INDICE HOME PAGE

L'Apemaia e la sua grande storia

Capitolo Terzo: Una nuova conquista

L'estate stava ormai per arrivare e l'alveare era affollato dalle api che si affaccendavano nella raccolta del nettare, nella costruzione di nuovi favi e nell'istruzione delle nuove nate.

Apemaia e Willi, amici inseparabili, cercavano di rendersi utili. Non erano ancora abbastanza grandi per uscire con le api operaie a raccogliere il polline e il nettare dei fiori, non erano ancora abbastanza grandi per montare la guardia all'ingresso dell'alveare, non erano ancora abbastanza grandi per aiutare il dottor Bua nella ricerca di nuove medicine. Insomma, erano due api in attesa di diventare vere api. Passavano la maggior parte del loro tempo insieme con le compagne, nella scuola di Cassandra, e quando non erano a scuola gironzolavano per il bosco in cerca di avventure, di amici e, a volte, anche di guai.

"Uffa, Willi, io mi annoio", disse Apemaia all'amico, "cerchiamo di inventare qualcosa per

divertirci". Ma divertirsi non era una cosa facile, perché nell'alveare non era permesso giocare liberamente. Se si correva per i corridoi, c'era sempre qualche operaia che protestava perché si intralciava il suo lavoro; se si chiudevano le porte per giocare a nascondino, erano le api ventilatrici a protestare perché le porte chiuse impedivano all'aria fresca di circolare e di raffreddare i favi dell'arnia. L'unica soluzione era quella di andare a giocare nel prato.

Apemaia si alzò in volo e con un'ampia giravolta andò a posarsi ai piedi di un fiore che aveva gli stami lunghi lunghi. Si fermò ad osservare pensierosa la forma di quei fili che pendevano dall'alto e ad un tratto esclamò: "Ci sono! Facciamo la giostra!". Willi dovette farsi spiegare più volte il progetto e alla fine provò a mettere in pratica l'idea dell'amica.

Apemaia aveva pensato di utilizzare gli stami del fiore proprio come delle liane. Bastava una leggera spinta, e il gioco era fatto.

Sedute sull'estremità dello stame, le api giravano vorticosamente: "Vooomm! Dài, più forte!

Vooommm!", gridava Apemaia, felice della sua trovata.

Ma, come si sa, dei giochi ci si stanca presto. Bisognava inventare qualcos'altro.

Willi era sdraiato con la pancia in aria a guardare le nuvole. "Guarda, Apemaia, quella nuvola sembra un barboncino!".

"Un barboncino? Ma no, Willi, sembra una pecora!", rispose Apemaia con il naso per aria. "E io

dico che è un barboncino!", replicò Willi. "E io dico che è una pecora", insistette Apemaia. Ben presto tutte le api stavano con il naso per aria a guardare la nuvola che ad alcuni sembrava un barboncino, per altri somigliava ad una pecora.

"Andiamo a vedere da vicino", propose Apemaia, "se voliamo in alto in alto forse riusciamo a stabilire chi ha ragione".

Partirono tutti insieme e volarono in direzione della nuvola. Salirono sempre più in alto, ma alla nuvola non si arrivava mai.

"Apemaia, guarda giù! Mamma, come è diventato piccolo il mondo", disse Willi che incominciava

ad avere paura. Da quell'altezza la farfalla dalle grandi ali, che si riposava su un fiore, non sembrava più grande di un moscerino, e l'alveare somigliava alla casetta dei nani. La nuvola, al contrario, diventava sempre più grande. Non aveva né la forma di una pecora né quella di un barboncino. Vista da vicino sembrava una grande montagna tutta di latte e miele.

Ritornarono sulla terra lasciandosi portare dal vento e quando atterrarono sul prato tutti si accorsero della faccia verde di Willi. Il poverino soffriva di vertigini, e quell'escursione verso la nuvola gli aveva fatto venire un bel capogiro.

Camminava barcollando a destra e a sinistra e non riusciva a stare in equilibrio; inciampava nell'erba, urtava i fiori, sembrava un ubriaco. Apemaia lo guardava stupita. Non aveva mai visto nessuno ridotto in quelle condizioni.

"Vedo doppio", gemeva Willi, "mi manca la terra sotto i piedi!". Lo fecero sdraiare all'ombra di una grande foglia, e cercarono di coprirlo con i petali di un fiore.

"Povero amico mio", lo confortò Apemaia, "stai proprio male!". Le altre api sventolavano delle foglie di menta sotto il naso del poveretto, cercando di fargli riprendere i sensi. Qualcuno era andato allo stagno a prendere un po' d'acqua; ma anche gli impacchi con il muschio non servirono a rianimare il malcapitato.

Apemaia allora decise di andare all'alveare a chiamare il dottor Bua, che certamente avrebbe saputo come curare il mal di vertigini. Stava dando le ultime istruzioni alle amiche quando vide arrivare Flip.

"Flip, presto, vieni qui!", gridò. "Willi sta molto male, dobbiamo correre a chiamare il dottor Bua".

"Vieni, sali sulla mia schiena", rispose Flip, "in tre salti saremo all'alveare".

E, così dicendo, spiccò un balzo sulle sue agili zampe e partì alla volta dell'arnia.

Il dottor Bua ascoltò il racconto di Apemaia e, presa la borsa dei suoi arnesi, volò da Willi.

"Altro che mal di vertigini", sentenziò dopo aver visitato il malato, "questo è un classico caso di mal di fifa. Una buona iniezione di coraggio sistemerà tutto!".

Alla parola "iniezione", Willi aprì gli occhi, scattò in piedi e urlò ai quattro venti: "Sto benissimo, sono guarito, mi è passato tutto". E approfittando dello stupore dei presenti si allontanò in fretta e furia dalla siringa del dottor Bua.

"Meno male", disse Apemaia, "quel buffone ci aveva fatto prendere uno spavento!".

Ritornarono tutti insieme all'alveare, commentando le avventure di quella mattina.

Cassandra aveva rimproverato Apemaia perché non avrebbe dovuto portare Willi così in alto: "Oggi resterete qui vicino, non voglio che corriate altri rischi".

Infatti quel pomeriggio Apemaia e Willi si dedicarono all'esplorazione dello stagno. Descrissero sul loro quaderno tutte le piante che nascevano nell'acqua, disegnarono i fiori delle ninfee, si divertirono a far rimbalzare sulla superficie dello stagno alcuni sassolini larghi e piatti.

"Il mio ha fatto quattro salti", diceva Willi. "Guarda questo", rispondeva Apemaia facendo

rimbalzare un sassolino sull'acqua cinque volte.

Lo stagno affascinava i due amici. Con una foglia, un rametto e un guscio di noce Apemaia aveva costruito una barchetta che galleggiava dolcemente. Willi la spingeva verso il largo e Apemaia volava a riprenderla e la riportava verso la riva.

Faceva caldo quel giorno, e la superficie dell'acqua dello stagno era liscia e splendente come uno specchio. I due amici incominciarono a scherzare: "Io sono l'ape più bella! Guarda come l'acqua riflette la mia immagine!", diceva Apemaia sfilando davanti a Willi e imitando il passo di una perfetta indossatrice.

"Io sono il mostro delle acque!", rispondeva

Willi, facendo le boccacce che l'acqua, appena increspata, rendeva ancora più comiche.

Ad un tratto, un'ombra scura scivolò sotto di loro. Era un pesce che da tempo studiava i movimenti delle due api. Aveva intenzione di farsi un bel pranzetto e quelle due sciocchine capitavano a proposito.

"Cosa sarà", domandò Willi un po' preoccupato, "l'hai visto anche tu?".

"Ma dài, fifone, oggi basta con gli scherzi", rispose Apemaia. "Sarà l'ombra di... ".

Ma mentre parlava, il pesce saltò fuori dall'acqua e aprì la sua grande bocca cercando di catturarla.

Fu questione di un momento: Apemaia si aggrappò con tutte le forze alla foglia di una canna, che la rilanciò per aria. Il pesce era ritornato nell'acqua con la pancia vuota.

"Che paura!", esclamò Apemaia. "Io non sapevo che i pesci mangiassero le api... Willi, andiamo via, questo non è un posto per noi". L'amico era ben felice di allontanarsi dallo stagno; l'idea di finire nella pancia di un pesce non gli piaceva affatto. Quella sera preferirono non raccontare a nessuno quello che era successo.

Temevano un altro rimprovero di Cassandra e non volevano rischiare di finire subito a letto senza la cena.

"Domani saremo più prudenti", disse Apemaia, "è ora di renderci utili. Vedrai, Willi, troveremo il modo di dimostrare che non siamo più soltanto degli scolari".

Si dice che la notte porti consiglio ma di consigli Apemaia, quella notte, non ne aveva trovati. Il giorno dopo decise di andare a trovare Curt, lo scarabeo della rosa, per chiedergli qualche idea in prestito. "Non sappiamo come fare per dimostrare che siamo cresciuti", disse Apemaia a Curt, "ci trattano sempre come neonati... ".

Curt aggrottò la fronte, ci pensò un momentino e poi rispose: "Potreste rendervi utili segnalando i pericoli che ci sono. Voi andate sempre in giro... ecco, ho trovato! Potreste annotare tutti i posti che vi sembrano pericolosi e riferire alle api operaie di fare attenzione... ".

"Ottima idea", esclamò Apemaia, "partiamo subito!".

Era un compito rischioso: per segnalare i pericoli bisognava andarli a cercare. Sarebbero stati abbastanza prudenti quei due?

Curt era grande e grosso e sapeva difendersi, ma Apemaia e Willi erano così distratti! Quando Flip seppe che le due api volevano ficcarsi nei guai, decise di andare con loro, per evitare il peggio.

Arrivò al momento giusto. Apemaia aveva trovato, tesa tra due rami, una vecchia ragnatela abbandonata dal suo padrone, e si divertiva a saltarvi sopra. "Guarda Flip, è meglio di un tappeto elastico, rimbalza che è un piacere!", esclamò quando vide l'amico. Fece un salto, poi ancora un salto, finché un filo della ragnatela non si ruppe e cominciò ad imprigionarle le ali. Apemaia non riusciva a districarsi da quel groviglio. Ci volle l'aiuto di Willi e di Flip per liberarla. "Accidenti", esclamò, "non riuscivo più a muovermi!".

Allora Flip le spiegò che il ragno tesseva la sua tela proprio allo scopo di catturare le prede. "Sei stata fortunata, perché questa ragnatela non è abitata. Se ci fosse stato il ragno, avresti fatto una brutta fine!".

Flip stava concludendo la sua predica quando videro avvicinarsi di gran corsa un topo con gli occhiali. Arrivava tutto trafelato e si proteggeva con il cappello di un fungo.

"A-a-a-aiuto! I ne-ne-nemici!", gridava balbettando, "di-di-dicono che c'è la-la-l'attacco!". Apemaia lo fermò e volle sapere chi erano i nemici che attaccavano.

Il topo non era certo veloce nelle sue spiegazioni. Balbettava così tanto che gli ci voleva un'eternità a mettere insieme un'intera frase. Ma il succo era chiaro. Aveva sentito qualcuno nel bosco dire che fra breve l'alveare sarebbe stato rapinato. Non era riuscito a sapere chi fosse l'artefice di un simile piano ma aveva sentito chiaramente la parola "rapina". "L'alveare è in pericolo", esclamò Apemaia. "Willi, corriamo ad avvisare le api guerriere!". E spiccarono il volo alla volta dell'alveare. Non fu facile convincere le api guerriere, sempre prudenti, che l'alveare era in pericolo.

Nessuno voleva credere a quei due mocciosi perditempo che se ne stavano tutto il giorno a zonzo. "Su, tornate a giocare, piccine, a difendere l'alveare ci pensiamo noi!", risposero le api guerriere.

Apemaia insisteva. Non voleva andarsene e così dovettero usare la minaccia delle loro lance per togliere di mezzo quella piccola peste. Willi convinse l'amica che non c'era altro da fare che tornare nel bosco dove avrebbero cercato di sapere qualcosa di più preciso.

Se il topo aveva sentito parlare di una rapina all'alveare, forse c'era qualche altro animale che sapeva qualcosa.

Andarono a casa di Flip e studiarono bene il da farsi. Innanzitutto bisognava interrogare più gente possibile, ma non a caso; bisognava consultare animali della terra e animali del cielo per stabilire da dove potessero provenire questi nemici.

Apemaia si recò a trovare due signorine scarabee note per la loro arte nel pettegolare. "Sapete nulla riguardo a una rapina all'alveare?", domandò Apemaia ansiosa di scoprire la verità. "Rapina?", fecero quelle in coro. "Ma non si tratta di rapina, mia cara, circola voce che si prepari un attentato alla vostra Regina". "Un attentato? E chi ve lo ha detto?", indagò Apemaia.

"Oh, nessuno in particolare, mia cara. È una voce, e le voci circolano, ma non si sa mai da dove vengano".

Era troppo. Prima una rapina, ora un attentato.

A questo punto la cosa era grossa per davvero.

"Potete indicarmi qualcuno che possa darci altre informazioni?", domandò Apemaia alle signorine scarabee. "Forse Puch, la mosca, ma non prendete per oro colato tutto quello che dice. Quelle lenti che porta sugli occhi le fanno vedere le cose un po' deformate...". Chissà dov'era Puch in quel momento.

Apemaia sapeva che Puch passava la maggior parte del suo tempo nella casa dell'Uomo a curiosare. E, se non era là, poteva essere dappertutto. Come fare a rintracciarla?

Tornò da Flip e da Willi, che nel frattempo avevano indagato presso alcune lucciole.

"Si dice", raccontò Flip, "che qualcuno voglia incendiare l'alveare".

"Incredibile", disse Apemaia, "a me hanno detto che vogliono fare un attentato alla Regina. Ma chi ha intenzione di disfarsi delle api?". Willi, che fino a quel momento era rimasto in disparte, espose i suoi dubbi: "Questa storia puzza! Prima la rapina, poi l'attentato, adesso l'incendio. C'è qualcuno che si diverte alle nostre spalle". "Sarà", rispose Apemaia, "comunque è uno scherzo di cattivo gusto. E poi non si può mai sapere; potrebbe essere tutto vero... ".

Decisero di andare a cercare Max e di sentire se nelle viscere della terra, dove lui abitava, si raccontasse qualcosa del genere.

Ma, mentre volavano verso la tana di Max, dal cielo incominciarono a scendere alcune gocce di pioggia. "Impossibile volare con questo tempo", disse Apemaia, "come facciamo?".

Flip aveva una soluzione per tutto. Fece riparare gli amici sotto il calice di un fiore in attesa che il tempo tornasse bello.

Che strana la natura quando piove! Apemaia osservava il verde dell'erba, che sotto la pioggia era diventato ancora più brillante.

I petali dei fiori ricevevano le goccioline d'acqua e le facevano rotolare dentro il calice, come se fossero preziose perle da raccogliere. La terra profumava di pulito e tutt'intorno risuonava una musica lieve. "Din-din-din", facevano le gocce di pioggia dentro lo stagno. "Flap, flap, flap", suonavano al contatto con le foglie della grande quercia. Com'era bella la natura! "È proprio un bel regalo", pensava Apemaia sotto il suo fiore, "deve essere proprio buono chi ha fatto tutto questo!". Non era possibile credere che in un mondo così bello ci fosse qualcuno che progettasse rapine, attentati, incendi. Eppure, quel giorno non aveva sentito parlare d'altro.

Appena la pioggia cessò, Flip, Willi e Apemaia andarono alla tana di Max. Anche lui aveva sentito parlare di qualcosa ma non aveva capito bene e non sapeva spiegare se si trattasse di una rapina piuttosto che di un attentato o di un incendio.

Non restava che andare a cercare Puch, per sapere da lei qualcosa di più preciso. L'aria era ancora umida e Apemaia non riusciva a volare bene. "Attaccati alla mia coda", disse Max, "ti porterò io". Apemaia non era mai andata a cavallo di un lombrico e trovava il viaggio abbastanza piacevole, anche se gli scossoni non mancavano.

Nessuno aveva visto Puch quel giorno.

"Forse, a causa della pioggia", pensò Apemaia, "sarà rimasta nella casa dell'Uomo. Dovremo rinunciare a sapere qualcosa da lei".

Era quasi buio, e Willi insisteva per fare ritorno all'alveare. Gli amici si diedero appuntamento per il giorno dopo e si salutarono. Quando Apemaia entrò nell'alveare incontrò due api operaie che parlavano tra loro. "Eppure li ho sentiti con le mie orecchie", diceva una, "raccoglievo il nettare da una rosa e ho sentito che parlavano proprio di noi, dell'alveare. Dicevano che molto presto ci sarà una rapina".

Apemaia allora andò a cercare Cassandra. Voleva parlarle di tutta questa storia piena di rapine e attentati, e chiederle consiglio.

La trovò che parlava con un'ancella della Regina, a bassa voce per non farsi sentire dal resto della scolaresca. Anche se non era una cosa molto educata, Apemaia si nascose dietro alla porta e stette ad origliare. Cassandra diceva che nel bosco aveva inteso parlare di un incendio. "Capirai, se appiccano il fuoco all'alveare è la fine". "Bisogna informare la Regina", rispose l'ancella. "Ma no, forse è meglio aspettare", la rassicurò Cassandra con prudenza. "Dunque i sospetti non sono solo miei", pensava Apemaia.

Prima di andare a letto si accorse che davanti ad ogni porta e dietro ogni finestra era stato rafforzato il numero delle guardie. Erano tutte molto nervose, camminavano avanti e indietro, attente ad ogni rumore sospetto, ad ogni ombra e ad ogni spostamento d'aria.

Nessuno dormì bene, quella notte: Willi per paura dei ladri, Cassandra per paura dell'incendio, Apemaia per paura che qualcuno potesse far del male alla Regina. E le api guerriere non dormirono affatto.

La mattina dopo ognuno riprese il suo lavoro e Apemaia e Willi si recarono all'appuntamento con Flip e Max. Anche loro non erano riusciti a dormire quella notte.

Max, in particolare, si era arrotolato nella sua tana senza riuscire a prendere sonno e aveva continuato a pensare a quelle strane storie. Si era ricordato che da un paio di giorni non aveva più visto Tecla, un losco personaggio sempre avido di bottino e desideroso di prendere nella sua rete anche Apemaia. "Ci siamo", esclamò Flip, "quando quella scompare, nessuno riesce più a dormire tranquillo!".

Come fare a scovarla? Apemaia era decisa a tutto. "Muoviamoci, chiederemo notizie a tutti gli animali del bosco", disse col solito entusiasmo.

E si diresse verso lo stagno.

Quando arrivarono sulla riva videro uno spettacolo strano: tutte le rane scappavano a gran velocità. Uscivano dall'acqua e si nascondevano dentro i cespugli tutt'attorno allo stagno, gracidando a perdifiato.

"Che cosa succede?", domandò Flip ad una rana che gli passava accanto. "Qualcuno dice", rispose quella affannata, "che l'acqua dello stagno è stata avvelenata!".

"Povere noi", gemeva la più anziana, "come faremo senz'acqua?".

"Anche questa è una storia che puzza", esclamò Willi, "se l'acqua fosse avvelenata i pesci sarebbero morti già da un pezzo. Invece non c'è alcun segno di pesce morto!".

"Bravo Willi, questo è vero", ammise Apemaia, "ma chi può avere interesse a far scappare le rane dallo stagno?".

Flip era pensieroso. Tutta quella storia non gli piaceva. C'era qualcuno che voleva allontanare gli animali del bosco per restarne l'unico proprietario. "Mi sembra di conoscerlo questo tipo", disse Flip preoccupato, "di certo a mettere in piedi tutta questa storia è stata Tecla. Ma come possiamo fare per smascherarla? ".

Apemaia pensava. Willi pensava, Max pensava, Flip pensava. Ma tanti pensatori non riuscivano a produrre tutt'insieme neanche una mezza idea. Ad un certo punto Flip parlò. Era calmo e aveva l'aria di un vecchio saggio. "Sentite", disse agli amici, "quello che ha fatto Tecla non è bello ma noi non possiamo proprio agire allo stesso modo. Non servirebbe. Dobbiamo cercarla e parlarle, con molta semplicità, facendole capire che non le serbiamo rancore per il suo misfatto".

Apemaia era d'accordo con Flip. Bisognava andare a cercare Tecla e dimostrarle che si può essere buoni con chi ha sbagliato.

Dove poteva essersi rifugiato un vecchio ragno, in attesa che il suo malvagio progetto si realizzasse fino in fondo?

Certo, in un posto da cui si potesse dominare la situazione e tenere sott'occhio tutti i vari spostamenti.

"Dalla grande quercia", disse Max, "si può vedere tutto il prato, il bosco e l'alveare. Io lo so perché quando sono triste striscio fin lassù e cerco di guardare la vita sotto un'altra prospettiva...". Sicuro, Tecla non poteva essere che lassù. Si affrettarono a raggiungere la grande quercia e senza fare rumore salirono fin sulla cima.

Tecla dormiva dentro un nido abbandonato, con il vecchio cappello in testa e il naso tutto rosso come al solito. "Povera vecchia", pensò Apemaia, "come dev'essere triste vivere così soli, senza nessun amico".

Flip chiamò Tecla e le disse che alcuni amici le volevano parlare. Fu davvero molto conciliante. "Amici? Io non ho amici! Presto sarò la padrona di tutto il bosco...".

"Lo sappiamo", rispose Apemaia, "hai cercato di spaventarci perché volevi restare sola. Volevi prenderti tutto il nostro miele, tutti i moscerini dello stagno, e avere il bosco tutto per te".

"Ma", interruppe Flip, "non ce l'abbiamo con te per quello che hai fatto. Noi vogliamo esserti amici".

"Se tutti se ne fossero andati come volevi tu", disse Willi con fare commovente, "nel bosco non ci sarebbero più il grillo che canta, gli uccellini al mattino, le lucciole la notte. Come faresti a vivere così da sola?".

Tecla guardava quei quattro e cominciava a sentirsi dentro qualcosa di strano.

Era vero quello che diceva Apemaia: lei aveva messo in giro quelle voci perché voleva restare l'unica padrona del bosco. Ma era vero anche quello che diceva Willi: la vita senza gli altri animali sarebbe stata ben triste. Quella povera vecchia, in fondo, aveva il cuore buono. Era stata la solitudine della sua vita a ridurla così. Chiese perdono agli amici per quello che aveva fatto, e pregò Apemaia di aiutarla ad essere come loro, una di loro. "Ma certo", esclamò Apemaia, "coraggio, vieni con noi!". E salì sulle sue spalle, felice di aver riportato l'armonia nella vita del bosco e di aver conquistato un amico in più.