questa direzione siano state e siano abbastanza frequenti). 

La pedagogia generale in prospettiva personalistica si viene così a configurare come sapere riflessivo, interpretativo, progettuale. Se ci limitassimo solo ai primi due aspetti, se le qualificazioni riflessiva e interpretativa venissero assunte come sufficientemente qualificanti, la pedagogia sarebbe discorso, ricerca su quanto è avvenuto e avviene, una sua elaborazione, approfondimento, chiarificazione e valutazione. La pedagogia personalistica assume certamente questi compiti e questi responsabilità, ma non ritiene possibile attestarvisi e in essi riconoscersi compiutamente. La sua ragion d’essere va oltre la dimensione riflessiva e critica per spendersi, appunto, con la necessaria rigorosità  e congruenza interna,  in direzione progettuale precisandosi così come tensione e impegno verso un sempre possibile miglioramento personale e sociale.

L'aver riconosciuto questa attenzione alla dimensione teleologica come particolarmente significativa, non intende celare alcune possibili involuzioni o cedimenti nel variegato insieme della pedagogia personalistica o sostenere l'assoluta impossibilità di critiche in quest'ambito. S. De Giacinto, negli anni '80, ed è una critica dall'interno delle stesse posizioni personalistiche, riteneva, ad esempio, che la pedagogia personalistica, pur dichiarando lo studio della persona umana completa, avesse fatto coincidere "la persona umana da educare con la sua intelligenza, trascurando quasi radicalmente la sua moralità. L'incertezza del mondo dei valori s'è tradotta nell'insicurezza a una educazione morale, di cui gli educandi hanno sofferto la mancanza.….ora si studia forse meglio l'educazione come struttura sistemica, ma in cui la persona umana rientra come essere prevalentemente pensante e non come vivente una vita globale". ( "Teoria e prassi…", p.93).

Il terzo punto riconosciuto come positivo, la stretta connessione teoria-pratica, non è indubbiamente, a sua volta,  prerogativa del personalismo. La pedagogia ha il suo spazio nel momento in cui riesce a esprimere efficacemente questa costante circolazione tra dimensione teorica e dimensione pratica, tra idealità e concretezza per cui analisi approfondite riescono a configurarsi come validi suggerimenti e la conoscenza delle condizioni esistenti  si pone come base di capacità progettuali. Una presenza, quella pedagogia, che a me piace intendere come azione  sul campo e  visione dalla collina, l'una aiutata e sostenuta dall'altra.

La pedagogia si qualifica certamente come sapere per la pratica, ma ritengo di poter riconoscere in questa direzione, da parte della pedagogia personalistica, un contributo interessante per la particolare cura e attenzione prestate a tale rapporto, sempre accortamente perseguito in tutta la sua ricchezza, 'densità' e vitalità senza prevalenze di una dimensione a scapito dell'altra; ciò che comporta appunto il riconoscimento dell'importanza e la valorizzazione sia della dimensione teorica, sia di quella pratica.

E' su questa base che è possibile riconoscere come caratteristica della teoria in pedagogia - non solo personalistica, ma indubbiamente  personalistica - sia quella di "essere costruita per un operatore che rimanga non soltanto libero, ma anche artista nella conduzione della sua novità storica" (S. De Giacinto, "Teoria e prassi in pedagogia", p.84).

L'aver interpretato la dimensione teorica come "prospettiva, metodo, esigenza", più che come sistema, ha forse agevolato la pedagogia personalistica nel ricercare il rafforzamento del proprio rigore critico , l'incisività e intensità dei saperi , la valorizzazione di raccordi e connessioni al proprio interno senza mai perdere i contatti con le particolari situazioni, gli accadimenti del proprio momento storico, anzi trovando in essi sempre nuove sfide e sollecitazioni.

Un'impostazione critico-interpretativa, questa della pedagogia personalistica, che ha sempre cercato di riguardare al reale nell'intento di avvertirlo, riconoscerlo, comprenderlo senza riduzionismi e senza forzature, anzi trovando in esso, nella sua densità e complessità, fertili opportunità, nuove sollecitazioni e arricchimenti per la stessa ricerca.

Considerare la dimensione pratica in tutta la sua importanza, senza peraltro rimanere chiusi nei suoi limiti spazio-temporali, e attivare un continuo processo di interpretazione, progettazione e rinnovate esperienze educative; far dialogare teoreticità pedagogica e concretezza delle situazioni, senza dissolvere l'una nell'altra - rischio peraltro sempre presente - mi sembra un impegno che la pedagogia personalistica ha cercato e cerca costantemente di perseguire.

Questa costante attenzione alle dimensioni critico-teoriche e pratico-operative, questa integrazione dinamica, questa "circolarità sinergica" ( G. Santomauro, "Dimensioni fondamentali della ricerca pedagogica", Padova, 1981 ) ha permesso di riguardare a fatti, eventi, processi, contesti educativi cercando di andare oltre una lettura di superficie evitando, d'altro canto, di sovrapporre ai dati di realtà una propria predeterminata visione delle cose.

Una sensibilità e accortezza che, mi pare, abbiano sostenuto la possibilità per la pedagogia personalistica, da un lato,  di mantenere sempre la ricchezza e la vastità dei propri interessi e argomentazioni e di non riconoscersi solo nella filosofia dell'educazione e, dall'altro, di non essere 'adescata' da ipervalutazioni tecnicistiche così diffuse in questo nostro tempo.

Anche per quanto riguarda i punti deboli - proposti, ovviamente, come prima indicazione per avviare una più approfondita riflessione comune - essi in qualche modo sono presenti, non solo in tutte le elaborazioni pedagogiche, ma probabilmente in tutte le scienze. Mi sembra, però, di poter osservare la loro particolare presenza nella pedagogia personalistica.

Innanzitutto la retorica come 'via di fuga' rispetto all'impegno, allo sforzo di una ricerca rigorosa che, in luogo di approfondire l'individuazione di problemi e l'elaborazione di possibili soluzioni, si accontenta dello 'stile' o della saccenteria del dover essere. C'è una certa verbosità moraleggiante in non poche pagine della pedagogia personalistica dove il limite della retorica si coniuga, a volte, con la vaghezza delle elaborazioni e proposte. Sferzanti, in proposito,  le parole usate da J. Maritain in "Il contadino della Garonna": il personalismo è "la torta alla crema della chiacchera cattolica" (e, purtroppo, a volte, mi permetto di aggiungere, la pedagogia personalistica si pone come la ciliegina  su questa torta) .

L'altro aspetto debole riguarda le connessioni internazionali. Non mancano certo contributi di pedagogia personalistica nei diversi Paesi, in particolare Polonia, Spagna, Francia, Germania, sud America; anche nelle nostre riviste si ritrovano spesso articoli di colleghi stranieri, ma limitati sono invece - almeno così mi risulta, ma sarei molto contenta di dovermi ricredere - i casi di ricerche rappresentative di connessioni internazionali, di reti in cui il concorso di pedagogisti personalisti di diversi Paesi punti verso direzioni comuni. Nei pochi casi in cui si sono venute a verificare riguardano più aspetti professionali, di formazione docente, che aspetti di approfondimenti epistemologici e progettuali.

Pare sempre più necessario affiancare la ricerca pedagogica come sforzo ideativo del singolo con una  ricerca pedagogica che sia anche espressione del concorso di risorse e competenze molteplici, nel rispetto della complessità dei fattori interagenti nell'educazione e delle possibili competenze specifiche da impegnare nell'impostazione e sviluppo di un progetto comune ( si veda quanto sostenuto da R. Laporta in proposito).

Ho ritenuto, infine, di dover riconoscere tra le carenze, la scarsa attenzione alla connessione tra ricerca e comunicazione delle risultanze della ricerca. Non è, questa,  una preoccupazione che vada in direzione di una sollecitazione a perseguire modalità 'pubblicitarie: essa mi pare formulabile nel rispetto del senso del discorso pedagogico: se la pedagogia è ricerca per l'educazione non può essere irrilevante avvertire quali siano i livelli di conoscenza e di diffusione o di ignoranza e di non circolazione di determinate proposte, il loro grado di penetrazione e di comunicabilità. Una pedagogia, e personalistica in particolare,  che si appaga di essere un sapere di esperti, incapsulata a questo livello, attenta - nel momento in cui viene formulata - al rapporto teoria-pratica e poi disimpegnata nei confronti di una sua possibile diffusione, oltre alle aule scolastiche e universitarie, mi pare rischi di smentire la sua stessa ragione istitutiva.

C'è la 'grande pedagogia' dei teorici, degli studiosi, dei ricercatori che si ritrova nei testi, nei classici di Rousseau, di Froebel, di Pestalozzi, di Herbart…e la 'piccola pedagogia' delle scelte e dei gesti quotidiani in famiglia, nella scuola, nell'espressione della propria partecipazione alla società civile. Quali i rapporti tra l'una e l'altra? Nel corso del tempo, nello svilupparsi della ricerca pedagogica  è possibile riconoscere una sempre maggiore attenzione della prima nei confronti della seconda nel tentativo di comprendere i problemi ricorrenti, gli aspetti più difficoltosi e impegnativi. Ma tutto questo è stato spesso funzionale alla stessa ricerca, mentre la quotidianità, la pratica - nello scenario delle diverse istituzioni educative, soprattutto nell'ambito delle istituzioni familiari - rimaneva sostanzialmente indifferente, se non isolato, dalla ricerca, dalle sue indicazioni per affidarsi ad altre logiche e sottostare ad altre influenze ( prevalentemente mass-mediatiche).

E' necessario, a mio avviso,  assumere come impegno prioritario questa connessione tra la 'grande pedagogia' e la 'piccola pedagogia' per cercare di valorizzare le suggestioni dell'una e gli approfondimenti e le chiarificazioni dell'altra con l'obiettivo di rendere sempre più consapevole e responsabile l'azione educativa e fare in modo che il qui non sia un "qui, futile-orrido qui" ( A. Zanzotto, "Sovraimpressioni", Mondadori 2001).

Tra l'altro, una connessione tra ricerca e comunicazione della ricerca è, a mio avviso, a volte debole all'interno della stessa comunità scientifica così da rendere difficile non solo la comunicabilità, ma anche la stessa cumulabilità delle conoscenze.

 

 

 

& 4 - Le articolazioni interne della pedagogia personalistica

Le ultime osservazioni riguardano  il riconoscimento di articolazioni interne alla pedagogia personalistica e la possibilità di trattare di pedagogie personalistiche: nelle diverse elaborazioni e proposte sussistono molte analogie, zone assai estese di confluenza, ma anche differenze, a volte modeste, eppure riconoscibili.

 La storia della pedagogia  personalistica in questi ultimi  decenni, e non solo del nostro Paese, consente di mettere i evidenza, a mio avviso, tre direzioni che ho denomitato cattoliche, critiche, neo-personalistiche sulla base della letteratura pedagogica esistente. Particolarmente utili, per quanto riguarda il personalismo critico e orientamenti neo-personalistici, sono i  riferimenti al testo curato da G. Flores d'Arcais, "Pedagogie personalistiche e/o pedagogia della persona"  del 1994.

Di maggiore tradizione e più chiara impostazione mi sembra configurarsi la pedagogia personalistica cattolica dall'impianto intrinsecamente religioso e dai forti collegamenti con il pensiero tomistico (G. Chiosso, "La pedagogia cattolica fra tradizione e innovazione", in "Novecento pedagogico", La scuola, Brescia 1997). Essa viene riconosciuta atta "a recuperare il senso più intimo dell'umanesimo moderno, ma insieme a reimpostare, senza equivoci, la trascendenza e la provvidenza dell'Assoluto" e ad aver così  aperto, "per tale via, ai temi della rivelazione e dell'incarnazione come colloquio con l'intimior intimo, superior sommo"( M.Laeng, "Le correnti cattoliche contemporanee", in "La pedagogia", vol. VI, Vallardi, Milano 1970).

La cifra caratterizzante è nella rivelazione dove si trovano i significati che salvano dal nulla; la religione e la fede si costituiscono come fondamento della libertà personale, impulso e veicolo per il raggiungimento della piena umanizzazione. Collegamenti con il magistero della Chiesa vengono portati avanti dalla pedagogia personalistica cattolica,  trovando solidi riferimenti nelle stesse encicliche: dalla "Gravissimum educationis" (1965) dove dimensione personale e sociale si relazionano in funzione di un'educazione completa e armonica, a "Centesimus annus" (1991) per un'educazione alla pace e allo sviluppo nel superamento di mentalità egoistiche e individualistiche, dall'"Evangelium vitae" (1995) per un'educazione alla vita che aiuti l'uomo a essere sempre più uomo, sostenendo il passaggio dall'indifferenza all'interessamento per l'altro e dal rifiuto alla sua accoglienza, alla "Veritatis splendor" dove la fede si pone a sostegno della ricerca della verità.

In questo contesto l'individuazione dei fini risulta fondamentale per un'educazione del soggetto persona che è impegnato nella loro attuazione e testimonianza. E' questo il senso dell'umanesimo integrale di J. Maritain orientato verso "una realizzazione socio-temporale di quell'attenzione evangelica all'umano che non deve esistere soltanto nell'ordine spirituale, ma deve incarnarsi nell'ideale di una comunità fraterna" ("Umanesimo integrale"). Le riflessioni, i contributi di M.Peretti sono certamente rappresentativi in proposito.

Per quanto riguarda le pedagogie personalistiche critiche - per il cui sviluppo mi pare di poter riconoscere come fondamentali, in questi decenni, particolarmente i contributi di G. Flores d'Arcais, G. Catalfamo, M.Manno, M. Laeng, G. Acone - il contrassegno è reperibile nel porre al centro delle riflessioni un'interpretazione di persona come valore da interpretare e da realizzare: al posto della metafisica dell'Essere, viene proposta la "metafisica della persona" ( Flores d'Arcais, "Contributi a una pedagogia della persona"); la "metafisica della libertà" (M. Manno, "Presupposti teorici del personalismo critico", in "Pedagogie personalistiche e/o pedagogie della persona" ). Diverso il discorso portato avanti da G. Catalfamo nel suo "Personalismo senza dogmi" (1971) e nei suoi successivi lavori, dove la ricerca è tesa ad ancorare la persona "alla storia e all'esperienza" nell'intento di superare ogni "presupposto metafisico" avvertito come "residuo dogmatico" ( si veda in proposito il dibattito tra Catalfamo e Peretti del 1971-1973).

 Se pure non sono da sottovalutare differenziazioni interne - più attente a questioni epistemologiche, per riuscire a fondare il discorso pedagogico "secondo i propri principi", come in Flores d'Arcais, più impegnate sui versanti ermeneutici, come mi pare di poter cogliere in M. Manno e in G. Acone,   maggiormente interessate a svilupparsi in direzioni tecnico-scientifiche come in M. Laeng - forte e comune è la valorizzazione verso la persona come nucleo di problematizzazione, apertura, ricerca, mai in possesso di risposte definitive. Nella pedagogia personalistica critica, l'educazione è il processo che dà alla persona gli strumenti per "farsi persona, per realizzarsi come centro originario di volontà, come situs irrepetibile o indeducibile di libertà e trascendenza" (M. Manno,"Il personalismo", in "Rassegna di Pedagogia", 1981,1, p30). E ancora "la realtà della persona è qualcosa che dobbiamo fare e che possiamo perdere continuamente, qualcosa che dobbiamo rinnovare attimo per attimo" (M. Manno "Metafisica e educazione" 1966, p. 24).

Ma persona è però, nel contempo,  concetto "strutturale" e ciò comporta il suo riconoscimento oltre le contingenze storiche ( G. Flores d'Arcais, "Per una teoria personalistica….", G. Acone," Declino dell'educazione e tramonto d'epoca", 1994 ).  Il proprium della persona è un tendere-oltre, e questo "tendere-oltre è un aprirsi all'oltre da sé, alla trascendenza o ulteriorità dell'esperienza ( che non è Dio, ma è l'implicanza problematica e difficile - da programmare sempre - delle altre 'cose' e degli altri 'soggetti'), ma deve anche, aprirsi all'oltre di sé, al sacro" ("Nuove ricerche sul personalismo" ,1982, p.39). Il personalismo critico pone la persona "come valore, non come essere sostanziale, cioè come realtà deontologica" e così facendo, pone "tutta l'educazione come affermazione progressiva ...di questa trascendenza" (p.39).

L'espressione 'pedagogia neo-personalistica' l'ho proposta nel contributo relativo all'incontro padovano e ripresa in più occasioni per cercare, assolutamente senza  abbandonare eredità preziose, di valorizzare una pedagogia personalistica maggiormente sensibile e attenta, rispetto al passato, alle posizioni fenomenologiche, resa più agguerrita sui versanti degli approfondimenti psicologici e psicoanalitici del relazionale, fortemente vincolata a quanto è più basilare, semplice, ricorrente in ognuno di noi. E' la ricerca di un'educazione  in cui tutti si possano riconoscere, che ha l'aspirazione a essere valida egualmente "per neri e bianchi, per ebrei, cristiani, musulmani e buddisti, per agenti di cambio e coltivatori di riso" (O. Hòffe, "Globalizzazione e diritto penale", trad. it., Comunità, Milano 2001 ) nel  rispetto delle differenze culturali e nel riconoscere, affermare,  valorizzare i comuni significati di fondo. Il paradigma interpretativo centrato sulla persona viene reso meno 'accademico', maggiormente esposto alle difficoltà attuali,  impegnato a penetrare "nel tumulto del tempo" (Balthasar, II 276).

La pedagogia neo-personalistica non interrompe la connessione con la trascendenza per chiudersi in una mondanità fine a se stessa, anzi evidenzia tutta l'importanza della dimensione trascendente, nello spazio delle proprie scelte personali, ma cerca innanzitutto di trovare punti di convergenza e possibili azioni comuni nei confronti delle istanze che attraversano un particolare momento storico, cercando ciò che è valido "etsi Deus non daretur". Un aspetto particolarmente rappresentativo, in questo senso, può essere ritrovato nell'attenzione portata all'educazione interculturale  per uscire dalla "geografia chiusa dell'inesorabile" ( G. Varet, II 242) rimanendo sotto il segno simbolico del confine, inteso non come elemento invalicabile di separazione, ma anzi come luogo ideale di riconoscimento e distinzione, di contatto e  di  mediazione.

Una pedagogia personalistica inquieta, problematica, per  un sapere ‘situato’, tesa ad avvertire attentamente le particolari condizioni sociali e culturali del proprio momento storico, che può rientrare in quei personalismi più 'avveduti', secondo un'espressione di P. Bertolini ("La mia posizione nei confronti del personalismo pedagogico, in G. Flores d'Arcais…,p.40)", in quanto consapevole dell'importanza di un contributo che si qualifica come sapere ‘incerto’, non dogmatico e flessibile.

 

Certo ho  semplificato uno scenario più complesso e fine, ma questa rapidissima rassegna dovrebbe consentire di rilevare come si tratti di articolazioni, e non certo di separazioni, all'interno della grande 'famiglia' personalista; articolazioni tra l'altro particolarmente interessate a dialogare fra loro ( come si può vedere negli atti dei convegni di Scholé di questi decenni) e con aperture e suggestioni reciproche. Istanze, argomentazioni, proposte, interpretazioni ritornano nei diversi contesti.

Ciò che, comunque, rimane in ogni proposta pedagogica personalistica, al di là di ogni possibile differenziazione, è il valore inviolabile della persona, mai intesa come prodotto, sia esso di una macro o micro cultura, della storia, della società, delle stesse istituzioni educative o della genetica - da qui la distinzione di fondo con le altre impostazioni pragmatiste, marxiste, esistenzialiste, comportamentiste…-  ma intesa sempre come presenza, da sostenere e rispettare, da interpretare e realizzare e che - a sua volta - realizza e interpreta responsabilmente ( non, quindi, la persona come risultato per alcuni 'privilegiati', per un'élite, ma dimensione, che è anche conquista nel segno della libertà che contraddistingue la persona, riconoscibile in tutti, sia pure nelle diverse forme e espressioni nelle contingenze dei tempi e degli spazi).

E' stato riconosciuto al personalismo il merito di aver mantenuto viva l'attenzione intorno a questa nozione di persona la quale, oggi, si va facendo sempre più centrale, di aver evidenziato "sia la sua interna apertura, sia la sua pregnanza come proposta teoretica, non legata alla difesa di una ideologia ( religiosa o politica), propria di uno 'schieramento', espressione di una Weltanschauung già definita e posta come definitiva, bensì appunto connessa ad una ricerca ermeneuticamente immersa nella temperie (intensamente innovativa, secolarizzante, ma anche tragica ) del nostro tempo, per affrontare le tensioni, le svolte e le aporie alla luce di un dialogo costruito dall'uomo e per l'uomo, in vista di un umanesimo autentico, in quanto capace di farsi carico delle aspettative ( radicali e/o integrali ) dell'uomo storico come individuo e come genere" (F. Cambi, p.145).  Attribuire queste caratteristiche alla trasformazione diacronica del personalismo da "una sua formulazione 'forte' di Casotti e Stefanini a quella 'debole' (più aperta, più antropologica, più dialogica) in Flores d'Arcais o in Mencarelli" ("Temi e problemi del personalismo", op. cit., p. 34) non mi pare però condivisibile.

 La "pregnanza teoretica e storica" del personalismo (Ivi), mi pare di poterla riconoscere - e il percorso qui, sia pure velocemente, ricostruito, mi auguro consenta di avvertirlo - alla vitalità di principi e alla ricchezza argomentativa da cui, fin dai suoi inizi, la pedagogia personalistica è stata contrassegnata.

 

 

&5 - Progetti per il futuro?

 

E' possibile abbattere i muri che separano le diverse impostazioni pedagogiche ( e quelli, certamente più sottili, ma pure resistenti, tra le articolazioni di un'impostazione pedagogica) senza abbattere, nel contempo, anche i 'muri portanti' che consentono la loro riconoscibilità? Credo che per rispondere a questa domanda sia necessario, preliminarmente, superare le ambizioni delle 'scuole', le soddisfazioni di 'esclusive' culturali per ricercare in maniera congiunta una corretta comprensione dei problemi e delle strategie per superarli: perseguire, oggi, come pedagogisti di ogni orientamento, una comune volontà dialogante può rappresentare la via maestra per contrastare le pericolose involuzioni in corso, combattere la violenza, ridurre la povertà nelle sue diverse, drammatiche forme culturali, morali, economiche. 

Le considerazioni poste a conclusione di questo lavoro sono relative alla ricerca di un rafforzamento della ricerca pedagogica ( non solo personalistica) e della sua immagine. Intendo  riferirmi, con quest'espressione, alla necessità di continuare un lavoro di approfondimento sia sul piano, appunto, della ricerca, sia su quello di una sua traduzione operativa in un tempo, quale il nostro, attraversato da forze distruttive e tensioni gravissime, per riconoscere e sostenere al meglio quanto c'è di positivo.

Abbiamo considerato come la pedagogia personalistica abbia lavorato e lavori sul significato di persona e sulle dinamiche educative centrate sul valore persona. Alla provocatoria domanda, posta da Ricoeur nel 1983,  se il personalismo fosse morto, si affianca oggi la domanda più radicale se sia morta la persona ( v. Simposio Rosminiano, Stresa settembre 2001). Una domanda a cui solo un impegno preciso, forte, continuo, convinto di una pedagogia e un'educazione accuratamente e chiaramente fondate  possono consentire di rispondere negativamente. Per questo abbiamo bisogno di una pedagogia che rifletta su se stessa per cercare di comprendere e valutare ciò che è riuscita a fare nel passato e ciò che è in grado di fare nel contesto sociale e culturale attuale rispetto al processo complessivo, alle dinamiche in corso ( nei confronti delle istituzioni, delle associazioni e dei gruppi, nei confronti dei singoli) senza nessuna pretesa demiurgica, che si ritenga definitivamente risolutiva. Abbiamo bisogno di continuare la ricerca pedagogica per maturare un'idea "sempre più ricca" di persona (Ricoeur, 48), per riuscire a progettare un'educazione sempre più capace di radicare il rispetto di sé e dell'altro. La prospettiva è pervenire alla costruzione di una società senza frontiere, una società "decente" ( I. Berlin, "Il legno storto dell'umanità" )per tutti e per ciascuno, l'unica possibile in un pianeta diventato per lo sviluppo tecnologico sempre più piccolo e sempre più pericoloso.

Abbiamo visto come il personalismo si sia costituito agli inizi del secolo ventesimo in un clima di guerre, di orrori, di totalitarismi, di crisi economiche. L'angoscia era il sentimento caratterizzante, l'ideologia il possibile rifugio. Oggi, nei cambiamenti rapidissimi di questi nostri tempi, i disorientamenti e le insicurezze sempre più gravi e diffuse alimentano la massa opaca di una meschina individualità e portano verso nuove e più radicali chiusure nei confronti dell'altro. Per contrastare queste derive, certo complesse, ma non inarrestabili, il richiamo ai significati profondi della persona, il loro continuo riesame  si configurano ancora come importanti punti di forza  per impostare un'educazione che non si riduca ad essere strumentale e funzionalistica, curvata su esigenze mercantili; effimera, indifferente rispetto alle scelte di fondo della propria esistenza; elitaria, riservata a quei pochi su cui 'valga la pena investire'.

Molte sono purtroppo le esperienze in cui il mancato rispetto della dignità della persona si fa segno esplicito di una riduzione della persona a cosa, e di cosa distruttiva di sé e di altri,   e zone di 'anestesia' e di aggressione nei confronti della persona si continuano a diffondere.

Per cercare di evitare di essere ancora "aveugle à la personne" (Mounier, "Manifeste…",p.68), con tutte le tragiche conseguenze che tale cecità comporta, dobbiamo continuare a elaborare, approfondire, raffinare significati attinenti alla persona, alla sua realtà esistenziale e alle sue esperienze educative, nelle particolari dinamiche di questo nostro tempo, con un'attenzione precisa ai nuovi potenziali di conflittualità, ai fenomeni di frantumazione di identità individuali e collettive avvalendosi di tutti i contributi e le collaborazioni possibili per sempre meglio focalizzare i  problemi e le possibilità di loro soluzioni. La consapevolezza di come sia  certamente necessario chiarire i riferimenti di fondo e sciogliere ambiguità di tipo critico e teorico, si affianca al riconoscimento dell'inevitabile  perdurare di difficoltà di tipo realizzativo: per un'educazione che intenda essere contrassegnata in termini personalistici esse si potranno ridurre, ma resteranno comunque, così come elevati resteranno i rischi di suoi fallimenti e smentite nei fatti. 

La pedagogia è "strumento di opinioni diverse e confrontabili, per cui si possono individuare elementi desiderabili comuni a diverse tendenze, così che si possa poi procedere a rimanere differenti nelle posizioni soggettivamente irrinunciabili da parte dei pedagogisti. E' in questo territorio che nasce la pedagogia come strumento di convivenza democratica, di tolleranza e di immaginazione del futuro" (S. De Giacinto, "Teoria e prassi in pedagogia", XXI Convegno di Scholé, 79). Con la sola preferenza da me attribuita all'idea di 'rispetto' più che a quella di 'tolleranza', queste parole di S. De Giacinto, che ha dato raffinati contributi agli studi epistemologici e alla pedagogia personalistica del nostro Paese, chiariscono bene la necessità di un  consenso proveniente da più versanti, premessa per un rafforzamento delle ricerche in cui i diversi orientamenti pedagogici trovino sempre più "elementi desiderabili comuni" per procedere in un dialogo fruttuoso e concorrere unitariamente alla realizzazione di un futuro possibilmente migliore del tempo presente.

"C'è soltanto una materia da insegnare con l'educazione e cioè la Vita in tutte le sue manifestazioni" ( Whitehead, "Aims of Education", 1959, p. 10). Chiudere con le parole di un pedagogista non personalista mi sembra un segno importante per muovere in questa ricerca di collaborazioni ad ampio raggio, all'interno degli stessi spazi pedagogici, e tentare così di meglio perseguire il rafforzamento e l'incisività dell'azione educativa.