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AFGHANISTAN : Speciale sanzioni

Un massacro annunciato
Guerra alle porte di Kabul

di Sergio Trippodo


Dimostrazione anti-Usa organizzata da gruppi pakistani di sostegno

Un massacro annunciato

E’ il 19 gennaio 2001, data dell’entrata in vigore delle nuove sanzioni contro il regime di Kabul, quando il quotidiano pakistan Dawn riceve una telefonata da Kandahar. Alla cornetta è il ministro degli Esteri e portavoce ufficiale del governo, Wakil Ahmed Muttawakil, che afferma: "Il popolo afghano non inscenerà dimostrazioni di protesta contro le sanzioni". E a conferma riferisce che "il leader dei Taliban, Mullah Omar, ha dichiarato che sarà garantita la sicurezza di tutti i lavoratori stranieri in Afghanistan e ha chiesto ai suoi seguaci di non compiere rappresaglie". Sembra una reazione piena di orgoglio, ma anche di buon senso. Invece la rappresaglia è già avvenuta una decina di giorni prima in seguito alla riconquista del distretto di Yakawlang, nella regione sciita dello Hazarajat. Un comunicato delle Nazioni Unite afferma che "oltre cento civili sono stati deliberatamenti presi d’assalto e uccisi, mentre altri sono stati arbitrariamente arrestati". Secondo il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, "tra le vittime figurano alcuni afghani che lavoravano per le agenzie umanitarie". All’appello manca anche un funzionario dell’Onu, misteriosamente scomparso il 7 gennaio scorso. Ma c’è chi va oltre, come il comandante della fazione Harkat-i-Islami, Hussain Anwari, che ha detto alla Azadi Afghan Radio: "Le vittime di Yakawlang, tutti sciiti di etnia hazara sospettati di simpatizzare per la fazione pro-iraniana dell’Hezb-i-Wahadat, sono molto più di quelle indicate da Kofi Annan. Io stesso ho ascoltato alla radio talibana un notiziario che annunciava la morte di 700 hazara, anche se l’emittente non specificava se si trattasse di soli civili".
Sembra quasi di rivivere l’atmosfera pesante che accompagnò le precedenti sanzioni, entrate in vigore il 14 novembre del 1999. Soltanto che allora la reazione fu immediata. Il 10 novembre, gli uffici delle Nazioni Unite a Kandahar furono presi d’assalto da una folla inferocita che lanciò pietre contro i funzionari e gli edifici. I dimostranti bruciarono le bandiere americane e i ritratti del presidente Bill Clinton. Il giorno seguente, mentre migliaia di persone protestavano in tutto l’Afghanistan, quattro attentati dinamitardi colpivano la sede dell’ambasciata statunitense, il Centro informazioni del governo Usa e i principali uffici dell’Onu situati nella capitale pakistana. Oggi come allora, la sigla dell’Onu viene sempre più spesso associata a quella degli Usa. E le cosiddette ‘sanzioni mirate’, invece di portare all’estradizione del miliardario saudita Osama bin Laden e al ritorno della democrazia in Afghanistan, non fanno altro che rinvigorire i vertici dell’integralismo islamico e ridurre la popolazione locale in un grave stato di prostrazione fisica e morale.

Guerra alle porte di Kabul

Una delle nuove sanzioni contro il governo dei Taliban prevede l’embargo sulla vendita di armi e sulla fornitura di assistenza militare. Le stesse misure restrittive non verranno però applicate alle forze di opposizione dell’ex-presidente Burhanuddin Rabbani, guidate dal comandante Ahmed Shah Massud e arroccate a nord nella Valle del Panjshir. Una politica dei ‘due pesi e due misure’ che gli Stati Uniti sono riusciti a imporre alle Nazioni Unite, senza però prendere in considerazione le inevitabili conseguenze. Per il momento, infatti, i Taliban hanno un arsenale ancora ben fornito e non intendono trovarsi in difficoltà quando i primi caldi primaverili scioglieranno le nevi e le forze di Massud riprenderanno le offensive. Quindi, prima di rimanere a corto di munizioni e carburante, hanno sferrato un duro attacco alle porte di Kabul. Appena entrate in vigore le sanzioni, l’aviazione talibana ha bombardato le basi di Jabul Saraj e Charkiar, a 64 chilometri dalla capitale. Contemporaneamente l’esercito ha sferrato un attacco lungo il fiume Amu, nella provincia di Takhar.
L’aspetto più preoccupante della ripresa del conflitto è il sostegno che il Pakistan fornisce alle forze armate di Kabul, nonostante la dichiarazione ufficiale del governo di Musharraf che si è detto "pronto a regolarsi secondo le nuove direttive delle Nazioni Unite" pur definendole "controproducenti e di parte". Fonti dell’opposizione riferiscono sul quotidiano Payam-i-Mujahid che due battaglioni e un’unità di artiglieria dell’esercito pakistano sono giunti nella provincia di Kunduz "per rinforzare le truppe talibane in vista di prossimi attacchi". Anche l’agenzia francese France Presse conferma la notizia, precisando che le unità pakistane sono guidate dal generale Qamaruz Zaman, che ha sostituito il collega Said Zafar nell’incarico di dirigere le operazioni militari in Afghanistan. Secondo le stesse fonti, nove ufficiali dell’esercito pakistano sarebbero stati inviati in Afghanistan per un "radicale riordinamento" del fronte di combattimento contro le forze di Massud. In altri termini, il Pakistan dimostra di non aver mai interrotto il sostegno diretto al governo dei Taliban.

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