L’uomo
al tempo dei suoi albori non conosceva attrezzi per
frantumare il grano perché aveva mandibole molto
forti e adattate a frantumare e sminuzzare le
sementi. Successivamente la variazione della sua
dieta e il passaggio da cacciatore ad agricoltore
creò la necessità di conservare le sementi per il
consumo nei rigidi inverni e per la semina
successiva. Nacque così per l’uomo la necessità
di frantumare i duri chicchi con delle pietre
(3000.2000 a.C). L‘inizio dell’arte molitoria lo
si deve alle abili mani delle donne primitive che,
sotto lo stimolo del lavoro faticoso della
frantumazione del grano si ingegnarono ad impiegare
pietre dure e levigate. I primi mulini furono
azionati a mano e costituiti da un piatto di roccia,
di grande resistenza, quale basalto e granito, sul
quale veniva sparsa una manciata per volta di
frumento, i chicchi venivano frantumati con altra
pietra dura di forma tondeggiante o piatta. Col
tempo si scopri però che quando per usura o per
difetto appariva un buco nella pietra superiore, il
grano che vi si riversava dentro, veniva frantumato
meglio di quello versato intorno. Questa
osservazione permise di realizzare la prima macina
rudimentale a due pietre sovrapposte. La superiore,
forata al centro per il carico dei cereali, veniva
sfregata a mano con movimento circolare anziché
orizzontale. Questo periodo durò per 400 anni
dall’8OO al 400 a.C.ed è secondo questa
particolare tecnica ch'è costruito il tradizionale
mulino sardo.
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