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L'Apemaia e la sua grande storia

Capitolo Primo: Vita nell'Alveare

Il sole nasceva dietro la collina, illuminando a poco a poco tutto l'alveare. La vita si svegliava e si svegliavano anche le api che da anni ormai abitavano al limite del prato, vicino al bosco.

L'Uomo aveva costruito un alveare per assicurarsi ogni anno una buona quantità di miele, e le api lo rifornivano puntualmente non solo di ottimo miele ma anche di cera. L'alveare era molto popolato; organizzato quasi come una città, ospitava circa 60 mila api. Ogni ape svolgeva un compito preciso e determinato, ma tutte lavoravano insieme aiutandosi a vicenda.

C'erano api operaie che raccoglievano il nettare dei fiori per trasformarlo in miele, api che raccoglievano il polline per nutrire tutto il popolo dell'alveare, api esploratrici che cercavano nuovi luoghi per fare altri nidi; c'erano i fuchi guerrieri addetti alla sorveglianza e alla difesa e i fuchi servitori al servizio della Regina. Sì, perché come in ogni alveare c'era una Regina che governava tutte le api. Ogni anno, all'inizio della stagione, la Regina deponeva le uova, dalle quali nascevano nuove api. Ed è proprio a questo punto che comincia la meravigliosa storia di Apemaia.

Era un gran giorno per l'alveare: le uova deposte dalla Regina stavano per aprirsi. Tutti avevano un gran da fare. Le api più anziane correvano a destra e a sinistra, chi portando acqua calda, chi informandosi sul numero delle nuove nate e sul loro stato di salute, chi distribuendo preziose cucchiaiate di pappa reale. Cassandra, la maestra delle api, correva da una celletta all'altra facendo l'appello. A un certo punto sentì una vocina: "Buongiorno! Che succede qui? Perché tutti corrono?". Era un'ape appena nata che non aveva ancora messo fuori completamente le ali e già faceva domande.

"Buongiorno, Apemaia. Tutto bene? Aspetta un momentino e sarò da te", disse Cassandra correndo con un'ampolla di miele verso altre celle. Apemaia era impaziente. Per lei tutto era una novità. A chiunque passasse vicino alla sua cella faceva una quantità di domande. "A che cosa serve questo? Dove vai con quell'arnese? Come ti chiami? Perché hai cosi fretta?". Ma nessuno aveva il tempo di risponderle. Fu così che si decise a uscir fuori, allargò le ali e si sentì capace di volare.

"Evviva! Mi sollevo! Volo!"; e, facendo alcuni giretti intorno alla sua cella, sperimentò per la prima volta l'ebbrezza del volo.

Si accorse che vicino a lei c'era qualcuno che dormiva ancora, coperto da una minuscola foglia. "Sveglia! È ora! Cosa fai ancora a letto?", urlò nelle orecchie di un'ape piccola quanto lei. "Guarda, ho le ali e riesco a volare. Prova anche tu". Willi allora aprì gli occhi e vide le ali di Apemaia. "Accidenti! Chi mi ha svegliato da questo sogno meraviglioso?", disse, sottolineando il disappunto con un solenne sbadiglio. Apemaia si presentò e i due fecero subito amicizia. Andarono a curiosare lungo i corridoi, spiarono le api più anziane che si affannavano presso le nuove nate e, come due veterane, imboccarono il corridoio che portava verso l'uscita. Willi aveva spiegato le ali e, dopo qualche tentativo mal riuscito, prese anche lui il volo. Com'era bello non dover usare le gambe per spostarsi ma affidarsi alle ali, che sollevavano da terra e portavano da un posto all'altro con la minima fatica! Apemaia vide una grande porta oltre la quale si poteva scorgere una cosa tutta azzurra. "Guarda Willi, forse quello è il cielo! Andiamo a vedere", e con una bella planata atterrarono proprio davanti alla grande porta. "Alto là! Dove andate?", intimò un guerriero armato di lancia. "Non sapete che non si può uscire soli alla vostra età, senza essere accompagnati dalla vostra maestra?".

Willi fece una faccia preoccupata, non aveva mai sentito parlare di maestra.

Apemaia, che aveva già conosciuto Cassandra, lo rassicurò: "Willi, non ti preoccupare, la nostra maestra si chiama Cassandra ed è un tipo simpatico. Andiamo a cercarla, vedrai che ci porterà lei a volare nel cielo".

Avevano fretta di imparare tante cose e Cassandra fu ben felice di essere la loro maestra. Quella mattina erano nate altre api, e tutte insieme formarono un'allegra scolaresca, pronta ad entrare nella già grande famiglia dell'alveare. Cassandra sapeva come trattare le novelline, ma non aveva mai trovato tra le sue alunne dei tipi svegli quanto Apemaia.

Faceva sempre domande, voleva sapere tutto, voleva ficcare il naso in tutti gli angoli dell'alveare. Willi invece era un pacioccone. E dall'alleanza tra i due nasceva una gran quantità di pasticci.

Apemaia chiese a Cassandra di portarle a fare una passeggiata all'aria aperta, per conoscere un po' di mondo. Fu cosi che la prima lezione si svolse tra i petali di un fiore e il verde di una foglia.

C'erano tante cose da imparare. Cassandra iniziò con la spiegazione di tutti i lavori che si facevano nell'alveare. Ogni ape doveva saper fare qualsiasi lavoro.

"La mattina appena sveglie", disse Cassandra alle sue alunne, "dovrete occuparvi della pulizia della vostra cella. L'alveare deve essere sempre lindo, e visto che siamo in tante ognuna dovrà provvedere personalmente a tenere in ordine le sue cose". Apemaia arricciò il naso. "Uffa, si comincia proprio bene!", diceva tra sé, "io con la scopa non vado molto d'accordo. Speriamo che ci sia qualche cosa di più interessante da fare".

Cassandra continuò la sua lezione spiegando che un altro importante compito delle api era quello di costruire nuovi favi, e di mantenere in buono stato i favi più vecchi.

"Ma che cos'è un favo?", domandò Willi saltando sul suo fiore. "È la casa in cui sei nato", spiegò Cassandra, "e che domani servirà per mettervi il miele. Sai Willi, il favo è fatto con la cera, e anche questo è un risultato del nostro lavoro". "Ma con che cosa si fa il miele", s'interessò Apemaia, "e con che cosa si fa la cera?". Cassandra rispondeva pazientemente a tutte quelle domande. "Quando sarete più grandi, andrete a raccogliere quella goccia di acqua dolce che c'è nel cuore del fiore. Si chiama nettare, e serve per fare il miele. Ma prima...". "Ecco! Sempre quando saremo grandi! Possibile che adesso non possiamo fare nient'altro che venire a scuola? Uffa, io mi annoio". Inutile dire che era Apemaia a protestare. Non le piaceva l'idea di aspettare tanto tempo, prima di fare qualcosa di concreto. Vedeva le altre api andare e venire con le loro ampolle piene di nettare e moriva dalla voglia di provare anche lei.

Ma non tanto per lavorare, quanto per scoprire com'era il mondo. Cassandra capì questo desiderio e incominciò a parlare degli amici delle api... ma anche dei loro nemici.

"Intorno all'alveare ci sono i prati e c'è il bosco. Non siamo solo noi ad abitare qui. Ci sono tanti altri animali. Prima di andare ad esplorare il mondo dovete imparare a comportarvi bene con coloro che incontrerete". L'idea di incontrare altra gente piaceva molto ad Apemaia, e anche Willi era attento alle spiegazioni di Cassandra.

"Gli animali non sono cattivi, e neanche l'Uomo è cattivo", continuò Cassandra, "ma bisogna saperci fare. Non serve litigare, non serve dire sempre e solo tutto quello che non ci piace o non ci va. Quando incontrerete altri animali, cercate di vedere in loro anche i lati buoni. Curt, per esempio, è grande e grosso e non si può certo dire che sia bello. Ma ha un cuore d'oro, e difende sempre i più deboli. Max, il verme, vede sempre tutto nero, si lagna di molte cose, ma è disposto a farsi in quattro quando gli si chiede aiuto. E cosi è l'Uomo. Se non gli andate tanto vicino e non lo molestate con il vostro ronzio, l'Uomo vi sarà d'aiuto. L'inverno, quando i fiori non ci sono, è lui che ci porta la melassa per nutrirci. È lui che costruisce altri alveari per ospitare il nuovo sciame". Nessuno della scolaresca osava fiatare.

Certo, Cassandra ne sapeva di cose! Peccato però che non si potesse cominciare subito a cercare gli amici del bosco.

Cassandra infatti aveva riportato le api all'alveare per il pranzo, e aveva deciso di dimostrare loro come si costruisce un favo.

Apemaia avrebbe voluto restare all'aria aperta ancora un po', ma anche l'idea di andare a tavola non era male. Quanto alla costruzione del favo... avrebbe cercato di trasformare quel lavoro in un gioco. La cera infatti era morbida e ci si poteva giocare bene. Ci si potevano modellare delle statuine, la si poteva spalmare sul pavimento rendendolo lucido e scivoloso. "Scivoloso... che idea!", pensò Apemaia, e rovesciò tutta la cera per terra cercando di spalmarla il più possibile con l'aiuto di uno spazzolone. Poi si nascose dietro l'angolo e... aspettò. Il primo a cadere nella trappola fu Willi. Arrivava di corsa, non si accorse del pavimento lucido e scivol... "Bum!!!". Era finito gambe all'aria, le ali accartocciate, un gran

bernoccolo sulla testa. Dietro di lui Apemaia rideva a crepapelle. "Che buffo sei, Willi, non sai più camminare!", esclamò divertita alle spalle dell'amico.

Cassandra, che aveva visto la scena, andò su tutte le furie. "Apemaia, ti sembra bello quello che hai fatto? Willi è tuo amico, e avrebbe potuto farsi male! ".

"Ma io... ", si giustificò Apemaia, "non volevo fargli male, volevo divertirmi".

"Scherzi sciocchi!", tuonò Cassandra, "non vedo cosa ci trovi di divertente in uno che rischia l'osso del collo". Intanto Willi giaceva con il sedere per aria, lamentandosi debolmente. "Ohi, mamma, vedo le stelle!".

Cassandra, molto seria, intimò ad Apemaia di ripulire il pavimento dalla cera e di presentarsi subito dopo in classe. Aveva intenzione di darle una punizione; ma in quel momento non sapeva ancora quale. Poi si ricordò che quella mattina erano state usate molte ampolle per la raccolta del nettare e che non erano ancora state pulite. Così, quando Apemaia arrivò in classe, la spedì a pulire le ampolle. Era un lavoro ingrato. Il nettare è appiccicoso, non è facile toglierlo per bene. Bisognava strofinare e strofinare ancora, e non si finiva mai di pulire a fondo ogni ampolla.

Era già sera quando Apemaia finì di lustrare quelle stramaledette pentole.

Ma la lezione era servita. Adesso, prima di fare un altro scherzo, ci avrebbe pensato due volte. L'indomani Cassandra riprese le sue lezioni all'aperto. Voleva insegnare alle api a orientarsi servendosi del sole.

"Guardate il sole. Nasce a Oriente e cala a Occidente. A Oriente dell'alveare ci sono la grande quercia, il tiglio e il bosco. A Occidente c'è la casa dell'Uomo. Noi stiamo proprio in mezzo". "Anche di notte c'è il sole?", domandò Willi, senza pensare troppo a quello che diceva. "Che sciocco!", disse Cassandra, "di notte è tutto buio, proprio perché il sole non c'è. Ma ci si può orientare con le stelle. È un po' più difficile, ma ci si riesce. Comunque, le api non escono di notte". Quel giorno Cassandra aveva deciso di restare a pranzare all'aria aperta.

Ogni tanto il sole andava a nascondersi dietro qualche nuvola, ma non c'era ancora il pericolo della pioggia.

Apemaia e Willi erano così contenti. Gironzolavano qua e là chiamandosi a vicenda: "Willi, guarda questo fiore!", "Apemaia, guarda questo buco nella terra: chissà chi ci abita".

Ad un tratto sentirono un rumore strano: "Tong... tong... tong... ", qualcuno si stava avvicinando saltando da un fiore all'altro. "Buongiorno, mie care api. Già al lavoro?". "Buongiorno Flip", rispose Cassandra, "questa è la nuova scolaresca. Sono api nate ieri, ma sono già in gamba. Questa è Apemaia, questo è Willi, questa è... ", e presentò tutta la classe a Flip, che si tolse il cilindro e salutò con un inchino.

"Chi sei tu?", domandò Apemaia curiosa. "Sono Flip, professore di spettacolo, amico delle api, e gran girovago". "Conosci anche l'Uomo?", continuò Apemaia con molto interesse. "Io con l'Uomo non ho mai avuto molto a che fare però sì, lo conosco; cioè, voglio dire che l'ho visto un paio di volte. È così grande e grosso rispetto a noi... ha due occhi così grandi, e due gambe così lunghe... ".

Apemaia ascoltava estasiata. Possibile che l'Uomo fosse proprio così grande come diceva Flip? Chissà quando ne avrebbe incontrato uno? Stava ancora fantasticando sulla grandezza dell'Uomo quando arrivò Willi di corsa.

"Apemaia!!! Vieni subito! Ho trovato un altro buco, ma dentro c'è qualcuno, perché si sente fare crac-crac, e si vede un pezzo di coda. Può essere... ". "Willi, calma. Dov'è questo buco?"; e insieme volarono su un grosso tronco forato da tanti piccoli buchini. "Sssst, fai piano... non sappiamo se è un amico o un nemico".

Apemaia camminava in punta di piedi, seguita da Willi, che aveva davvero un bel po' di fifa. "Speriamo che non mangi le api, quel coso lì... speriamo che... Mamma! Il mostro!".

L'urlo di Willi fece accorrere Cassandra; ma non si trattava di un mostro, bensì di un tarlo, che scavava la sua galleria nella corteccia del vecchio tronco. "Calma, non urlare così", disse Cassandra prendendo per mano il povero Willi tremante di paura, "non ci sono mostri. Questo è il signor Tarlo, saluta... ".

"Ehm... buongiorno, cosa ci fa dentro quel buco?", domandò Willi con un filo di voce.

"Care api, faccio il mio lavoro: scavo gallerie nel legno, mi costruisco una casa bella e comoda per l'inverno". Il tarlo aveva proprio un'aria inoffensiva. Chiacchierarono un po' del più e del meno, tanto per fare amicizia, e poi Cassandra invitò le api a tornare a casa. Forse per lo spavento, forse per la giornata all'aria aperta, rientrarono tutti volentieri nell'alveare. Willi aveva tanta fame e si precipitò verso un vaso di miele per fare un'abbondante merenda. Era proprio buono il miele, dolce, filante, gustoso. Willi non avrebbe smesso mai... ma anche le api possono fare indigestione e lui sapeva che troppo miele fa venire il mal di pancia. "Per ora basta così", pensò, "più tardi verrò a prendermi l'aperitivo... ". Mentre riponeva il vaso al suo posto sopra la grande mensola, si ricordò che il giorno prima Apemaia gli aveva fatto lo scherzo della cera sul pavimento. "Devo trovare il modo di fargliela pagare... ", disse tra sé, "chi la fa l'aspetti!". E se ne andò in cerca di uno scherzo geniale da giocare all'amica.

Ma di genio Willi ne aveva un po' poco. Nonostante cercasse dentro la sua testolina qualcosa di divertente, non riusciva a trovare altro che vecchi scherzi fatti e rifatti. "Vediamo... potrei cucirle le maniche del pigiama... potrei appenderle un campanello sotto il letto, così quando va a dormire, eh eh!, ogni volta che si muove, il campanello suona... potrei mettere un catino d'acqua sopra la porta della sua celletta, che bagno ragazzi! Potrei... ", e continuava a spremersi le meningi.

Era quasi sera, quando Apemaia si sentì chiamare: "Apemaia, vieni a giocare a nascondino?", domandò Willi con un'aria sorniona.

"A nascondino? Ma è un gioco da piccoli, e poi è quasi buio".

"Proprio qui sta il bello", obiettò Willi, "al buio il gioco è ancora più difficile!".

Corsero verso l'uscita dell'alveare e cominciarono a giocare.

"Mi nascondo io", propose Willi, "e tu mi cerchi". Apemaia contò fino a cento e poi andò a cercare Willi. C'era un gran silenzio, e di Willi nemmeno l'ombra. Apemaia guardò dietro la porta, sotto il tavolo, fece un rapido giro fuori. Le sembrò di sentire un fruscio. "Lo sento, ma non lo vedo", diceva tra sé. "Eppure non mi scapperà!".

Mentre ritornava verso l'alveare, vide davanti a sé una cosa tutta bianca. Si muoveva lentamente e, quel che è peggio, si muoveva verso di lei. Apemaia ebbe paura. Quella cosa strana faceva un verso tenebroso: "Uuhh! Uuhh! Uuhh!". Non aveva mai visto animali di quel genere; era bianco dalla testa ai piedi e non aveva una forma precisa; era come se fosse ricoperto da un gran lenzuolo.

Cercò di scappare, ma la cosa strana le andava dietro. Cercò di tornare in fretta all'alveare, ma la cosa strana le tagliò la strada e dovette correre da un'altra parte. Non sapeva più che cosa fare.

Aveva veramente paura. Ce l'aveva fatta ad arrivare fin sulla terrazza dell'alveare ma non le riusciva di infilare la porta d'entrata.

La cosa bianca era lì, davanti a lei, e le si avvicinava lentamente. Apemaia incominciò a camminare all'indietro, passo dopo passo.

Senza accorgersene, arrivò fino al bordo estremo della terrazza.

A quel punto la cosa bianca cacciò un urlo feroce: "Uuaauuhh!", e Apemaia cadde all'indietro, precipitando nel prato. Stava là, con le antenne abbassate, la lingua penzoloni e le gambe che tremavano: stentava a riprendersi dallo spavento. Sopra la sua testa invece c'era qualcuno che rideva a più non posso. "Ah, ah, ah, che scherzo geniale! Che volo!". Willi si teneva la pancia per il troppo ridere. "Un fantasma, il fantasma della notte!". A quel punto Apemaia capì tutto.

Altro che cosa bianca, quello non era altro che Willi travestito da fantasma. E lei, che non aveva capito! "Accidenti, Willi, sei diventato matto? Ti sembrano scherzi da fare a quest'ora?". Willi continuava a ridere e Apemaia ad inveire contro di lui, quando arrivò Cassandra.

"Che fate voi due lì fuori? È un'ora che vi cerco! Cosa avete combinato?", domandò con aria di rimprovero. Willi era tanto ingenuo da non saper nemmeno nascondere le sue malefatte. Fu così che raccontò a Cassandra lo scherzo del fantasma, il capitombolo di Apemaia e tutto il resto. Cassandra andò su tutte le furie. "Ve la faccio vedere io... altro che fantasma, voi due filate a letto immediatamente", e indicò la direzione delle loro celle. Più tardi li raggiunse e fece loro una bella predica: "Ieri vi avevo avvisato: niente scherzi di cattivo gusto. E oggi ci risiamo! Che razza di amici siete? Possibile che dobbiate sempre combinare guai?". Non fu facile addormentarsi quella sera. Apemaia pensava: "Se non avessi cominciato io, forse Willi non avrebbe fatto il fantasma oggi... ". E Willi diceva tra se: "Avrei anche potuto lasciar perdere. Apemaia si è così spaventata... ". Entrambi fecero il buon proposito di non architettare altri scherzi, e solo allora riuscirono a prendere sonno.

Il giorno dopo, Cassandra lavorò alacremente. Stava costruendo nuovi favi per raccogliere il miele, e lo faceva con molto impegno.

Era ancora così infastidita da quello che era successo la sera prima. che non rivolse una parola ne a Willi né ad Apemaia. I due le giravano intorno con un fare servizievole per farsi perdonare i loro misfatti. Portavano le scaglie di cera per rendere più solido il nuovo favo, raccoglievano i pezzi caduti, portavano le ampolle di miele da travasare, passavano a Cassandra tutti gli attrezzi necessari. Avevano capito la lezione e si impegnavano ad essere delle brave api. Il pomeriggio andarono a lezione e fecero i compiti con molta attenzione. Era bello imparare a diventare una vera ape, ed erano contenti di far parte di una così laboriosa famiglia.

Cassandra spiegava come l'alveare funzionasse a perfezione grazie al lavoro di tutti quanti. Durante le altre lezioni Apemaia e Willi avevano conosciuto le varie mansioni di un'ape: la nutrice che si cura dei piccoli, l'esploratrice che indica il luogo dove trovare nuovi fiori, la bottinatrice che raccoglie il nettare e il polline rifornendo di cibo l'alveare, la costruttrice che fabbrica i favi, l'ape della pulizia che prepara le celle vuote per il deposito delle uova e le pulisce con una sostanza simile alla lacca, l'ape guardiana che sorveglia l'entrata dell'arnia. Ogni ape, secondo la sua età, svolgeva ognuna di queste mansioni: prima una, poi l'altra, poi l'altra ancora.

"Ma", disse Cassandra, "non è tutto qui. Ci sono delle api che, specie d'estate, si occupano del raffreddamento dell'alveare".

"Raffreddamento?", domandò Willi, "che cosa vuol dire?". "Vuol dire", rispose Cassandra, "far circolare l'aria fresca dentro l'alveare, altrimenti con il caldo la cera si scioglie. Per questo alcune api agitano rapidamente le ali per raffreddare l'aria e, se questo non basta, vanno a prendere l'acqua". "L'acqua? E cosa ci fanno con l'acqua?", domandò Apemaia incuriosita. "Vedi, Apemaia", continuò Cassandra, "l'acqua con il caldo evapora, e rinfresca l'ambiente. Hai mai visto le api spruzzatrici? Ecco, proprio loro spruzzano l'acqua portata all'alveare dalle più anziane, e in questo modo la cera non si scioglie".

"Senti, Cassandra", intervenne Willi, "non ci hai mai parlato delle api guerriere".

"È vero", disse Cassandra, "ma aspettavo il momento giusto. L'ape guerriera è colei che ci difende, quando veniamo attaccate da un nemico. È un'ape eroica. Dà la sua vita per proteggere quella di tutte noi. Conosce tutti i trucchi del nemico: la rapidità della lingua del rospo, lo scricchiolio del tarlo della cera, il passo dell'orso, il verso dell'uccello tiranno che succhia il nettare dall'alveare, il passo felpato della moffetta, che non riuscendo ad entrare nell'alveare ci disturba per farci uscire e poi ci assale". "E con che cosa combatte", domandò Apemaia, "dove tiene le sue armi?".

"Ecco il punto. Ognuna di noi ha un'arma, e anche voi presto l'avrete. Ma bisogna saperla usare bene. L'ape guerriera combatte con il suo pungiglione. È un'arma formidabile. Punge il nemico, a volte in modo mortale. Ma punge una volta sola perché, dopo aver sferrato il colpo, l'ape muore. Per questo vi ho detto che l'ape guerriera è eroica". "E noi, quando avremo il nostro pungiglione", domandò Willi, "e quando potremo combattere come le api guerriere?".

"Calma, Willi", rispose Cassandra, "prima o poi spunterà anche a te. Ma ricorda: dovrai usarlo solo per difenderti e mai per attaccare".

Quella sera, Apemaia andò a dormire pensando al suo pungiglione. Non era ancora spuntato, e non c'era proprio alcun segno che potesse anticiparne la comparsa.

Fece un sogno strano. Difendeva l'alveare da un'invasione di calabroni e per combatterli usava tutti i mezzi che poteva: scope, cera sul pavimento per fare scivolare il nemico, reti davanti alle porte e alle finestre, così che non potessero entrare. Alla fine il nemico se ne andò in tutta fretta, ma quanta fatica per fargli fronte. Apemaia si svegliò con le ossa tutte rotte; aveva l'impressione di averla combattuta veramente quella battaglia, e non riusciva a spiegarsi il perché di tanta stanchezza, visto che si trattava solo di un sogno. Si alzò con fatica dal suo letto, fece qualche passo e andò a specchiarsi.

"E questo che cos'è?", disse, guardando quella cosa nera che non s'era mai vista. "Vuoi vedere che... ma sì, evviva! Sono diventata grande! Mi è spuntato il pungiglione! ".

Con il pungiglione nuovo, Apemaia era davvero un'ape adulta. Poteva volare verso le avventure più belle.