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L'Apemaia e la sua grande storia

Capitolo Secondo: Gli amici del bosco

In occasione del compleanno della Regina, Cassandra aveva deciso di sospendere le lezioni della scuola per un'intera settimana.

Le sue alunne avevano lavorato sodo negli ultimi giorni e meritavano davvero un po' di vacanza. Inutile dire che tutti accolsero con entusiasmo la notizia. "Urrà, niente scuola!", gridò Apemaia, buttando per aria tutti i suoi quaderni. "Willi, presto, organizziamo qualcosa di bello!". E, preso l'amico per mano, lo trascinò in un angolo della classe.

"Che cos'hai in mente?", domandò Willi. "Dove vuoi andare?". Apemaia gli si avvicinò e gli mormorò qualcosa all'orecchio: "... prima nel bosco... e chiediamo a Flip... tutti, capisci?". Willi non capiva niente. "Perché dobbiamo andare nel bosco? Chi sono quelli che vuoi conoscere? Che cosa dobbiamo sapere da Flip?". "Uffa", rispose Apemaia, "inutile perdere tempo in chiacchiere, vieni con me e vedrai".

Volarono nelle loro celle a prendere tutto l'occorrente: sacco a pelo, viveri, lampada per la notte, astuccio del pronto soccorso, carta e matita per scrivere e per disegnare.

"Ma Apemaia, quanto pensi che resteremo via? Sei sicura che ci occorra tutta questa roba?", domandò Willi un po' preoccupato dal peso del suo bagaglio. In realtà Willi era un pigrone e non gli piaceva tanto l'idea di fare a meno di certe comodità. La sua cella era calda e accogliente e l'alveare lo faceva sentire al sicuro. Non capiva perché dovesse rinunciare a tutte queste cose per andare a dormire dentro un sacco a pelo, sotto un tetto di stelle, senza l'acqua calda e senza la colazione pronta.

Apemaia, invece, amava l'avventura. Aveva voglia di conoscere tutti gli abitanti del bosco e voleva chiedere a Flip di accompagnarla a fare questo giro. Flip sapeva molte cose: con lui, era sicura, non c'era da aver paura.

Era così eccitata all'idea dell'avventura che non si preoccupò di uscire dalla porta ma infilò la finestra e volò via nel cielo azzurro.

Aveva una settimana di tempo, e non voleva sprecare nemmeno un minuto. "Willi, muoviti!", disse rivolta all'amico, "vedrai che vacanze meravigliose!".

Volarono fino al prato di trifoglio, dove abitava Flip, e lo chiamarono a gran voce.

Flip stava prendendo il sole del mattino sopra una grossa margherita. Era un po' stanco perché quella notte aveva cantato una serenata alla luna, con l'arte e l'impegno che si addicono ad un nobile grillo.

Apemaia si posò su una foglia vicina e cominciò a spiegare a Flip il suo progetto. "Cassandra ci ha parlato della gente del bosco, ma noi non la conosciamo. Adesso che siamo in vacanza vorremmo esplorare i dintorni, per farci nuovi amici e per...".

"Alto là!", disse Flip, "facciamo le cose con ordine. Innanzitutto nel bosco ci sono amici e ci sono nemici: bisogna stare attenti. Sapete come fare per difendervi? Sapete da quali animali stare alla larga?". "Be'", rispose Willi, "Cassandra ci ha spiegato che l'orso è un gran mangiatore di miele e a volte attacca l'alveare... il rospo mangia le api e...". "Ma tu sai com'è fatto un orso, e che faccia ha un rospo?", domandò Flip, con aria da maestro. Apemaia e Willi si guardarono: che cosa rispondere?"

"Noi non abbiamo paura", disse Apemaia mostrando fiera il suo nuovo pungiglione. "Siamo armati e sapremo come difenderci!".

"D'accordo, miei cari, ma bisogna essere prudenti. Oggi comincerò a farvi conoscere alcuni amici di vecchia data. Con loro non c'è nulla da temere". E si incamminò sul sentiero che portava nel cuore del bosco.

Ai piedi di un castagno, dentro un fungo dal cappello rosso e bianco, abitavano i signori Settepunti, due coccinelle ormai anziane che passavano la maggior parte del tempo a raccontarsi storie di quand'erano giovani.

Flip salutò il signor Settepunti che sedeva davanti alla sua casa, fumando la pipa.

"Vorrei presentarle due miei amici, Apemaia e Willi. Sono api dell'alveare qui vicino e sono in vacanza. Vorrebbero conoscere gli animali del bosco". "Ma con piacere", rispose il signor Settepunti facendo uscire quattro nuvolette di fumo dalla pipa.

Si avvicinò alla campana posta all'ingresso della casa e la suonò tre volte. La signora Settepunti si affacciò alla finestra della sua camera e salutò gli ospiti: "Scusate se non scendo, ma le mie gambe faticano a fare le scale; ormai sono vecchia e i reumatismi mi costringono quasi sempre a letto...". "Eh sì", commentò il signor Settepunti, "mia moglie

soffre di uno strano mal di ossa. Non c'è nulla che possa guarirla. Abbiamo provato tante erbe, tanti unguenti, ma senza successo...".

L'espressione triste e rassegnata del signor Settepunti toccò il cuore di Apemaia.

Le dispiaceva sapere che la coccinella non poteva uscire di casa a causa del suo mal di ossa, e avrebbe voluto poterla aiutare.

"All'alveare abbiamo un dottore molto bravo. Si chiama dottor Bua, ed è sempre alla ricerca di nuove medicine. Potremmo chiedergli di venire a visitare la signora Settepunti. Chissà che non riesca a farle passare il suo male".

"Certo! È un'ottima idea!", continuò Willi, "il dottor Bua, poi, ha delle medicine così buone, tutte dolci...".

Il signor Settepunti ringraziò le api del loro interesse e accettò ben volentieri di sottoporre sua moglie alle cure del dottor Bua. Sapeva che la causa dei mali di sua moglie era l'umidità del fungo, ma si erano ormai tanto affezionati alla loro casa che non volevano andare a cercarne un'altra più calda e più asciutta. Forse, con una medicina giusta, avrebbero potuto continuare ad abitare nel fungo per il resto dei loro giorni. Mentre Apemaia e Willi scrivevano un biglietto al dottor Bua chiedendogli di passare dalla signora Settepunti, Flip e il padrone di casa fecero una partitina a carte. Si stava bene all'ombra del fungo ed era piacevole l'arietta fresca che veniva dal bosco. "I rapporti con i vicini di casa non sono facili", diceva il signor Settepunti; "alcuni sono gentili, si fermano a salutare, chiedono notizie di mia moglie; altri non si degnano nemmeno di una parola e, quel che è peggio, vengono a calpestare il mio giardino, in cerca di qualcosa da mangiare. L'altra notte sembrava ci fosse il terremoto: tremava tutta la casa, e la campana dell'ingresso si era messa a suonare da sola. Ma non era il terremoto, era una certa talpa che aveva deciso di venire a scavare proprio qui sotto. Che educazione, disturbare la gente che dorme...".

Flip sapeva che il signor Settepunti era un po' brontolone e lo stava ad ascoltare con pazienza. Intanto anche Apemaia si era unita alla conversazione; le piacevano le storie e le lamentele della coccinella e voleva sapere chi era la talpa, che cosa facesse sottoterra, perché scavasse in continuazione.

"Signori, la compagnia è bella e piacevole", disse Flip, "ma noi dobbiamo continuare il nostro giro. Arrivederci, signor Settepunti!". "Arrivederci, tornate presto!", rispose la coccinella.

Apemaia, Willi e Flip lasciarono la strada del bosco e camminarono lungo il limitare del prato. C'era in quel luogo un albero di mele che aveva tanti frutti sui rami. Alcuni erano ancora verdi, altri erano già maturi, altri ancora erano caduti per terra in un giorno di vento ed erano diventati la casa di alcuni vermiciattoli. Flip si avvicinò ad una mela e bussò: "C'è nessuno?", domandò, "c'è nessuno in casa?". Da un buchino nero spuntò fuori un vermiciattolo.

"Non si può mai stare in santa pace! Che cosa volete? Chi siete?". L'accoglienza non era delle migliori, ma Apemaia e Willi si presentarono ugualmente. "Api?", fece il verme. "Mai sentito che delle api volessero fare amicizia con dei vermi...". Ma nonostante il tono scortese della sua voce si sentiva lusingato del fatto che qualcuno volesse fare la sua conoscenza. Senza che nessuno gli avesse chiesto niente, il vermiciattolo iniziò a raccontare la storia dei suoi nobili antenati: le prodezze degli eroi della sua famiglia, l'aristocrazia del suo casato e le ricchezze della sua stirpe.

"Uffa, che barba", sospirò Willi, annoiato da tante chiacchiere. Apemaia era dello stesso parere, ma non sapeva come fare per interrompere quella valanga di parole. "... E poi", continuava imperterrito il verme, "volete mettere il vantaggio di poter conoscere tutti i meandri della terra? Non ci sono segreti per noi. Io, io sono fiero di sentirmi un verme!". Una pausa, finalmente. Apemaia ne approfittò per sviare il discorso, ma quello riprese subito: "Noi vermi di qui, noi vermi di là...". Non se ne poteva proprio più. Apemaia ebbe un'idea. "Signor Verme de' Vermis, potrei venire ad intervistarla? Un altro giorno, s'intende. Ma sarei proprio felice di inserirla nel libro dei grandi personaggi del bosco che ho intenzione di scrivere...". "Io? La mia storia in un libro?", balbettò emozionato il verme. "Ma con piacere, con vero piacere... mi lasci però qualche giorno, per riordinare le idee, e poi potrò fissarle un appuntamento...".

Era fatta. Con la scusa del libro, Apemaia era riuscita a metter fine a quella noiosa conversazione. Salutarono in fretta per paura che il verme potesse ricordarsi qualche altra battaglia, qualche altro antenato o qualche altro particolare dimenticato nel suo lungo racconto. Appena furono fuori tiro, si fermarono vicino allo stagno per riposarsi. "Avete capito la lezione?", domandò Flip asciugandosi la fronte. "Sì, la lezione di storia dei vermi! Però a me piace di più la storia delle api".

"Macché storia dei vermi, Willi", replicò Flip, "la lezione è un'altra. Mai parlare troppo di sé, altrimenti gli altri si annoiano. Mai parlare sempre di seguito, altrimenti non si lascia spazio agli altri per inserirsi nella conversazione. E poi...". "Poi che cosa?", domandò Apemaia con molto interesse. "Poi, quando si sta con la gente, se si vuole diventare amici, bisogna saper ascoltare le opinioni degli altri, oltrechè dire le proprie". "Accidenti!", esclamò Apemaia, "questa sì che è un'arte!". E avrebbe voluto saperne ancora di più se non fosse stata interrotta da un rumore che non aveva mai sentito prima. "Cra - cra, cra - cra, cra - cra". "Flip, di chi è questa voce?", domandò Apemaia avvicinandosi all'amico. "Della rana dello stagno. Venite, andiamo a salutarla". Willi li seguì ma non era tranquillo. Quello strano gracidare non lo faceva sentire a suo agio. "Flip, sei sicuro che questa rana non sia una mangiatrice di api?", domandò Willi, con la voce un po' tremante per la paura.

Si avvicinarono allo stagno: la rana era dietro ad un fiore di ninfea.

"Perché ha quattro zampe verdi", domandò Apemaia a Flip, "e perché nell'acqua ci sono quegli

animali strani con una grande testa e una coda lunga?". Flip si fermò su una foglia che galleggiava sull'acqua dello stagno e cominciò a spiegare: "Quello che tu, Apemaia, chiami animale strano non è che un piccolo della rana. Si chiama girino, e fra qualche giorno sarà anche lui grande e grosso e tutto verde come sua madre, perderà la coda, gli cresceranno le zampe e sarà allora una rana. Le zampe servono per saltare da una foglia all'altra e per nuotare. Lo sai che nuota in un modo tutto particolare, tanto che esiste uno stile chiamato "a rana"?". Apemaia e Willi ascoltavano l'amico stupefatti. Possibile che la natura fosse così ingegnosa e così meravigliosa? Un girino diventa una rana, la rana può stare nell'acqua e può stare all'aria aperta... Era veramente tutto molto bello.

"Ma attenzione", concluse Flip, "le rane a volte mangiano le api, ed hanno un cugino che è particolarmente ghiotto di questi bocconi. Si chiama rospo". "Cassandra ce lo aveva detto", intervenne Willi, "ma non immaginavo che un rospo fosse fatto così...".

I tre amici lasciarono lo stagno e ritornarono verso il bosco. Era ormai tardi e decisero che quella notte l'avrebbero passata al riparo della grande quercia. Prima di dormire, Flip fece una miniserenata alla luna che splendeva grande nel cielo. "Cri cri - cri - cri...", cantava Flip, "cri - cri - cri - cri...".

Apemaia e Willi si addormentarono in fretta, cullati da quella dolce ninna nanna.

Il giorno dopo, quando Apemaia aprì gli occhi, vide accanto a sé Willi che, come al solito, dormiva ancora profondamente. Flip non c'era. Ma si sentiva qualcuno fischiettare allegramente. Apemaia fece un voletto d'ispezione e trovò Flip comodamente seduto dentro la sua vasca da bagno. L'amico aveva trovato dei fiori colmi di rugiada mattutina e si era accomodato. "Niente di meglio di un bel bagno rinfrescante", disse Flip quando vide Apemaia, "dà forza e vigore, lava via la pigrizia e rende ancora più giovani".

Era proprio buffo! Aveva appeso il cilindro alla punta di una foglia e sguazzava felice nell'acqua.

Anche Willi, con la faccia ancora sonnacchiosa, era venuto a godersi lo spettacolo.

"Ma non è troppo fredda?", domandò tra uno sbadiglio e l'altro. "All'alveare avevamo la doccia calda e...". Ma non fece in tempo a finire la frase perché Apemaia con una spinta lo buttò dentro al fiore, in compagnia di Flip. "Brrrrrr... è ghiacciata! Aiuto! Tiratemi fuori!". "Willi", chiamò Apemaia, e quando l'amico alzò la testa lo innaffiò abbondantemente con una campanula piena d'acqua. "Ecco, adesso sei pulito e puoi anche uscire", sentenziò fiera della sua opera. "Fra cinque minuti si parte!".

Flip e Willi si asciugarono con una foglia e seguirono Apemaia. Volarono a lungo sopra il prato e scesero a far colazione vicino all'albero di mele dove il giorno prima avevano fatto la conoscenza del signor Verme de' Vermis.

"Guarda là", disse Flip, "quello lo conosco. È Max, il lombrico. Andiamogli incontro". Max

strisciava vicino ad una mela. "Buongiorno Max", esordì Apemaia, "Cassandra ci ha parlato di te, alla scuola delle api. Come va la vita?". "Sempre rasoterra", mugugnò Max, "e sempre a far danni. Non posso toccare una mela, né una foglia, che subito diventano inservibili". Max era famoso per le sue depressioni. Ogni tanto andava giù di morale, diventava triste e non si riusciva a farlo divertire. Apemaia gli raccontò della loro vacanza, degli amici che volevano conoscere e gli propose di unirsi al gruppo. "Vieni anche tu, ci sarai d'aiuto e ti divertirai". Max accettò, l'idea di poter essere d'aiuto a qualcuno lo faceva sentire importante. Era così contento che fece vedere ai nuovi amici l'ultima sua trovata: riusciva a fare un nodo arrotolandosi sul suo lungo corpo. Era davvero molto abile: non era facile fare un nodo con un lombrico.

Si incamminarono, chi svolazzando, chi saltellando, chi strisciando, verso il sentiero del bosco. Max aveva proposto di far visita a Curt, uno scarabeo che abitava in una rosa. Apemaia e Willi erano ansiosi di fare la sua conoscenza perché lo avevano sentito nominare tante volte all'alveare.

Cassandra aveva raccontato che Curt era lo scarabeo più forte di tutto il prato.

Lo trovarono che si allenava a sollevare pesi. Era un esercizio che Curt faceva ogni mattina per rinforzare i muscoli delle braccia: "L'allenamento quotidiano è il segreto di ogni sportivo. Ogni giorno aggiungo qualche grammo al peso da sollevare. Guardate!". E con tre movimenti precisi sollevò da terra un grosso macigno. Apemaia rimase a bocca aperta. Non aveva mai visto nessuno compiere una simile prodezza. Curt era grande e grosso, quasi il doppio di Apemaia, e si muoveva pesantemente.

Max diceva che a volte brontolava un po' troppo, ma in fondo era uno scarabeo molto buono: aiutava chiunque ne avesse bisogno, difendeva i più deboli, era sempre pronto a battersi quando si trattava di fare giustizia.

Non volendo interrompere i suoi allenamenti, Curt promise agli amici che li avrebbe raggiunti più tardi. Lo lasciarono alle sue flessioni, alle sue corsette, al suo "un - due - tre" che scandiva ogni volta che sollevava il peso da terra.

Mentre si allontanavano Flip riferì agli amici alcune voci che circolavano nel bosco a proposito di Curt. Si diceva che si fosse innamorato. "Curt innamorato!", esclamò Apemaia. "E chi sarebbe la prediletta?". "Questo non si sa", ammise Flip, "ma è stato visto più di una volta nelle vicinanze della casa di una certa signorina. Comunque nessuno sa nulla di preciso. E poi, bisogna diffidare dei pettegolezzi".

Stavano chiacchierando di Curt e della sua innamorata, quando udirono la voce dittatoriale di qualcuno che guidava una marcia.

"Un-due, un-due, un-due, PASSO! Un-due, un-due, un-due, per fila SINIST!!!".

Era Leo Signor Sì, che guidava l'esercito delle formiche. In fila indiana avanzavano lungo il sentiero del bosco, armate fino ai denti e in perfetta uniforme. "Ci siamo", esclamò Max. "Ecco quel fanatico di Leo Signor Sì che costringe i suoi soldati alla marcia forzata". Willi si informò: "Cos'è una marcia forzata? Perché camminano tanto?". Anche Apemaia era curiosa di sapere perché quel tizio strillasse così. Si avvicinò allora a Leo Signor Sì, e cominciò a fare domande. Ma quella specie di generale, senza neppure voltare la testa, le fece capire che non era il caso di disturbare il suo lavoro. Apemaia stava per andarsene quando sentì l'ordine di Leo: "Squadra ALT! Riposo!". Le formiche si accasciarono sfinite sull'erba e Leo si avvicinò ad Apemaia. "Lo sa che non si rivolge la parola a un soldato che marcia? Possibile che non gliel'abbiano mai insegnato?". Apemaia si presentò ignorando il rimprovero. Voleva sapere da Leo a che cosa servisse quell'esercito in assetto di guerra. Allora Leo, fiero di poter illustrare il suo compito, spiegò ad Apemaia e a Willi che l'esercito delle formiche proteggeva le scorte di viveri ammassate nel formicaio.

"Sapete, lavoriamo tutta l'estate e non possiamo permetterci di farci derubare, altrimenti l'inverno non potremmo sopravvivere", disse aggiustandosi l'elmetto sulla testa. E ritornò al comando della sua armata. "Le formiche sono organizzate quasi come noi api", commentò Apemaia. "Anche noi abbiamo le api guerriere che difendono l'alveare".

"Sì", rispose Willi, "ma da noi non ci sono certi generali che costringono alle marce forzate...".

Il ricordo dell'alveare aveva fatto venire un po' di nostalgia a Willi. Camminava con la testa bassa, pensando a Cassandra, alle merende di miele e alla sua celletta. Era contento della vacanza ma sentiva dentro un po' di rimpianto per la vita dell'alveare. Era assorto nei suoi pensieri quando si accorse che sul sentiero c'erano delle orme strane. "Guarda, Apemaia, di chi saranno queste impronte?", e si chinò per studiare meglio il terreno. "Sembra un animale con tanti piedi", disse Apemaia, "seguiamo le impronte e vediamo dove portano". I due amici, dopo qualche passo, si trovarono di fronte a un albero. "Accidenti, le impronte finiscono qui", esclamò Willi. Chiunque fosse il proprietario di tante zampe, non poteva essere molto lontano. Apemaia si alzò in volo e vide sopra una foglia una specie di verme con tanti piedi. "Buongiorno amico", disse, "qual è il suo nome?". "E come mi potrei chiamare se non Millepiedi!", esclamò quello, con quattrocentoquarantaquattro piedi sulla foglia e cinquecentocinquantasei piedi sul ramo.

"Millepiedi? E come fa la mattina per mettersi le scarpe", domandò Willi, "quanto tempo ci impiega? ".

"Dici bene, Willi", rispose il Millepiedi, "proprio questo è il mio problema. Ma ormai ci ho fatto l'abitudine e mi alzo ogni mattina due ore prima".

Apemaia pensò alla fatica del Millepiedi: alzarsi due ore prima ogni giorno solo per mettersi le scarpe! E quanti nodi doveva fare! Non doveva essere poi così comodo avere tanti piedi.

Apemaia e Willi tornarono da Flip e da Max che li aspettavano vicino al pozzo dell'Uomo. Si erano dati appuntamento lì, nella speranza di riuscire almeno una volta a vedere com'era fatto questo famoso Uomo. Flip spiegava agli amici che il pozzo era una specie di magazzino d'acqua, e che l'Uomo vi andava una volta al giorno per attingerla. Aspettarono a lungo, senza però vedere arrivare nessuno. Soltanto una magnifica farfalla si era posata sul bordo del pozzo, aveva messo in mostra le sue belle ali ed era volata via. Max intanto aveva cominciato a raccontare una storia che affascinava Apemaia. Aveva incontrato un giorno la coda di un altro lombrico che gli aveva narrato le cattiverie dell'Uomo. La coda del lombrico era riuscita a sfuggire ad una morte per annegamento. Raccontava che l'Uomo aveva scavato nella terra per catturare dei vermi e li aveva portati allo stagno. Là aveva appeso i vermi ad un uncino e li aveva buttati nell'acqua. La coda del lombrico spiegava che questo era il sistema che l'Uomo usava per catturare i pesci. I pesci avrebbero mangiato i vermi ma, non potendo sfuggire all'uncino, sarebbero finiti in padella.

Il racconto di Max aveva fatto passare a tutti la voglia di aspettare ancora l'Uomo.

Decisero di tornare nel bosco e di prepararsi una buona cenetta. Apparecchiarono la tavola dentro il calice di un fiore. Stavano per mettersi a cenare quando sotto di loro sentirono una vocina che augurava buon appetito. "Chi è così gentile?", domandò Apemaia, affacciandosi tra un petalo e l'altro. "Sono il Bruco. Passavo di qua e ho sentito il profumino della vostra cena. Disturbo?". "Per niente", fece Willi che aveva fretta di mettersi a tavola. Si accomodi pure". Il Bruco era veramente simpatico. Un po' goffo e impacciato, riusciva a far divertire l'allegra compagnia ad ogni mossa. Il sole era tramontato da un pezzo quando gli amici si addormentarono. Il Bruco dormiva vicino ad Apemaia, Flip e Willi si erano accomodati nello stesso fiore e Max aveva scavato una buca nel terreno e vi si era arrotolato dentro.

Non era ancora l'alba quando passarono dei giovanotti che si erano dati alla vita notturna. Vedendo il Bruco incominciarono a ridere e a prenderlo in giro: "Com'è brutto! Com'è ridicolo! Ma chi crede di essere quello lì, la bella addormentata nel bosco? Ah, ah, ah!".

Apemaia protestò vivacemente: "Mascalzoni! Maleducati! Non si ride così alle spalle di un altro!". E si avvicinò alla banda, mostrando il pungiglione. In un attimo sparirono. Ma ormai il guaio era fatto.

Il Bruco piangeva in un angolo: "Mi prendono sempre in giro, mi deridono perché sono brutto. Oh, povero me!". Nessuno riusciva a consolarlo. Aveva deciso di chiudersi in un bozzolo e di non farsi più vedere da nessuno. Apemaia era molto triste.

Aveva perso un amico e non era riuscita a fare niente per lui. Willi cercava di distrarla ma senza successo.

Non aveva più senso ormai continuare quella vacanza. Come si poteva girovagare nel bosco,

conoscere altra gente quando il Bruco era là, chiuso nel suo bozzolo, disperato, inconsolabile? Apemaia e Willi tornarono all'alveare. Passarono alcuni giorni, ed Apemaia era sempre triste. Poi, una mattina, Willi corse a chiamarla. "Apemaia, vieni! C'è qualcuno che ti cerca. C'è una farfalla che chiede di te". "Ma io non conosco nessuna farfalla", rispose Apemaia. In quel momento si fece avanti una farfalla dalle grandi ali colorate. "Sei sicura di non conoscermi?", domandò ad Apemaia. "Eppure una volta eravamo amici!". Apemaia non credeva ai suoi occhi: quella farfalla magnifica aveva la voce del Bruco, la faccia del Bruco, era... era proprio lui!

"Come sei diventato bello!", esclamò Apemaia. Aveva ritrovato l'amico che credeva perduto.