BREVE GUIDA ALL’ECUMENISMO
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GLI
ORTODOSSI
La parola chiesa deriva dal greco ekklesia,
compare nei Vangeli, negli Atti degli Apostoli e nelle lettere di S. Paolo con
il senso di comunità cristiana. L’aggettivo
ortodossa - che significa retta fede e retto culto - ne esprime l’autenticità : la Chiesa ortodossa mantiene
inalterata la Parola così come è stata rivelata dal nostro Signore
Gesù Cristo, in continuità diretta con la tradizione apostolica delle
origini. La fondazione della chiesa è dovuta all’intervento di Dio nella
storia dell’umanità, mediante l’incarnazione, la crocifissione, la
resurrezione, l’ascensione del Figlio di Dio e la discesa dello Spirito
Santo il giorno della Pentecoste.
La storia della Chiesa Ortodossa
inizia formalmente col grande
scisma del 1054, ma è necessario ripercorrere almeno i punti essenziali della
storia del Cristianesimo soffermandosi in
particolare sui Concilii Ecumenici, grandi assemblee dei Vescovi, le cui
decisioni sono vincolanti per
l’intera Chiesa Universale.
I
CONCILI ECUMENICI
Con l’editto di Milano ( 312 d. C)
- emanato da Costantino - che concede ai Cristiani la libertà di professare
il loro culto e in particolare con il successivo editto di Teodosio I (380),
che proclama il Cristianesimo religione di stato, l’ Impero romano diventa
cristiano. Costantino stesso modifica le leggi secondo alcuni principi
evangelici, presto però prevalgono gli aspetti negativi del sistema e le
interferenze inevitabili tra le due sfere di potere .
Nel 325 a Nicea viene convocato il I Concilio ecumenico, in
cui si formula la fede nella stessa natura del Padre e del Figlio. Intanto
Costantino si occupa di trasferire la capitale a Bisanzio (330), che definisce
“nuova Roma”, favorendo ulteriormente la possibilità degli imperatori di
intervenire nelle questioni religiose. Nel 381 a Costantinopoli il II Concilio
ecumenico giunge alla formulazione del
Credo, conosciuta col nome di Simbolo niceno-costantinopolitano.
Nel 431 ad Efeso il
III Concilio ecumenico afferma che in Gesù la divinità e l’umanità
sono unite nell’unica persona del Verbo, Figlio di Dio e che Maria , madre
di Gesù, è anche madre di Dio (Theotokos). Nel 451 a Calcedonia il IV Concilio ecumenico, afferma
che le due nature del verbo incarnato sono unite ”senza confusione né
cambiamento , senza divisione né separazione”.
Rifiutarono le decisioni di questo
concilio le Chiese Orientali non greche, (Copta, Etiopica, Siro-Giacobita ed
Armena) che adottarono altre confessioni di fede .
Fino al XI secolo si registra un
progressivo allontanamento tra Costantinopoli e Roma, a causa di diverse
questioni, quali la fondazione dell’impero occidentale, la crescita del
potere papale e l’introduzione del “Filioque “ nel Credo.
L’incoronazione imperiale di Carlo Magno nell’anno 800 indica la rottura
dell’unità politica della Cristianità : dall’unico impero terrestre
che doveva essere l’icona dell’unico Regno celeste, nascono due imperi.
La fondazione dell’Impero
occidentale indebolisce la posizione dell’Impero bizantino e del Patriarcato
di Costantinopoli, favorendo la crescita del prestigio e del potere temporale
del papa.
Per quanto riguarda la questione del
“Filioque”, dal VI secolo
compare in Occidente la professione di fede con un’inserzione nel punto in
cui si recita “ ... lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio...”. L’ espressione aggiunta viene subito
denunciata dal patriarca Fozio perché si differenzia dalla formula orientale.
IL
GRANDE SCISMA
Con questo nome si definisce la
secolare divisione dell’unica Chiesa di Cristo, nell’anno 1054 ,quando
ormai sembra regnare solo l’ incomprensione tra i due mondi cristiani. Da
questo momento la Chiesa Occidentale si definisce Cattolica,
quella orientale Ortodossa. Papa
Leone IX sopprime l’Arcivescovado greco dell’Italia del Sud per integrarlo
in quello latino di Benevento e viene accusato dai patriarchi orientali di
voler estendere il suo potere temporale, usurpando territori che appartenevano
all’Impero bizantino. L’imperatore di Bisanzio
Costantino IX tenta di riconciliare le due chiese, convocando un
concilio, ma i rappresentanti delle due comunità non riescono a sostenere il
dialogo per l’atteggiamento
prevenuto che esse assumono reciprocamente. Sul filo degli equivoci e delle
incomprensioni, immediatamente vengono inviati i primi documenti di scomunica
reciproca, la quale persisterà fino al 7 dicembre 1965, quando a Roma e a
Costantinopoli si pronuncia “
la cancellazione della scomunica dalla memoria della Chiesa”.
IL
CAMMINO DELLA CHIESA
ORTODOSSA
L’opera missionaria della Chiesa
Ortodossa fu strettamente legata alla politica estera imperiale, come del
resto accade anche per le missioni occidentali.
Furono organizzate spedizioni
missionarie presso gli Unni, presso i Croati ed i Serbi dei Balcani, presso i
Bulgari, i Moravi e i Russi.
Dopo gli effetti devastanti della IV
Crociata, che vide il saccheggio
e l’occupazione di Bisanzio da parte dei Latini e dei Veneziani, nel 1261
l’imperatore Michele VII Paleologo si rivolse al Papa chiedendo aiuto e
offrendo in cambio l’unione della Chiesa Ortodossa con la Chiesa Cattolica.
Lo stesso fecero più tardi altri imperatori, ma i concili unionisti di Lione
(1274) e di Ferrara-Firenze (1438-39) non raggiunsero i risultati sperati. In
tali condizioni storiche la Chiesa Ortodossa ebbe notevoli difficoltà, sia a
causa dei Crociati cattolici che dei Musulmani : ad Antiochia e a
Gerusalemme, conquistate durante la prima crociata (1098-1099) i latini
insediarono i loro patriarchi cacciando quelli ortodossi, costretti a
ritirarsi a Costantinopoli. Dopo la riconquista delle due città da parte dei
Musulmani, gli Ortodossi possono eleggere di nuovo i loro patriarchi.
Agli inizi dell’Impero ottomano,
il sultano Maometto II permette ai Cristiani di eleggere il loro patriarca e
lo nomina “Etnarca”, cioè capo della comunità cristiana, considerata
come una sola nazione. Così la Chiesa acquista un ruolo importantissimo nel
mantenere viva la coscienza nazionale dei diversi popoli cristiani inglobati
sotto il dominio turco ; il Patriarca di Costantinopoli
riveste un potere religioso e civile quasi illimitato non solo sui
fedeli del suo patriarcato, ma anche sugli altri patriarcati orientali ;
egli può giudicare i Cristiani secondo le loro leggi e riscuotere da loro le
tasse. In cambio di questa relativa tolleranza, ai Cristiani viene vietata
ogni missione tra i Turchi e la costruzione di nuovi edifici di culto. Molte
chiese vengono trasformate in moschee, a partire da Santa Sofia. La sede del
patriarcato deve trasferirsi diverse volte finché si stabilisce nella chiesa
di San Giorgio al Fanar, dove tuttora si trova.
Il secolo XIX anche per l’oriente
cristiano si configura come un periodo di risorgimento nazionale in cui cambia
la fisionomia del mondo ecclesiastico : quando un popolo diventa autonomo e
indipendente, anche la sua Chiesa tende verso l’autonomia.
Accanto alle antiche chiese autonome
- Costantinopoli, Alessandria, Antiochia , Gerusalemme e Cipro - anche la
Russia diventa autonoma, seguita
nel 1833 dalla Grecia, dalla Chiesa Ortodossa del Regno serbo nel 1879, dalla
Chiesa Ortodossa Ucraina e della Georgia nel 1918, dalla Bulgaria, la cui
autonomia ecclesiastica viene riconosciuta solo nel 1945; nel 1948 è la volta
della Chiesa Ortodossa della Polonia e nel 1951 di quella Cecoslovacca.
Con i suoi circa 170-180 milioni di
fedeli di etnia greca, slava, romena, araba, asiatica, africana, americana ed
anche europea occidentale ( in Italia sono circa 32000), la Chiesa Ortodossa
presenta oggi una certa universalità geografica.
La struttura attuale della Chiesa
Ortodossa è decentrata : si tratta di un insieme di Chiese locali
autonome, in cui ognuna ha diritto di eleggere i propri vescovi.
PROFILO DOTTRINALE
La sintesi della dottrina ortodossa
si trova nel Credo niceno - costantinopolitano, mantenuto senza alcuna
alterazione :
La
Chiesa Ortodossa professa la fede nel Dio uno e trino : Padre, Figlio e
Spirito Santo, nella divinità e nell’umanità di Gesù Cristo, il Figlio di
Dio incarnato.
Accorda
venerazione a Maria, in quanto Madre di Dio e anche ai Santi, quali modelli di
vita cristiana. La Chiesa è assolutamente necessaria alla salvezza in quanto
al suo interno ha luogo il processo di santificazione dell’uomo e del cosmo,
mediante l’opera dello Spirito Santo.
La visione ortodossa è di tipo
globale, per cui non dissocia la dottrina dalla vita, la fede dalla
spiritualità, la teologia dalla mistica. Questo tipo di concezione ha le sue
radici in Oriente, come riconosce il Concilio Vaticano II quando afferma :
“Dall’Oriente si è diffuso il messaggio di Cristo, annunciato dagli
apostoli quali orientali ; in Oriente sono nate le prime comunità
cristiane ; in Oriente si sono riuniti i sette Concili ecumenici i quali
hanno formulato i dogmi della fede cristiana ; dall’Oriente vengono le
forme di culto ed è l’Oriente
patria del monachesimo e della mistica cristiana.” (cfr. Decreto
sull’ecumenismo, nn. 14-17).
Alla sacra Scrittura si affianca la
sacra Tradizione che comprende oltre al Simbolo niceno-costantinopolitano,
le decisioni dogmatiche dei Concili, i libri di culto e le opere dei Padri,
tra i quali godono di particolare autorità i santi Atanasio, Basilio,
Gregorio Nisseno, Gregorio Naziznzeno, Massimo il Confessore, Giovanni
Damasceno, il patriarca Fozio, Simeone il Nuovo Teologo, Gregorio Palama ed
altri, senza ignorare i Padri latini.
Mentre la chiesa cattolica tende a
dare una importanza principale alla figura di Cristo, quella ortodossa
attribuisce pari importanza ad una teologia riferita allo Spirito Santo.
La Chiesa è il
“luogo” in cui il
credente partecipa attivamente alla vita di Cristo, mediante i sacramenti,
riguardo al numero dei quali la chiesa ortodossa non ha formulato una
decisione, ma ormai è generalmente accettato il numero di 7.
Soffermandoci sulle differenze
nell’uso liturgico, nel Battesimo gli ortodossi immergono totalmente nell’acqua il candidato per tre volte,
indicandone la morte al peccato e la resurrezione alla nuova vita in Cristo,
attraverso l’azione del Dio unico e trino.
Per quanto riguarda l’Eucarestia,
la Comunione viene sempre fatta con col pane e col vino insieme.
Pur affermando l’indissolubilità
del Matrimonio, la Chiesa ortodossa celebra anche il secondo e il terzo
Matrimonio tra divorziati, sostenendo che Dio vuole che il peccatore non
muoia, ma che si penta e viva.
Il sacramento chiamato “Unzione
degli infermi” assume un carattere specificamente penitenziale e viene
celebrato anche per quei fedeli che non sono ammalati fisicamente, ma che
sentono una profonda sofferenza spirituale.
ATTEGGIAMENTO
ECUMENICO DEGLI
ORTODOSSI
Se per ecumenismo si intende lo
sforzo di ricostruire l’unità visibile della Chiesa, tutta la storia della
Chiesa Ortodossa appare ecumenica. La restaurazione dell’unità visibile
della Chiesa non è un problema di centralizzazione ecclesiastica né di
uniformità confessionale, bensì di comune fede. Una delle prime iniziative
ecumeniche del nostro secolo appartiene al Patriarcato di Costantinopoli
(1920) .
Fin dal 1925 le Chiese Ortodosse
partecipano con i loro rappresentanti alle assemblee ecumeniche
ed insieme ai Protestanti costituiscono il Consiglio Ecumenico delle
Chiese.
L’ Ortodossia è presente nei
dialoghi ecumenici con quasi tutte le famiglie confessionali, con la Chiesa
Cattolica i rapporti - come si è detto - sono ripresi il 5 gennaio 1965,
quando a Gerusalemme il Papa Paolo VI ed il Patriarca Atenagora I diedero
inizio al cosiddetto “Dialogo della carità”.
Il vero progresso del Cristianesimo
orientale non dipende dalla soppressione di diverse tradizioni religiose a
vantaggio di altre, ma dalla volontà dei membri della Chiesa di intraprendere una feconda collaborazione e di
sostenere un dialogo basato sulla cordialità e sulla comprensione.
LA CHIESA
VALDESE
Dati numerici
(al 1977): Valdesi in Italia 25.065
all’estero 8.799
Totale 33.864
L’origine del movimento valdese risale a Valdo, un ricco mercante di
Lione che, alla metà del XII sec., in seguito a riflessioni maturate dalla
lettura del Vangelo, decise di
disfarsi di tutte le sue ricchezze, di metterle in comune con i bisognosi e di
dedicare la sua vita alla predicazione del Vangelo. Fu ben presto affiancato
da numerosi discepoli che divulgarono il messaggio cristiano vivendo in
assoluta povertà e dedicando la vita ad una continua predicazione itinerante.
Si noteranno le similitudini sussistenti tra la vita di Valdo e quella
di S. Francesco; in effetti il paragone è già stato più volte proposto,
tanto che alcuni storici delle religioni sono convinti che se Valdo avesse
ottenuto dal papa l’approvazione del suo movimento (come Francesco l’ebbe
della sua regola), ora si ricorderebbe il ricco francese tra i santi invece
che tra gli eretici. Di fatto Alessandro III negò alla comunità dei
“poveri di Lione” il permesso di predicare; essi si costituirono in una
confraternita regolata dai tre voti monastici di povertà, castità ed
obbedienza, con un ramo maschile ed uno femminile. Il divieto non fermò Valdo
né (anche in seguito alla sua morte avvenuta nel 1206) i suoi seguaci, che -
sebbene scomunicati - continuarono a predicare ed allo stesso tempo a credere
nella Chiesa romana indivisibile e nel sacerdozio coi suoi poteri
sacramentali.
Più staccati dalla Chiesa di Roma si dimostrarono i valdesi che
operarono in Lombardia; in un sinodo del 1218 la posizione di questi ultimi
prevalse su quella che era stata di Valdo. A partire da questo momento il
conflitto con la Chiesa ufficiale divenne aperto e si giunse a quella
scissione che Valdo non avrebbe voluto. I valdesi furono più volte
perseguitati duramente dall’Inquisizione, tanto che furono costretti a
ritirarsi nelle campagne e poi in zone simili a ghetti, finche di essi non
rimase praticamente traccia se non nel nord Italia.
Il momento di svolta più importante nella storia dei valdesi è
costituito dalla loro adesione alla Riforma. Fino ad allora non si erano
proposti una controversia dottrinale con Roma e la loro teologia rimase
fondamentalmente cattolica, anche se rifiutavano la dottrina del Purgatorio,
le preghiere per i defunti e l’Ave Maria. Nel
1532 i valdesi aderirono alla Riforma: il valdismo medievale fu costretto a
numerosi compromessi con il movimento riformatore (si accettò, ad esempio,
una minor rigidità nella comunanza dei beni, l’indicazione a stabilire una
sede fissa per i predicatori fino ad allora itineranti, etc). La
partecipazione dei valdesi ai riti della chiesa cattolica venne condannata.
Solo in questo momento i valdesi radicalizzano la loro separazione da Roma e
la fondano teologicamente; costruirono le prime chiese e introdussero il culto
pubblico. Adottarono una costituzione di tipo calvinista.
A metà dell’800, per influenza di un movimento chiamato “risveglio
ginevrino”, i valdesi furono tra i più convinti sostenitori della necessità
di una totale divisione tra stato e chiesa, in nome dalla libertà di
coscienza e di culto. In quegli anni era cominciata una sorta di dialogo non
polemico tra i valdesi ed i cattolici liberali (sede di tali incontri fu anche
Firenze, grazie all’interessamento del Viesseux) che mirava al rinnovamento
della chiesa come frutto delle diverse esperienze maturate. L’influenza del
“risveglio ginevrino”, però, portò i valdesi a cominciare un’opera di
evangelizzazione piuttosto aggressiva e impositiva che rese impossibile la
collaborazione con i cattolici. Si
sviluppò allora tutta una letteratura di controversia confessionale, che
dimostrò soprattutto quanto poco i contendenti si conoscessero. Questo
avvenne perché dall’epoca della Riforma cattolici e protestanti non avevano
più avuto rapporti diretti tra loro e a farli incontrare non erano bastate
neppure le leggi sulla libertà di culto delle democrazie dell’800 (le leggi
non sono sufficienti a creare la libertà interiore necessaria per un dialogo
pacifico e fraterno). Sempre a metà dell’800 è da rilevare un grande
flusso migratorio di Valdesi, soprattutto giovani, verso il Sud America.
Proprio in America latina si trova tuttora uno dei cinque distretti in cui si
suddivide amministrativamente la chiesa valdese (gli altri quattro sono in
Italia).
In epoca fascista i valdesi mantennero un atteggiamento prudentemente
ostile; nel dopoguerra fondarono due importanti centri sociali per
l’assistenza alle classi disagiate e la formazione scolare a Palermo e a
Milano.
Profilo dottrinale.
E’ necessario distinguere tra il valdismo medievale e quello
riformato.
Caratteri tipici del valdismo
medievale sono:
1. La riabilitazione teologica
del laicato: il valdismo medievale era laico, come laico fu sempre Valdo;
non fondò un ordine monastico, ma rivendicò il diritto dei laici
all’evangelizzazione. Il laicato ridivenne così protagonista della vicenda
cristiana: rendendosi responsabile della predicazione il laico non è solo
destinatario di un messaggio, ma anche messaggero. C’è una chiara tendenza
a ridefinire la chiesa a partire dalla sua base laicale, da questo derivano
alcune conseguenze:
- il sacerdozio è ridimensionato
nelle sue funzioni; la predicazione non è più monopolio clericale (come
continuano ad essere la celebrazione e l’amministrazione dei sacramenti).
- la riqualificazione
ministeriale della donna: anche la donna valdese predica ed insegna
(questo fu uno dei motivi più forti della scomunica).
- rivalutando il laicato e fondando
una confraternita laica, si combatte contro la gerarchia ecclesiale.
2. Predicazione del Vangelo:
i valdesi sorgono come comunità di predicatori
con la missione della diffusione popolare e capillare del Vangelo.
Tale predicazione è:
- itinerante (si noti la
differenza con la stabilità tipica del prete cattolico), sul modello della
primitiva predicazione cristiana e in conformità a 2 Timoteo 2, 1 (“la
parola di Dio non è incatenata” = non deve esserlo neppure la predicazione
di tale parola).
- biblica: grande importanza
è data all’apprendimento anche a memoria dei testi sacri considerati come
l’unica vera autorità. Valdo fece tradurre in volgare molti libri biblici.
- propaga il messaggio di vita
apostolica quale è formulato nel Discorso della Montagna, che deve essere
tradotto in pratica nella vita quotidiana del cristiano.
3. Povertà:
- in funzione della predicazione
per dare più credibilità alla diffusione del messaggio di Cristo e per
dimostrare che la loro attività non era prezzolata dal potere;
- in polemica con la chiesa
del tempo, ricca e perfettamente inserita nel sistema sociale del feudalesimo
(si noti l’uso anche critico e anticlericale della povertà apostolica). I
valdesi furono duramente perseguitati per il loro messaggio di liberazione
rivolto agli strati bassi della società feudale, messaggio pericolosissimo per l’ordine costituito.
- anticostantinianesimo: un
vescovo valdese, nel ‘400, si definì “vescovo, per grazia di Dio, di quei
fedeli che, nella chiesa di Roma, rifiutano la donazione di Costantino” (la
donazione di Costantino è un documento falso in base al quale i pontefici
hanno per lungo tempo affermato la legittimità del loro potere temporale). I
valdesi combatterono l’idea che i papi, più che successori di Pietro, si
sentissero successori di Costantino e contro una chiesa snaturata perché
mondanizzata. Volevano una chiesa che rinunciasse al potere e si dissociasse
dai sistemi politici, economici e militari (crociate comprese).
Per queste sue posizioni, Valdo è considerato insieme a Francesco
d’Assisi un grande riformatore evangelico, antesignano di ogni riforma nella
tradizione cristiana della civiltà mediterranea. I due espressero il primo
desiderio della chiesa medievale di rinnovarsi recuperando direttamente ed
immediatamente i valori specifici del messaggio di Cristo. In questo senso
furono i primi riformatori della cristianità occidentale.
Caratteristiche del
valdismo riformato: da più di 450 anni i valdesi sono una chiesa
riformata del filone calvinista del protestantesimo. La loro fede è dunque,
in linea di massima, quella di tutte le chiese protestanti. I valdesi non sono
stati i protagonisti della riforma, ma ne sono partecipi e solidali.
Il loro programma più che morale o
dottrinale è pastorale, con lo scopo comune di “liberare le coscienze e
renderle certe mediante la fede”; certe della salvezza, che è dono gratuito
di Dio all’uomo tramite il sacrificio di Gesù Cristo e non traguardo che
l’uomo raggiunge in base ai suoi meriti. L’uomo non vive dunque per
meritare la salvezza (per questa basta la fede), ma solo per servire Dio e i
fratelli. Anche la chiesa così cambia funzione: il suo compito non è di
salvare gli uomini né di mediare la loro salvezza, ma di predicare la fede e
metterla in pratica nel servizio.
Conseguenze: credendo in Cristo il
cristiano riceve automaticamente ogni grazia e benedizione: la mediazione
sacerdotale, allora, non ha più ragion d’essere. Cristo è
l’unico mediatore tra Dio e il laico; ogni cristiano è sacerdote e papa,
cioè titolare, insieme ai fratelli e sotto l’autorità della parola di Dio,
di ogni potere e funzione nella Chiesa: è la religione della laicità
cristiana. La chiesa è così declericalizzata, cioè non
c’è più un clero “diverso per essenza e non solo per grado” dal
laicato (come ha ribadito il Conc. Vat. II); crolla insomma ogni gerarchia fra
cristiani e si è tutti sacerdoti (cfr. I Pietro 2,9).
La fede valdese è una delle espressioni della fede cristiana nella
storia; come il protestantesimo in genere, essa si colloca perfettamente
nella linea delle grandi affermazioni trinitarie e cristologiche dei concili
ecumenici antichi. Recentemente, come membro del Consiglio Mondiale delle
Chiese, ne ha sottoscritto la base teologica in cui il Consiglio si definisce
come una comunione di chiese che “confessano il Signore Gesù Cristo come
Dio e Salvatore secondo le Scritture e perciò cercano di realizzare insieme
la loro comune vocazione alla gloria dell’unico Dio, Padre, Figlio e Spirito
Santo”.
A livello organizzativo, la chiesa valdese è una struttura non
gerarchica, ma assembleare, una fraternità cristocratica servita da vari
ministeri (pastore, dottore, anziano e diacono) cui possono accedere sia
uomini che donne.
Tutta l’amministrazione è costruita dal basso: le varie comunità
locali eleggono un consiglio presieduto da un pastore; tale consiglio elegge a
sua volta una commissione che si occupa dell’intero distretto.
La fede si esprime nel culto domenicale e nella testimonianza
quotidiana dei fedeli, sempre accompagnata da attività catechetiche. Il culto
è però sottomesso alla parola evangelica: “Voglio misericordia, non
sacrifici” (Matteo 9,13).
Dialogo ecumenico
Nessuna chiesa cristiana può più prescindere dall’orizzonte
ecumenico: la chiesa valdese riconosce nel movimento ecumenico il frutto della
volontà di Dio e vi partecipa. Nel dialogo, nel confronto e nell’incontro
interconfessionale ogni chiesa prende coscienza dei suoi limiti, delle sue
parzialità e infedeltà e allo stesso tempo allarga i propri confini. Oltre
ai già ricordati tentativi ottocenteschi di dialogo tra valdesi e cattolici
liberali, sono da ricordare:
- la fondazione della rivista
Gioventù cristiana, negli anni ‘30, con chiaro intento ecumenico, ma
limitato al dialogo col mondo anglicano e protestante;
- la creazione, nel 1946, del
Consiglio Federale delle Chiese evangeliche in Italia (valdesi, metodisti,
battisti, luterani), seguita da una simile Federazione delle Chiese
evangeliche in Italia nel 1967.
Nel dopoguerra anche il dialogo col cattolicesimo non fu più
aspramente anticlericale come nell’800. Ci si richiamò in parte al pastore
valdese Ugo Janni (morto nel 1938) che insisteva sulla necessità che la
chiesa valdese tornasse ad essere, come nel Medio Evo, un movimento per
contribuire al rinnovamento della chiesa cattolica, collaborando con gli
ambienti evangelicamente più vivi del cattolicesimo.
Un contributo importante al dialogo venne da Giovanni XXIII, che cercò
di stabilire nuovi e migliori rapporti coi valdesi. Preti cattolici e pastori
valdesi si incontrarono regolarmente in convegni per studiare problemi
teologici e pastorali, soprattutto in seguito al Concilio. Negli stessi anni
si è assistito ad una sorta di incontro ecumenico privilegiato tra i valdesi
politicamente orientati a sinistra e i cosiddetti “cattolici del
dissenso”. Di grande importanza nel cammino ecumenico sono tuttora gli
incontri regolari di valdesi, metodisti e battisti con le Francescane
missionarie di Maria e il Seminario lateranense a Roma e il lavoro del
Segretariato Attività ecumeniche, associazione interconfessionale cui
partecipano anche tutti i professori della facoltà valdese di teologia. La
caratteristica principale del movimento ecumenico è che in esso la ricerca
della chiesa una si intreccia con quella della chiesa vera, in cui prende
corpo tutto il vangelo e solo il Vangelo. Solo il vangelo, infatti, è
veramente ecumenico e, vissuto e creduto, è in grado di creare, in forme che
per ora non si conoscono, la chiesa di Cristo una e vera. In questa
prospettiva, l’ esperienza del Valdismo medievale, sebbene storicamente
conclusa, è molto attuale e ha molto da insegnarci, soprattutto con la sua
insistenza sul fatto che confessare e testimoniare Cristo significa anzitutto
seguirlo (I Giovanni 2,6).
I
LUTERANI
I
Cristiani luterani sono una settantina di milioni e per la maggior parte
vivono nel Nord Europa (Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia),
quasi 10 milioni vivono negli Stati Uniti, il resto in India, Brasile,
Tanzania. Si chiamano luterani perché seguono gli insegnamenti del
“riformatore” tedesco Martin Lutéro.
Martin
Lutéro nacque nel 1483: Assillato dal problema della dannazione eterna, si
fece frate agostiniano nel 1505 ad Erfurt. Tra il 1516 e il 1515 studia con
attenzione la Bibbia, soffermandosi soprattutto sul libro dei salmi e sulle
lettere di Paolo.
Nella
lettera di Paolo ai Romani Lutero trova la risposta alle sue angosce e paure;
lì l’apostolo Paolo scrive: “Nessun uomo è giusto, nemmeno uno: così
dice la Bibbia. Perciò tutti chiudano la bocca e il mondo intero si riconosca
colpevole dinanzi a Dio, perché nessuno potrà essere riconosciuto giusto da
Dio in base alle opere che la legge comanda. La legge serve soltanto a farci
conoscere in che cosa noi pecchiamo. Ma Dio riabilita innanzi a sé tutti
quelli che credono in Gesù Cristo; e questo lo fa indipendentemente dalle
opere della legge e senza alcuna distinzione tra gli uomini, dal momento che
tutti quanti gli uomini hanno peccato e sono privi della presenza di Dio che
salva. Perciò, se ora siamo nella giusta relazione con Dio, si deve al fatto
che Egli, nella sua bontà, ci ha liberati gratuitamente per mezzo di Gesù
Cristo” (Romani. 3,10. 19-24).
In
altre parole, nessuna opera compiuta dall’uomo può far da prezzo per la sua
salvezza, neanche la più perfetta, perché l’uomo è nel peccato; ma Dio
ama l’uomo e decide liberamente di salvarlo, e lo fa attraverso Gesù; di
fronte a questa generosità divina, all’uomo non resta che credere, che aver
fede: “Senza alcun mio merito, Dio mi vuole salvo. E allora, come non
fidarmi di lui? come non mettermi nelle sue mani?”. Tutto il resto viene
dopo!
La
“scoperta” di Lutero, portò finalmente serenità al suo cuore di
cristiano inquieto e angosciato. In fondo Lutero aveva ritrovato il nucleo
centrale della “gioiosa notizia”, del Vangelo di Gesù Cristo.
Ma
un altro problema gravava sul cuore di frate Martino, la situazione di
disastrosa corruzione in cui si trovava la Chiesa europea in quei tempi, a
cominciare dalla Chiesa di Roma e dal papato. Ormai da diversi decenni,
cristiani di ogni categoria operavano per una “riforma” della Chiesa, a
cominciare da se stesse, ma poi anche facendo pressioni sull’autorità
ecclesiastica: bisogna riportare la vita dell’intera comunità alle sorgenti
vive del Vangelo, eliminando tutto ciò che appesantisce e corrompe.
basterebbe ricordare, qui a Firenze, lo sforzo innovatore dei domenicani di S.
Marco, tra cui primeggiano S. Antonino vescovo e fra’ Girolamo Savonarola.
Lutero, forte della sua personale soluzione, si mosse con decisione per
risvegliare la Chiesa alle verità essenziali e liberarsi dalla zavorra di
mondanità e di dottrine troppo umane che la impedivano nel cammino della
salvezza. La sua posizione fortemente critica sulla compravendita delle
indulgenze lo rese popolare presso tutti quei cristiani che erano indignati
per la corruzione del papato. Iniziarono discussioni e pubblici dibattiti, e
qui, per difendere le sue tesi, Lutero negò il primato del papa e radicalizzò
alcune sue intuizioni. Nel 1520, papa Leone X (il fiorentino Giovanni de
Medici) lo scomunica, ma il frate respinge la scomunica e chiama la nobiltà
tedesca a suo sostegno. Nel 1521 avviene la rottura definitiva tra Lutero e la
Chiesa di Roma.
In
pochi anni il luteranesimo diviene la religione ufficiale in veri stati
dell’Europa settentrionale: in Svezia, che allora comprendeva anche
Finlandia ed Estonia, e in Danimarca, che comprendeva anche Norvegia e
Islanda. Molti dei tanti principati tedeschi seguirono il Luteranesimo.
Martin
Lutero muore nel 1546.
Nel
1817 la chiesa imperiale germanica favorisce l’unione tra le Chiese luterane
e quelle calviniste, unione che approda alla costituzione di un tipo di chiese
che si definiscono “evangeliche”.
In
nazismo riesce ad intromettersi nelle chiese protestanti di Germania, ma una
parte dei cristiani si ribella a questa strumentalizzazione e dà luogo alla
“Chiesa confessante”, che resiste all’ingerenza nazista con fermezza ed
eroismo.
Nel 1947 viene fondata la Federazione Luterana Mondiale. Tre sono i punti su cui Lutero non transigeva, che vengono esemplificati nella frase: “sola fides, sola gratia, sola scriptura”, e cioè: “solo la fede, solo la grazia, solo la Bibbia”. Secondo Lutero la Bibbia è la norma assoluta della fede cristiana e all’interno della Bibbia ci sono alcuni libri-chiave, indispensabili per interpretare rettamente gli altri; questi libri-chiave sono la Lettera di S. Paolo ai Romani e i Vangeli. Perciò la Tradizione (cioè il modo in cui la Chiesa attraverso i secoli ha capito, vissuto e trasmesso il Vangelo e la propria fede) non ha importanza decisiva; decisiva rimane solo la Bibbia. Invece per noi cattolici, Bibbia e Tradizione vanno ugualmente valorizzate per una verifica reciproca e continua circa le “verità” da credere e il “cammino” da compiere. Lutero, ma ancor più i suoi seguaci, affermavano che Dio, nel suo amore, riveste l’uomo coi meriti di Cristo e così lo accoglie come giusto, ma di per sè l’uomo resta peccatore e le sue opere non possono produrre salvezza, anche se la riconoscenza per tanto amore di Dio deve spingere l’uomo a fare opere buone; l’unica cosa che coinvolge l’uomo nell’opera divina di salvezza è la fede, ma anche la fede è dono di Dio. Questo significano le parole “solo la fede, solo la grazia”. Diversa è la posizione di noi cattolici: d’accordo che chi ci salva è l’amore puramente gratuito di Dio, che la fede è un dono dell’amore di Dio, e che non c’è opera umana che possa pretendere di produrre o di meritare la salvezza dell’uomo; ma la grazia divina produce guarigione e trasfigurazione interiore nell’uomo che crede, e pertanto le buone azioni dell’uomo credente entrano attivamente nel flusso dell’opera di salvezza che sgorga dal cuore di Cristo. Da dopo il Concilio Vaticano II si sono regolarizzati e moltiplicati gli incontri ecumenici tra Cattolici e Luterani.
GLI
ANGLICANI
Profilo Storico
Comunemente si crede che la Chiesa Anglicana sia nata esclusivamente in seguito ad un atto giuridico ed unilaterale del Re d'Inghilterra Enrico VIII (Atto di Supremazia promulgato nel 1534). Questo è stato senza dubbio il passaggio chiave del distacco della Chiesa d'Inghilterra da Roma. Tuttavia ciò avvenne al culmine di un processo politico-culturale, caratteristico della chiesa inglese, con connotati peculiari ed autonomi. Per alcuni secoli il cristianesimo britannico sviluppò una propria identità e solo a cavallo tra il VI e il VII secolo vennero accettati e assimilati gli "usi romani", grazie a due grandi figure della cristianità quali Papa Gregorio Magno e Agostino di Canterbury. Quando poi il papato accentuò la pretesa di una supremazia giurisdizionale-temporale, oltre che religiosa, i motivi di rivalsa si accentuarono fino alla rottura, una rottura dettata da ragioni di opportunismo, ma sponsorizzata da quanti mal tolleravano le implicazioni politiche della dipendenza da Roma e da queste ritenevano giunto il momento di affrancarsi. Divisione quindi politica più che teologica e per questo ed altri motivi, mal rapportabile all'esperienza della riforma continentale luterana e calvinista, fondata su controversie dottrinali e teologiche (anche se in una prima fase qualche influenza è riscontrabile). Il personaggio che spicca nella nuova chiesa nazionale è Thomas Cranmer, professore universitario più che teologo e autore, nel 1549, del "The Book of Common Prayer" (il Libro di Preghiera) testo base della riforma liturgica e risultato di un compromesso tra nuove esigenze di riforma e pietismo popolare. Da allora fino ai nostri giorni la Chiesa Anglicana ha conosciuto varie fasi, considerandosi però, nonostante lo scisma, in piena continuità con la propria tradizione e con la Chiesa Universale. La sua diffusione ha seguito le vicende politiche dell'espansionismo imperiale britannico, con particolari successi nel continente africano. Un importante momento di sviluppo della Chiesa Anglicana è stato quello del cosiddetto "Movimento di Oxford", sviluppatosi nel XIX secolo, con elementi filo-cattolici impegnati nel comprendere il senso della cattolicità, dando vita ad una dialettica con le tendenze filo-evangeliche e provocando una rivitalizzazione e una ridefinizione del sentirsi anglicani. Questa nuova impostazione, con caratteri cattolico-evangelici, ha fatto della Chiesa Anglicana la più ecumenica tra le chiese cristiane, impegnata in prima fila nel percorso di riavvicinamento con Roma.
Le Strutture
La
Chiesa Anglicana appartiene al ceppo della Chiesa Latina d'occidente e le sue
strutture sono in gran parte le sue strutture. In ogni caso la Chiesa
Anglicana non va identificata con la sola Chiesa d'Inghilterra. Questa è solo
una delle 26 o 27 Chiese autonome che formano la "Comunione
Anglicana". Ogni Chiesa o Provincia è pienamente autonoma per quanto
riguarda il governo interno e le norme canoniche. Tutte le Chiese della
Comunione riconoscono l'Arcivescovo di Canterbury come primus
inter pares fra i primati delle varie Province. Egli ha un ruolo
consultivo, ma non ha autorità giuridica sulle varie Chiese. ogni dieci anni
convoca la Conferenza di Lambeth, alla quale partecipano tutti i Vescovi della
Comunione.
La dottrina
La
prima tradizione liturgica anglicana venne edificata su una serie di usi
locali, mediati con elementi della tradizione di rito romano. La grande
innovazione fu senza dubbio l'introduzione della lingua locale: l'inglese
anziché il latino. Oggi questo appare un elemento banale, ma nel XVI secolo
la cosa fu a dir poco rivoluzionaria (si pensi che la Chiesa Cattolica ha
introdotto questa novità solo col Concilio Vaticano II negli anni '60 di
questo secolo). Il modello dell'Eucarestia (Messa), non venne modificato
sostanzialmente, furono operate soltanto alcune semplificazioni. Riforma
importante fu invece la comunione dei fedeli sotto le due specie del pane e
del vino. L'impostazione di fondo della riforma liturgica era legata alla
semplificazione del rito, così da incoraggiare i fedeli ad accostarsi alla
comunione e ad acquisire maggiore familiarità con le sacre scritture. Ma
l'introduzione dell'obbligo di ricevere la comunione solo tre volte all'anno
(una delle quali doveva essere Pasqua), provocò una minor frequenza di
celebrazioni eucaristiche. Solo col Movimento di Oxford si ebbe un'inversione
di tendenza e la pratica di assistere alla Messa senza ricevere la Comunione
scomparve quasi completamente.
Il
Book of Common Prayer raccolse l'Ufficio Divino e lo suddivise in due parti:
Preghiera del Mattino e Preghiera della Sera (Mattutini e Vespri). Questo
doveva avvenire tutti i giorni con la partecipazione del Popolo. La tradizione
è andata via via spengendosi, tanto che oggi sono pochi i luoghi di culto
dove vengono celebrati Mattutini e Vespri con la forma e il rilievo che si
erano voluti dare in origine.
Nel
Libro di Preghiera sono contenuti anche l'ordine del Battesimo (adulti e
bambini), quello della Cresima e un Ordinale riguardante Diaconi e Sacerdoti e
consacrazione dei Vescovi (essendo decaduti i cosiddetti ordini minori). Ci
sono poi ordini per il matrimonio, per la visitazione degli infermi e per la
sepoltura.
Caratteristico
della Comunione Anglicana è il fatto che non vi sia un rito eucaristico
prescritto universalmente, ma le diverse Chiese, marciando ognuna col proprio
ritmo, hanno elaborato soluzione differenziate tutte allo stesso modo
riconosciute legittime.
La
Chiesa d'Inghilterra è l'unica delle ventisette Chiese della Comunione, ad
avere una qualche relazione con lo Stato (questo per ovvie ragioni storiche).
Le altre province considerano questa una strana sopravvivenza e una
inaccettabile limitazione della libertà della Chiesa. Anche in Inghilterra si
sta però assistendo ad un progressivo affrancamento dall'influenza statale.
Oggi il Governo e il Parlamento di fatto non intervengono più e l'assenso
della Corona è un assenso formale a decisioni già prese dalla Chiesa.
La
spiritualità Anglicana ha molto in comune con quella Cattolica, tuttavia
rimangono alcuni elementi di diversità che possono tramutarsi in ricchezza da
portare in dote nel processo di riavvicinamento. Queste diversità per molti
versi dipendono più dal carattere, dal temperamento e dalla psicologia dei
popoli che non da una "pianificazione teologica". Si può affermare
allora che gli Anglicani vedono la loro dottrina come quella della Chiesa
Cristiana indivisa, anche se la critica Cattolica riguardo ad un debole
interesse che essi hanno per le questioni dottrinali ha un suo fondamento data
la scarsa importanza rivolta all'uniformità dottrinale. D'altra parte
l'impostazione Cattolica, affermatasi in modo particolare con la
controriforma, tesa a "definire tutto", è vista dagli Anglicani
come una specie di "mania". Queste due caratteristiche potranno in
futuro certamente convivere, visto l'impegno delle due Chiese, protese in un
processo tanto accelerato da essere riconosciuto come la più importante fase
di riconciliazione tra Roma e Canterbury, nonostante le divergenze ancora
presenti riguardo ad alcuni aspetti ecclesiologici e di dottrina sacramentale.
L’atteggiamento ecumenico
Uno
degli strumenti utilizzati nel dialogo tra Chiesa Anglicana e Chiesa Cattolica
è la Commissione Internazionale Anglicana-Romano Cattolica (ARCIC). Il
rapporto dell'ARCIC pubblicato nel 1982 è un passaggio importante nel cammino
di riavvicinamento tra le due Chiese. In esso troviamo un accordo sostanziale
sulla dottrina dell'eucarestia e del ministero sacerdotale. Nel documento sono
presenti anche altri punti di accordo su questioni dottrinali, tanto che si può
parlare di "rapporto ecumenico che asserisce l'esistenza di un'intesa
sostanziale su questioni di fede".
La
seconda dichiarazione dell'ARCIC, del 1987, è il successivo importante
passaggio del dialogo tra le due chiese. Da questa è scaturita una
Dichiarazione concordata, messa a punto nel 1990, che meno si soffermava su
questione dottrinali, da sempre fonte di divisioni. Scopo del documento era
quello di sostanziare la comunione ritenuta ormai reale tra anglicani e
cattolici, pur nella sua imperfezione e con ciò riconoscere anche il grado di
comunione esistente all'interno delle due chiese, ma anche tra l'una e
l'altra.
Nell'incontro
di Venezia del settembre 1993 l'ARCIC ha messo a punto il documento intitolato
"Vivere in Cristo: la morale, la comunione e la Chiesa", reso noto
nel 1994, teso a sviluppare quanto già elaborato nella dichiarazione del
1990. Esso rimane ad oggi il più complesso e il più articolato tentativo di
ricercare una posizione comune tra le due Chiese sulla morale (uno degli
aspetti più difficili da riconciliare, non dal punto di vista dei valori di
base, ma rispetto alla traduzione in giudizi concreti), sviscerata in ogni sua
articolazione, dagli aspetti teologici, al rapporto tra morale e comunione;
dal ruolo dei laici nella teologia morale, all'esercizio dell'autorità in
questo campo. La dichiarazione si conclude con l'auspicio che vengano
approntati dalle due Chiese strumenti di collaborazione per affrontare insieme
le gravi questioni morali che oggi l'umanità si trova di fronte.
Nel
1992 ha fatto scalpore la decisione del Sinodo generale della Chiesa
d'Inghilterra relativa all'ordinazione delle donne, ma un simile passo non era
nuovo, visto che nell'ambito della Comunione Anglicana una donna era già
stata ordinata ad Hong Kong nel 1944. Tuttavia ci troviamo di fronte ad un
ostacolo al ripristino della comunione ecclesiale, considerati anche i
numerosi contatti che lo stesso Papa Giovanni Paolo II ha tenuto con
l'Arcivescovo Runcie, contatti che stavano evidenziando come le due Comunioni
fossero molto vicine nella loro comprensione del ministero e dell'ordinazione.
Compito attuale dell'ARCIC è quindi quello di studiare tutto quanto è di
ostacolo al reciproco riconoscimento dei ministeri delle due Comunioni.
L'auspicio è quello formulato dal Cardinale Willebrands, il quale si è detto
fiducioso che, con l'aiuto di Dio, le cui vie e i cui pensieri sono
misteriosi, si possa raggiungere presto l'unità invocata da Cristo.
I
METODISTI
Profilo storico
La nascita del movimento metodista viene datata 1739 quando furono costituite le prime “società”, gruppi di comunione cristiana sotto la guida di un conduttore laico. L’ispiratore del movimento fu John Wesley, protagonista della seconda fase della Riforma e creatore di uno dei maggiori movimenti protestanti attuali. Il movimento metodista nasce in seno all’Anglicanesimo e per molto tempo si è sviluppato al suo interno senza arrivare a rotture, oggi il Metodismo è, però, più diffuso dell’Anglicanesimo nel mondo.
Il
Metodismo precedette di poco i tre grandi rivolgimenti che sconvolsero il
mondo occidentale moderno: la guerra d’indipendenza americana (1775-1783),
la rivoluzione industriale inglese (1760-1830) e la rivoluzione francese
(1789) di cui preannunciò i mutamenti e che accompagnò mantenendo però
sempre la propria identità. Il Metodismo è, infatti, fin dall’inizio, un
movimento popolare, attento al miglioramento dell’uomo nella sua totalità e
pienezza di personalità e, proprio per questo, fuso completamente con la vita
sociale del tempo in quanto non è possibile predicare la salvezza, l’amore
di Dio, la fratellanza in Cristo per ogni uomo, pretendere che ogni uomo
manifesti in questo mondo gli atti della propria fede senza promuovere, al
tempo stesso, in ogni fedele la volontà di stabilire una società nuova che
rispetti la dignità, il valore e i diritti di ognuno. Il Metodismo diviene
quindi ben presto una chiesa con le caratteristiche di una società o, se
vogliamo, una società con le caratteristiche di una chiesa.
Wesley
rivolge la sua attenzione ai ceti più poveri, ai non privilegiati e i suoi
cenacoli sono, all’inizio, pieni di mendicanti, marinai, prostitute. Ben
presto, però, il movimento si imborghesisce attirando a se’ sempre più
imprenditori e industriali. Del resto l’insegnamento di Wesley sull’uso
della ricchezza è ben noto: “Guadagna tutto quello che puoi, risparmia
tutto quello che puoi e regala tutto quello che puoi”. Il terzo precetto,
evidentemente, è diventato sempre più labile nel corso del tempo. La sobrietà
dei metodisti portò inevitabilmente ad un loro miglioramento economico e
questo comportò una certa confusione fra elemento sociale, elemento
spirituale e stato morale. Pur essendo partito da presupposti del tutto
diversi, esso divenne la religione della classe media conservatrice.
Nel
1789 Wesley distribuì un documento legale che regolarizzava e perpetuava la
costituzione delle società metodiste. Venne costituito un corpo di 100
pastori (Legal Hundred) nominati da lui direttamente e dotati di ogni autorità
in materia di disciplina, amministrazione e trasferimenti. Questo corpo di 100
pastori rappresentava dunque l’organo legale di governo. Con la Conferenza
del 1836 fu deciso che i suoi predicatori avrebbero ricevuto una regolare
ordinazione, furono stabilite anche le condizioni per l’accettazione dei
candidati, il loro corso di studi e il loro tirocinio. Essi sarebbero stati
ordinati soltanto dopo aver confermato di accettare l’organizzazione, la
dottrina e la disciplina metodiste. Furono infine nominati alcuni predicatori
per l’amministrazione dei sacramenti in Scozia e in America. La Chiesa
metodista era così divenuta autonoma rispetto alla Chiesa d’Inghilterra pur
continuando a mantenere buoni rapporti con quest’ultima. La decisione di
principio sull’autonomia dalla chiesa anglicana fu presa dalla Conferenza
del 1975, anche se, in pratica, la separazione fu molto più lenta e,
addirittura, nel 1799 ci fu un tentativo di riavvicinamento.
La
cellula originaria della chiesa metodista wesleyana è sempre stata la
riunione di gruppo dove prendeva consistenza la società.
Le società erano raggruppate in circuiti
con un ministro sovrintendente ed una conferenza
trimestrale composta di membri eletti come organo amministrativo. I
circuiti erano, a loro volta, raggruppati in distretti paragonabili alle diocesi anglicane con un ministro
presidente ed un sinodo che si radunava due volte l’anno. La Conferenza,
infine, era composta dal corpo dei cento e da rappresentanti di tutta la
chiesa metodista wesleyana in Gran Bretagna. L’Irlanda aveva una propria
Conferenza. La Conferenza si riuniva annualmente ed aveva un presidente
pastore, un vice presidente laico ed un segretario pastore i quali venivano
tutti eletti annualmente. Si articolava in due sessioni: pastorale (Ministerial
Session) e plenaria (Representative Session), circa 690 membri, pastori e
laici in numero uguale, per la maggior parte eletti dai sinodi dei distretti.
Il
Metodismo conosce la sua fase di massima espansione durante la seconda metà
dell’800 grazie anche all’aumento della popolazione industriale e piccolo
borghese, ma soprattutto al successo della tipica evangelizzazione che veniva
fatta in quasi tutte le società con campagne di propaganda ed era
accompagnata da particolare cura pastorale. Il Metodismo passa quindi, non
senza scontri con i vari nazionalismi politici e religiosi locali, nel resto
del continente europeo e nel resto del mondo. Infatti, il Metodismo divenne
ben presto una grande chiesa missionaria sostenuta generosamente dalle
collette organizzate periodicamente (l’uomo con il quale comincia la storia
delle missioni d’Oltremare è Thomas Coke, segretario di Wesley e suo
principale luogotenente).
In
America Giorgio Whitefield diede un nuovo assetto al movimento segnando la
fine del Puritanesimo e l’inizio del Metodismo. La situazione sociale in
America era molto differente rispetto all’Europa e quindi il Metodismo si
adattò alle esigenze locali senza preoccuparsi tanto delle tradizioni ponendo
l’accento più sulla morale che sulla dogmatica, cosa che, del resto,
richiedeva la società stessa caratterizzata com’era da instabilità e
pericolosità. Con la guerra di indipendenza il Metodismo fu messo a dura
prova, tutti i ministri e i predicatori furono costretti a tornare in
Inghilterra e i fedeli furono perseguitati così come i pacifisti quaccheri,
mennoniti e moravi. Fu quindi chiaro a Wesley che era necessario rendere il
movimento indipendente da quello inglese. Con la nascita degli Stati Uniti
come entità politica e territoriale nasce anche una chiesa metodista
indipendente ed autonomamente organizzata, la Chiesa Metodista Episcopale. Il
Metodismo americano si presenta fin dall’inizio come una corporazione con,
alla testa, un vescovo che presiede la Conferenza e nomina e sospende i
predicatori. Forte fu, sin dall’inizio, l’opera di evangelizzazione in
questo territorio ampio, vasto e dalle lunghe distanze, ma anche l’impegno
nelle opere sociali, della cultura e dell’informazione rappresentò un
elemento decisamente caratterizzante. La Chiesa Metodista Episcopale, per
esempio, vietò ai propri seguaci di possedere schiavi sancendo questo
principio nella costituzione che si dette alla sua nascita nel 1784. I
metodisti poi rappresentarono la prima Casa editrice religiosa degli Stati
Uniti in quanto i predicatori che attraversavano in lungo e in largo i vasti
territori americani portavano con se’ molti libri che servivano da ausilio
nell’opera di conversione. Una differenza interessante fra il Metodismo
inglese e quello americano consiste nel fatto che il primo divenne piccolo
borghese, mentre il secondo era riuscito a conquistare la classe lavoratrice
nera facendo della chiesa la colonna centrale della società nera americana.
Anche il Metodismo americano si preoccupò fin dall’inizio di essere
missionario e le missioni americane raggiunsero la maggiore espansione fra il
1876 e il 1919. La prima terra scelta per le proprie missioni furono gli
stessi Stati Uniti dove la crescente sete di libertà politica si accompagnava
allo spirito di tolleranza religiosa e il Metodismo, con le sue strutture
elastiche e centralizzate al tempo stesso, fu la chiesa che meglio poteva
aderire al nuovo mondo. Il coraggio dei pionieri, lo spirito di iniziativa
individuale, l’austerità dei costumi, la necessità di autonomia locale
basata sulla responsabilità individuale di ognuno e, al tempo stesso, il
riconoscimento di un’autorità centrale che garantisse l’instaurarsi della
democrazia furono sì elementi costitutivi del tessuto politico e sociale, ma
anche lo schema caratteristico della religiosità di questa nuova nazione. I
predicatori sono una specie di cavalieri erranti che, soli o con un
apprendista, partono alla ricerca di qualsiasi anima che abbia bisogno di ciò
che la parola di Dio e la fraternità umana possono offrirle nella fede in
Cristo liberatore. Vanno così da una fattoria all’altra, non hanno
preferenze etniche e non aspettano neanche che siano costruite le strade o le
ferrovie. Si trovano di fronte spesso a persone rudi, non erudite, bruti,
spesso anche vecchi rivoluzionari, atei incalliti e, quindi, non potevano che
trasmettere nozioni estremamente semplici del tipo “La grazia di Dio è
offerta a tutti in Cristo”, “l’uomo è libero di accettare Cristo o di
rifiutarlo”, “responsabilizzandosi egli Lo accetta” e di qui
l’aggancio per proporre all’uomo di riconoscersi peccatore, di rompere con
il passato, accettare il dono di Dio e progredire sulla via della perfezione.
E’ stato questo l’elemento scatenante che ha mosso gli animi di questa
gente che vedevano come la liberazione spirituale coronasse il processo di
liberazione politica e sociale per la quale avevano combattuto.
In
Italia il Metodismo fu introdotto dall’Inghilterra durante le guerre di
Garibaldi. Qui, come le altre religioni di tipo protestante, ha avuto notevoli
difficoltà nel rapporto con la matrice filosofico-religiosa della gente; il
Metodismo, però, rispetto alle altre religioni, ha avuto anche altre due
caratteristiche: quella di non far leva su una spiccata caratteristica
dogmatica ed ecclesiastica e quella di non presentarsi come un’istituzione,
due tipici pilastri della religiosità mediterranea. La prima società
metodista fu fondata a Firenze nel 1861, da dove si diffuse prima nel Nord e
poi nel Sud dell’Italia stabilendo il proprio quartier generale a Padova.
Nel 1872 arrivò in Italia anche un pastore della chiesa metodista americana
che si stabilì a Bologna. Nel 1946 ci fu la fusione delle due chiese
nell’unica Chiesa Metodista d’Italia e dal 1979 le comunità metodiste in
Italia hanno attuato un piano di integrazione con le comunità valdesi che
permette di avere un unico ruolo pastorale e organismi burocratici settoriali
e centrali in comune.
Il
Metodismo è un movimento cristiano al quale sono estranei sia un particolare
interesse per la riflessione teologica che per il misticismo, è invece
caratterizzato da una estrema concretezza con la quale fa fronte alle varie
situazioni della vita. Per i metodisti il disagio sociale e religioso
rappresenta un problema di coscienza individuale e per tutta la chiesa,
problema che si configura essenzialmente in una domanda di carattere
religioso, una domanda la cui unica risposta è nel rapporto personale con
Dio.
L’uomo
ha, in fondo, un solo grande problema: l’uomo stesso ovvero la
giustificazione della sua presenza così com’è e dov’è. Partendo
dall’affermazione di Paolo secondo cui l’uomo è un peccatore perdonato e
la creazione aspetta la manifestazione dei figli di Dio (Rom. 8:19ss), si
viene a formare un pensiero sociale molto interessante: se la creazione, che
è il quadro dentro il quale vive l’uomo, ha speranza di essere liberata,
ancora di più la società, che è costruita dall’uomo stesso e quindi ne
riflette la prima caratteristica - la corruzione -, può aspettarsi di
partecipare alla sua seconda caratteristica: la redenzione. Quindi c’è sì
universalità del peccato, ma anche universalità della salvezza. Il Metodismo
sottolinea poi la gratuità della misericordia divina con la conseguenza di un
duplice cambiamento: cambiamento nell’atteggiamento spirituale del credente
(testimonianza dell’opera dello Spirito Santo) e cambiamento nel suo
comportamento pratico (strumento di progresso sociale).
Il
Metodismo afferma che la salvezza dell’uomo avviene per mezzo della sola fede, a differenza
della Chiesa cattolica per la quale la salvezza avviene grazie alla fede, ma
unitamente alla partecipazione alla vita sacramentale della Chiesa. Secondo i
metodisti per la salvezza dell’uomo è necessario non un atto d’imperio o
di persuasione, ma un’operazione di Dio che, però, non prescinde dalla
libertà che Lui stesso gli ha dato come caratteristica specifica. La teologia
metodista ha come centro l’opera di salvezza di Dio in Cristo e la sua
appropriazione da parte dell’uomo. La salvezza viene quindi concepita come
una dinamica che si incarna perennemente nell’uomo che deve essere salvato e
non come una forza astratta di cui Dio dispone per sua grazia e suo volere. La
salvezza che la libertà di Dio offre in Cristo di diritto, deve essere
accettata di fatto nella libertà dell’uomo e questa accettazione deve
essere continua.
Se
Dio vuole salvare l’uomo, sicuramente saprà farsi capire da lui. Su questa
base si fonda la teoria metodista della certezza.
Il primo passo di questa dottrina non parte però dall’alto, ma dal basso
nel senso che il Metodismo non rinfaccia all’uomo il suo peccato, ma predica
il disegno di Dio per la sua salvezza ed afferma la possibilità per l’uomo
di possederne la certezza attraverso la concomitanza della testimonianza dello
Spirito Santo e del suo spirito. Il centro della teologia metodista non è
quindi il peccato dell’uomo che lo ha reso indegno della figliolanza con
Dio, ma la grazia di Dio che restituisce a quello stesso uomo la figliolanza
per mezzo della fede in Cristo. La certezza della salvezza non nasce quindi
solo dalla convinzione umana, ma necessita dell’avallo dello Spirito Santo.
La salvezza rimarrebbe un concetto filosofico sterile se non fosse vissuta
nell’esperienza.
Altro
elemento fondante della teologia metodista è la perfezione
cristiana, che non è tanto da intendersi come una condizione nuova,
quanto piuttosto come un potere nuovo. L’individuo che ha accettato la
grazia di Dio e ha fatto tutto il percorso per diventare credente è una
creatura nuova che si trova a vivere ed operare in una situazione nuova,
completamente diversa rispetto a prima della conversione, ed è per questo che
si può parlare per lui di nuova nascita. La teologia metodista è
essenzialmente teologia della conversione individuale e quindi
dell’evangelizzazione. La santificazione è quindi programmazione
dell’obbedienza e l’obbedienza è l’attuazione sistematica del volere di
Dio, è una decisione operativa che incide direttamente nella vita di tutti
i giorni. La perfezione cristiana, dunque, secondo i Metodisti è
azione. Il nome stesso del movimento deriva dalla parola “metodo”, un
metodo preciso attraverso il quale attuare il disegno di Dio in terra e
raggiungere la perfezione cristiana (come si è visto, ad esempio, rispetto
dell’insegnamento di Wesley sulla ricchezza o alle predicazioni dei pastori
“pionieri” in America). Il Metodismo è convinto anche che il genio della
cristianità primitiva fosse rappresentato dai ristretti cenacoli di credenti,
mossi dallo Spirito Santo e guidati dalla grazia di Dio i quali sono il
modello insostituibile del luogo dell’adorazione e della catechesi. Il
Metodismo ha cercato di ripeterli. La creazione di una chiesa istituzionale
non cancella l’esigenza di questi gruppi di credenti i quali, anzi, sono
essenziali per la vita stessa della chiesa innanzitutto perché l’istituto
non prevalga sulla chiesa, poi perché garantiscono la libera circolazione
dello Spirito e infine perché mantengono vitale l’organismo al quale fanno
capo senza il rischio di percorrere strade aberranti dal momento che vi sono
inseriti a pieno.
Ogni
fase del dialogo internazionale cattolico-metodista iniziato nel 1967 copre un
periodo di cinque anni al termine del quale viene pubblicato un rapporto da
presentare alla Conferenza Mondiale Metodista seguente. Il Rapporto di Nairobi
del 1986 si intitola “Verso una dichiarazione sulla Chiesa” e non è una
dichiarazione comune né un accordo sulla natura della Chiesa. Nel 1991 invece
è stato pubblicato il Rapporto di Singapore con il titolo “La tradizione
apostolica”. Nel 1996 invece è stato pubblicato il terzo rapporto, il
Rapporto di Rio de Janeiro.
Sono
stati fatti innumerevoli passi avanti nel rapporto ecumenico fra le due
chiese. Innanzitutto è stato possibile utilizzare la parola “comunione”
in un modo che possa rispettare ed esprimere sia le divisioni che il
sentimento di appartenenza reciproca. La comunione infatti è sia la
partecipazione a Dio per mezzo di Cristo e nello Spirito Santo sia la profonda
comunanza che esiste fra i partecipanti e che si esprime nella fede e
nell’ordine, nella preghiera e nei sacramenti, nella missione e nel
servizio.
Sia
cattolici che metodisti recitano il Credo niceno-costantinopolitano nella
liturgia e questo dimostra l’elevato grado di comunanza esistente fra le due
religioni; per entrambe poi vi è “un
modello di vita cristiana” a cui si aderisce tramite il battesimo, che
si manifesta nell’eucarestia e si testimonia con le parole e le opere. Vi è
infine “un modello di comunità
cristiana” che riflette la vita di Dio e consente di partecipare alla
sua stessa vita.
I
ministeri creati da Cristo e dallo Spirito hanno lo scopo di trasmettere la
fede e la vita apostolica in quanto “tutta
la comunità cristiana ha la responsabilità di diffondere il Vangelo e di
testimoniare l’opera di salvezza del Signore” e lo Spirito ha
distribuito i propri doni per costituire la Chiesa affinché tutta l’umanità
possa entrare in comunione con il Padre e il Figlio. Per quanto riguarda il
“ministero ordinato” esiste un
considerevole grado di accordo: per entrambi esso è un “carisma
specifico” donato dallo Spirito Santo ed “è
volto all’ordine e all’armonia che devono prevalere nell’esercizio di
tutti i doni”. Le sue origini si ritrovano nell’ordine dato da Cristo
agli apostoli. Il triplice ministero di vescovo, presbitero e diacono viene
riconosciuto come normativo dalla Chiesa. Sia cattolici che metodisti, quindi,
riconoscono “in un ministero che
riceve il proprio potere da Dio la guida dello Spirito Santo e si stanno
avviando a capire sempre più e sempre meglio la natura dell’ordinazione e
la struttura del ministero in relazione alla responsabilità di insegnare e
formulare la fede”. Per entrambi il ministero ordinato è frutto della
chiamata di Dio la quale deve essere verificata e confermata dalla Chiesa; per
entrambi le persone vengono riservate al ministero mediante l’imposizione
delle mani, accompagnata da preghiere che invocano il dono dello Spirito Santo
e fatta durante un’assemblea della Chiesa, anche se sussistono ancora delle
differenze nel modo di intendere questo processo. Sia per i cattolici che per
i protestanti l’ordinazione rappresenta un impegno che dura tutta la vita ed
è quindi irripetibile.
Le
maggiori divergenze ancora esistenti riguardano, tra l’altro, l’uso del
termine “sacramento” per
l’ordinazione e l’ordinazione delle donne.
LA
CHIESA BATTISTA
La chiesa battista è uno dei molti rami che sono nati dalla Riforma
protestante, iniziata intorno al 1500 dal teologo tedesco Martin Lutero. Dalle
idee di Lutero è nato con il passare dei secoli un grande numero di movimenti
religiosi tra loro anche molto distanti nelle regole di vita e nel modo di
intendere il rapporto con Dio. I Battisti, in quanto appartenenti al mondo
delle chiese protestanti (o Riformate, come si definiscono) condividono con
queste alcuni principi di fondo, ma si distanziano dagli altri per il modo
radicale di intendere questi principi.
Il primo principio afferma l'autorità assoluta della Bibbia. Per i
Battisti la Bibbia, tanto il Vecchio che
il Nuovo Testamento, sono la fonte del rapporto con Dio e con Cristo. Chi si
accosta alla lettura della Bibbia con sincerità di cuore si incontra con
Cristo meglio e più di qualunque altra situazione. Il fedele che legge la
Bibbia con sincerità di cuore riceve direttamente da Dio l'illuminazione per
la propria vita, senza dover ricorrere alla spiegazione di nessun altra
persona (come per i cattolici è il sacerdote).
Il secondo principio afferma che solo a Cristo può essere reso culto,
adorazione e devozione. I Battisti considerano i Santi e Maria solo degli
esseri umani che hanno accolto Cristo, ma è solo a Cristo che ha senso
rivolgersi con preghiere perché è solo Lui il mediatore con Dio. Pregare la
Madonna e i Santi significa ridurre l'importanza di Dio e di Cristo ed
esagerare l'esempio di alcuni esseri umani che hanno accolto Cristo. L'autorità
di Gesù è unica anche rispetto alle regole di comportamento: chi si
sottomette alla volontà di Cristo è libero di fronte ad ogni altra autorità.
Il terzo principio afferma che la Salvezza è un dono che Dio dà
indipendentemente dalle opere degli uomini. La venuta di Cristo ha già dato a
tutti gli uomini la salvezza, per cui non sono le azioni buone o cattive che
ciascuno compie durante la propria vita a decidere per lui la salvezza o la
dannazione, ma è Cristo che con il suo sacrificio ha dato a tutti la
salvezza. Sta a noi, ora, riconoscere questa nostra nuova natura di salvati
attraverso il dono della fede che Dio ci dà. La fede per i Battisti è il
riconoscimento del dono della salvezza, e deve soprattutto consistere nella
lode a Dio per il suo amore. La fede è la presa di coscienza che le azioni
buone non possono dare la salvezza perché l'uomo è infinitamente inferiore a
Dio e dunque non ha la forza e la capacità di salvarsi facendo il bene. Se le
opere umane non possono salvare l'unica cosa che conta è affidarsi a Dio
completamente confidando nel suo amore e vivere e agire nella consapevolezza
della grandezza dell'amore di Dio.
Il quarto principio afferma che ogni comunità locale è da sola
interamente la Chiesa come Corpo di Cristo. Mentre la tradizione cattolica
afferma che ogni comunità parrocchiale è solo un pezzetto di quel grande
corpo che è la Chiesa universale il cui capo è Cristo e il cui vicario è il
Papa, i Battisti sostengono che in ogni comunità locale ci sono presenti
tutti i doni dello Spirito perché si possa dire che ciascuna comunità locale
è interamente la Chiesa il cui capo è Cristo. Non c'è una unione delle
"parrocchie" battiste in un corpo più grande, ogni
"parrocchia" è tutta la Chiesa. ciò significa che: non è ammessa
nessuna autorità al di sopra della chiesa locale. La chiesa locale decide
autonomamente ed in modo democratico le proprie regole di convivenza ed elegge
i propri pastori. Il pastore della comunità locale non è il capo, perché il
solo capo è Cristo, né amministra sacramenti perché i Battisti riconoscono
solo il battesimo come sacramento. Il pastore è soltanto un membro della
comunità del quale gli altri membri riconoscono la rettitudine di vita e la
semplicità di fede e così lo pongono alla guida delle loro riunioni di
preghiera. Vi è comunque un collegamento tra le diverse chiese locali
Battiste, in modo che vi possa essere una reciproca solidarietà e conoscenza.
Il quinto principio afferma l'assoluta centralità del Battesimo. I
Battisti prendono il nome proprio dall'importanza che attribuiscono al
Battesimo. Per essi si tratta di un atto pubblico di professione di fede che
un individuo compie dimostrando il suo legame con Dio e la sua coscienza che
Cristo è il Salvatore. Per questo motivo il Battesimo può essere dato
soltanto a persone adulte, perché comporta una presa di posizione personale
di fronte a Dio. E' solo attraverso il battesimo che si entra a far parte
della Chiesa.
Il sesto, ed ultimo, principio afferma che il legame personale che ogni
credente ha con Dio e che può sviluppare principalmente attraverso la lettura
e la meditazione della Bibbia e la condotta di vita secondo la volontà di
Dio, è la fonte della libertà individuale di coscienza. Come nessuno si può
sostituire al singolo nell'interpretazione della Bibbia, così non si ammette
nessuna autorità superiore alla comunità locale nella determinazione della
vita comunitaria. Ogni battista si trova quindi impegnato in prima persona
nell'esercizio della propria libertà di coscienza, ma allo stesso tempo si
impegna anche perché questa possibilità di esercitare liberamente la propria
libertà di coscienza sia resa valida per tutti. Vi possono essere molti
ostacoli, infatti, che rendono difficile la libertà di coscienza:
l'ignoranza, la povertà, la guerra, eccetera. Per questo una caratteristica
delle attività delle comunità battiste è l'impegno in molti settori della
vita sociale: asili, scuole, ospedali, sempre con lo scopo primario di
testimoniare l'amore di Dio e di porre ogni uomo nella condizione di poter
vivere secondo la propria coscienza.
La chiesa Battista si è sviluppata nel clima del rinnovamento dei
principi della riforma protestante che si sviluppò in Inghilterra verso la
fine del 1500. I sostenitori di un ritorno allo spirito delle prime comunità
cristiane si dividevano tra coloro che pensavano di ottenere questo
rinnovamento all'interno della chiesa Anglicana inglese, il cui capo è la
regina, e coloro che invece sostenevano che bisognava ripartire dalle comunità
di base locali. Fu così che negli ultimi decenni del 1500 quei gruppi di
cristiani che avevano preso l'abitudine di riunirsi fuori dagli incontri
parrocchiali per fare una esperienza di comunità più fraterna e più
saldamente basata sul vangelo, cominciarono ad organizzarsi separatamente e
con una struttura di tipo democratico allontanandosi sempre più
dall'organizzazione in parrocchie della chiesa anglicana inglese. Nel 1609, un
gruppo di inglesi emigrati in Olanda che provenivano da queste comunità
separatiste diede vita alla prima comunità Battista. Per le loro posizioni
radicali e per i principi di tipo democratico nell'organizzazione delle loro
comunità i Battisti furono perseguitati un po' da tutti i cristiani, sia dai
cattolici, sia dagli anglicani, dai calvinisti, dai luterani e da altri
ancora. Per questa ragione molti Battisti trovarono rifugio negli Stati Uniti
già dai primi decenni del 1600 e in quel paese sono diventati con il tempo
circa 30 milioni, dei circa 40 milioni esistenti in tutto il mondo.
In Italia i Battisti sono arrivati nel 1865 con una missione a La
Spezia e una a Bologna. Le comunità battiste erano molto piccole, ma fin da
subito vi fu un notevole impegno per la diffusione della Bibbia e
nell'istituzione di scuole, asili ed anche un orfanotrofio. Nel 1884 vi erano
in Italia una ventina di comunità di circa 50 persone ciascuna, tenute in
collegamento dall'Unione Cristiana Apostolica Battista, una specie di
federazione delle comunità locali. Superati gli anni della guerra 1915-1918,
i battisti italiani cominciarono ad aumentare, anche se sempre restando un
numero molto piccolo rispetto ai cattolici. Negli anni '20-30 si calcolano
circa 3000 persone impegnate attivamente nelle chiese locali in Italia.
Bisogna dire che queste comunità locali erano sempre sotto la guida o
l'influenza di missionari battisti provenienti dall'Inghilterra e dagli Stati
Uniti, infatti una caratteristica del battismo italiano è di essere stato
sempre molto dipendente da aiuti provenienti da Inghilterra e USA.
Dopo la Seconda guerra mondiale il numero dei battisti italiani sale
fino a 6000-7000 persone, anche con una marcata assistenza organizzativa ed
economica proveniente dagli Stati Uniti.
Nei primi anni '50 vi è un grande sviluppo di queste attività, ma a
partire dalla metà degli anni '50 l'emigrazione
ridurrà notevolmente il numero dei membri delle chiese battiste. E' con gli
anni della contestazione, dal 1968 in poi, che il numero dei Battisti si
riduce sempre più. Negli anni '80 finisce il legame con le chiese americane
ed inglesi e inizia l'autonomia delle chiese battiste italiane. E' però con
gli anni '80 che le comunità cominciano di nuovo ad ingrandirsi, aumentano le
vocazioni e si estendono anche i campi di servizio e di impegno dei battisti
italiani. Oggi notevole è l'impegno per il dialogo ecumenico, sia con le
altre chiese nate dalla Riforma protestante, che con i cattolici, ad esempio
nella traduzione interconfessionale della Bibbia. Infine, è giusto ricordare
che la sensibilità dei battisti per i bisogni sociali di coloro che sono
emarginati ha avuto anche grandi testimoni: uno di questi è stato Martin
Luther King, pastore battista e la più importante guida dei neri degli Stati
Uniti, che negli anni '50 e '60 condusse la lotta non violenta per il
riconoscimento dell'uguaglianza dei neri con i bianchi.
IL
MOVIMENTO ECUMENICO
I
cristiani sono divisi. La comune fede in Dio Padre, in Gesù Cristo Figlio e
in Dio Spirito è lacerata da una moltitudine di tradizioni, di storie, di
interpretazioni e di Chiese (diverse centinaia) che rendono il cristianesimo
una delle religioni più divise al suo interno. Non si tratta di divisioni
dovute 'semplicemente' a differenze teologiche, c'è purtroppo una lunga
storia di persecuzioni reciproche tra cristiani la cui memoria è spesso uno
dei più potenti ostacoli che devono essere superati per trovare lo spazio per
sviluppare un confronto e un dialogo sincero.
Sebbene
motivi di contrasto, dottrinali e pratici, siano stati sempre presenti, anche
nelle primissime comunità (come testimoniano gli Atti degli Apostoli e alcune
lettere di San Paolo), le prime divisioni tra cristiani, i cui effetti durano
ancora oggi, sono cominciate circa quattrocento anni dopo la morte di Gesù, e
vertono intorno alle questioni di fondo della natura di Gesù, vero Dio e vero
uomo. In particolare alcune Chiese tra le quali l'armena copta, l'etiope e la
siriaca rifiutarono la definizione che fu data durante il Concilio di
Calcedonia, nell'anno 451, secondo la quale la natura divina e la natura umana
di Gesù sono unite «senza confusione e senza separazione». Oggi queste
Chiese vengono chiamate 'ortodosse orientali' o 'precalcedonesi' perchè
condividono con gli altri cristiani solo le decisioni dei concili precedenti a
quello di Calcedonia.
All'origine
di un'altra grave separazione è di solito citata la scomunica reciproca che
nel 1054 la Chiesa Cattolica Romana e il Patriarcato Ortodosso di
Costantinopoli si scambiarono e che segna la separazione tra i cristiani
cattolici e quelli greco-ortodossi. In realtà la separazione tra ortodossi e
cattolici avvenne lentamente, più come conseguenza dello sviluppo di contesti
politici, culturali e sociali diversi, che come effetto di atti formali
specifici. Tuttavia, anche dopo questa scomunica reciproca vi furono tentativi
di riavvicinamento, ma un colpo durissimo alle possibilità di incontro fu
dato nel 1204 dalla conquista e dal saccheggio di Costantinopoli, durante il
quale furono chiuse le Chiese ortodosse e i cristiani ortodossi furono
perseguitati dai crociati (cattolici).
Al
1521 si fa di solito risalire l'inizio di un'altra grande frattura, questa
volta all'interno del cristianesimo occidentale. La rottura intorno a quanto
sostenuto dal monaco agostiniano tedesco Martin Lutero. Lutero sosteneva
soprattutto due cose: l'importanza di un rapporto personale e diretto con Dio
per la salvezza di ciascun cristiano, e la critica alla corruzione nella
Chiesa cattolica, problema questo talmente grave da essere oggetto di
discussione da alcuni decenni, anche prima della comparsa di Lutero. La Chiesa
cattolica respinse duramente tutte le richieste di Lutero, scomunicandolo, ma
questi argomenti (soprattutto quelli relativi alla corruzione) furono ripresi
per interessi politici dai principi tedeschi, allo scopo di rendersi
indipendenti dal potere politico che all'epoca aveva la Chiesa cattolica.
Questa politicizzazione del conflitto religioso fu importante per favorire la
sua estensione in gran parte dell'Europa del centro-nord. Lutero muore nel
1546, ma le sue idee sono già state riprese e sviluppate da altri, dando vita
così ad altre linee di sviluppo della Riforma protestante. Oltre alla Chiesa
luterana nascono infatti già nella seconda metà del XVI secolo le Chiese
riformate o presbiteriane che si rifanno a Calvino, Zwingli, Bucero e ad
altri. Un'altra linea di sviluppo all'interno della Riforma protestante è
quella che vede la nascita della Chiesa anglicana in Inghilterra. Anche questa
ha alla sua origine un atto politico, con il quale il re d'Inghilterra Enrico
VIII si proclamava capo della Chiesa inglese, separandosi da Roma ed
espropriando, di conseguenza, tutte le proprietà della Chiesa cattolica in
Inghilterra. Il carattere politico della nascita della Chiesa anglicana ha
fatto si che vi siano stati pochi cambiamenti, per quanto riguarda la
dottrina, rispetto alla dottrina cattolica e questo nel tempo ha fatto sì
che, sebbene la Chiesa anglicana abbia successivamente aderito alla Riforma
protestante, modificando in parte il proprio credo, rappresenti ancora oggi
una 'terza via' tra cattolicesimo e protestantesimo, molto vicina alla Chiesa
cattolica.
Nei
secoli che sono seguiti il mondo protestante ha prodotto moltissime nuove
Chiese, per lo più da divisioni che si sono formate all'interno delle
preesistenti Chiese luterana, calvinista e anglicana. In tal modo, nei secoli
XVII-XVIII, dai luterani sono nati i pietisti, dai calvinisti i battisti,
dagli anglicani i metodisti. Il processo di divisione all'interno del mondo
protestante è continuato e continua ancora oggi, dando vita ad una grande
varietà di Chiese, di gruppi e di tendenze.
Si
arriva al XX secolo con una situazione di grande divisione e, soprattutto, di
diffusa inimicizia a causa di reciproche persecuzioni e condanne, è in questo
contesto che sorgono i primi stimoli di un dialogo tra cristiani.
1.
Nasce il movimento ecumenico
Tra
le novità che il XX secolo ha portato in molti ambiti c'è anche la
sensibilità ecumenica, cioè la ricerca non di una unione di tutte le Chiese,
ancora assai utopistica, ma dello sviluppo di un dialogo basato sul rispetto
reciproco e sulla esplorazione di vie per condividere, nella preghiera, la
comune fede in Cristo.
È
nell'ambiente protestante, attraversato dalle maggiori divisioni, che sorgono
i primi impulsi ad un dialogo tra diverse Chiese cristiane. Questa sensibilità
trova la sua prima manifestazione di rilievo nel 1910, data alla quale si fa
di solito risalire la nascita del movimento ecumenico. In quell'anno a
Edimburgo si tenne la Conferenza delle società missionarie, una riunione di associazioni
protestanti che aveva lo scopo di coordinare l'attività missionaria delle
Chiese protestanti, in seguito alla constatazione dei danni causati alla
missione dalla divisione tra le Chiese. A Edimburgo non erano stati invitati né
cattolici né ortodossi, tuttavia durante la seduta conclusiva un metodista
inglese disse: «Aspetto con impazienza il giorno in cui avremo una conferenza
nella quale ortodossi e cattolici romani potranno discutere con noi le
questioni che riguardano il servizio di Cristo». Un'affermazione
rivoluzionaria per l'epoca.
Un
contributo importante alla formazione della sensibilità ecumenica è venuto
poi dai movimenti giovanili cristiani, anche questi protestanti, che fin dalla
seconda metà del XIX secolo avevano privilegiato i temi di incontro e di
scambio sulle divisioni tra le Chiese. Tra questi il più importante era la Federazione
universale delle associazioni cristiane di studenti che, oltre a rapporti
con le Chiese protestanti aveva anche relazioni con le Chiese ortodosse: nel
1911, ad esempio, tenne una conferenza a Costantinopoli con la benedizione del
Patriarca. Nella conferenza di Edimburgo fu deciso di dar vita ad una
organizzazione che permettesse una permanente attività di scambio e di
confronto nell'attività missionaria delle diverse Chiese protestanti, per lo
meno di quelle che avrebbero aderito. La costituzione di questa
organizzazione, che prese il nome di Consiglio
Internazionale delle Missioni avvenne nel 1920, un anno fatidico per la
storia del movimento ecumenico.
La
tragedia della prima guerra mondiale ebbe tra le sue molteplici conseguenze
anche quella di favorire una ricerca di maggiore unità tra i cristiani, già
durante il conflitto. Un nuovo movimento, Fede
e Costituzione, di grande importanza per lo sviluppo dell'ecumenismo, fu
fondato proprio subito dopo la guerra dal vescovo episcopaliano americano
Charles Brent. Il vescovo Brent, presente alla conferenza di Edimburgo,
riteneva che per favorire il dialogo tra i cristiani fosse necessario prima di
tutto creare delle occasioni di dialogo sulle differenze teologiche e
dottrinarie. In un documento del 1919 scriveva: «è necessario creare tra le
Chiese cristiane stima e amore. In un clima simile si potrà lavorare a
risolvere le divergenze», per fare questo le Chiese non dovranno rinnegare la
loro tradizione, dovranno invece cercare di spiegarlo alle altre, in modo che
cattolici, ortodossi e protestanti si sforzino di partecipare gli uni agli
altri la rispettiva esperienza di fede. La prima riunione di Fede
e Costituzione avvenne a Ginevra nel 1920, vi partecipavano alcune Chiese
protestanti, come l'anglicana, e alcune Chiese ortodosse, la Chiesa cattolica,
anch'essa invitata, declinò l'invito, non ritenendo ancora maturi i tempi.
Vita
e Azione era un altro movimento
le cui origini si rifanno ad alcuni contatti tra i cristiani dei paesi in
conflitto durante la prima guerra mondiale. Fu Nathan Soderblom, arcivescovo
luterano in Svezia, l'animatore e l'iniziatore di Vita e azione. La caratteristica di questo movimento era di tentare
di dar vita ad una specie di ecumenismo pratico, cioè a mettere insieme, al
lavoro su obiettivi comuni, cristiani di diversa provenienza, al fine di
testimoniare la comune fede in Cristo in attività di assistenza sociale
(dalla disoccupazione al sostegno alla famiglia, all'aiuto ai bambini e ai
giovani bisognosi, al problema dell'alcolismo, fino alla promozione della
pace). L'idea di Soderblom era di agire come
se le divisioni dottrinali fossero già state superate. Anche Vita e Azione ebbe la sua prima riunione a Ginevra nel 1920, alla
quale parteciparono però solo protestanti. Cinque anni dopo, nell'agosto del
1925, si tenne a Stoccolma la prima Conferenza organizzata da Vita
e Azione, alla quale presero parte 600 delegati di 57 nazioni diverse in
rappresentanza di 31 differenti Confessioni. Fu in questa occasione che, per
la prima volta, così tanti cristiani di così diverse tradizioni poterono
pregare insieme nel medesimo luogo, la cattedrale di Uppsala.
Ancora
nell'estate del 1920 videro la luce altri due documenti importanti per la
storia dell'ecumenismo. Il primo fu una enciclica del patriarcato di
Costantinopoli rivolta a tutte le Chiese cristiane del mondo. In questa
enciclica il patriarcato formulava alcune proposte per favorire il dialogo nel
reciproco rispetto, come, ad esempio, l'adozione di un calendario comune al
fine di celebrare il Natale e la Pasqua nel medesimo momento (gli ortodossi
celebrano infatti il Natale 12 giorni dopo il 25 dicembre), lo sviluppo di uno
studio imparziale delle reciproche teologie nei seminari e nei libri, il
rispetto delle usanze delle diverse Chiese, la regolazione del problema dei
matrimoni misti e lo sviluppo di forme di mutua assistenza tra le Chiese nelle
attività che hanno per oggetto il progresso religioso e la solidarietà
sociale.
Il
secondo importante documento è una lettera che i vescovi della Chiesa
anglicana indirizzarono 'a tutto il popolo cristiano', nella quale si
affermava la necessità e l'impegno a lavorare per superare le divisioni tra i
cristiani. «Noi riconosciamo - si legge nel documento - che tutti coloro che
credono in Nostro Signore Gesù Cristo e che sono stati battezzati nel nome
della Santa Trinità possiedono assieme a noi la qualità di membri della
Chiesa universale del Cristo, la quale è il suo Corpo». Per testimoniare in
modo visibile questa unità fondamentale i vescovi anglicani incavano la
condivisione di quattro punti fondamentali, che costituivano da sempre
l'elemento di unione delle Chiese anglicane: 1) La Bibbia come regola e criterio ultimo della fede. 2) Il Credo
niceno-costantinopolitano come professione della fede. 3) I sacramenti
del battesimo e dell'eucarestia come espressione della comune vita in Cristo.
4) Un ministero riconosciuto da
ciascuna parte della Chiesa, che ha in sé la chiamata interiore dello Spirito
Santo, ma anche la missione del Cristo e l'autorità su tutto il corpo.
Purtroppo
il documento anglicano e l'enciclica ortodossa hanno condiviso il medesimo
destino: non essere riusciti a suscitare l'entusiasmo del mondo cristiano per
il dialogo ecumenico. Tuttavia, una prima tappa deve essere registrata: nel
1920, sebbene in modo ancora molto minoritario, e con ancora forti resistenze
da parte cattolica, una pluralità di iniziative e di movimenti testimonia la
genesi di una sensibilità ecumenica che dopo la seconda guerra mondiale e,
ancor più dopo i profondi cambiamenti introdotti nella cattolicità dal
Concilio Vaticano II, dimostrerà una crescita straordinaria.
Il
Concilio Vaticano II (1962-1965) ha segnato una svolta epocale in molte cose,
tra queste c'è senz'altro l'ecumenismo. A partire dal Concilio la gerarchia
della Chiesa cattolica ha abbandonato la sua tradizionale posizione passiva,
di attesa, limitata ad appelli rivolti ai non cattolici di ritornare
all'interno della Chiesa cattolica e intraprende, invece, il cammino verso un
incontro responsabile e rispettoso con gli altri fratelli cristiani. Prima del
Concilio la dottrina della Chiesa affermava che «la Chiesa di Cristo è la
Chiesa cattolica», in tal modo non vi era alcuna possibilità di dialogo con
i non cattolici, ai quali infatti erano rivolti soltanto inviti a ritornare
nella Chiesa cattolica. Nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen
Gentium, il Concilio ha
ridefinito in modo radicalmente nuovo la Chiesa di Cristo, affermando che
questa «sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e
dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si
trovino parecchi elementi di santificazione e di verità». La Chiesa di
Cristo, quindi, è sì presente nella Chiesa cattolica, ma anche nelle altre
Chiese cristiane, questo riconoscimento della dignità cristiana dei non
cattolici è il presupposto fondamentale per lo sviluppo di ogni dialogo
ecumenico.
Ma
l'atto ufficiale con il quale inizia l'impegno ecumenico della Chiesa
cattolica è il decreto sull'ecumenismo, Unitatis
Redintegratio. Per prima cosa si riconosce la validità del movimento
ecumenico già esistente al di fuori della Chiesa cattolica, ma la cosa più
importante è che l'ecumensimo viene considerato come un bisogno vitale in
seno alla Chiesa cattolica e come il frutto di una vera conversione e di un
vero rinnovamento della Chiesa: «Ecumenismo vero non c'è senza interiore
conversione, poiché il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento
della mente, dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità»,
in questo spirito diviene importante la preghiera per l'unità, «questa
conversione del cuore e questa santità di vita - prosegue infatti il
documento - insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei
Cristiani, si devono ritenere come l'anima di tutto il movimento ecumenico».
Ma impegno dei cattolici è anche lo studio per la conoscenza e il dialogo con
i non cattolici: «Bisogna conoscere l'animo dei fratelli separati. A questo
scopo è necessario lo studio, il quale deve essere condotto secondo la verità
e con animo ben disposto. I cattolici debitamente preparati devono acquistare
una migliore conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e
liturgica, della psicologia religiosa e della cultura, propria dei fratelli. A
questo scopo molto giovano i congressi, con la partecipazione di entrambe le
parti (...) dove ognuno tratti da pari a pari (...). In questo modo si verrrà
a conoscere meglio il pensiero dei fratelli separati e a loro verrrà esposta
con maggiore precisione la nostra fede».
Per
fornire la Chiesa di uno strumento efficace per lo sviluppo dell'ecumenismo il
Concilio istitutì il Segretariato per l'Unione dei Cristiani, poi trasformato
in Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, al fine
di sviluppare un'attività permanente di conoscenza, di dialogo e di scambio
con tutti i cristiani non cattolici interessati all'ecumenismo. Oggi il
Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani è
sicuramente uno dei mezzi più importanti e più sensibili del movimento
ecumenico, la Chiesa cattolica, infatti, ha scelto la via dei dialoghi diretti
con le altre Chiese cristiane, attraverso la formazione di commissioni
bilaterali, mentre altri, come nel caso del dialogo tra protestanti e tra
protestanti e ortodossi, hanno preferito la formazione di organismi
collegiali, come il Consiglio Ecumenico
delle Chiese.
2.
Il Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Al
di fuori della Chiesa cattolica, il cammino del movimento ecumenico ebbe una
forte ripresa fin dalla fine della seconda guerra mondiale. Ad Amsterdam, nel
1948, 147 tra le Chiese protestanti, anglicane e ortodosse dettero vita al Consiglio
Ecumenico delle Chiese (CEC), «un'associazione fraterna di Chiese che
accettano Nostro Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore», come dichiara la
base da tutti condivisa. Il CEC non è e non intende essere una super-Chiesa o
comunque una struttura ecclesiastica unificata indipendente dalle Chiese, le
Chiese appartenenti al CEC mantengono ciascuna la propria identità religiosa,
di tradizione e di dottrina. Il CEC non esprime una posizione specifica su
temi particolari, come fanno invece singolarmente le diverse Chiese, allo
stesso modo il CEC non elabora una teologia della Chiesa. Il CEC intende
essere una risposta provvisoria alle divisioni che separano le Chiese. In
questo spirito le Chiese ortodosse, anglicane e protestanti che sono riunite
nel CEC si impegnano a ricercare i punti di contatto con i fratelli separati,
rivolgendo una attenzione particolare alla Bibbia. Il CEC è un luogo di
incontro nel quale possono essere organizzati scambi tra le Chiese e anche
forme di collaborazione in attività sociali particolari. Scopo del CEC è di
favorire il più possibile la crescita della spiritualità ecumenica in
ciascuna Chiesa aderente, senza imporre linee di sviluppo e soluzioni omogenee
alle difficoltà della reciproca comprensione.
Nel
CEC sono confluiti i movimenti che abbiamo visto essere alle origini
dell'ecumenismo, Vita e Azione, Fede e
Costituzione e, dal 1961 anche il Consiglio Internazionale delle Missioni. Sempre nel 1961 la base
dottrinale che è necessario condividere per entrare a far parte del CEC fu
ampliata per inserire, accanto alla professione di fede in Gesù Cristo come
Dio e Salvatore anche quella nella Trinità e la fedeltà alla Bibbia: «Il Consiglio
Ecumenico delle Chiese è una comunità di Chiese che, fedeli alla
Scrittura, riconoscono nostro Signore Gesù Cristo come Dio e Salvatore e, di
conseguenza, mirano a compiere la missione per cui sono state chiamate, per la
gloria di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo». Oggi fanno parte del CEC oltre
300 Chiese.
Nel
1969 papa Paolo VI andò in visita alla sede del CEC a Ginevra, questo atto di
apertura, a pochissimi anni dalla fine del Concilio, fece pensare a molti che
anche la Chiesa Cattolica sarebbe entrata in breve tempo nel CEC, cosa però
che non avvenne e non è ancora avvenuta. Tuttavia le relazioni tra la Chiesa
Cattolica e il CEC sono andate sempre più sviluppandosi, principalmente con
la Costituzione di commissioni comuni impegnate nello studio di aspetti
specifici dell'ecumenismo. La più vecchia è il Gruppo Misto di Lavoro,
formato nel 1965 per coordinare, promuovere e valutare i rapporti tra CEC e
Chiesa Cattolica. Teologi rappresentanti della Chiesa cattolica fanno parte a
pieno titolo anche della Commissione Fede
e Costituzione, impegnata all'interno del CEC nello studio delle questioni
dottrinali. In altre commissioni vi sono alcuni cattolici che hanno un ruolo
di consultori e non di membri effettivi. Insomma, anche se la Chiesa Cattolica
non è ancora membro a tutti gli effetti del CEC ha sviluppato e continua a
sviluppare relazioni importanti con alcuni organismi del CEC.
Tra
i temi che in questi ultimi anni sono emersi nel dialogo vale la pena di
ricordare l'impegno comune per una celebrazione del 2000 caratterizzata da una
ripresa ed uno sviluppo del dialogo ecumenico.
Tale
ripresa è da ritenersi alla base della firma della Carta Ecumenica Europea
avvenuto nell’aprile 2001, tra la CCEE e la CEC, documento questo che segna
un importante tappa nel lungo cammino del dialogo ecumenico. La carta, pur tra
tante difficoltà, ha comunque visto la luce ed ha fissato alcuni
importantissimi principi condivisi dalle chiese cristiane d’Europa, principi
che, oltre ad avere un valore ecumenico in senso cristiano, lo hanno anche in
una visione laica dei rapporti tra uomini.
Prima
della Carta Ecumenica bisogna anche ricordare la Dichiarazione congiunta sulla
dottrina della giustificazione tra la Chiesa Cattolica e la Federazione
Luterana Mondiale. Questo è stato un importante riavvicinamento
“bilaterale”, su uno dei temi dottrinali che più hanno pesato nei
rapporti tra riforma e ortodossia cattolica. Pur non risolvendo
definitivamente la dialettica dottrinale su tale argomento, la dichiarazione
ha il significato di un forte avvicinamento sul tema della Grazia di Dio nei
confronti dell’uomo peccatore ed è premessa per ulteriori, importanti
approfondimenti su tale problematica. Siamo comunque arrivati ad una
consapevolezza ecumenica sul fatto che nucleo fondamentale della fede
cristiana, non è una determinata formulazione dottrinale, ma l'evento Gesù
Cristo come vera iniziativa divina di grazia, di perdono e di rinnovamento di
vita.
ALCUNE
TAPPE IMPORTANTI NELLA FORMAZIONEDEL MOVIMENTO ECUMENICO
1910
Conferenza delle società missionarie protestanti a Edimburgo
Consiglio
Internazionale delle Missioni
Vita e Azione (1914)
(1921)
(Vesc. Soderblom di
1928
- educazione
cristiana
Uppsala)
-
industrializzazione
Cristianesimo pratico
-
rapporti con ebrei
‘Solo la vita unisce mentre
1952
- missione ed
ecumenismo
la dottrina divide’
1961
- incorporazione
nel CEC
Agire come se non ci fossero
(imp. per lo sviluppo
della teologia
divisioni dottrinali.
della missione nel Cec)
(Vesc.
Charles Brent
episcopaliano
Usa)
Ricerca
dei contatti
dottrinari.
1918:
adesioni della
chiesa
anglicana
e
delle ortodossa
greca
e russa.
Rifiuto
di Papa
Benedetto
XV.
Utrecht 1938 decisione di
formare il Consiglio Ecumenico delle Chiese
Amsterdam
1948
nascita
del CEC
e
successive fusioni
dei
tre comitati.
1962-1966 con il
Concilio Vaticano II
la Chiesa Cattolica fa
proprio
il dialogo ecumenico
come
31 ottobre 1999 Dichiarazione congiunta Chiesa Cattolica-Federazione
Luterana Mondiale
parte importante della
fede cristiana.
Sulla dottrina della giustificazione
Iniziano i dialoghi
bilaterali con le singole chiese
e i rapporti con il
Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Strasburgo 22 aprile
2001: sottoscrizione CCEE e CEC della CARTA ECUMENICA EUROPEA
PREGHIERA ECUMENICA
Dio,
creatore di ogni cosa,
noi
ti lodiamo per la bellezza di ciò che abbiamo attorno a noi,
per
l’infinita varietà della tua creazione,
i
cieli, le montagne, le vallate, le pianure, i fiumi e i mari.
La
generosità della tua creazione dona ricchezza e provvidenza alla nostra vita
quotidiana.
Ti
ringraziamo per il dono della vita
e
per il dono di poter essere con te i custodi della creazione.
Tramite
il soffio del tuo Spirito di vita,
donaci
la grazia di non venir mai meno alle nostre responsabilità
per
la conservazione di ciò che hai creato.
Signore
di amore, aumenta la nostra fede
e
la nostra fiducia nella tua azione nella storia.
Avrai
cura dei poveri e di coloro che non hanno voce;
i
tuoi profeti parleranno contro l’ingiustizia e il tuo popolo ti abbraccerà
con amore, nel nome di Gesù Cristo.
Ti
chiediamo di rendere la chiesa più coraggiosa che cauta,
e
non resti in silenzio di fronte alle sofferenze del mondo;
ti
chiediamo che la chiesa non ignori la terra ferita che attende di essere sanata.
Noi
ti preghiamo, Dio Creatore,
che
tu faccia nuove tutte le cose.
Per
Cristo nostro Signore.
Amen
(Preghiera
di una comunità indigena della Malesia, scelta
come preghiera comune di tutti i cristiani per la settimana ecumenica
1999)