I bisogni psicologici in un Dipartimento di Emergenza/Urgenza
Dott. Angelo NapoliPsicologo – D.E.U. Policlinico “Le Scotte” – Siena E-mail: scabbi@tiscalinet.it La presente relazione presenta i risultati di una
ricerca tesa a rilevare la presenza e la natura dei bisogni di natura
psicologica nell’ambito del D.E.U. del Policlinico “Le Scotte” di Siena, dove
attualmente sono impegnato come Psicologo in una posizione che ha ben pochi
precedenti in ambito nazionale. L’indagine condotta tramite osservazioni dirette, la
compilazione di cartelle su casi singoli e l’organizzazione di un gruppo di
discussione a cadenza mensile cui potevano partecipare tutti gli operatori del
Dipartimento (medici, infermieri, OTA) ha portato a dei risultati che, pur se
provvisori vista l’esiguità del tempo a disposizione, confermano l’esistenza
di questi bisogni, sia tra gli utenti che tra gli operatori, nonché la loro
rilevanza ai fini della qualità della prestazione offerta così come
dell’immagine del servizio. Per l’esposizione dei risultati si è scelto di
isolare quattro categorie che hanno rilevato essere “fonti” di bisogni
psicologici. Il paziente 1)
Essere
accolto - conoscere lo spazio: tutti i pazienti, e soprattutto coloro che
giungono per la prima volta in Pronto Soccorso, vivono le medesime sensazioni
di chiunque si trovi a dovere adattarsi ad uno spazio sconosciuto. Quello che
per gli operatori è uno spazio di lavoro “familiare”, rappresenta per il
paziente uno spazio nuovo, fonte di tutte quelle emozioni caratteristiche di
ogni processo di scoperta, per di più vissuto in condizioni fisiche non
rassicuranti. - conoscere i tempi: il paziente che accede al Pronto Soccorso sta
vivendo un’esperienza di emergenza individuale; scopo del sistema di risposta
è inquadrare la singola emergenza in un processo diagnostico/terapeutico che
ha tempi propri. L’accordo sui tempi di intervento e la relativa disposizione
del paziente ad adattarvisi dipendono in larga misura dalla presenza e dalla
qualità professionale/relazionale dell’informazione veicolata dagli
operatori. - conoscere le regole di funzionamento del sistema di Pronto Soccorso (
approccio di triage, divisione dei pazienti in medici o chirurgici,
attivazione di consulenze esterne, esecuzione di accertamenti diagnostici al
di fuori dell’area di Pronto Soccorso, etc.) - trovare uno spazio relazionale adeguato al suo
tempo, che è tempo di emergenza;
uno spazio preparato all’analisi/contenimento/normalizzazione delle reazioni
emotive sempre presenti quando ci si trova a dover fronteggiare una
situazione di emergenza fisica. 2)Comunicare
sulla patologia - andare oltre il triage: raccontare i fatti, inquadrare il disturbo attuale
nella propria storia di vita e/o nella storia della propria malattia. Offrire al paziente la possibilità
di essere ascoltato ha già di per sé un valore terapeutico poiché gli
permette di esprimere e condividere la sua sofferenza sul piano
emotivo/relazionale oltre che su quello fisico. Questo racconto, inoltre, può essere
utilizzato come fonte privilegiata per indagare la risposta emotiva del
paziente e per valutarne il valore adattivo. 3)
Comunicare con gli operatori -
andare oltre il sintomo fisico: sentirsi “assistito” in tutti i sensi, sul piano
umano oltre che su quello medico. -
Passare dalla terapia alla relazione terapeutica. -
rendere espliciti i propri bisogni. 4) Essere
informato -
sulle cause del disturbo -
sulle procedure diagnostiche -
sul percorso terapeutico -
sulle ipotesi prognostiche -
sulle risorse del territorio che possono garantirgli una adeguata assistenza una
volta superato il momento dell’emergenza. 5)
Mantenere il contatto con l’esterno -
sapere che i familiari ci sono, dove sono, come
stanno reagendo. -
sapere che i familiari sono informati sulle
condizioni del paziente: nelle mie
osservazioni è apparso chiaro come, una volta superata la crisi, divenga
prioritario per il paziente fare in modo che i familiari vengano rassicurati. I familiari del paziente Per i familiari del paziente valgono la maggior
parte delle considerazioni fatte rispetto ai bisogni del paziente, con alcune
precisazioni aggiuntive. 1)
Essere
accolti 2)
Comunicare
sulla patologia -
la patologia che
colpisce il singolo paziente influenza inevitabilmente l’equilibrio del
contesto familiare; quando poi ci si trova di fronte ad una manifestazione
acuta di un disturbo cronico, il momento di emergenza attuale non fa altro
che acuire problematiche già note, di natura pratica oltre che psicologica,
suscitando emozioni di sconforto e di perdita di fiducia. -
spesso il contributo
dei familiari si rivela utilissimo anche a fini anamnestici e di
inquadramento diagnostico 3)
Comunicare
con gli operatori -
in una situazione di
emergenza i familiari devono confrontarsi con la preoccupante sensazione di
perdita di controllo sul processo di guarigione della persona cara; entrare
in contatto con gli operatori che si stanno prendendo cura del familiare
rappresenta allora una strategia per recuperare, anche se in forma indiretta,
il controllo della situazione e per sentirsi attivamente partecipi del
processo di risposta all’emergenza. 4)
Essere
informati 5)
Mantenere
il contatto con l’interno Rispondere
ai bisogni di pazienti e familiari: il ruolo dello psicologo Oltre a rilevare la presenza dei bisogni, si è
cercato anche di adoperarsi per rispondervi, mettendo a frutto la mia
precedente esperienza di intervento in Pronto Soccorso oltre che le
competenze proprie dell’approccio psicologico alle situazioni di emergenza. In tutti i contatti ed i colloqui avuti con pazienti
e familiari, una parte è stata dedicata alla esplicitazione e al chiarimento
delle regole di funzionamento e dei tempi del sistema di risposta. Come prassi è stato seguito il metodo di avere un
contatto, se non un colloquio vero e proprio, con tutti i pazienti e con la
maggior parte dei familiari per raccoglierne il racconto dell’accaduto ed i
bisogni immediati; si è cercato così di offrire loro uno spazio di relazione
in cui esprimere e condividere difficoltà e preoccupazioni del momento, uno
spazio dove la messa in campo di specifiche competenze psicologiche unita
all’esperienza maturata nella gestione di situazioni di emergenza hanno il
più delle volte consentito di contenere/normalizzare/valutare le emozioni in
gioco ed anche di proporre possibili soluzioni di natura pratica oltre che
psicologica. Si è cercato, inoltre, di fungere da “cuscinetto”
tra i bisogni di pazienti e familiari di comunicare con gli operatori e di
essere informati, e le esigenze di questi ultimi spesso pressati da ulteriori
attività di soccorso. Per quanto riguarda il bisogno di mantenere un
contatto interno/esterno, una parte della mia attività in Pronto Soccorso ha
riguardato proprio il tentativo di abbattere simbolicamente il muro che
giustamente separa i degenti dai familiari; in questo senso è stata
intrapresa un’attività di “mediazione” che mi ha visto spesso funzionare da
trait d’union tra i familiari, raggiunti nella Sala di attesa loro riservata,
ed i pazienti. Compatibilmente con le esigenze di erogazione del
servizio, infine, si è cercato di fare in modo che i familiari riuscissero,
anche per un breve periodo, a vedere e a parlare direttamente con il loro
congiunto, soprattutto nel caso di pazienti anziani. Il sistema di Pronto Soccorso La capacità di effettuare valutazioni psicologiche
dei pazienti, la possibilità di proporre tecniche psicoterapeutiche brevi e
l’offerta di informazioni sulle strutture di assistenza psicologica presenti
sul territorio si sono rivelate utili per: -
migliorare la qualità del servizio erogato, portando a un allargamento nell’inquadramento
diagnostico/terapeutico/prognostico del caso. -
offrire una risposta psicologica a patologie di
natura nevrotica e psicosomatica,
consentendo un risparmio di risorse umane ed economiche. Per quanto riguarda
questo punto, vorrei qui brevemente ricordare i risultati di una ricerca cui
ho collaborato nella mia precedente esperienza nell’ambito del Pronto
soccorso del Policlinico “Umberto I” di Roma; analizzando 5854 schede di
Pronto soccorso relative ad un periodo di sei mesi di attività
(maggio-ottobre 1998), sono stati individuati 567 casi classificati come
sindromi ansiose o psicosomatiche, casi che sono stati trattati con procedure
di tipo medico (ECG, esami ematochimici, etc) comportando una spesa
complessiva di £. 65.359.554. Rispondere
ai bisogni del sistema di Pronto soccorso: il ruolo dello psicologo. Per rendere concreto l’allargamento
nell’inquadramento diagnostico/terapeutico/prognostico dei casi afferenti al
Pronto soccorso si è fatto ricorso a colloqui con successiva compilazione di
una cartella personale nella quale sono stati riassunti contenuti del
colloquio, valutazioni sulle condizioni psicologiche del paziente e
descrizioni delle modalità di intervento messe in atto. Dietro richiesta del medico di Pronto soccorso sono
state anche effettuate consulenze psicologiche regolarmente allegate alla
cartella personale dei pazienti. Si è infine cominciato ad abbozzare un protocollo di
intervento integrato medico-psicologo nei casi di tentato suicidio,
protocollo che prevede la compilazione di un test di analisi delle
caratteristiche (pericolosità, intenzionalità, possibile ripetizione) del
tentativo messo in atto nonchè la possibilità di seguire il paziente ed i
familiari con interventi di supporto psicologico una volta superato il
momento dell’emergenza. Per cominciare ad offrire una risposta psicologica a
patologie di natura nevrotica e psicosomatica sono stati messi in atto
interventi psicologici di crisi, tecniche psicoterapeutiche brevi, interventi
psicoeducativi. Gli operatori I bisogni osservati negli operatori dipendono
sicuramente dalle singole personalità ma anche dal particolare contesto di
intervento. I bisogni legati al contesto di intervento si sono
rivelati dipendere da: -
imprevedibilità delle situazioni che ci si trova a dover fronteggiare (patologie
diverse, affluenza non programmabile, etc) -
caoticità dell’ambiente (sale sovraffollate, necessità di seguire più
pazienti contemporaneamente, etc.) -
forte coinvolgimento emotivo durante tutte le fasi dell’emergenza (arrivo in
sala, trattamento rapido con azioni mirate, etc.) -
contatto con la morte in tutte le sue espressioni (pazienti giovani e
bambini, pazienti terminali, impatto emotivo con il dolore dei familiari,
etc.) -
tipologia dell’utenza ( va citato in particolare l’innalzamento dell’età
media dei pazienti; solitamente il paziente anziano ha bisogno di maggior
conforto, spesso non è autonomo e va assistito anche nelle sue funzioni
elementari, richiede maggior tempo ed impegno nell’approccio diagnostico e
terapeutico) -
contatto con utenti “particolari” (alcolisti, pazienti psichiatrici, pazienti
agitati, etc.) -
relazione con pazienti (gli operatori sono spesse volte impreparati a
relazionarsi proficuamente con persone portatrici di forti compromissioni sul
piano corporeo; il ricorso a meccanismi difensivi come la fuga o
l’applicazione rigida ed “asettica” dei protocolli di intervento diventa così
un percorso quasi obbligato) -
relazione con i familiari -
relazione con gli altri operatori (il clima dell’equipe) Le reazioni emotive che si può ipotizzare vengano
attivate in risposta agli agenti stressanti descritti in precedenza sono: -
ansia da responsabilità decisionale in tempi stretti -
ansia da rapporto relazionale con paziente/familiari -
ansia da assenza di protocolli di intervento adeguati alle varie patologie -
ansia dovuta al fatto di non poter dare risposte
operative immediate ai pazienti (
specialmente per i codici bianco e verde o in momenti di intasamento del
servizio) -
senso di impotenza e di fallimento dopo manovre rianimatorie o trattamenti intensivi
con esito infausto -
sviluppo di sindrome da burn-out con evitamento del coinvolgimento emotivo o fuga
dal lavoro Rispondere
ai bisogni degli operatori: il ruolo dello psicologo Per rispondere ai bisogni degli operatori è stato
previsto un incontro di gruppo con partecipazione volontaria a cadenza
mensile; durante le riunioni di gruppo sono stati discussi alcuni problemi
legati allo svolgimento delle attività di Pronto Soccorso e le loro ripercussioni
sul piano emotivo e relazionale. Come penso si avrà avuto modo di notare, nel caso
degli operatori si è fatto riferimento a bisogni osservati o ipotizzati più
che a bisogni esplicitati direttamente dagli operatori stessi; questa
differenza è dovuta, a mio parere, sia alla esiguità del tempo trascorso
dall’inizio del mio lavoro che non ha ancora permesso una piena integrazione
nell’equipe di lavoro, sia ad una sorta di “chiusura” emotiva che ho potuto
osservare negli operatori stessi, scarsamente disposti ad approfondire
discorsi relativi al loro funzionamento psicologico ed alle loro strategie di
adattamento al contesto di emergenza tipico del loro lavoro. In questo senso si apre per lo psicologo un fronte di intervento (informativo-educativo)sicuramente ostico ma anche ricco di potenzialità per il miglioramento della qualità di vita degli operatori con ripercussioni dirette anche sulla qualità del servizio offerto. |
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